Professor D’Alimonte, ha suscitato clamore l’intervista a Repubblica di Dario Franceschini. Secondo l’ex ministro, per battere la destra alle prossime elezioni politiche i partiti di opposizione dovranno presentarsi da soli. “È sufficiente” – ha spiegato – “stringere un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali per battere i candidati della destra”. Col Rosatellum, l’attuale legge elettorale, è tecnicamente fattibile? E lo è politicamente?
Il punto di partenza del ragionamento di Franceschini è che a sinistra l’unità prima del voto è una chimera. Quindi tanto vale rinunciarci invece di perdere tempo in estenuanti mediazioni su programma, leader, ecc. Meglio dunque presentarsi alle elezioni divisi, ognuno per conto proprio. Dopo il voto, se la somma dei seggi ottenuti da tutti i partiti del centro-sinistra fosse la maggioranza assoluta, si vedrà che fare. Allora ci si siederà attorno a un tavolo e si cercherà di trovare la quadra su programma, presidente del consiglio, ecc. Ma visto che ci sono i collegi uninominali una qualche forma di accordo prima del voto va trovata per non ripetere la brutta esperienza del 2022, quando grazie alle divisioni del centrosinistra il centrodestra ha vinto l’80% dei collegi. Quindi, secondo Franceschini, nella arena maggioritaria gli attuali partiti di opposizione dovrebbero presentare dei candidati comuni spartendosi i collegi, come si faceva ai tempi della Mattarella. Ma allora c’era L’Ulivo che proiettava l’idea di una coalizione unita destinata a governare in caso di vittoria. Adesso l’accordo sarebbe solo tecnico, non politico. Nella sostanza la proposta di Franceschini servirebbe a ‘proporzionalizzare’ del tutto l’attuale sistema elettorale. Ci farebbe fare un passo indietro sulla strada della governabilità. Come si può pensare che gli stessi partiti che non riescono a mettersi d’accordo prima del voto su un programma e una leadership comuni possano farlo dopo garantendo una efficace azione di governo? L’attuale governo può piacere o meno, ma il Paese oggi ha trovato una stabilità che tanti in Europa ci invidiano. Questo è un valore da consolidare.
Fig. 1 – Confronto tra la percentuale di voti e la percentuale di seggi uninominali ottenuta dalle coalizioni alla Camera nel 2022
Se il Rosatellum prevedesse allora, com’era col Mattarellum, schede elettorali diverse per il voto ai partiti nel proporzionale e per quello ai candidati nel maggioritario, se ne avvantaggerebbe il centrosinistra, proprio come ai tempi dell’Ulivo?
Ai tempi del Mattarellum la possibilità di esprimere due voti su due schede diverse nella elezione della Camera (ma non quella del Senato) ha penalizzato la coalizione di centrodestra. Questo dicono i dati. Le coalizioni di Berlusconi sia nel 1996 che nel 2001 hanno preso più voti nella parte proporzionale rispetto alla parte maggioritaria, circa un milione e mezzo. Tra l’altro questo è il motivo principale della riforma elettorale del 2005 voluta fortemente da Berlusconi, che ha eliminato i collegi introducendo il proporzionale con premio di maggioranza. Allora il fenomeno era dovuto alla scarsa coesione dei partiti del centrodestra e al relativamente basso tasso di fedeltà dei loro elettori. Oggi le cose sono cambiate ma a livello di elezioni regionali si vede ancora una tendenza per cui i candidati presidenti del centrodestra a volte prendono meno voti delle liste che li sostengono, ma tutto sommato si tratta di un fenomeno più limitato.
I giornali parlano del piano del governo di cambiare la legge elettorale. L’ipotesi di partenza è il Tatarellum, il sistema in vigore in molte Regioni: proporzionale con turno unico e premio di maggioranza che dà il 55% dei seggi alla coalizione vincente che supera il 40%. Vada per la Camera, ma come potrebbe applicarsi un premio assegnato su base nazionale al Senato, che da Costituzione è eletto invece su base regionale?
Questa sembra essere effettivamente l’idea verso cui si sta orientando la maggioranza di governo, anche se è tutto ancora avvolto nella nebbia. Diciamo subito che il sistema non può ricalcare in toto quello delle elezioni regionali perché la sentenza della Corte sulla riforma Calderoli ha stabilito che non si può assegnare un premio di maggioranza senza una soglia minima di voti per ottenerlo. La Corte non ha fissato una soglia ma si presume che il 40 % sia compatibile con la sua sentenza. Cosa succede però se nessuno arriva a questa soglia? Le soluzioni sono due. Una è il ballottaggio tra le due liste o le due coalizioni con più voti. La seconda è la assegnazione del 100% dei seggi con formula proporzionale. È presumibile che la maggioranza di governo si orienti sulla prima soluzione.
Quanto al problema del Senato mi pare di capire che ormai la maggior parte dei giuristi si sia rassegnata al fatto che si possa introdurre un premio nazionale, così come è già stata introdotta una soglia di sbarramento nazionale, a patto che ci siano altri elementi che soddisfino il requisito della regionalizzazione del sistema.
Si parla di soglia al 40 %, ma ci sembra di ricordare che la sua idea è diversa.
È così. Io penso che la soglia corretta sia il 50 %. Solo con questa soglia si può essere ragionevolmente certi che il vincente sia la vera preferenza della maggioranza degli elettori. Inoltre con questa soglia è praticamente certo che ci sarebbe un ballottaggio. E con il ballottaggio si farebbe il premierato. Infatti, in questo modo gli elettori sarebbero messi di fronte a una scelta netta e facilmente comprensibile tra due sole alternative e sarebbero in grado di scegliere il premier e la sua maggioranza. Si realizzerebbe una sorta di elezione ‘diretta’, appunto il premierato, senza modificare la Costituzione e quindi la forma di governo parlamentare, e senza toccare i poteri del capo dello Stato. Il candidato pur eletto ‘direttamente’ dai cittadini potrebbe essere comunque rimosso con un voto di sfiducia delle camere. Tra l’altro con il ballottaggio si valorizzano le seconde preferenze degli elettori.
Perché il centrodestra avrebbe interesse ad accantonare il Rosatellum, di cui ha fortemente beneficiato nel 2022? Viene da pensare soprattutto a Lega e Forza Italia: entrambi sono sovra rappresentati in Parlamento grazie ai molti seggi ottenuti in collegi uninominali blindati per il centrodestra. Un risultato figlio del maggior peso politico dei due partiti all’interno della coalizione prima delle elezioni 2022, che oggi non esiste più. Forse che, allora, possano trarre vantaggi dalla possibile riforma? I seggi in più che avrebbero nel nuovo sistema col premio di maggioranza potrebbero “pareggiare” quelli ottenuti col Rosatellum nei collegi uninominali?
Credo che le ragioni siano altre. Il Rosatellum è un sistema complicato che costringe i partiti a faticosi accordi di spartizione dei collegi. Il proporzionale con premio semplificato tutto. Ma c’è dell’altro. Il Rosatellum non può garantire che dalle urne esca una maggioranza assoluta di seggi. È successo nel 2022 per la ragione di cui abbiamo parlato sopra, e cioè le divisioni del centrosinistra. Ma se nel 2027 il centrosinistra si presentasse unito, o nella versione Ulivo 2.0 (coalizione vera) o nella versione franceschiniana (coalizione fittizia), non è detto che accada o comunque potrebbe essere una maggioranza fragile. Con il proporzionale a premio questo non succederebbe.
Una riforma del sistema elettorale potrebbe convenire anche al centrosinistra, visto che il Rosatellum non è conveniente per un’alleanza asimmetrica come quella tra Pd e M5s?
Per certi aspetti potrebbe convenire per le stesse ragioni discusse prima. Per altre no. Un proporzionale con premio di maggioranza elimina la possibilità di coalizioni fittizie del tipo proposto da Franceschini. Ogni partito si presenterebbe con la sua lista e con il suo simbolo. Ma per puntare al premio e quindi a vincere i partiti coalizzati devono dare l’idea di essere una coalizione vera, con un programma e una leadership condivisi. Questo è il nodo che il centrosinistra deve sciogliere. La riforma elettorale sarebbe una spinta in questa direzione. Se non lo facessero in maniera credibile il centrodestra ne sarebbe fortemente avvantaggiato.
Capitolo candidati: l’ipotesi caldeggiata da Antonio Tajani è che vengano eletti con le preferenze, eccetto il capolista. A quali partiti converrebbe di più?
Dipende. Per i piccoli partiti che hanno pochi seggi non cambierebbe niente. Quasi tutti i loro candidati eletti sarebbero i capilista scelti dalle segreterie di partito. Per i partiti più grandi si creerebbero due categorie di candidati: i privilegiati, che essendo capilista avrebbero il seggio garantito, e i peones, che dovrebbero conquistarsi il seggio raccogliendo preferenze. In sintesi la riforma ridurrebbe l’attuale potere assoluto dei segretari ma in misura diversa per i diversi partiti.
In generale cosa pensa del progetto di riforme istituzionali del governo Meloni?
È un progetto disorganico. Premierato, autonomia differenziata, legge elettorale sono questioni che andrebbero affrontate in maniera sistematica. A mio avviso sono tre le riforme su cui si dovrebbe puntare: superamento del bicameralismo paritario, voto degli italiani all’estero e sistema elettorale. Sono riforme collegate tra loro. La trasformazione del Senato in Camera delle Regioni servirebbe a razionalizzare il rapporto Stato-Regioni, semplificare il processo legislativo e facilitare l’adozione di un sistema a premio di maggioranza. Il voto degli italiani all’estero eliminerebbe il rischio che l’elezione del premier dipenda dal voto di elettori che risiedono stabilmente all’estero e con labili legami con il Paese. La riforma elettorale servirebbe a favorire la stabilità dell’esecutivo. Aggiungo che sarebbe molto importante che questo pacchetto di interventi fosse concordato con l’opposizione. Solo riforme condivise sono riforme destinate a durare.
Lei parla di riformare il Senato ma quale sarebbe la reazione degli attuali senatori? Non pensa che sia una riforma difficile da far digerire?
Gli attuali 200 posti di senatore vanno spostati alla Camera che da 400 deputati dovrebbe passare a 600, in linea con la composizione delle camere basse in altre grandi democrazie europee. Tra l’altro questa modifica, oltre che facilitare l’approvazione della riforma, servirebbe a migliorare anche il lavoro delle commissioni parlamentari della Camera distribuendo meglio le responsabilità tra un maggior numero di deputati.