Una vittoria senza maggioranza per il centrodestra, un crollo rovinoso per i socialisti, un’ascesa ormai consolidata per la destra radicale: cosa racconta davvero il voto in Portogallo? A chi ha parlato Chega e da dove ha preso i suoi consensi? Che prospettive si aprono per una sinistra in crisi identitaria? Un nuovo ciclo politico sta cambiando il volto della democrazia portoghese? Nella nuova puntata di Telescope approfondiamo le recenti elezioni lusitane, grazie alle presentazioni – svolte lo scorso 16 giugno in un webinar dedicato sul tema – degli accademici dell’Institute of Social Sciences dell’Università di Lisbona Pedro Magalhães e Hugo Ferrinho Lopes. Ringraziamo entrambi per il loro contributo.
La terza elezione in tre anni
In Portogallo si è votato per la terza volta in tre anni. La caduta del governo Montenegro, travolto da uno scandalo dovuto a pagamenti che un’azienda guidata dal primo ministro (Spinumviva) aveva continuato a ricevere dopo l’inizio del suo mandato, ha riportato il Paese alle urne il 18 maggio. Malgrado l’instabilità, la campagna elettorale si è svolta in un contesto economico (aggregato) favorevole: crescita del PIL al 2,2%, discesa dell’inflazione sotto il 2%, avanzo di bilancio l’anno scorso. Tuttavia, quasi la metà dei portoghesi continuava a percepire un peggioramento delle proprie condizioni economiche, segno di una persistente disconnessione tra i dati macroeconomici aggregati e l’esperienza quotidiana della maggior parte dei cittadini. A febbraio del 2024, cioè poche settimane prima del precedente voto del 10 marzo, quasi il 60% degli elettori riteneva fosse “tempo di cambiare”. A maggio del 2025, in una nuova e ravvicinata campagna elettorale, la percentuale era solo leggermente inferiore.
In queste ultime elezioni il centrodestra (Alleanza Democratica), il cui perno è il Partito Social Democratico, è riuscito a confermare il primato con circa un terzo dei voti e 90 seggi su 230; nonostante la vittoria, non ha ottenuto tuttavia la maggioranza assoluta. Ma il vero terremoto è arrivato da Chega (“Basta!”): il partito di destra radicale ha conquistato 60 seggi, superando per la prima volta i socialisti (58 seggi) e diventando la principale forza di opposizione. In soli sei anni, Chega è passato dall’1,3% al 24%: una crescita poderosa che sta mettendo in crisi il bipolarismo portoghese, seguendo una dinamica simile a quanto visto in altri Paesi, dove la crescita della destra radicale ha ristrutturato i sistemi partitici in senso tripolare (Francia, Spagna, Austria, Svezia e forse nel prossimo futuro anche il Regno Unito).
Una campagna segnata da scandali, proteste e blackout
La campagna elettorale si è giocata su temi come l’economia, la sanità pubblica e l’emergenza abitativa. Su questi ultimi due, i dati di opinione mostrano come i cittadini portoghesi li ritengano problemi più urgenti rispetto a quanto registrato nella media europea. Hanno pesato anche le vicende che hanno riguardato i leader politici. Il caso Spinumviva ha colpito direttamente il premier uscente, mentre il candidato socialista è finito sotto i riflettori per sospette speculazioni immobiliari. Anche la destra radicale ha avuto i suoi scossoni: il leader di Chega, André Ventura, è svenuto in due comizi, ed è finito sotto inchiesta per incitamento all’odio dopo dichiarazioni contro le comunità rom. Nel mezzo della campagna, un blackout elettrico ha paralizzato il Paese, con effetti simbolici forti su una campagna sempre più digitalizzata. Anche la disinformazione ha avuto un ruolo chiave: secondo i dati, Chega è stata il principale canale di fake news, soprattutto su corruzione e immigrazione, amplificate da una rete massiccia di bot. Circa il 70% dei portoghesi ha dichiarato di temere l’impatto della disinformazione sulle elezioni. Infine, sebbene non occupi ancora una posizione particolarmente elevata in termini relativi, sia rispetto ad altri Paesi che ad altre tematiche, l’immigrazione è stata una presenza costante nei notiziari e sui social media, in seguito al rinnovato insistere di Chega su questo tema. Come accaduto altrove, il governo di centrodestra si è adeguato difendendo un approccio più restrittivo e regolamentato, e persino i Socialisti sono arrivati ad ammettere errori nelle politiche adottate durante il loro recente periodo di governo.
Un sistema partitico sempre più frammentato
Le elezioni del 2025 confermano una tendenza già emersa nel 2024: il Parlamento portoghese è oggi più frammentato che mai. La somma dei seggi di PS (Partito Socialista) e AD non raggiunge i due terzi dell’Assemblea: un dato storico, che impedisce anche la modifica costituzionale senza il consenso di altri attori. La formula bipartitica è finita: oltre a Chega, anche forze minori come Iniciativa Liberal, Livre e il partito regionalista di Madeira JPP hanno trovato spazio, segnando un pluralismo più marcato ma anche più instabile.
Geograficamente, Chega ha vinto in 60 municipi, molti dei quali storicamente rossi, ed è risultato il partito più votato in Algarve e nei distretti di Beja, Portalegre e Sétubal. È diventato un partito nazionale, radicato nelle zone rurali ma capace di attrarre consensi diffusi. I socialisti, invece, hanno perso terreno ovunque. L’analisi dell’inferenza ecologica basata su dati a livello municipale sembra confermare che Chega abbia guadagnato soprattutto da ex elettori di sinistra del PS, e non dalla coalizione di centrodestra AD, smentendo l’idea di una semplice ricomposizione del campo più conservatore. Chega ha attratto anche voti da astensionisti nel 2024, molti meno nel 2025.
Chi vota chi: divari generazionali, di genere e di istruzione
Il voto portoghese evidenzia divari sociopolitici marcati. Chega ottiene più voti tra gli uomini e tra gli elettori non laureati. Il Partito Socialista resiste tra le donne, ma perde sostegno su tutta la linea. L’elettorato con basso livello d’istruzione appare particolarmente sensibile a un discorso culturalmente conservatore, terreno su cui Chega ha costruito parte del proprio consenso. I socialisti, che attraevano questi elettori, si trovano ora penalizzati: stanno perdendo voti a favore di una forza che ha spostato il conflitto politico su dimensioni identitarie e valoriali. A differenza di altri contesti europei, il Portogallo presenta ancora una relazione tradizionale tra istruzione e voto: le persone più istruite tendono a votare di più per i partiti conservatori. Le ragioni sembrano essere almeno due: da un lato lo sviluppo limitato di una classe media istruita, dall’altro l’effetto della crisi economica che aveva ridefinito i riferimenti culturali e politici delle fasce popolari. Il centrodestra, infatti, ottiene ora risultati migliori tra gli elettori più anziani e istruiti recuperando il terreno perduto durante la crisi economica iniziata nel 2008, quando le misure di austerità penalizzarono maggiormente i pensionati. I giovani si dividono tra Livre e Iniciativa Liberal, mentre il Blocco di Sinistra perde consensi anche tra gli under 35.
Che governo ci aspetta?
Luís Montenegro resta premier, ma guida ancora una volta un governo di minoranza. Ha escluso qualsiasi accordo con Chega, mantenendo un “cordone sanitario”, e si prepara a negoziare sui singoli provvedimenti. Lo scenario è quindi quello di un esecutivo fragile, costretto a cercare sponde da una parte e dall’altra. Chega, divenuto leader dell’opposizione, potrà cavalcare una visibilità mediatica inedita, mentre il Partito Socialista affronta una crisi identitaria e di leadership.
In sintesi, il voto del 2025 segna un cambio di fase: la fine del bipolarismo, la normalizzazione della destra radicale, la fragilità strutturale di maggioranze parlamentari. In questo scenario, l’interrogativo non è solo su chi governerà, ma su come reggere l’urto di un sistema sempre più instabile e polarizzato.