di Vincenzo Emanuele
Che la Sicilia non fosse più l’Eden del consenso berlusconiano lo si era capito già alcuni mesi fa, quando alle comunali di Palermo il candidato del Pdl Massimo Costa era rimasto fuori dal ballottaggio, giocato tutto all’interno del campo di centrosinistra e poi stravinto da Leoluca Orlando. Ma non era preventivabile neppure che in così pochi mesi la terra del 61-0 potesse divenire protagonista di una trasformazione così profonda, in cui il declino del blocco di potere che ha retto le sorti del governo regionale negli ultimi 11 anni è sfociato in una crisi che ha investito l’intero sistema politico dell’Isola e che oggi rischia di investire il resto del paese. Questa crisi di sistema ha avuto due interpreti di successo: l’astensione e Beppe Grillo.
In Sicilia si è recato alle urne appena il 47,43% degli aventi diritto. E’ il record negativo di ogni elezione nazionale a qualsiasi livello (con l’eccezione delle europee 2009 in Sardegna). Ormai la diminuzione della partecipazione non ha più nulla di fisiologico, come si credeva in passato e, a partire dalle regionali 2010 per poi proseguire con le ultime comunali ha assunto ritmi vorticosi. Nel 2008 l’affluenza era stata del 66,7%, ben 19 punti superiore a quella di domenica scorsa. Ma si votava in due giorni e per di più con il traino delle politiche che si svolsero in contemporanea. Un confronto più appropriato è quello con il 2006: allora la partecipazione fu del 59,2%, e si trattava di un’elezione dall’esito quasi scontato (Cuffaro vinse con 11,5 punti di distacco dalla Borsellino), del tutto diverso dalla serrata competizione di questa tornata, caratterizzata dal grande equilibrio nei rapporti di forza tra i candidati principali, certificato anche dai sondaggi della vigilia. Un elemento, quello dell’incertezza sul risultato finale, che avrebbe dovuto richiamare più gente al voto. Questo è ciò che accade di solito nel resto dei paesi democratici, in cui l’affluenza aumenta quando il risultato è incerto e il governo è contendibile. Ma non in Sicilia. Non in questa fase storica di destrutturazione del sistema partitico della Seconda Repubblica.
Anzi, è probabile che la partecipazione sarebbe stata molto più bassa se non fosse intervenuto il secondo protagonista di queste elezioni: Beppe Grillo. Il comico genovese è stato un ciclone che si è abbattuto sulla partitocrazia dell’Isola e con soli 20 giorni di campagna elettorale ha permesso al Movimento 5 Stelle di diventare la prima forza politica dell’Isola e al candidato Cancelleri di piazzarsi terzo con il 18,2% dei voti e addirittura primo a Palermo città.
Al di là dell’astensione e del boom dei grillini queste elezioni hanno un altro indiscusso vincitore: Rosario Crocetta. Ex comunista, dichiaratamente omosessuale e fiero paladino antimafia sin dai tempi in cui era sindaco di Gela, il nuovo Presidente della Sicilia è un personaggio la cui storia personale è già un manifesto del cambiamento rispetto alla tradizione politica dell’Isola dal dopoguerra in poi. Si tratta infatti della prima vittoria elettorale per una coalizione di centrosinistra dal 1947 ad oggi. Un risultato storico, reso possibile sia dagli elementi sistemici di crisi prima menzionati che dalla divisione del centrodestra fra Nello Musumeci, candidato di Pdl, La Destra e dei cuffariani del Pid, favorito della vigilia e poi sconfitto con il 25,7% e Miccichè, sostenuto da Grande Sud, Fli ed Mpa, che non ha potuto far altro che recitare una parte da comprimario, fermandosi al 15,4%, al quarto posto dietro Cancelleri (vedi Tabella 1).
Tab. 1 Elezioni regionali 2012 in Sicilia, affluenza e voto ai candidati Presidente.
La grande frammentazione della competizione proporzionale fa sì che ben 9 liste riescano a superare la soglia di sbarramento del 5%, con il partito maggiore (il M5S) che non arriva al 15%. Un esito simile a quanto accaduto proprio a Palermo pochi mesi fa, quando alle comunali l’Idv con appena il 10,2% divenne il primo partito. Esistono le condizioni per definire il sistema partitico siciliano “atomizzato” (Sartori 1976). Il Pdl perde oltre 20 punti passando dal 33,4% delle regionali 2008 al 12,9% odierno. In termini assoluti stiamo parlando di oltre 650.000 voti. Sommando al Pdl di oggi le liste nate in seguito a scissioni dal Pdl 2008 (Grande Sud e Fli) oltre ai voti della Lista Musumeci si raggiunge il 28,9%, segno che vi è stata un’emorragia di consensi che va al di là della divisione della destra. Anche il partito dell’ex Presidente Lombardo accusa il colpo: l’Mpa limita i danni, ottenendo il 9,5% e portando a casa 10 seggi, ma sono lontani i fasti del 2008, quando le tre liste autonomiste facenti capo a Lombardo totalizzavano il 22,2%. Cresce invece il consenso per le formazioni post-democristiane. L’Udc può festeggiare la scelta, rivelatasi vincente, di abbandonare la nave del centrodestra e puntare su un candidato lontano dal profilo del partito di Casini ma che oggi gli permette di tornare al governo della Regione. Inoltre lo scudocrociato ottiene il 10,8%, perdendo solo 1,7 punti rispetto al 2008, quando però il partito poteva contare sui dirigenti cuffariani oggi transfughi nel Pid, i quali accedono all’Ars con il 5,9% dei voti. La scissione in fin dei conti ha accresciuto i consensi degli ex democristiani. Nel complesso, in termini percentuali, il vecchio blocco di potere conservatore che ha governato la Sicilia dal 2001 è passato dal 69,5% al 55,4%. Insomma ha perso, ma è comunque rimasto maggioranza. Solo che le divisioni e le scissioni, tipiche di un sistema al collasso, unite all’effetto della soglia di sbarramento non gli consentono, per la prima volta nella storia della Sicilia, di ottenere la maggioranza dei seggi: Musumeci si ferma a 21 e Miccichè a 15. Solo se a questi uniamo i seggi dell’Udc (11), che ha fatto parte del centrodestra in Sicilia fino a queste elezioni, il totale fa infatti 47, la metà più due.
In altri termini il centrodestra esce distrutto in termini di blocco avente una prospettiva di governo ma solo ridimensionato dal punto di vista del consenso. Come abbiamo visto la maggioranza assoluta dei voti è rimasta ai partiti del vecchio centrodestra.
La Sicilia non si è dunque spostata a sinistra. E’ per questo che il Pd che giustamente esulta per la vittoria di Crocetta non può rallegrarsi troppo: nel 2008 la lista dei democratici e la lista del Presidente (Finocchiaro) insieme totalizzavano il 21,9%, oggi raccolgono il 19,6%. Se a questi voti aggiungiamo quelli della sinistra radicale (6,6%) che dividendosi tra Idv e Sel-Fds-Verdi non ha superato lo sbarramento ed è rimasta fuori dall’Ars, proprio come già era accaduto alle scorse regionali, l’area progressista raggiunge il 26,2%, contro il 28,6% del 2008. La sinistra si è quindi ridotta in termini percentuali. In voti assoluti poi ha perso circa 268.000 voti, pochi meno di quelli ottenuti dal Movimento 5 Stelle. Solo l’analisi dei flussi elettorali chiarirà i movimenti di voto, ma l’impressione iniziale è che mentre l’astensione è stata fortemente asimmetrica e ha penalizzato il centrodestra, il Movimento di Grillo ha pescato soprattutto nell’area progressista.
Tab. 2 Risultati delle elezioni regionali 2012 in Sicilia, riparto proporzionale, voti assoluti, percentuali e seggi.
Tab 3 Ripartizione dei seggi nell’Assemblea regionale siciliana.
I risultati delle liste e la distribuzione dei seggi sono riportati nelle Tabelle 2 e 3. Come vediamo l’esito è in larga misura quello da noi previsto in una simulazione effettuata pochi giorni prima del voto. Avevamo infatti preannunciato che chiunque avesse vinto non avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in Assemblea. Crocetta ha conquistato 30 seggi, che con il premio diventano 39. Troppo pochi, dal momento che per governare ne servono 46. Ha già annunciato che intende costituire un governo di minoranza, senza alleanze organiche con soggetti terzi, sperando di racimolare di volta in volta la maggioranza necessaria a far passare i suoi provvedimenti. Il rischio di essere costretto a compromessi al ribasso e di rimanere impantanato nello stillicidio della contrattazione quotidiana con singoli deputati è però ridotto dal prevedibile conatus sese conservandi dei deputati stessi che hanno tutto l’interesse a mantenere in vita il Presidente e con esso l’Assemblea nella quale siedono (la prossima Ars si ridurrà da 90 a 70 deputati e dunque non ci sarà posto per tutti).
Solo i prossimi mesi di governo ci diranno se il cambiamento sarà reale o se lo spirito del Gattopardo avrà ancora una volta preso il sopravvento.