di Bruno Marino
Le elezioni per il Parlamento Europeo sembrano essere acqua passata per molti politici italiani e stranieri, concentrati rispettivamente sulle vicende italiane e sulla selezione del Presidente della Commissione Europea[1]. In realtà, è utile analizzare i risultati delle recenti elezioni europee, soprattutto per quanto riguarda il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (ALDE).
Partiamo da alcuni grafici, che aiuteranno a comprendere meglio quello che è successo in casa liberaldemocratica[2].
Fig. 1 – Risultati elettorali dei liberaldemocratici. Percentuale di seggi nel Parlamento Europeo, 1979-2014[3]
Si nota immediatamente come il gruppo abbia perso un certo numero di seggi rispetto al 2009. Ma c’è di più. Il risultato elettorale del 2014 è il peggiore degli ultimi quindici anni. Bisogna tornare indietro alle elezioni europee del 1999 per trovare un gruppo liberaldemocratico meno numeroso (in percentuale) di quello attuale.
Ovviamente, i dati aggregati sono utili per analizzare una tendenza generale. Tuttavia, se si vogliono prendere in considerazione risultati più dettagliati, è necessaria un’analisi delle performance elettorali dei partiti a livello nazionale.
Tab. 1 – Risultati elettorali (percentuale di voti e seggi) dei partiti dell’ALDE nei paesi membri e differenze con le elezioni 2009[4]
Paese |
2014 |
Differenze con il 2009 |
||
% Voti |
Seggi |
Voti |
Seggi |
|
Austria |
8,1 |
1 |
+8,1 |
+1 |
Belgio |
22,8 |
6 |
-0,3 |
+1 |
Bulgaria |
17,3 |
4 |
-4,8 |
-1 |
Cipro |
|
|
|
|
Croazia |
29,9 |
2 |
+29,9 |
+2 |
Danimarca |
23,5 |
3 |
+3,3 |
0 |
Estonia |
46,7 |
3 |
+5,3 |
0 |
Finlandia |
26,5 |
4 |
+1,4 |
0 |
Francia |
9,9 |
7 |
+1,4 |
+1 |
Germania |
4,9 |
4 |
-6,1 |
-8 |
Grecia |
|
|
|
|
Irlanda |
22,3 |
1 |
2,2 |
-2 |
Italia |
1,4 |
0 |
-6,6 |
-7 |
Lettonia |
|
|
-7,5 |
-1 |
Lituania |
29,4 |
3 |
-13,7 |
+1 |
Lussemburgo |
14,8 |
1 |
-3,9 |
0 |
Malta |
|
|
|
|
Paesi Bassi |
27,5 |
7 |
+4,8 |
+1 |
Polonia |
|
|
|
|
Portogallo |
|
|
|
|
Regno Unito |
6,7 |
1 |
-7,1 |
-10 |
Repubblica Ceca |
16,1 |
4 |
+16,1 |
+4 |
Romania |
|
0 |
|
-5 |
Slovacchia |
6,7 |
1 |
-2,3 |
0 |
Slovenia |
8,1 |
1 |
-12,9 |
-1 |
Spagna |
11,9 |
6 |
+6,7 |
+4 |
Svezia |
16,5 |
3 |
-2,5 |
-1 |
Ungheria |
|
|
-2,2 |
|
Il primo dato che emerge dall’analisi della Tabella 1 è che l’essere incumbent a livello nazionale non sembra aver penalizzato i partiti liberaldemocratici. Si tratta di un elemento da tenere in considerazione, anche se riguarda tre soli paesi. Analizziamo i dati elettorali dei singoli partiti che esprimevano (o esprimono) il Capo del Governo. Il partito Estone Eesti Reformierakond ha guadagnato diversi punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni europee, mentre il partito lussemburghese Parti Démocratique ha subito un arretramento, che però non ha ridotto il numero di seggi assegnatogli nel Parlamento Europeo. Infine, l’olandese Volkspartij voor Vrijheid en Democratie ha leggermente incrementato la percentuale di voti validi ottenuti rispetto alle elezioni europee del 2009, pur mantenendo invariato il numero di seggi all’Europarlamento. In buona sostanza, i Primi Ministri liberaldemocratici non sembrano essere stati puniti dagli elettori nella second order election a livello europeo (Reif and Schmitt, 1980).
Analizzando più nel dettaglio la Tabella 1, si nota come la sconfitta dei liberaldemocratici sia dipesa, in buona misura, dalle pessime performance elettorali dei partiti dell’ALDE in alcuni paesi: Germania, Italia e Regno Unito. Nel primo paese il tracollo del partito liberale FDP ha fatto perdere all’ALDE 8 seggi. E questo non fa sperare nulla di buono per i liberaldemocratici in un paese come la Germania, caratterizzato da una certa frammentazione partitica (soprattutto negli ultimi anni) e da interessanti cambiamenti rispetto ai decenni precedenti in tema di alleanze post-elettorali (si veda l’interessante analisi di Poguntke, 2012)
In Italia è, di fatto, scomparsa L’Italia dei Valori, il partito fondato dall’ex magistrato di Mani Pulite, Antonio Di Pietro (nonostante il cambio di leadership e di simbolo, questa formazione politica ha raccolto solo lo 0,7% dei voti validi), mentre la coalizione elettorale “Scelta Europea” (che raccoglieva Scelta Civica – ovvero il partito fondato da Mario Monti – Fare per Fermare il Declino – partito liberale e liberista fondato da economisti come Michele Boldrin e Sandro Brusco – e Centro Democratico – formazione guidata da Bruno Tabacci) ha ottenuto meno dell’1% dei suffragi. Quest’ultimo risultato ha avuto una certa eco in Italia, sia per via dei partiti che facevano parte di Scelta Europea (uno per tutti, Scelta Civica, la formazione che nelle intenzioni dei fondatori avrebbe dovuto rappresentare l’ago della bilancia della politica italiana nel 2013), sia perché questo cartello elettorale era decisamente “pro-Europa” (sul rapporto tra politica italiana e retorica pro-Europa si veda ad esempio Hay e Rosamond 2002, 161-162).
Ma il caso più interessante da analizzare è senza dubbio quello inglese. Nel Regno Unito il leader dei Liberal Democrats, Nick Clegg, aveva deciso di sfidare in due dibattiti pubblici pre-elettorali sul tema dell’Europa il leader del partito xenofobo e anti-europeista United Kingdom Independence Party (UKIP), Nigel Farage. La mossa aveva suscitato grande interesse al di là della Manica, vista la mancata partecipazione ai dibattiti di Ed Miliband e David Cameron, rispettivamente leader del partito laburista e del partito conservatore. La mossa di Clegg aveva l’obiettivo di attirare l’attenzione degli elettori inglesi sulle elezioni europee (e sulle contemporanee elezioni per il rinnovo di molti organi di governo locale) e sulle posizioni politiche dei liberaldemocratici inglesi, decisamente pro-Europa. Nonostante le intenzioni di Clegg, i dibattiti televisivi hanno visto il leader lib-dem uscire sconfitto dallo scontro con Farage. Anticipazione di quello che sarebbe avvenuto alle elezioni di fine Maggio, nelle quali i liberaldemocratici inglesi hanno subito una pesante battuta d’arresto a livello locale (perdendo molti councillors) e una devastante sconfitta a livello europeo: la pattuglia lib-dem al Parlamento Europeo si è ridotta da 11 membri ad uno soltanto.
I risultati dei partiti liberaldemocratici in Germania, Regno Unito ed Italia sono fondamentali per capire come mai la percentuale dei seggi dell’ALDE al Parlamento Europeo si sia ridotta. In questi tre paesi, infatti, i partiti dell’ALDE hanno complessivamente perso ben 25 seggi. Questo vuol dire che le buone performance liberaldemocratiche in altri paesi (come i Paesi Bassi, Croazia o Repubblica Ceca) non sono bastate per compensare le perdite nei tre paesi analizzati in precedenza.
Guardando ai rapporti di forza nazionali all’interno del gruppo parlamentare liberaldemocratico, si nota come Francia, Paesi Bassi e Belgio contribuiscano per il 30% al computo complessivo dei seggi del gruppo. In più, la forza parlamentare dei liberaldemocratici inglesi e tedeschi si è notevolmente ridotta rispetto al passato.
In un precedente articolo avevamo previsto che le politiche di austerità europee e il balzo in avanti dei partiti euroscettici ed estremisti avrebbero potuto contribuire ad un arretramento elettorale dei liberaldemocratici. Previsione fin troppo facile. Le elezioni europee del 2014 hanno rappresentato una dura prova per l’ALDE. Quello che forse è il gruppo più europeista dell’intero Parlamento Europeo ha subito una battuta d’arresto che deve far riflettere la leadership del gruppo e dei partiti europei ad esso collegati. Si dice spesso che l’Unione Europea debba cambiare per sopravvivere. È probabile che la stessa frase, mutatis mutandis, valga anche per il gruppo dell’ALDE.
Riferimenti bibliografici
Hay, C. e Rosamond, B. (2002), Globalization, European integration and the discursive construction of economic imperatives, in “Journal of European Public Policy”, vol. 9(2), pp. 147-167.
Poguntke, T. (2012), Towards a New Party System: The Vanishing Hold of Catch-All Parties in
Germany, in “Party Politics”, First View Article, published online 30th October 2012.
Reif, K. e Schmitt, H., (1980), Nine second-order national elections- A conceptual framework for the analysis of european election results, in “European journal of political research”, vol. 8, pp. 3-44.
[1] Al momento della chiusura di questo articolo sembra che il prossimo Presidente della Commissione sarà, ancora una volta, selezionato dopo lunghe e più o meno segrete trattative tra i maggiorenti politici europei. Con il rischio di mettere in soffitta le promesse di creare un meccanismo di selezione più trasparente e democratico.
[2] Come già spiegato in precedenza, uso questo termine in riferimento all’ALDE per comodità di lettura.
[3] Fonte dei dati: dal 1979 al 2009: http://www.parties-and-elections.eu/eu2.html; per il 2014 si è fatto riferimento ai dati pubblicati su http://www.risultati-elezioni2014.eu/it/election-results-2014.html. Per maggiori dettagli sui risultati a livello nazionale e sul computo complessivo dei seggi, si veda la nota 4.
[4] Fonte dei dati 2009 (se non diversamente specificato): http://www.parties-and-elections.eu/eu2.html; fonte dati 2014 (se non diversamente specificato): http://www.risultati-elezioni2014.eu/it/election-results-2014.html; nel caso dei dati sulle elezioni in Irlanda nel 2009 e nel 2014 i dati provengono dal seguente articolo: /cise/2014/05/29/lanti-europeismo-non-sfonda-il-voto-in-olanda-irlanda-e-regno-unito/; nel caso dei dati sulla Romania, si è deciso di considerare il risultato del Partito Nazionale Liberale (PNL), membro dell’ALDE che ha chiesto di aderire al Partito Popolare Europeo (PPE); il partito Lettone LPP/LC è scomparso dalla scena nazionale; nel caso della Spagna si è deciso di non includere il risultato della formazione politica Unión Progreso y Democracia (6,5% e 4 seggi), che sta per aderire al gruppo dell’ALDE; in neretto sono segnalati i paesi all’interno dei quali un partito liberaldemocratico esprime il Primo Ministro.