Il centrodestra torna a vincere le elezioni regionali in Sicilia, come del resto è sempre accaduto nel corso della Seconda Repubblica con l’unica eccezione del 2012. Cinque anni fa la destra si divise fra Musumeci e Micciché e il centrosinistra ne approfittò per conquistare Palazzo d’Orleans. Oggi l’unità – costruita dai due sfidanti di allora – consente all’ex presidente della Provincia di Catania di prevalere su Giancarlo Cancelleri.
Eppure nel 2012 la Sicilia non si era improvvisamente spostata a sinistra. Crocetta raccolse il 30,5% dei voti validi, corrispondenti ad appena il 13,3% del corpo elettorale. Il Presidente uscente vinse solo grazie alla divisione della destra e alla presenza in coalizione dell’Udc, che portò in dote un indispensabile 10,8%.
Nel 2017 il centrodestra è tornato a marciare unito, dall’Udc a Fratelli d’Italia e la sfida tra i due blocchi tradizionali del bipolarismo italiano non ha avuto storia. Dopo i fallimentari tentativi del 2006 e del 2012, Nello Musumeci diventa il nuovo Presidente della Regione Siciliana, con il 39,9% dei consensi, doppiando il rivale di centrosinistra, Fabrizio Micari e superando di misura Giancarlo Cancelleri, dato per grande favorito fino a un paio di mesi fa (vedi Tabella 1).
Tabella 1 – Elezioni regionali 2017 in Sicilia: affluenza e voti (assoluti e percentuali) ai candidati Presidente
Musumeci riesce a contenere il – prevedibile – rendimento coalizionale negativo, inteso come lo scarto tra il voto al presidente e quello alle liste. Un esercito di 350 candidati spinge le sue liste al 42%. Circa 2 punti, dunque, penalizzano il risultato del neo-eletto governatore a confronto con la somma delle liste in appoggio. Su questo versante può riscontrarsi il perfetto adeguamento strategico della coalizione di centrodestra. Tutte e cinque le sigle del cartello valicano il 5% e troveranno rappresentanza all’Ars. Il voto disperso ammonta a 0. Forza Italia, nuovamente guidata da Miccichè, supera il Pd diventando il secondo partito dell’Isola con il 16,4%. Le due liste post-democristiane, ovvero Popolari e Autonomisti e Udc, veleggiano entrambe attorno al 7%. La prima raccoglie esuli del MpA di Raffaele Lombardo e del Pid di Saverio Romano (nel 2012 rispettivamente al 9,5% e al 5,9%), nonché il nuovo movimento dell’ex rettore Roberto Lagalla, ‘Idea Sicilia’. L’Udc, partito ormai inesistente a livello nazionale, torna nel blocco conservatore e, pur cedendo quasi 4 punti rispetto al 2012, sarà ancora al governo, dopo aver sostenuto Crocetta nel 2012. Anche la lista personale di Musumeci (Diventerà Bellissima, 6%) e la lista formata da Fratelli d’Italia e Noi con Salvini (5,6%) superano la soglia.
Il candidato del Movimento Cinque Stelle patisce poco più di 5 punti di distacco da Musumeci. Eppure, il risultato di Cancelleri assume rilevanza se rapportato a quello della lista collegata. Difatti il rendimento coalizionale risulta di quasi 8 punti. Il Movimento sconta il debole radicamento e la scarsa riconoscibilità dei propri candidati all’Assemblea regionale. Ciononostante, il risultato del M5S è ragguardevole se rapportato a quello del 2012: Cancelleri quasi raddoppia il proprio risultato (dal 18,2% al 34,7%) e la lista pentastellata si conferma il primo partito dell’Isola crescendo dal 14,9% al 26,7%, mantenendosi sui livelli delle elezioni europee del 2014 (26,3%). Altro discorso se invece il raffronto viene fatto con le politiche 2013 (33,6%) o con le aspettative della vigilia. In definitiva, l’avanzata del Movimento è ragguardevole, ma non tale da spezzare la supremazia del blocco di centrodestra. Semplificando oltremodo, verrebbe da dire che il voto di preferenza/scambio ha battuto il voto di opinione/protesta. In questo senso, le proiezioni Demopolis delle ultime settimane erano piuttosto chiare e indicavano la presenza di una relazione inversamente proporzionale fra il divario Musumeci-Cancelleri e l’affluenza. Più l’affluenza andava giù, più si allargava lo iato fra i due competitor. Viceversa, una netta crescita della partecipazione rispetto al 2012 avrebbe potuto ribaltare l’esito della sfida, riportando al voto molti elettori da tempo usciti dal circuito democratico. Per dirla con Hirschman (1970), un aumento dell’affluenza avrebbe portato molti elettori a fare ‘voice’ anziché praticare la ‘exit’, favorendo così il recupero di Cancelleri.
Passando al centrosinistra, le sigle in supporto di Fabrizio Micari totalizzano più del 25,4% dei consensi, staccando nettamente il 18,5% registrato dal rettore di Palermo nella competizione maggioritaria. Il voto disgiunto punisce il candidato scelto da Leoluca Orlando. E’ la nemesi del “voto utile”, più volte invocato dal Pd in questi anni per trascinare i propri candidati a spese delle forze politiche minori. Oggi il voto strategico punisce proprio il candidato del Pd, già da tempo percepito come terza forza e tagliato fuori dalla ferrea regola M+1 di Cox (1997). All’interno della coalizione, il Pd si mantiene sui livelli del 2012 (-0,4 punti), mentre le due liste locali (Sicilia Futura e Arcipelago Sicilia) raggiungono insieme l’8,2%. Solo la prima (6%) accederà all’ARS, mentre l’agglomerato formato dai seguaci di Orlando e Crocetta si ferma al 2,2%. Si apre invece una stagione difficile per il partito di Alfano, che sperava di sfruttare la roccaforte siciliana per un rilancio della sua proposta politica anche in chiave nazionale. La sua lista, Alternativa Popolare, si è fermata al 4,2%, rimanendo fuori dai giochi. L’esodo che a settembre colpì il partito di Angelino Alfano ne ha svuotato il bacino elettorale. Adesso la sua stessa sopravvivenza politica è messa in discussione e con essa l’assetto coalizionale col quale il centrosinistra si presenterà alle prossime elezioni politiche.
Fa ritorno al Parlamento siciliano dopo sedici anni la sinistra radicale: Claudio Fava lima di poco quanto ottenuto da Giovanna Marano, ma lo schieramento di una lista unica garantisce a Cento passi per la Sicilia d’oltrepassare la soglia del 5%. Confrontando il voto al blocco di sinistra fra 2017 e 2012, notiamo che c’è stato un netto arretramento nel maggioritario: cinque anni fa Crocetta e Marano totalizzavano il 36,6%, oggi Micari e Fava si fermano al 24,8%, e sarebbero rimasti il terzo polo anche se uniti. Micari non ha dunque perso per colpa della divisione a sinistra. Al proporzionale la situazione è apparentemente simile: le liste di Micari e Fava insieme raggiungono il 30,5%, quelle di Crocetta e Marano facevano il 37%. Eppure, se escludiamo dal computo l’Udc nel 2012 e Alternativa Popolare nel 2017, entrambe estranee al blocco di sinistra, ecco che la situazione si riequilibra: la sinistra valeva il 26,2% nel 2012, vale il 26,4% nel 2017. In fin dei conti, l’elettorato di sinistra rimane una esigua minoranza nell’Isola, e solo le eccezionali e forse irripetibili condizioni createsi nel 2012 gli permisero di arrivare al potere.
Per quanto concerne la trasposizione dei voti in seggi, la legge elettorale siciliana prevede una doppia competizione: maggioritaria a turno unico per la carica di Presidente e proporzionale con distribuzione provinciale dei seggi e soglia regionale di sbarramento al 5% per le liste. Si tratta di due partite teoricamente separate (è possibile il voto disgiunto) ma di fatto legate dalla presenza di un premio di maggioranza assegnato alla coalizione collegata al candidato Presidente vincente. Un premio che, però, non è majority assuring (Emanuele 2013), non assicura cioè la maggioranza dei seggi. Tanto che, quando si è spezzata la logica bipolare, ossia nel 2012, le elezioni non hanno prodotto una maggioranza all’ARS. Cinque anni fa Crocetta conquistò 39 seggi su 90, premio compreso; oggi Musumeci ne otterrà 36 su 70, riuscendo dunque per un solo seggio (il proprio) a conquistare la maggioranza. A differenza di Crocetta, almeno nei numeri, non sarà una ‘anatra zoppa’.
Tabella 2 – Risultati delle elezioni regionali 2017 in Sicilia: voti assoluti, percentuali e seggi, riparto proporzionale
Tabella 3 – Ripartizione dei seggi nell’Assemblea regionale siciliana
Grazie all’eccezionale coordinamento strategico dell’offerta, soprattutto tra le fila del centrodestra, la ripartizione dei seggi vedrà una disproporzionalità ridotta, con il 93% dei voti validi rappresentati all’ARS e appena 3 delle 12 liste fuori dai giochi: Siciliani Liberi di La Rosa, Arcipelago Sicilia (il contenitore targato Crocetta-Orlando) e Alternativa Popolare. Come vediamo dalla Tabella 2, che riporta la ripartizione dei 70 seggi all’ARS per ciascuna coalizione, e dalla Tabella 3, che fornisce il dettaglio della distribuzione dei 62 seggi proporzionali per lista, oltre alle 5 liste di Musumeci, trovano posto a Sala d’Ercole anche il M5S (20 seggi, compreso quello a Cancelleri in quanto candidato Presidente arrivato secondo), Il Pd (11), Sicilia Futura (2) e la lista Cento Passi (1). Alla fine, contro tuti i pronostici che prevedevano un Parlamento ingovernabile, l’unione della coalizione del centrodestra ha prodotto una maggioranza. Un antipasto di ciò che attende l’intero paese nel 2018?
Riferimenti bibliografici
Cox, G. W. (1997). Making votes count: strategic coordination in the world’s electoral systems. Cambridge University Press.
Emanuele, V. (2013). ‘Regionali 2012 in Sicilia: come funziona il sistema elettorale’, in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013, Dossier CISE (3), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 39-41.
Hirschman, A. O. (1970). Exit, voice, and loyalty: Responses to decline in firms, organizations, and states. Harvard University Press.