Domenica scorsa, la Finlandia è tornata al voto per rinnovare il proprio Parlamento nazionale. La “eduskunta” finlandese è un parlamento monocamerale composto da 200 membri, eletto ogni quattro anni con un sistema proporzionale (D’Hondt). Non esiste una soglia di sbarramento, ma tutti i seggi vengono distribuiti direttamente all’interno di 13 circoscrizioni di dimensione variabile (dai 7 seggi della Lapponia ai 36 seggi della regione di Helsinki, esclusa la città), con il conseguente innalzamento della soglia implicita. Un seggio, eletto con sistema uninominale, spetta all’arcipelago delle Åland, provincia autonoma totalmente di lingua svedese.
Il sistema politico di questo paese nordico è caratterizzato, come del resto quello di tutti i suoi vicini, dall’alto tasso di frammentazione e dalla costante riproposizione di Governi di coalizione. Tuttavia, la tenuta degli esecutivi è tradizionalmente abbastanza solida (vi sono stati solo dieci governi negli ultimi 28 anni), e la composizione delle maggioranze alquanto variabile e talora eterodossa. Questo non deve stupire perché gli accordi coalizionali, negoziati prima dell’entrata in carica dell’esecutivo sino nel dettaglio dei singoli punti programmatici, sono generalmente chiari e soprattutto dibattuti pubblicamente.
Negli ultimi quattro anni, il paese è stato guidato da una coalizione di centrodestra, guidata dal Primo Ministro Juha Sipilä e composta dal partito di questi, il Partito di Centro (aderente a livello europeo all’ALDE, la formazione liberaldemocratica), dalla Coalizione Nazionale (aderente al Partito Popolare Europeo) e dal Partito dei Finlandesi (che fino ad oggi, a livello europeo, ha aderito al gruppo dei Conservatori e Riformisti, il gruppo dei Tories britannici e del partito al potere in Polonia). Questi ultimi rappresentano l’elemento di principale novità della politica finlandese degli ultimi anni.
Formazione nata negli anni ’90 come evoluzione del disciolto partito agrario, il Partito dei (“Veri”) Finlandesi si è inizialmente mosso come piccolo partito di centro. Nel 2011 è assurto alle cronache continentali per le proprie posizioni euroscettiche e per il proprio successo elettorale, che lo ha portato al terzo posto, con il 19% dei voti. La scelta di rifiutarsi di entrare in maggioranza nella legislatura 2011-2015, per non compromettere la propria visione euroscettica, non ha poi pagato molto in termini di consenso, dato che alle elezioni del 2015 il partito non ha capitalizzato il proprio quadriennio di opposizione, restando fermo al 17%.
Di fronte a questo risultato, lo storico leader del partito Timo Soini ha scelto di cambiare linea politica e ha accettato di entrare a far parte della coalizione di Governo che ha retto il paese per i successivi quattro anni, assumendo le cariche di Vice Primo Ministro e di Ministro degli Affari Esteri. La scelta si è rivelata ancora più infelice. I sondaggi hanno registrato da subito un rapido dimezzamento del consenso al partito, che ha visto conseguentemente sorgere al proprio interno un fervido dibattito su quale dovesse essere la linea da tenere. Soini ha accettato di dimettersi, dopo venti anni, dalla guida del partito, e nel Congresso del giugno 2017 ha prevalso la linea di destra, personificata da Jussi Halla-aho. Il partito è stato da subito estromesso dalla coalizione di governo, e l’ala moderata di Soini e del suo successore designato Sampo Terho si è scissa, mantenendo 5 ministri e una ventina di parlamentari, consentendo così al Governo di andare avanti fino alla fine della Legislatura.
Non è stato un quadriennio facile: l’austerità si sente anche a queste latitudini ed il Governo Sipilä è stato costretto dalle regole europee a tagli dolorosi per un paese come questo, affezionato al proprio welfare, esteso e costoso come quello di tutti i paesi nordici. Hanno fatto molto discutere la riduzione della spesa per l’istruzione e la riforma del mercato del lavoro, concordata con i sindacati dopo una lunga negoziazione. Le riforme hanno avuto un qualche risultato, visto che negli ultimi anni il PIL è tornato a crescere a buoni ritmi, così come il commercio con l’estero, ed il tasso di disoccupazione è sceso di quasi tre punti percentuali, ma il dissenso diffuso per le misure restrittive ha messo in seria difficoltà il Governo, proiettando l’opposizione di sinistra, legata ai sindacati, in ascesa nei sondaggi. Di fronte all’impossibilità di trovare un accordo su una riforma condivisa del sistema sanitario, ovvero su una delle principali voci di spesa pubblica, il Governo Sipilä si è dimesso con un mese di anticipo, ed è rimasto in carica per gli affari correnti fino alle elezioni, già fissate per il 14 aprile.
Tab. 1 – Risultati delle elezioni parlamentari della Finlandia, 2015 e 2019 (clicca per ingrandire)
Nella tabella possono essere consultati i risultati elettorali, mesi a confronto con quelli di quattro anni fa. Come previsto dai sondaggi nei mesi precedenti alle elezioni, la sinistra ha ottenuto un certo avanzamento. I socialdemocratici sono tornati primo partito dopo 20 anni, salendo di 1,2 punti percentuali rispetto al 2015. I verdi son saliti di tre punti, mentre la sinistra radicale di uno. Nel complesso, le forze di sinistra hanno ottenuto il 37,4% dei voti, salendo di oltre 5 punti percentuali e guadagnando nel complesso 15 seggi.
Tuttavia, non si tratta certamente di una vittoria. Il blocco delle sinistre è cresciuto molto meno di quanto si pensasse, ed in particolare i socialdemocratici si sono fermati davvero poco sopra il loro risultato di quattro anni fa, che rappresentava il loro minimo storico. Se si pensa a quanto il clima di opposizione ai tagli sociali del Governo liberista uscente poteva favorire la sinistra moderata, peraltro guidata da un ex sindacalista come Antti Rinne, il fatto di fermarsi al 17,7% può essere considerata piuttosto come una sconfitta.
Per quanto riguarda gli altri partiti, a fare le spese dell’ultimo delicato quadriennio è il Partito di Centro, il partito del Primo Ministro uscente, che perde oltre 7 punti percentuali, scendendo al 13,8%, il risultato peggiore da oltre un secolo. Si confermano terza forza parlamentare, tenendo i livelli del 2015 nonostante quattro anni di governo, i popolari della Coalizione nazionale. Infine, ha ottenuto un seggio anche il Movimento “Ora”, fondato circa un anno fa da uno scissionista dei popolari e alleato, a livello europeo, con il Movimento 5 Stelle.
Ma la vera sorpresa, quantomeno rispetto agli scenari che si delineavano fino a qualche settimana prima del voto, è costituita dal Partito dei Finlandesi che, dopo essere galleggiato attorno al 10% nei sondaggi fino alla fine dell’anno scorso, è riuscito ad incrementare il proprio consenso nelle ultime settimane, tornando a replicare la performance elettorale del 2015. Il risultato ottenuto è tanto più rimarchevole se si pensa a quello che è avvenuto negli ultimi anni all’interno di questo partito, e che si è richiamato poco sopra. La corrente più moderata, quella che faceva riferimento ai Conservatori europei, scissasi dopo aver perso il congresso del 2017 ma forte del sostegno del vecchio leader ventennale e di 5 Ministri uscenti, è sprofondata all’1%, restando fuori dal Parlamento. La nuova leadership invece, che dopo il congresso ha spostato il partito da un generico euroscetticismo (specie su temi economici) a posizioni più nettamente di destra, su temi quali l’immigrazione e la lotta al cambiamento climatico, e che ora, non a caso, sta varando un accordo di adesione ad ENF, il gruppo dei sovranisti guidato da Salvini e dalla Le Pen, è riuscito a tornare al 17%, rendendo così ben più complicata la risoluzione del rebus maggioranza.
Fig. 1 – Il nuovo Parlamento finlandese, dopo le elezioni del 2019 (clicca per ingrandire)
Si aprono ora le trattative tra i partiti per la formazione della maggioranza, e si annunciano tutt’altro che semplici. La prima parola spetta ai socialdemocratici, che sono riusciti a restare di poco sopra ai Finlandesi. Ferma la generale indisponibilità di tutto lo spettro politico di collaborare con questi ultimi, e fermo il fatto che le sinistre sono a 25 seggi dalla maggioranza assoluta, le soluzioni non sembrano poi molte. Rinne, probabilmente affiancato dai verdi (più difficilmente anche dalla sinistra radicale), dovrà cercare consensi a destra e al centro. Probabile il coinvolgimento dei rappresentanti della minoranza linguistica svedese, ma soprattutto molto verosimile una interlocuzione con i popolari della Coalizione nazionale, visto che i liberali centristi, dopo la sconfitta subita, sembrano indirizzati a prendersi una pausa di riflessione tra i banchi dell’opposizione. Si dovrebbe tornare dunque ad un assetto simile a quello che ha governato il paese nel periodo 2011-2015, ma con alla guida un socialdemocratico (allora il Primo Ministro era invece il popolare Jyrki Katainen, poi divenuto Commissario europeo). Vedremo se la negoziazione andrà in porto, e soprattutto quali risposte saprà trovare al problema della sostenibilità del welfare state, che è un problema che esiste e che va affrontato con decisione. La risposta che la sinistra tradizionale ha provato a dare in questa campagna elettorale non si è rivelata sufficientemente forte nelle urne, e trattare con i popolari su questo punto non sarà affatto facile.
In conclusione, il vento di sinistra che doveva giungere a rinfrescare Bruxelles dalla taiga finlandese deve essersi perso tra le correnti baltiche. La reazione progressista all’austerità degli ultimi anni, anche nel Nord Europa (si confrontino questi risultati con quelli delle elezioni svedesi del settembre scorso (Eriksson 2019)), non pare sufficiente a cambiare i rapporti di forza in campo, e soprattutto continua a dover fare i conti con il versante opposto della protesta, quello nazionalista e identitario, che dal canto suo non sfonda, ma persiste.
L’incapacità di reazione della sinistra e la tenuta ed il consolidamento della destra estrema sembrano fare, del caso finlandese, un interessante antipasto di quello che ci aspetta alle elezioni europee di fine maggio. E le vicende politiche del Partito dei Finlandesi, riuscito a mantenersi su livelli costanti nonostante il proprio riposizionamento a destra, sembra un interessante pronostico di quello che potrebbe avvenire nel prossimo Parlamento Europeo. Lì, una destra in fase di riorganizzazione, proprio quella di Salvini e di Le Pen, a cui i Finlandesi sembrano intenzionati ad aderire, tenta l’assalto alle istituzioni europee. Un assalto che, come del resto quello dei Finlandesi al Governo nazionale, sembra destinato a fallire, quantomeno dal punto di vista numerico (D’Alimonte 2018), ma che è destinato comunque ad avere un impatto politico rilevante sul comportamento degli altri attori in gioco.
Riferimenti bibliografici
D’Alimonte, R. (2018) “Verso le Europee, il peso del modello tedesco”, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2018/12/16/verso-le-europee-il-peso-del-modello-tedesco/
Eriksson, L. M. (2019) “Election Report: Sweden”, Scandinavian Political Studies, 42(19), pp. 84-88.