Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 14 agosto
C’era una volta il bipolarismo. Dalle elezioni del 1994 a quelle del 2008 l’Italia ha vissuto una stagione politica nuova in cui si sono alternate al governo due coalizioni, una di centro-destra e l’altra di centro-sinistra, che sono riuscite a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Si andava a votare e gli elettori decidevano chi avrebbe governato. Le elezioni erano decisive. Terzi poli ci sono sempre stati ma non sono riusciti a impedire che dalle elezioni, e non dagli accordi di partito, scaturisse il governo del Paese. Poi è arrivato il M5s e tutto è cambiato. I poli sono diventati tre e le elezioni non sono più state decisive. Oggi stiamo assistendo a un tentativo di tornare ad un assetto bipolare della competizione elettorale, grazie all’indebolimento del M5s.
Uno dei due poli esiste già, ed è rappresentato dalla Lega una e trina di Salvini. Stando alla media dei sondaggi della ultima settimana di luglio è accreditata del 36,6% delle intenzioni di voto. Alle elezioni del 2018 tutta insieme la coalizione di centro-destra ha ottenuto alla Camera il 37%. Pare che per un attimo il leader della Lega abbia pensato di poter presentarsi alle prossime elezioni da solo. Adesso forse ha capito che mettersi da solo contro tutti è una mossa troppo rischiosa. E non solo per ragioni elettorali. Deve essersi improvvisamente ricordato di Renzi e ha cambiato idea. Pare quasi certo che il polo di centro-destra vedrà insieme Lega e Fratelli d’Italia. Resta l’incognita di Forza Italia. Sarebbe straordinario se Salvini imbarcasse in coalizione il partito di Berlusconi dopo aver negato ripetutamente di volerlo fare a livello nazionale. Eppure ci sta pensando. L’incontro di ieri è andato male perché l’offerta di far sciogliere Forza Italia in un listone unico è stata rifiutata. Ma non è detto che sia finita qui. Sul piano strettamente elettorale Salvini potrebbe fare a meno di Berlusconi. Lui e la Meloni, sempre stando ai sondaggi citati, possono contare su circa il 43% dei voti. Con questa percentuale hanno ottime possibilità di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato. Certo è che aggiungendo a questa cifra il 7% circa di cui viene accreditato Berlusconi il successo non solo sarebbe sicuro ma anche ampio.
In ogni caso, qualunque sia la sua configurazione definitiva, il polo di centro-destra c’è. Quello che manca per parlare di ritorno al bipolarismo è il polo di centro-sinistra. Lo si è visto l’ultima volta nel 2008 quando la coalizione di Veltroni arrivò al 37,9%. Poi è scomparso con l’arrivo del ciclone Cinque Stelle verso cui sono finiti una bella fetta di voti di sinistra. La coalizione di Bersani nel 2013 si è fermata al 29,5 %. Quella di Renzi nel 2018 al 22,9. La solita media dei sondaggi accredita oggi una coalizione targata Pd intorno al 25%. Questa percentuale non fa un polo. Al momento, a sinistra del polo di centro-destra non esiste un polo di centro-sinistra ma due partiti distanti tra loro, Pd e M5s.
Tra questi due partiti si è creata nel tempo una distanza che non è solo politica, ma addirittura antropologica. Non solo a livello nazionale, ma soprattutto a livello locale, nei consigli comunali e regionali. Adesso è arrivata la crisi di governo e di fronte alla prospettiva di elezioni anticipate che Pd e M5s divisi non possono nemmeno sperare di vincere è forse cominciata una fase nuova che potrebbe portare ad un riassetto bipolare del nostro sistema. Per chi crede, come il sottoscritto, alla virtù della democrazia maggioritaria è una buona notizia. Si fa fatica però a pensare che un processo del genere possa essere portato a termine in tempi brevi, anche se si è creata una condizione importante a suo favore.
Il M5s non è più, sul piano elettorale, quello del 2013 e del 2018. Ha perso verso la Lega la sua componente di destra. Salvini è stato bravo, imitando i Grillo e i Di Battista, a convogliare su di sé quei voti che facevano del Movimento un attore trasversale. È così che si spiega anche la sua avanzata al Sud. La fase del Movimento come partito-pigliatutti è finita. A livello di elettorati la distanza tra Pd e M5s è diminuita. Resta il lascito di una ostilità maturata nel tempo che, come dicevamo, è più antropologica che politica. E resta un problema di credibilità. Male hanno fatto i due partiti a trascurare il dialogo nei mesi scorsi. L’impressione è che adesso sia troppo tardi. Ma il bisogno di creare un secondo polo del sistema che possa essere una credibile alternativa di governo non sparirà con la conclusione di questa crisi e con eventuali nuove elezioni. In sua assenza, continueremo a restare dentro un assetto tripolare, ma asimmetrico, con un polo dominante e due attori irrilevanti.