Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 6 settembre
Il governo Pd-M5s-Leu c’è. Il voto di fiducia non sarà un problema. I numeri alla Camera e anche al Senato ci sono. È la sua durata il vero interrogativo. Nel nostro sistema politico mancano forti incentivi istituzionali e culturali, come in Francia e in Germania, a sostegno della stabilità dei governi. Durante la stagione del riformismo della Seconda Repubblica si è riusciti a stabilizzare i governi locali e regionali, ma non quello nazionale. A partire dal 1994 abbiamo avuto 15 governi che sono durati in media 20 mesi. Tra il 2013 e oggi i governi sono stati quattro con una durata media di 18 mesi. Come si fa a governare un paese in queste condizioni? Come si fa a contare in Europa con governi così effimeri? Ma la stabilità dell’esecutivo non è considerato da noi un valore. Anzi tanti arrivano a pensare il contrario. Dunque, il pronostico non è favorevole al Conte due.
Eppure questo governo nasce in circostanze molto particolari. A suo favore giocano diversi fattori. In primis, il diverso clima che si è creato nei rapporti con l’Unione Europea e i mercati finanziari. Questo governo senza la Lega piace. E piacciono Conte, Gualtieri, Amendola e Gentiloni. Non solo. È cambiato l’atteggiamento del M5S nei confronti della Unione ed è cambiato l’atteggiamento delle istituzioni europee e dei mercati nei confronti del Movimento. La sua decisione di votare il presidente della commissione è stato un segnale importante a conferma di un processo di istituzionalizzazione che ne sta cambiando il profilo. Va da sé che questo nuovo clima rende meno problematica la definizione della legge di bilancio 2020 ed elimina, o quanto meno attenua di molto, una potenziale fonte di conflitto tra i partiti al governo.
A favore del nuovo esecutivo gioca anche il fatto che i Cinquestelle di oggi non sono quelli di 14 mesi fa. L’esperienza di governo, pur tra mille contraddizioni, li ha costretti a fare i conti con la realtà. Si sono progressivamente istituzionalizzati. E questo faciliterà la vita del secondo governo Conte, non solo nel rapporto con l’Unione ma anche in quello tra alleati. E a questo proposito è positivo che all’interno della coalizione non ci sia un leader in una posizione dominante, ed elettoralmente redditizia, come è stato il caso di Salvini nel primo governo Conte. Alla lunga, come si è visto, un governo in cui uno dei partner guadagni tanto a spese dell’altro non può durare. L’ equilibrio elettorale è condizione di stabilità. Ma per questo occorre che l’azione del governo rispecchi gli interessi di tutti i suoi membri. Spetta a Conte la responsabilità delle necessarie mediazioni. Non è una impresa impossibile. Sui programmi la distanza tra i partiti alleati, e soprattutto tra Pd e Cinquestelle, è relativamente modesta. Soprattutto ora che il M5s ha perso la capacità di prendere voti da tutte le parti. Oggi il suo profilo elettorale è più omogeneo perché molti suoi elettori di destra sono tornati a destra. Su fisco, lavoro, casa, scuola i partiti di governo non sono distanti. Sulla green economy sono in sintonia. E su immigrazione e sicurezza le posizioni si sono avvicinate. Esistono ancora differenze sui temi istituzionali. Tuttavia non sarà il taglio dei parlamentari a creare problemi esistenziali a questo governo.
Ma non è affatto detto che tutto fili liscio. Alla fine saranno gli elettori a pesare e di questi tempi le loro reazioni sono imprevedibili. E in una certa misura lo è anche il Movimento. Il suo processo di istituzionalizzazione è ancora incompleto. Nonostante tutto quello che si è detto, la creatura di Grillo e Casaleggio resta un attore ‘diverso’ con tante anime al suo interno. Come si è visto anche nei giorni scorsi. Nel passato la sua diversità lo ha aiutato a distinguersi e a conquistare un consenso amplissimo sfruttando la voglia di cambiamento di tanti elettori delusi e arrabbiati. Da questa diversità possono ancora discendere comportamenti eterodossi e destabilizzanti. Il rischio è che di fronte a un governo che dovesse risultare impopolare e a una grave perdita di consensi prevalga di nuovo la voglia di tornare ad essere la forza anti-sistema delle origini. In questo caso nemmeno la paura di perdere male eventuali elezioni anticipate sarebbe un collante sufficiente a tenere insieme il secondo governo Conte. Ma questo non è il momento del pessimismo.