Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 15 settembre
Che impatto sulla tenuta del governo può avere l’esito delle prossime elezioni regionali e del referendum costituzionale? L’ipotesi più accreditata è che un collegamento ci sia. Quindi che il governo rischi. La nostra tesi è che indipendentemente da cosa succederà il 21 Settembre il governo Conte continuerà a sopravvivere. Tutt’al più potrebbe esserci un rimpastino.
Perché scoppi una crisi di governo occorre che o il Pd o il M5s o Italia Viva decidano di mettere fine alla attuale alleanza. In teoria la crisi potrebbe essere il risultato dello sfaldamento della esile maggioranza su cui poggia il governo al Senato, ma non la riteniamo una ipotesi plausibile. Eventuali nuove defezioni dal M5s non si traducono necessariamente in possibili voti di sfiducia. Gioca sempre l’istinto di sopravvivenza. Più plausibile invece che sia l’uno o l’altro dei due maggiori partiti di governo oppure Renzi a provocarla. Ma perché dovrebbero farlo?
C’è chi dice che il detonatore potrebbe essere un cattivo risultato del voto regionale e/o referendario. Ma qui occorre una premessa. Dato il contesto attuale, una crisi vorrebbe dire tornare alle urne. Infatti, non è ragionevole immaginare che oggi sia possibile una altra maggioranza in parlamento in modo da evitare elezioni anticipate. A meno che non scoppi una crisi economica e sociale così grave da rendere credibile l’ipotesi di un governo di unità nazionale con o senza Mario Draghi primo ministro. Ciò premesso, torniamo alla domanda da cui siamo partiti e cerchiamo una risposta prima dal punto di vista del M5s e poi del Pd/Renzi.
Il M5s ha ben poche aspettative rispetto alle regionali, Questa è una competizione in cui non ha mai brillato. Solo in Molise nel 2018 è andato vicino ad eleggere un suo candidato alla presidenza. Nelle sei principali regioni in cui si vota ora ha presentato 5 candidati suoi. Nessuno di questi ha la benché minima possibilità di essere eletto. Sulla base dei sondaggi Winpoll-Cise pubblicati nelle scorse settimane su questo giornale la candidata messa meglio è in Puglia ed è Antonella Laricchia stimata al 15,9%. Quanto al voto di lista le cose non andranno particolarmente bene, ma anche questo risultato verrà facilmente metabolizzato con la giustificazione che non è in questo tipo di elezioni che si può misurare il reale livello di consensi per il Movimento. Ci vogliono le politiche.
Più delicata è invece la questione del referendum. Il taglio della casta è da sempre una bandiera del partito di Grillo. Fino a poco tempo fa sembrava che il Sì avrebbe prevalso largamente. Poi i sondaggi regionali che abbiamo pubblicato su questo giornale hanno rivelato la sorprendente forza del No, cosa che ora viene confermata anche da sondaggi nazionali. In questo momento pare che il Sì possa vincere seppure con percentuali inferiori alle aspettative di qualche tempo fa. In questo caso per il M5s sarà comunque una vittoria. Oggi però non si può escludere che possa vincere il No. Quale sarebbe in questo caso l’effetto sul Movimento? Potrebbe essere questo il motivo della fine della sua esperienza al governo e quindi della crisi? Non lo crediamo. È un fatto noto che gli attuali parlamentari del M5s si sentono a proprio agio nelle posizioni che ricoprono. Sanno che in caso di elezioni anticipate pochi di loro verrebbero rieletti. Tanto più che la vittoria del No sarebbe un altro inequivocabile segnale che il vento dell’anti-politica, grazie al quale il Movimento ha costruito la sua fortuna elettorale, non tira più come una volta. Ergo, Conte su questo versante può stare tranquillo. Sia nel caso che vincesse il No sia nel caso che il Si prevalesse di poco con una bassa affluenza alle urne.
E il Pd? Non è il referendum che deve temere. Se vince il Sì ha vinto una parte, se vince il No ha vinto una altra parte del Pd. In questo secondo caso Zingaretti ne uscirebbe indebolito ma non il governo. Sono le elezioni regionali il test vero. Al momento il Pd è certo di vincere solo in Campania. Toscana e Puglia sono in bilico. Se vincesse in entrambe le regioni finirebbe tre a tre, e sarebbe un ottimo risultato. Se finisse quattro a due non andrebbe proprio bene ma se fra le due ci fosse la Toscana, oltre alla Campania, è probabile che il risultato verrebbe metabolizzato. L’esito peggiore, per non dire disastroso, sarebbe la perdita della Toscana. Cosa che fino a poco tempo veniva considerata impossibile dalla dirigenza locale e nazionale del Pd.
In questo caso ci sono pochi dubbi che la attuale leadership del partito verrebbe messa in discussione. Si aprirebbe una delicata fase pre-congressuale. Ma c’è qualcuno disposto a scommettere che uno qualunque dei possibili leader del Pd, compreso l’attuale segretario, voglia provocare una crisi di governo sapendo che porterà ad elezioni anticipate e alla vittoria certa della destra? Potrebbe farlo Renzi? Non perdere il governo, non perdere la possibilità di eleggere il prossimo presidente della repubblica, non perdere la gestione dei fondi europei non rappresentano forse un potente incentivo -per il Pd, per il M5s e per Renzi- per continuare a sopravvivere anche da separati in casa? Razionalmente la risposta non può che essere positiva. Ma sappiamo bene che in politica anche la irrazionalità e il caso hanno un loro peso.