Per rivitalizzare i referendum abbassare la soglia del quorum al 40%

di

Roberto D'Alimonte

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Pubblicato su Il Sole 24 Ore, 10/06/2025

È ora di fare i conti con la realtà. Il referendum abrogativo, così come è congegnato, oggi non funziona più. Come è ben noto, l’ultima volta che ha funzionato è stato nel 2011 quando si è votato sulla questione della reintroduzione in Italia dei reattori nucleari per la produzione di energia elettrica. Con quel voto furono abrogate le nome introdotte dal governo Berlusconi che avevano riaperto la strada del ritorno al nucleare. E anche in quella occasione si può affermare ragionevolmente che lo strumento referendario ha funzionato per caso. Infatti senza lo shock dell’incidente di Fukushima, avvenuto tre mesi prima del voto, è improbabile che il 50% più uno degli elettori sarebbe andato a votare. È stata la paura a motivarli. Prima del 2011 l’ultima volta che la soglia del 50% è stata superata è stato nel 1995. Questa volta ci si è fermati al 30,6% in Italia, meglio della ultima consultazione referendaria nel Giugno 2022 quando l’affluenza fu del 20%, ma comunque molto lontani dal quorum. Il problema è che oggi, in un contesto di diffusa disaffezione dal voto a tutti i livelli, la soglia del 50% è troppo alta. Andava bene quando l’affluenza alle urne si attestava sopra l’80%. Ma è dal 1987 che alle politiche sta calando ininterrottamente con una notevole accelerazione negli ultimi quindici anni. E lo stesso vale per comunali e regionali. E non c’è da illudersi che il trend possa cambiare a breve. In questo contesto la soglia del 50% configura oggi un netto vantaggio per chi non vuole cambiare le norme oggetto dei referendum, cioè i sostenitori del no. È inutile demonizzare i partiti che si schierano a favore dell’astensione. Il loro comportamento è criticabile sul piano della deontologia democratica ma è politicamente del tutto razionale. In politica i numeri contano e i numeri sono questi. Alle ultime elezioni politiche ha votato il 63,9% degli aventi diritto. Nella consultazione referendaria del 2011, l’ultima risultata valida, l’affluenza è stata di circa il 55%. Senza uno shock come Fukushima o senza un tema altamente rilevante e sentito, per esempio l’aborto, è ragionevole ipotizzare che di questi tempi più del 55% degli elettori vada a votare? La risposta empiricamente ragionevole è del tutto negativa. Questo vuol dire che i sostenitori del no possono contare in partenza sul 45% dei voti. E allora basta che anche solo una quota di loro si aggiunga agli astensionisti cronici e il gioco è fatto. Aggiungiamo che il ragionamento regge anche se ipotizzassimo, cosa del tutto irrealistica, che andassero a votare tutti quelli che lo hanno fatto alle ultime politiche. Per rivitalizzare lo strumento referendario va cambiata la soglia. In altri paesi non esiste soglia e basta la maggioranza relativa dei voti per decidere. Non è necessario adottare questa opzione radicale. Il rischio di referendum senza soglia è quello di mettere in mano troppo potere a minoranze organizzate. Basta diminuire la soglia al 40%. In questo modo nella maggior parte dei casi si eliminerebbe l’incentivo per i sostenitori del no di poter contare sulle astensioni. Infatti per loro sarebbe un grosso rischio lasciare che solo i sostenitori del sì facciano campagna elettorale. Con questa modifica il referendum tornerebbe a essere una arena di dibattito e di confronto tra le ragioni del sì e quelle del no. Lo strumento acquisterebbe di nuovo quella rilevanza che oggi ha perso a tutto vantaggio della qualità della nostra democrazia.