Referendum e flussi elettorali: vota (quasi) solo il centrosinistra, ma sulla cittadinanza Pd e M5s si dividono

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Redazione CISE

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L’affluenza ai referendum sul lavoro e sulla cittadinanza è stata un flop? Quali spunti di riflessione possono trarre partiti e coalizioni? Cosa emerge dai flussi elettorali rispetto alle europee dell’anno precedente? E come si spiegano le differenze territoriali? In questa puntata di Telescope proviamo a rispondere con un’analisi dei primi dati disponibili. Infine, tireremo anche le somme del secondo turno delle amministrative, che non ha cambiato granché gli equilibri esistenti nel complesso dei 32 Comuni superiori al voto. 

Il quorum: un obiettivo fallito 

L’affluenza ai referendum si è fermata al 30,58%, ben lontana dal 50% necessario per superare il quorum. La soglia – tranne che in due casi – non viene più raggiunta ormai dal 1995. Il risultato apre interrogativi sulla tenuta dello strumento referendario in Italia e alimenta la riflessione su un possibile abbassamento del quorum: al 40%, come proposto tra gli altri da Roberto D’Alimonte, o anche alla metà più uno dei votanti delle ultime elezioni politiche, come proposto da altri studiosi. La mobilitazione, come ci dimostrerà l’analisi dei flussi elettorali, è rimasta quasi completamente confinata a una sola parte politica. Le differenze territoriali nella partecipazione, invece, sono risultate meno marcate che nelle elezioni più recenti. Basti vedere il confronto tra Nord e Centro-Sud (con le isole), col dato che varia di appena 2 punti in favore del primo (30,3% contro 28,2%). Alle politiche e alle europee la differenza era stata ben più alta, pari cioè a 11 punti. La zona in cui si è votato di più, anche stavolta, è stata l’ex Zona Rossa (37%), comunque al di sotto della soglia richiesta dal quorum. 

L’Italia del sì: Sud e città 

La mappa del voto restituisce alcune differenze territoriali. Nei referendum sul lavoro i sì prevalgono nettamente nelle regioni del centro-sud: qui tutti e quattro i quesiti a livello complessivo oltrepassano il 90%, con uno scarto medio di 6-7 punti rispetto al Nord, che si riduce a 3-4 nel confronto con l’ex Zona Rossa. Nel referendum sulla riduzione dei tempi necessari per ricevere la cittadinanza italiana, invece, le percentuali maggiori si registrano nei grandi centri con oltre 100.000 abitanti: qui la differenza con i Comuni meno popolosi (sotto i 5.000 abitanti) è di ben 10 punti. Questa dimensione demografica riflette un conflitto valoriale tra il nativismo, diffuso nei piccoli comuni più periferici, e il cosmopolitismo proprio delle aree maggiormente urbanizzate.  La mappa successiva utilizza come unità territoriali i comuni capoluogo di ciascuna provincia o città metropolitana e il restante territorio provinciale permettendo di distinguere tra centri urbani principali, spesso caratterizzati da maggiore diversità sociale, presenza di maggiori servizi, popolazione più istruita e aree provinciali, che includono centri minori, aree rurali e suburbane, spesso con caratteristiche socioeconomiche diverse. Essa incrocia due dimensioni. La prima dimensione, quella “partecipativa” o “di mobilitazione”, misura l’astensionismo aggiuntivo, ovvero la differenza tra i tassi di partecipazione alle elezioni politiche del 2022 e ai referendum del 2025 e rivela quindi quanto ciascun territorio si sia mobilitato specificamente su queste tematiche, oltre alla sua normale propensione al voto. La seconda dimensione, che potremmo definire “laburista-cosmopolita”, è costruita confrontando due quesiti referendari specifici. Il primo, sui licenziamenti illegittimi e il contratto a tutele crescenti, rappresenta una posizione tipicamente “laburista”, orientata verso maggiori tutele per i lavoratori; il secondo, sulla cittadinanza, rappresenta invece una posizione di apertura verso l’integrazione degli stranieri. La differenza tra i voti favorevoli a questi due quesiti crea un asse che distingue territori con orientamenti più “cosmopoliti” (favorevoli sia ai diritti del lavoro che all’inclusione degli stranieri) da quelli più “nazionalisti” (favorevoli alle tutele del lavoro ma meno aperti all’integrazione). Il risultato è una mappa che combinando le due dimensioni identifica territori con alta mobilitazione e orientamento “cosmopolita”, territori con mobilitazione alta ma orientamento “nazionalista” e aree che tengono assieme maggiore smobilitazione (cittadini meno interessati al referendum) e orientamenti più favorevoli o meno favorevoli sulla cittadinanza agli stranieri

I flussi: centrodestra astenuto, centrosinistra mobilitato 

Ma il dato forse più eclatante, ancorché parziale, riguarda i flussi elettorali: oltre il 90% di chi aveva votato centrodestra alle precedenti elezioni europee si è astenuto nei referendum di quest’anno. Una scelta strategica, promossa dai leader della coalizione, che ha avuto un impatto rilevante sul risultato. A votare sono stati quasi esclusivamente elettori di centrosinistra, rendendo la consultazione più un termometro interno al campo progressista che una consultazione aperta. Anche qui, però, non sono mancate le divergenze. 

Compatti sul lavoro, spaccati sulla cittadinanza 

Sul primo quesito relativo al Jobs Act, l’elettorato Pd si è mostrato sorprendentemente compatto: il 79% ha votato Sì, nonostante la misura fosse stata approvata dal governo Renzi a guida Pd, provocando non poche tensioni interne nel corso della campagna referendaria. La compattezza è risultata altissima tra gli elettori di AVS (97%), un po’ inferiore nel M5S (69%) dove un elettore su tre si è astenuto. Sul tema della cittadinanza, invece, il fronte di centrosinistra si è incrinato: nel Nord il 59% dei votanti 5 Stelle ha detto No, come ha fatto il 52% nell’ex Zona Rossa. Nel Centro-Sud, suo storico fortino elettorale, i Sì (23%) al contrario sono di più dei no (18%), anche se in questa zona ben il 59% dei pentastellati si è astenuto. In particolare, i favorevoli all’abbreviazione dei tempi per il riconoscimento della cittadinanza nel M5S sono massimi nei centri (i Poli) e si riducono nel resto del territorio: succede al Nord, nell’ex Zona Rossa e nel Sud. Una fotografia che riflette la pluralità interna al Movimento, ma anche la sua diversità di posizionamento sulle politiche relative all’immigrazione. Il partito non a caso non aveva dato un’indicazione esplicita di voto, anche se Giuseppe Conte aveva dichiarato la sua scelta per il sì. Peraltro, anche l’elettorato Pd registra una minore unanimità sul tema: segno che il tema dell’immigrazione è delicato anche per il Pd, e che probabilmente la strategia ottimale per una futura possibile coalizione di centro-sinistra potrà puntare in modo più affidabile sui temi economici che su quelli legati all’immigrazione. Tra i pochi elettori di centrodestra andati al voto, è interessante notare che, nei grandi centri, esiste una quota – pari al 19% – di elettori di Fratelli d’Italia che hanno votato a favore del referendum 1 sul lavoro 

Il secondo turno: equilibrio generale 

Infine, nello stesso fine settimana si è svolto anche il turno di ballottaggio delle elezioni amministrative. Turno che ha confermato un equilibrio numerico rispetto alle elezioni precedenti. Al ballottaggio il centrodestra ha vinto in quattro città che non amministrava – tra cui Matera e Lamezia Terme – restando però fermo a quota 8 Comuni. Il centrosinistra, che al primo turno aveva ottenuto l’importante vittoria di Genova, dopo il ballottaggio riconferma Taranto. In totale, governa ora in 13 Comuni (prima delle elezioni erano 15). Il quadro politico locale, nel complesso dei 32 Comuni superiori al voto, è rimasto quindi sostanzialmente invariato, nonostante alcuni passaggi significativi di amministrazione tra un blocco e l’altro.