Autore: Aldo Paparo

  • L’analisi dei flussi: Monti prenderebbe voti a tutti

    di Aldo Paparo

    Presentiamo le matrici di flusso che mostrano i movimenti di voto intervenuti dall’inizio della legislatura fino ad oggi. La prima tabella riporta i flussi in percentuale rispetto al ricordo di voto del 2008 e ricostruisce quindi le destinazioni di quel voto. Il dato più importante, che sebbene in misura diversa, accomuna tutti i partiti è la forte crescita di coloro che rispetto a quattro anni fa dichiarano di volersi astenere. Per alcuni partiti le defezioni verso il bacino del non voto sfiorano il 50%. In particolare i partiti più colpiti sembrano essere quelli di centrodestra, la Lega nord e il Popolo delle Libertà. Detto del calo generalizzato del voto ai partiti quello che si osserva anche in questo periodo di larghe intese è la scarsa consistenza di passaggi diretti tra i partiti dei due blocchi.

    Scendendo nel dettaglio è interessante notare come Pd e Italia dei Valori vengano premiati maggiormente dalla fedeltà del proprio elettorato rispetto ai partiti di centrodestra. Quasi la metà di coloro che dichiarano di aver votato il partito di Veltroni alle ultime elezioni politiche oggi sceglierebbe Bersani. Nell’Idv questa percentuale di elettori fedeli alla propria scelta scende ma si arresta al 36%. Nel centrodestra invece le riconferme sono minori: appena il 27% sarebbe oggi disposto ad accordare nuovamente la propria fiducia alla Lega o al Popolo delle Libertà. E’ interessante notare come anche tra le nuove generazioni che andranno al voto per la prima volta la prossima primavera l’indecisione regni sovrana ma che tra quanti hanno già le idee chiare i partiti del centrosinistra sopravanzano quelli del centrodestra.  La seconda tabella riporta le percentuali rispetto al risultato di ciascun partito nelle intenzioni di voto e mostra pertanto le varie provenienze di queste opzioni.

    Quasi otto elettori su dieci che oggi si dicono pronti a votare Pd l’hanno già fatto nel 2008, a riprova del fatto che il partito di Bersani costruisce il suo consenso su uno zoccolo duro di elettori fedeli. E’ un dato molto alto che nessun altro partito avvicina. Ma gli elettori del Partito democratico del 2008 costituiscono anche una buona fetta (circa il 20%) dei consensi che oggi il partito di Di Pietro raccoglie,  e una quota rilevante del consenso che si coagula attorno al partito di Vendola  (29%). La matrice delle provenienze mostra  chiaramente come il balzo in avanti nelle intenzioni di voto all’Udc sia avvenuto in buona parte a scapito del Pdl dal quale proviene poco meno di un quarto dei consensi virtuali tributati a Casini. Vale la pena notare infine come il Movimento 5 stelle animato da Grillo peschi in modo trasversale su entrambi i lati dello schieramento politico: il 29% dei potenziali elettori del movimento grillino proverrebbe dal Pd e dall’Italia dei Valori e un altro 28% dal Pdl e dalla Lega nord. Che cosa cambierebbe rispetto a quanto visto finora, se alle elezioni della primavera 2013 si presentasse anche una lista guidata dall’attuale Presidente del Consiglio Mario Monti? La lista Monti raccoglierebbe un consenso trasversale agli schieramenti risultando la più votata.

    La matrice delle destinazioni evidenzia come i principali partiti della coalizione che sostengono la maggioranza cederebbero ciascuno pressappoco la stessa quota di elettori, quasi un elettore su quattro di Pd, Pdl e Udc migrerebbe verso la lista del professore. Ma questa eventuale lista riuscirebbe a pescare una quota di elettori non indifferente anche tra le attuali opposizioni: il 15% degli elettori leghisti defezionerebbe il carroccio per l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, il 12% degli elettori di Sel e il 9% di Di Pietro compirebbe lo stesso percorso. Gli unici due partiti i cui elettorati si mostrano sostanzialmente insensibili alla presenza della nuova lista sono quelli della Federazione della sinistra e del Movimento cinque stelle. Monti inoltre si mostrerebbe capace di convogliare sulla propria lista un quarto degli elettori che oggi, in assenza della lista del professore si dichiara indeciso sulla scelta partitica..

    Se la lista Monti pesca in proporzione una quota piuttosto simile di voti tra gli elettori dei partiti della maggioranza, l’apporto che ciascuno di essi dà in termini di voti alla lista del Presidente del Consiglio, varia in base alla consistenza elettorale dei partiti: gli elettori democratici pesano il 21%, quelli del Pdl il 16% e quelli dell’Udc il 7% (si veda la matrice delle provenienze).

     

  • Comunali 2012: la situazione di partenza nei comuni superiori non capoluogo

    di Aldo Paparo

    I prossimi 6 e 7 maggio si svolgerà il primo turno delle elezioni comunali in oltre 1.000 comuni italiani. Presentiamo qui il quadro relativo ai comuni con una popolazione superiore ai 15.000 abitanti che non sono capoluogo di provincia. Si tratta complessivamente di 148 unità, nelle quali vivono oltre 4 milioni di italiani.

    La regione maggiormente interessata è la Lombardia, con 28 comuni, seguono Campania e Lazio (21 comuni), e la Sicilia con 18. Il Veneto e il Lazio sono le altre regioni in doppia cifra per numero di comuni superiori non capoluogo chiamati alle urne (12 e 10), mentre in tutte le altre sono al massimo 8 (2 in Emilia-Romagna e Sardegna, 1 in Basilicata e Friuli). La TAB.1 ci mostra questi 148 comuni disaggregati per zona geografica e classe di ampiezza demografica. Oltre la metà di questi comuni si trova nelle regioni meridionali (56%), circa un terzo al nord (34,5%), mentre meno di un decimo si colloca nella zona rossa (9,5%). Inoltre si trovano al sud 8  dei 10 comuni con almeno 50.000 residenti, per cui non sorprende come, guardando alla popolazione, la proporzione di quanti si collochino in tale area sia ancora maggiore (60,8%).

    TAB.1 I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2012, per zona geografica e classe di ampiezza demografica di appartenenza.

    Guardando alla dimensione demografica dei comuni, oltre la metà si colloca nella categoria fra i 15 e i 25 mila abitanti (55%); oltre un terzo dei comuni ha invece fra i 25 e i 50000 residenti (37,8%), con il 6,8% dei casi la cui popolazione supera le 50.000 unità. Tali proporzioni sono abbastanza uniformi nelle diverse zone elettorali del paese, anche se al Sud la percentuale di comuni grandi supera il 10%, con oltre un quinto dei cittadini meridionali al voto che vi risiede. Degli oltre 4,2 milioni di italiani amministrati, la maggior parte abita nei comuni medi (il 46,8%); tale dato si mantiene costante nelle diverse zone. Bisogna invece rilevare una divergenza: al Nord e nella zona rossa quasi la metà dei cittadini amministrati risiede nei comuni più piccoli (45 e 49%), mentre al Sud tale frazione non raggiunge un terzo del totale (32%).

    Passiamo ora ad analizzare l’anno in cui si erano tenute le precedenti consultazioni comunali. La TAB.2 divide la nostra popolazione di comuni in base a tale variabile, sempre incrociando con la zona geografica. Del totale 148 comuni, quasi 4 su 5 rinnovano i propri organi elettivi alla scadenza naturale (79,7%).

    TAB.2 I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2012, per zona geografica e anno di svolgimento delle precedenti elezioni comunali.

    Bisogna però sottolineare come tale dato non sia uniforme nel territorio nazionale. Infatti al Nord sono l’88% i comuni in cui la legislatura si è completata e nella zona rossa il dato è analogo (86%). Ma nelle regioni meridionali si registra una sensibile differenza: appena il 74% dei comuni ha avuto una legislatura quinquennale, con oltre un quarto delle città chiamate invece al voto per elezioni anticipate.

    Veniamo infine all’analisi delle amministrazioni uscenti. La TAB.3 consente di visualizzare il colore politico della amministrazione che le nuove elezioni andranno a sostituire, nelle diverse zone geografiche e nell’intero territorio nazionale. Prima di commentare nel dettaglio i dati, occorre contestualizzarli: come si è visto, per la stragrande maggioranza dei casi la precedente elezione comunale si colloca nella primavera del 2007. Occorre dunque tenere presente il particolare clima politico di quel momento a livello nazionale: in carica c’era il governo Prodi con livelli bassissimi di popolarità e questo ebbe sicuramente un effetto sull’insuccesso del centrosinistra.

    TAB.3 I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2012, per zona geografica e colore politico dell’amministrazione uscente.

    Ciò premesso, il quadro di partenza che emerge è comunque piuttosto chiaro: una competizione nettamente bipolare con un netto vantaggio del centrodestra. Anche escludendo i comuni vinti dalla Lega Nord da sola (che pure allora a livello nazionale faceva parte della coalizione di centrodestra), in oltre 9 comuni su 10 l’amministrazione uscente è espressione di una dei poli della competizione bipolare (92,6%). Naturalmente sarà decisivo il quadro delle alleanze nei diversi comuni per comprendere se tale risultato sarà replicabile, ma la situazione politica nazionale lascia supporre che così non sarà: con l’indebolimento dei principali partiti e la parallela crescita di terzo polo e Lega potremmo assistere a scenari più incerti ed aperti tanto al Sud quanto al Nord. Con riferimento ai rapporti di forza fra le coalizioni, il centrodestra amministrava oltre 3 quinti dei comuni (il 60,1%), mentre meno di un terzo erano retti da giunte di centrosinistra (32,4%). Abbiamo già accennato alla specificità del 2007, che di per sè spinge a considerare difficilmente ripetibile un simile successo del centrodestra. Inoltre non possiamo non considerare quale elemento che lascia ipotizzare un possibile ribaltamento di tali numeri il momento particolarmente difficile del Pdl: terminata l’esperienza di governo, in rottura con l’unico alleato rimasto e attorno al 23% nei sondaggi.

  • Un Parlamento movimentato: la cronistoria dei gruppi parlamentari alla Camera

    di Aldo Paparo e Federico De Lucia

    Oggi il governo si trova impantanato nelle difficoltà di mantenimento di una maggioranza parlamentare. In particolare a preoccupare Berlusconi è la Camera. Ma come si è arrivati a questa situazione, considerando che le elezioni dell’aprile del 2008 gli avevano consegnato solide maggioranze in entrambi i rami del Parlamento? Certo non si trattava della più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana, come troppo spesso siamo stati costretti ad ascoltare: alla Camera i 344 deputati ne facevano la maggioranza più risicata di tutta la Seconda Repubblica, a parte quella di centrosinistra dell’XI legislatura. A Palazzo  Madama, invece, i senatori della maggioranza erano 174, inferiori solo a quelli del 2001. La legislatura si apriva con 335 deputati e 173 senatori che votavano la fiducia al governo. Innumerevoli i cambi di casacca che da allora hanno modificato i rapporti di forza, fino alla situazione attuale di straordinaria precarietà: cerchiamo di ripercorrerli brevemente.

    Il Pd ha perso 11 deputati, se così non fosse oggi sarebbe il gruppo più numeroso a Montecitorio: questo è il risultato dell’acquisizione dall’idv di Touadi e di 12 fuoriuscite (6 si sono accasati presso l’Udc; Calearo e Cesario sono stati tra i responsabili della prima ora e oggi sono dentro Popolo e Territorio; 3 hanno costituito la componente dell’Api, nel gruppo misto, e Gaglione, che, dopo essere transitato da noi sud, è oggi iscritto nel misto, ma senza appartenere a nessuna componente.

    La Lega Nord si dimostra il partito con un più forte controllo sui propri rappresentanti parlamentari: si registra solo una defezione. Al posto di Cota, divenuto incompatibile, viene proclamato Grassano che, essendo allora già stato espulso dal movimento, viene estromesso dal gruppo: egli si iscrisse dunque al misto e oggi si trova dentro Popolo e Territorio.

    L’Idv ha perso ben 7 deputati. A parte Touadi, passato al Pd, si sono tutti iscritti al gruppo misto, per poi transitare verso nuove destinazioni. Oggi Pisicchio e Giulietti sono ancora contrari al governo, mentre Misiti, Scilipoti, Razzi e Porfidia, da diverse posizioni, sostengono tutti l’esecutivo.

    L’Udc conta oggi nel proprio gruppo 10 deputati eletti altrove: 6 provengono dal Pd, 3 dal Pdl e 1, Merlo, è il fondatore del Movimento associativo degli italiani all’estero. 9 sono invece i deputati che hanno abbandonato il partito di Casini: il primo è Baccini, oggi nel Pdl; segue Pionati, che, dopo aver sostato nel misto per sostenere il governo, è oggi dentro Popolo e Territorio; poi Tabacci, che è passato all’Api; ed ancora i cinque deputati che hanno dato vita al Pid; ultimo è infine Scanderebech, che oggi si trova nelle fila di Fli.

    Il Pdl ha un saldo davvero molto negativo: in circa 40 mesi ben 60 deputati hanno lasciato il suo gruppo. Il grosso deriva dalla scissione dei finiani di Fli: 39 sono stati i deputati che in tutto hanno seguito il presidente della Camera lasciando il gruppo, ma 5 di essi hanno poi fatto il percorso inverso, rientrando nel partito del premier. Prima della scissione di Fli si erano avute altre 5 defezioni: Mondello verso l’Udc e 5 verso il misto (i liberaldemocratici Tanoni e Melchiorre e i due repubblicani Nucara e La Malfa, e il liberale Guzzanti, oggi membro di Popolo e Territorio). Dopo il fatidico 14 dicembre poi, il Pdl si è visto costretto a soccorrere la nascente terza gamba della maggioranza: il gruppo di Popolo e Territorio. Ad ingrossare le sue fila sono accorsi ben 9 deputati del Pdl, anche se uno di essi, Pepe, poi raggiungerà Nucara nel misto. La scissione di Forza del Sud operata da Miccicchè è inoltre costata altri 7 deputati. Negli ultimi mesi, infine, Pittelli e Versace hanno aderito al misto mentre Bonciani e D’Ippolito si sono iscritti al gruppo dell’Udc. E si tenga presente che questa analisi non può ancora registrare i malumori che attualmente montano all’interno del gruppo: i cinque dei sei firmatari della famosa lettera frondista che ancora vi militano, il gruppo degli scajoliani, senza contare le prese di posizione critiche individuali.

    Fli oggi conta 26 deputati. Dei 39 ex Pdl che vi sono stati iscritti dalla sua costituzione, 5, come si è detto, sono tornati all’ovile; Moffa,Polidori, Catone e Siliquini si sono iscritti a Popolo e Territorio; Urso, Scalia, Barbareschi, Buonfiglio e Ronchi si trovano nel misto. Al gruppo finiano, invece, si è recentemente iscritto Scanderebech, proveniente dall’Udc.

    Popolo e Territorio conta oggi 25 membri: 9 vengono dal Pdl; 3 dal centrosinistra (Calearo, Cesario e Scilipoti); 5 dall’udc (Pionati e 4 scissionisti del pid); 4 da Fli; 2 ex Noi Sud (Milo e Razzi); l’ex leghista Grassano e l’ex liberale ed ex pdl Guzzanti. In questo gruppo sono transitati anche Iannaccone, Belcastro, Sardelli e Porfidia, usciti dall’Mpa per formare Noi Sud e oggi iscritti al misto e integrati in Grande Sud.

    Il gruppo misto al momento della sua costituzione contava 14 deputati: gli 8 dell’Mpa, i 3 delle minoranze linguistiche, Merlo del Maie, Baccini, eletto nell’Udc e Nucara, eletto nel Pdl. Oggi, invece, nel misto ci sono ben 39 deputati. Di questi 18 sono iscritti a componenti ufficiali: 5 compongono l’Api, 3 i Liberaldemocratici, 3 le minoranze linguistiche, 4 l’Mpa. 3 invece li contano i repubblicani, gli unici questa a votare la fiducia al governo. Dieci sono invece riconducibili alla nuova formazione politica meridionalista Grande Sud, favorevole all’esecutivo: 7 di essi, guidati da Miccichè, provengono dal Pdl; 3 da Noi Sud. I restanti 11 non sono iscritti a nessuna componente: Mannino (ex Udc e Pid), Sardelli (ex Mpa e Noi Sud) Gaglione (ex Pd), Versace e Pittelli (ex Pdl) si astengono sulla fiducia al governo; Giulietti (ex Idv) vota contro; mentre Barbareschi, Urso, Ronchi, Scalia, Buonfiglio al momento sono ancora da considerarsi a favore dell’esecutivo.

    Al momento dunque, per tirare le somme, il governo è sostenuto nominalmente dai 216 deputati del Pdl, dai 59 leghisti, dai 25 componenti di Popolo e Territorio, e da 18 membri del gruppo misto. In totale sono 318 voti: si tenga però presente che l’onorevole Papa è in carcere, e che non è ancora chiaro come si comporteranno i vari deputati frondisti. Voteranno con il governo? Si asterranno? Voteranno addirittura contro? Se, come appare probabile, molti di loro si limiteranno ad astenersi, pur acclarando l’assenza di una maggioranza assoluta favorevole al governo, non ne comporteranno necessariamente le dimissioni.

    La composizione della Camera dei Deputati all’inizio della legislatura (i gruppi favorevoli al governo aderiscono al centro, quelli di opposizione no)

    La composizione della Camera dei Deputati al 14 dicembre 2010 (i gruppi favorevoli al governo aderiscono al centro, quelli di opposizione no)

    NOTA: a questi bisogna aggiungere 5 astenuti: 2 di fli e 3 del gruppo misto

    La composizione della Camera dei Deputati ad oggi (i gruppi favorevoli al governo aderiscono al centro, quelli di opposizione no)

  • Il rendimento coalizionale penalizza ancora il centrodestra, specialmente al Sud

    di Aldo Paparo

    Abbiamo già avuto modo di sottolineare l’importanza del confronto con le regionali dello scorso anno per analizzare e comprendere questa tornata di elezioni amministrative. I comuni con almeno 15000 abitanti coinvolti nelle due elezioni sono 118. Le tabelle 1 e 2 riportano, per questi comuni, i risultati dei candidati, di centrosinistra e di centrodestra, e delle loro liste, distinguendo per zona geografica, in tali due elezioni. E’ così possibile confrontare i risultati delle due coalizioni, ma anche quelli dei candidati di ciascuna delle due con quelli ottenuti dalle liste che sostenevano quei medesimi candidati.

    TAB.1 Risultati delle coalizioni per zona geografica, maggioritario e proporzionale (dati percentuali)

    TAB.2 Risultati delle coalizioni per zona geografica, maggioritario e proporzionale (valori assoluti)

    NOTA: Un candidato è classificato di centrosinistra se è sostenuto da almeno un partito nazionale di area (Pd, Idv, Sel, Fds, Psi, Verdi). I candidati del terzo polo sono quelli appoggiati, fra i partiti nazionali, esclusivamente da Api e/o Udc e/o Fli. Per rientrare nella categoria di candidato di centrodestra, si deve essere collegati ad almeno uno fra Pdl, Lega nord,  La destra o Adc. Le liste sommate nei blocchi sono quelle che sostenevano i candidati delle diverse aree politiche, definiti secondo i criteri precedenti.

    Innanzitutto si nota l’avanzamento relativo del centrosinistra rispetto al centrodestra. Infatti alle regionali dell’anno scorso, nei comuni al voto quest’anno per le amministrative, i candidati Presidenti berlusconiani avevano ottenuto il 47,4% contro il 47,1% di quelli sostenuti da Pd e alleati. Guardando al risultato proporzionale, il margine dei partiti al governo del paese era ancora più marcato: 49,1% a 45,8%. Ma con le elezioni di quest’anno, i rapporti di forza si sono invertiti ed è il centrosinistra adesso ad avere più voti: 44,3% a 40% in quanto a liste, addirittura 46,1%, a 37,7% se guardiamo al risultato maggioritario dei candidati sindaci. Completa il quadro la crescita del terzo polo e dei suoi candidati. L’anno scorso l’Udc aveva presentato un proprio candidato solo in alcune regioni, ottenendo con essi appena il 2% dei voti totali. Quest’anno candidati non sostenuti da partiti altri rispetto a Fli,Udc e Api prendono circa il 7% su base nazionale, con un risultato particolarmente brillante al sud (attorno al 10%).

    Bisogna però sottolineare come la crescita del centrosinistra sia solo relativa e non in termini assoluti. Infatti l’aumento dei voti assoluti ottenuti è spiegabile attraverso la crescita dell’affluenza, dal 62,4% delle regionali, al 69,9% delle comunali. Guardando ai dati percentuali, questo appare evidente: il centrosinistra scende di 1 punto percentuale nel maggioritario e di 1,5 nel proporzionale rispetto al 2010. L’unica zona del paese in cui il centrosinistra cresce è il nord: +2,4% al maggioritario, +3,1% al proporzionale. Ma il grosso dell’avanzamento deriva dalla brusca flessione del centrodestra, che addirittura smarrisce circa 180.000 voti maggioritari in un anno, perdendo poco meno di 10 punti sia nella competizione maggioritaria fra candidati, sia in quella proporzionale fra le liste.

    L’altro elemento estremamente interessante è il rendimento coalizionale[1] differenziato per i  due diversi poli: esso è pari, per ciascuna coalizione, alla somma delle differenze fra i voti maggioritari ottenuti dai candidati e quelli proporzionali delle liste loro collegate. Il fatto che questo fenomeno tenda a punire il centrodestra è sistematico e le regionali 2010 non avevano fatto eccezione, ma quest’anno si è rafforzato. Il centrodestra passa infatti dal -1,7% al -2,3%, mentre il centrosinistra da +1,3% a +1,8%.

    Se nelle regionali il peggior rendimento dei candidati del centrodestra era omogeneo nelle diverse zone del paese, e comunque in nessuna area i candidati ottenevano meno voti maggioritari di quanti non ne avessero ricevuti le liste ad essi collegate, la situazione cambia radicalmente nel 2011. Oggi il motore di questo dato è il sud del paese: infatti al nord i candidati di centrodestra perdono appena lo 0,8% rispetto alle proprie liste, e nella zona rossa ottengono addirittura quasi due punti percentuali in più. Ma al sud lo spostamento di consensi a svantaggio del centrodestra è superiore a 9 punti percentuali:  il centrosinistra è indietro di oltre il 6% nell’arena proporzionale, mentre i suoi candidati ottengono il 3,2% in più di quelli di centrodestra. Se i precedenti cattivi rendimenti potrebbero essere esclusivamente dovuti alla scarsa capacità dei candidati dell’area di governo di ottenere il sostegno tra quanti votano solo per il sindaco e non scelgono alcuna lista, in questo caso essi sono sicuramente stati penalizzati dal voto disgiunto. Infatti nelle regioni meridionali i candidati sindaco espressione del Pdl ricevono  meno voti delle liste che li sostengono (45.000 circa). Particolarmente negative risultano le performance dei candidati di Latina, Salerno e Reggio Calabria, i quali insieme hanno smarrito circa 17.000  fra i propri voti proporzionali.


    [1] R. D’Alimonte e S. Bartolini, Come perdere una maggioranza: la competizione nei collegi uninominali, in R. D’Alimonte e S. Bartolini (a cura di), Maggioritario per caso, Bologna, Il Mulino, 1997

  • Risultati in tutti i comuni superiori: 85 a 40, il centrosinistra doppia il centrodestra

    di Aldo Paparo

    Il 15 e 16 maggio scorsi sono stati chiamati ad eleggere il sindaco e rinnovare il proprio consiglio comunale 133 comuni con una popolazione di almeno 15000 abitanti.
    Con i ballottaggi conclusisi ieri, la tornata elettorale si è completata e possiamo avere un quadro esatto del risultato in termini di vittorie, di sindaci espressi dai due poli. Gli istogrammi della Fig.1 mostrano il numero di comuni conquistati dal centrosinistra e dal centrodestra in totale e nelle diverse zone del paese, distinguendo fra vittorie al primo turno ed al ballottaggio, a confronto con i risultati della più recente elezione comunale. Per analizzare al meglio questi dati, occorre innanzi tutto inquadrare il punto di partenza. Dunque conviene sottolineare come la stragrande maggioranza di questi comuni (99) avessero votato per le precedenti amministrative nel 2006, pochi mesi dopo la vittoria di Prodi alle politiche e quindi in un momento certamente favorevole al centrosinistra.

    TAB.1 Numero di sindaci di centrosinistra e di centrodestra, entranti e uscenti,  in totale e per zona.

    Guardando il dato nazionale, l’elemento che emerge con maggiore chiarezza è l’arretramento dell’area a sostegno del governo, a tutto vantaggio dell’opposizione. L’avanzamento del centrosinistra è evidente: nonostante amministrasse già il 57,1% dei comuni (76), riesce ad andare oltre questo lusinghiero risultato e a conquistare oggi 85 amministrazioni (64,7%). Ancor più marcata la flessione del centrodestra, che passa da 55 sindaci a 40, appena il 30% del totale. Se il primo turno non era stato così negativo per i partiti di governo, infatti si era concluso 20 a 26, i risultati dei ballottaggi sono straordinariamente penalizzanti: per ogni comune vinto ce ne sono 3 conquistati dall’opposizione, 20 a 59. Per completare l’analisi del dato complessivo, una ulteriore notazione merita la conquista di 5 comuni da parte di candidati sostenuti esclusivamente da partiti del terzo polo (eventualmente in coalizione con liste civiche). L’aumento delle possibilità di vittoria al di fuori dai due poli è confermata anche dalla crescita del numero di sindaci sostenuti esclusivamente da liste civiche: gli incumbent tengono a Oderzo e Castelfidardo, ma anche Grumo Nevano è oggi amministrata da un indipendente.
    Passando ai dati disaggregati per zone geografiche, i rapporti di forza sono sostanzialmente inalterati nella zona rossa: da 16 a 4, a 17 a 3 per il centrosinistra. Anche al sud la situazione complessiva appare stabile, col centrodestra che tiene, passando da 29 a 28 amministrazioni, ed il centrosinistra che, in controtendenza col resto del paese, arretra (da 43 a 38 sindaci). Qui si concentrano le vittorie del terzo polo e questo spiega la diminuzione del totale dei comuni vinti dalle due coalizioni. Il grosso sconquasso arriva dal nord del paese, che pure tradizionalmente è poco volatile e spesso poco competitivo. I rapporti di forza si ribaltano: da 22 a 17 per il centrodestra, a 30 a 9 per il centrosinistra. Per quanto considerando il peggiore rendimento della Lega nei comuni più popolosi, non può comunque non apparire storico che il partito di Bossi ed il Pdl insieme oggi conquistino nel nord meno di un terzo dei comuni del centrosinistra.
    Spaventoso l’aumento della frequenza dei ballottaggi. Se infatti il precedente sindaco era stato eletto al primo turno in 79 comuni, pari al 59,4% dei casi, oggi in soli 46 (34,6%) un candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi nel primo turno, mentre ben 87 città (65,4%) hanno dovuto ricorrere al secondo per scegliere il primo cittadino. Tale aumento è particolarmente marcato al nord, dove raddoppia il numero di comuni che sono andati al ballottaggio (dai 17 della precedente tornata ai 34 di oggi, pari all’85% del totale). Nel resto del paese l’aumento della frequenza dei secondi turni, seppure presente e significativo, è inferiore, attestandosi poco sotto i 20 punti percentuali. Infatti al sud crescono da 30 (41,7%) a 42 (58,3%). Infine, nella zona rossa il numero dei secondi turni passa da un terzo a oltre il 50%: da 7 a 11, cioè dal 33,3 al 52,3%.
    Impressionante anche il numero di comuni la cui amministrazione cambia colore politico con questa tornata elettorale: 59, ovvero il 44,4%. La maggior parte di questi casi si ha al Sud, 33 sul totale di 72 comuni meridionali superiori al voto (45,8%). Il centrosinistra conquista 13 nuove amministrazioni, tra cui Olbia e Cagliari; la relativa salute del centrodestra nel mezzogiorno è confermata dalla sua capacità di strappare oggi, in uno dei punti più bassi della propria parabola elettorale, ben 14 comuni al centrosinistra: tra questi ricordiamo Cosenza e Catanzaro. Completano il quadro le 5 amministrazioni conquistate dal terzo polo (strappate 4 al centrosinistra e una centrodestra) e Grumo Nevano, persa dal centrodestra. Guardando la concentrazione relativa dei cambi di colore della giunta, la palma di zona più instabile spetta, però, al Nord: qui infatti i comuni che cambiano sono 21 su 40 (52,5%), a conferma che è soprattutto nelle regioni settentrionali che si è concentrato l’avanzamento del centrosinistra .Il PD e i suoi alleati strappano 17 comuni, fra cui Milano, Trieste, Novara, mentre perdono 4 amministrazioni, fra cui Rovigo. Meno mobile la zona rossa, in cui solo 5 comuni su 21 (23,8%) non confermano al governo l’area che esprimeva il sindaco uscente: il centrosinistra strappa Fermo, Sansepolcro e Cento, mentre cede Salsomaggiore e Cesenatico.

  • Comunali 2011, il voto ai blocchi: si allarga la forbice tra sinistra e destra

    di Aldo Paparo e Vincenzo Emanuele


    Le elezioni del 15 e 16 Maggio sono state un utile banco di prova, oltre che per candidati e partiti, anche per testare il rendimento dei due “blocchi” di centrosinistra e centrodestra a due anni (o anche meno) dalle prossime elezioni politiche. I blocchi sono “specifici segmenti dello spazio politico – definito in termini sinistra-destra – dai quali le coalizioni attingono tanto le proprie componenti partitiche, quanto il loro potenziale consenso elettorale” (Chiaramonte 2007, 374). Abbiamo così confrontato, per i 23 comuni capoluogo, i risultati ottenuti dal blocco di centrosinistra (Pd, Idv, Sel, Federazione della sinistra e Partito socialista) e da quello di centrodestra (Pdl, Lega e La Destra) in queste comunali con i risultati ottenuti dagli stessi blocchi (formati dai partiti o dalle liste riconducibili ai partiti sommati nel 2011) tra le comunali 2006 e le regionali 2010.
    Durante tutto il periodo considerato il centrosinistra è in vantaggio sul centrodestra, perfino nel 2008, elezioni che segnano il trionfo della coalizione berlusconiana. E’ un chiaro segno della parzialità del dato considerato: i 23 comuni capoluogo sono per lo più grandi città con oltre 100.000 abitanti, una categoria di comuni nei quali la sinistra è storicamente più forte, e dunque non sono minimamente rappresentativi dell’Italia nel suo complesso. Tuttavia, il confronto è utile perché ci fornisce una misura del cambiamento del consenso tra un’elezione e l’altra.

    Fig.1 I blocchi di centrodestra e centrosinistra 2011 attualizzati, dati percentuali
    CD somma liste che oggi costituiscono PDL, Lega Nord e La Destra.
    CS somma liste che oggi costituiscono PD, IDV, SEL, FED e PS.

    Entrambi i blocchi scendono in termini percentuali rispetto al 2010 (Fig. 1): è un segnale evidente dell’emersione di forze estranee ai due aggregati principali, in primis il Terzo Polo e il sorprendente Movimento 5 Stelle di Grillo. I due blocchi insieme totalizzano il 66,3%: un italiano su 3 ha scelto di votare un partito terzo (nel 2008 appena il 7,4% dei votanti ha fatto questa scelta). Il centrosinistra perde circa 4 punti, dal 41,3 al 37,4%, mentre in voti assoluti fa segnare un lieve incremento (+ 23.000 voti), rimanendo comunque ben lontana sia dal risultato delle politiche che da quello delle scorse comunali (quasi 150.000 voti in meno), segnate dalla scontro tra le macrocoalizioni di Unione e Cdl. Il centrodestra subisce un vero e proprio tracollo elettorale: nei 23 comuni capoluogo raccoglie appena il 28,9%, in caduta libera rispetto alle regionali (-10,3 punti) e alle politiche (-17,1 punti). In valori assoluti perde poco meno di 150.000 voti, toccando il punto più basso dell’intero ciclo: appena 739.000 voti, ben 220.000 in meno del centrosinistra.

    Fig.2 I blocchi di centrodestra e centrosinistra 2011 attualizzati, valori assoluti (migliaia di voti)
    CD somma liste che oggi costituiscono PDL, Lega Nord e La Destra.
    CS somma liste che oggi costituiscono PD, IDV, SEL, FED e PS.

  • Comunali 2011: chi vincerà i ballottaggi? I rapporti di forza dopo il primo turno

    di Aldo Paparo e Vincenzo Emanuele

    Il 15 e 16 Maggio scorsi si è votato in 29 capoluoghi di provincia per il rinnovo delle amministrazioni comunali. In ben 13 di questi sarà necessario un secondo turno di ballottaggio per assegnare il sindaco. Si tratta di 6 comuni settentrionali, di 2 della Zona rossa e di 5 comuni meridionali. La Tabella 1 riporta per ogni comune al ballottaggio la situazione dei rapporti di forza fuoriusciti dal primo turno di votazioni, con le percentuali ottenute al maggioritario dai candidati principali e le relative alleanze partitiche.
    Al Nord, in cui vanno al secondo turno ben 6 comuni sugli 8 iniziali, tra cui la decisiva città di Milano, la destra appare ragionevolmente sicura della vittoria solo a Varese (49,4 della coalizione al primo turno) e a Novara, città del Presidente della Regione Cota, in cui le basterà aggiungere al totale percentuale racimolato al primo turno solo poco più di 4 punti: in vista di questo obiettivo, gli elettori del Terzo Polo (7,4%) sono l’oggetto della contesa dei due schieramenti, ma il centrosinistra (31,2% più il 3% del candidato Idv) è troppo staccato per poter sperare di competere.
    Contro ogni iniziale previsione, il centrosinistra appare molto vicino alla vittoria proprio a Milano, con Pisapia al 48% e la Moratti costretta a inseguire al 41,6%. Il Terzo Polo, formato da Fli e Udc che nel 2006 sostenevano la coalizione di centrodestra, ha già dichiarato che non appoggerà nessuno dei due candidati, qui come nel resto del paese, lasciando così aperta la caccia ai propri elettori da parte dei due schieramenti principali. Eppure, con il loro 5,5%, Udc e Fli non appaiono decisivi per un eventuale recupero della Moratti, che per vincere dovrebbe sperare nella defezione di una quota dell’elettorato di Pisapia (considerando impossibile l’eventualità che il 3,2% raccolto dal Movimento 5 Stelle si orienti verso la Moratti) oppure di rimobilitare elettori astenuti al primo turno. Anche a Pordenone l’esito finale non sembrerebbe dare speranze al centrodestra, fermo al 35,6% contro il 40,6% del candidato del Pd, che potrà godere dell’appoggio decisivo di Idv e Sel e dell’8,3% di consensi che portano in dote dal primo turno. Inoltre, in questa città, vi è un altro 9% raccolto da Zanolin, ex assessore di centrosinistra che si è presentato con una lista indipendente (“Il Ponte”).
    Nel Nord, la situazione è davvero contendibile solo a Trieste e Rovigo. Nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia il centrosinistra, unito dal Pd a Rifondazione, è al 40,7%, mentre la destra si presentava divisa con tre candidati per altrettanti partiti. Tagliati fuori al primo turno, i candidati di Destra e Lega, appoggeranno quello del Pdl, che potrà così godere di un potenziale di oltre il 44% (ma la politica non è matematica, quindi le “somme” vanno sempre trattate con molta cautela). In questo contesto, il centrosinistra dovrà puntare a recuperare quanti più elettori grillini possibili (il Movimento 5 Stelle è forte di un 6% al primo turno), anche se l’ex comico genovese ha già dichiarato che non farà apparentamenti in nessuna città. Ma in ogni caso, per arrivare al 50% più uno dei voti, saranno fondamentali i voti terzopolisti (5,8% fra i due candidati di Udc e Fli): è su di loro che si scatenerà la campagna acquisti della prossima settimana. A Rovigo il centrodestra parte da un netto vantaggio in termini di punti sul candidato rivale, ben 16 (42,8 a 26,5%). Ma ciò è dovuto alla divisione dell’area progressista fra tre candidati. E’ logico pensare che se Idv, Sel e Federazione della sinistra (11,1% fra i due candidati) sosterranno il candidato democratico la partita è tutta da giocare con il centrosinistra potenzialmente al 37,5%, appena 5 punti sotto al centrodestra e con il vantaggio di poter pescare nell’elettorato 5 Stelle (7,4%). Anche qui come a Trieste, il pur misero bottino del Terzo Polo (3,7%) potrà risultare la chiave della sfida verso la poltrona di Sindaco.

    TAB. 1
    Assetto della competizione in vista dei ballottaggi: risultati dei candidati al primo turno
    + di cui 3,7 a Saccardin (ex Presidente della Provincia per l’Ulivo) per la lista “Presenza Cristiana”
    * ottenuto da Zanolin, ex assessore del centrosinistra, per la lista “Il Ponte”
    ** di cui 2,2 a Mastella per Udeur
    *** preso da Esu per la lista IRS (Indipendentisti sardi)
    **** di cui 18,1 a Pasquale Senatore (ex sindaco di centrodestra, nel Pdl nel 2010) per 3 liste civiche

    Andranno al ballottaggio anche due comuni della Zona rossa (sui 7 iniziali). In entrambi i casi l’esito sembra essere senza storia. A Grosseto il centrodestra può ritenersi soddisfatto di aver costretto il candidato del Pd al secondo turno. Ma quest’ultimo non dovrebbe avere problemi a imporsi, forte del 45,8% a cui potrà aggiungersi gran parte dell’8,3% del candidato della sinistra radicale (che ottiene un grande risultato, favorita dall’emorragia di consensi in uscita dal Pd che paga l’alleanza con l’Udc). A Rimini la situazione è sulla carta un po’ più incerta, con i due candidati principali distanziati da appena 5 punti (più o meno la percentuale del Terzo Polo). Ma ciò che farà la differenza sarà il posizionamento dell’elettorato grillino (che ottiene in questa città il suo massimo tra tutti i comuni capoluogo, l’11,3%) che molto difficilmente potrà sostenere il candidato conservatore: molti si asterranno, ma una parte probabilmente voterà per quello del Pd “turandosi il naso”.
    Nei 5 comuni del Sud al ballottaggio (sui 14 inizialmente al voto) uno ha rischiato di essere assegnato già al primo turno: si tratta di Iglesias, in cui la destra non ha vinto per un’inezia (49,9%). Certo, si tratta poi di convincere i propri elettori a tornare alle urne per riconfermare l’orientamento del primo turno. A Cosenza il centrodestra (alleato con l’Udc) è nettamente in vantaggio dopo il 45,6% del suo candidato al primo turno, che dovrà vedersela con quello di Idv e Sel che ha fatto meglio del competitor del Pd (solo al 15,6%). La teorica sommatoria di tutti i voti del centrosinistra diviso (compreso il 3,5% della Fed e il 2,2 del Movimento 5 Stelle) supererebbe la percentuale del centrodestra, ma come già precisato in precedenza, ragionare in questi termini può risultare fuorviante. Inoltre, pare difficile pensare che gli elettori di Fli (4,6%) possano votare per un candidato di sinistra, più probabile che torneranno a sostenere la vecchia coalizione berlusconiana, dando così la spinta decisiva al candidato di centrodestra.
    Davvero incerte sono le sfide di Napoli, Cagliari e Crotone. Nel capoluogo campano Lettieri parte dal 38,5% del primo turno e 11 punti di vantaggio sul rivale De Magistris (27,5%) che però può contare sull’appoggio di Pd e Sel (19,2%). Il 9,7% raccolto da Pasquino, candidato del Terzo Polo, che ha deciso di non appoggiare né l’uno né l’altro candidato, sarà fondamentale per capire se la città svolterà a destra dopo quasi 20 di governi progressisti.
    Nel capoluogo sardo, amministrato dal centrodestra, i due candidati sono praticamente appaiati, separati da un pugno di voti (appena 400). Deciderà il risultato la capacità di rimobilitare i propri elettori e di conquistare il 4,5% di Fli. A Crotone, infine, la situazione più confusionaria: ben 4 candidati con oltre il 15% dei voti al primo turno. Al ballottaggio il centrosinistra, che tutto unito ha raccolto il 36,7% avrà vita difficile pur partendo con oltre 16 punti di vantaggio sul rivale del Pdl, fermo al 20,3%. (https://sharonsteelerealestate.com/) Questi però potrà contare su gran parte del 18,1% di Pasquale, ex sindaco di destra, con il Pdl fino a poco tempo fa. Con i voti di Pasquale, i due candidati sarebbero praticamente alla pari, e il 16,9% del candidato rutelliano dell’Api diventerebbe il vero ago della bilancia.

  • Comunali 2011: offerta politica nei comuni capoluogo di provincia

    di Aldo Paparo e Vincenzo Emanuele

    I prossimi 15 e 16 maggio si terranno le elezioni comunali in 30 capoluoghi di provincia. La tabella 1 presenta, per questi comuni, alcuni indici sintetici dell’offerta elettorale attuale, a confronto con le più recenti elezioni amministrative.

    L’elemento che emerge con maggiore chiarezza è l’aumento della frammentazione: il numero medio di candidati alla carica di sindaco passa dai 5,5 delle scorse elezioni agli 8 delle attuali. Anche il numero totale di liste è in aumento, seppure in misura minore (da 19 a 21,6). Si può quindi parlare di una competizione sempre meno bipolare, almeno in relazione al 2006 che è stato l’anno delle elezioni politiche più bipolari della storia dalla nostra Repubblica.

    A conferma di questo fenomeno, possiamo indicare l’esplosione del numero di liste fuori dai poli, che quasi raddoppia passando da 5 a 9,3. Questo segnalala una diminuzione della capacità aggreganti delle coalizioni che può essere misurata in 16 punti percentuali: infatti la proporzione di liste che sostengono i due candidati principali (collegati con PD e PDL) scende dal 73,2% al 57%.

    Infine bisogna sottolineare un dato in controtendenza con il generalizzato aumento delle liste: il numero medio che sostiene i candidati sindaco di centrosinistra diminuisce fra 2006 e 2011. Infatti, se erano 8 oggi sono meno di 6. Questo dato non è comunque incoerente con il quadro generale che abbiamo tracciato: infatti può essere letto come una ulteriore conferma della crisi del bipolarismo nel nostro paese. In quest’ottica può essere facilmente interpretata anche la sostanziale stabilità del numero medio di partiti di centrodestra (da 6 a 6,4), che comunque guadagna la palma di coalizione più frammentata (da -2 a +0,5 nei confronti del centrosinistra).

    Tabella 1.

    La Tabella 2 mostra l’evoluzione dell’offerta in ciascuno dei 30 comuni capoluogo dalla precedente elezione amministrativa a quella di quest’anno. Nell’ultima colonna si segnalano le differenze riscontrate nell’offerta attuale rispetto al quadro nazionale delle alleanze.

    Soltanto in 8 comuni su 30 l’offerta rispecchia l’attuale quadro nazionale, con la presenza di un Polo di destra (Pdl, Lega e la Destra), uno di sinistra (Pd, Idv, Sel) e un Polo di centro (Udc e Fli). Questa situazione è presente a Milano, Torino, Bologna, Arezzo, Siena, Varese, Barletta, Benevento.

    Negli altri 22 comuni si registra un’offerta di diverso tipo: a Trieste la Lega presenta un proprio candidato, in opposizione a quello del centrodestra. Per il resto il centrodestra è ovunque compatto.

    Per quanto riguarda le divisioni interne al centrosinistra: in 4 comuni l’Italia dei Valori corre da sola (Napoli, Novara, Salerno, Carbonia). A Rimini e Grosseto è la Sel a defezionare la coalizione. In altri 4 casi Idv e Sel appoggiano insieme un candidato diverso da quello del Pd (Rovigo, Pordenone, Cosenza e Reggio Calabria).


    * STANDARD: PDL, LEGA LA DESTRA; PD, IDV, SEL; UDC E FLI

    Tabella 2.

    Le più frequenti spaccature si registrano nel campo del Terzo Polo: in 4 comuni (Ravenna, Rimini, Trieste e Rovigo) Fli e Udc presentano ognuno un proprio candidato, in contrapposizione ad entrambi i poli principali, ma, inevitabilmente, anche in competizione tra loro. A Grosseto e Savona l’Udc è in coalizione con il centrosinistra, mentre in 11 dei 14 capoluoghi del Sud (Latina, Caserta, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Catanzaro, Carbonia, Iglesias, Olbia, Cagliari, Ragusa) l’Udc è alleato con il Pdl. Fli, quando presenta una propria lista, è sempre da sola tranne che a Ragusa e a Fermo (alleato con il centrodestra).

    Riassumendo: in 29 comuni su 30 il centrodestra è compatto, mentre il centrosinistra è unito solo in 20 comuni su 30. Il Terzo Polo esiste solo in 12 comuni su 30.