Autore: Aldo Paparo

  • Flussi di voto: a Sassari più di un leghista su due ha votato Todde

    Flussi di voto: a Sassari più di un leghista su due ha votato Todde

    La sconfitta del centro-destra in Sardegna solleva una serie di questioni di portata nazionale. Siamo tornati in una fase di bipolarismo competitivo? È iniziato il calo della popolarità del governo Meloni? I prossimi mesi daranno indicazioni fondamentali per rispondere a questi interrogativi. 

    Intanto, il risultato sardo permette di mettere a fuoco un tema importante, che vale non solo per la Sardegna ma anche per gli scenari nazionali: la gestione della coalizione di centro-destra nel post-Berlusconi. L’analisi dei flussi elettorali a Sassari che abbiamo svolto ce lo rivela chiaramente. 

    La Figura 1 mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Sassari fra politiche 2022 e regionali di domenica scorsa. A sinistra sono riportati i bacini elettorali delle politiche, a destra quelli delle regionali. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2022 di provenienza, mostrano le transizioni dagli elettorati delle politiche alle regionali. L’altezza di ciascuna banda (così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra) è proporzionale al peso sul totale degli elettori.

    Come mostrato dal diagramma, se gli elettori del Pd e quelli del M5s hanno votato in massa Todde, nel centro-destra non si riscontra una simile fedeltà. O meglio, non per tutti i partiti. Infatti, quanti avevano votato Fdi, e anche Fi, hanno scelto Truzzu con tassi molto alti, ma gli elettori della Lega sono stati molto meno fedeli. Appena poco più di un terzo ha votato Truzzu, la maggioranza assoluta (oltre il 60%) ha invece preferito Todde. 

    Fig. 1 – Flussi elettorali fra politiche 2022 (sinistra) e regionali 2024 (destra) nel comune di Sassari.

    I voti della Lega a Sassari alle politiche 2022 sono stati 2.703. Le nostre analisi indicano che più di 1.500 fra questi hanno votato Todde. Alla luce del risicatissimo margine con cui questa si è imposta, non è neanche necessario ipotizzare che un simile comportamento degli elettori leghisti su scala regionale abbia compromesso la vittoria di Truzzu. Sono sufficienti i leghisti infedeli della sola Sassari.E torniamo quindi al punto di carattere nazionale: la gestione della coalizione di centro-destra senza Berlusconi. Il fondamentale ruolo di federatore del centro-destra svolto dal Cavaliere sin dagli albori della Seconda Repubblica poggiava su una serie di elementi cardine.

    La certezza della sua leadership all’interno della coalizione, in un quadro di rapporti di forza ben definiti; la forza economica che era in grado di mettere in campo, che gli permetteva di tenere le redini della coalizione; la generosità che sapeva praticare nella spartizione delle cariche con gli alleati minori, che dipendeva dal controllare comunque la coalizione (vedi i due punti precedenti) e dalla possibilità di garantire (per sé e per le figure del suo partito) opportunità anche al di fuori delle liste elettorali. Ora, il punto cruciale è che per Meloni nulla di tutto questo è vero. Non è scontato che il suo partito resti a lungo il più votato della coalizione, non ha una forza economica autonoma, e non può quindi permettersi di essere generosa: correrebbe il rischio di non essere lei a guidare le danze.

    Per Berlusconi una vittoria del centro-destra era una sua vittoria politica, a prescindere da chi fosse il candidato. Per Meloni no. Per questo si è imposta sul nome di Truzzu a danno di Solinas. Per questo non vuole sostenere Zaia per un nuovo mandato in Veneto. Ma naturalmente queste tensioni interne alla coalizione chiedono un prezzo sul piano elettorale. Da un lato hanno un impatto diretto sugli elettori che vedono la litigiosità. C’è poi anche un effetto indiretto, che passa attraverso le scelte di campagna degli alleati – che magari non si impegnano tanto quanto avrebbero fatto se il candidato fosse stato espresso da loro, e che hanno l’opportunità di indebolire la leader di coalizione in caso di mancata vittoria. Ecco, in Sardegna, come mostrano i nostri dati, il prezzo è stato il governo della regione. Non è detto che sia così dappertutto, e meno che mai su scala nazionale. Però, adesso, gli avversari trovano nella concreta possibilità di vittoria un motivo in più per stare insieme, mentre nel centro-destra i nodi al pettine sono sempre più intricati.  

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte, R., e De Sio, L. (2024), Prove di ritorno del bipolarismo, «Il Sole 24 Ore», 28 febbraio.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 140 sezioni elettorali del comune di Sassari. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Il valore dell’indice VR è pari a 9,8.

  • Simulazioni exit poll: solida maggioranza per il centrodestra

    Simulazioni exit poll: solida maggioranza per il centrodestra

    Abbiamo costruito 12 simulazioni del risultato di Camera e Senato in base ai diversi exit poll e diversi scenari. In tutti e 12 questi scenari il centrodestra avrebbe una maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere, attorno al 60%.

    Come sono state costruite le simulazioni? Abbiamo preso i dati degli exit poll di Opinio per Rai1, Quorum-YouTrend per Sky e SWG per La7. Ciascuno di questi è stato calato nei collegi uninominali di Camera e Senato partendo da tre diverse geografie elettorali di base (quella delle politiche 2018, quella delle europee 2019, e una terza costruita facendo la media fra le due).

    Riaggregando questi risultati per collegio su base nazionale alla Camera e regionale al Senato, abbiamo poi stimato la distribuzione dei seggi proporzionali.

  • PTV gap: A new measure of party identification yielding monotonic partisan attitudes and supporting comparative analysis

    PTV gap: A new measure of party identification yielding monotonic partisan attitudes and supporting comparative analysis

    Paparo, A., De Sio, L., & Brady, D. W. (2020). PTV gap: A new measure of party identification yielding monotonic partisan attitudes and supporting comparative analysis. Electoral Studies, 63, 102092, https://doi.org/10.1016/j.electstud.2019.102092

    Despite the cornerstone role of party identification for analyzing voting behavior in the United States, its measurement (in terms of the classic American National Electoral Studies – ANES – seven-point scale) is affected by a systematic problem of non-monotonicity, and it proved impossible to be directly applied outside the United States. We introduce a novel, complementary measurement approach aimed at addressing both problems. We test on US data (an expressly collected computer-assisted web interviewing survey dataset) a new, seven-point scale of partisanship constructed from PTV (propensity-to-vote) items, acting as projective devices for capturing partisan preferences, and routinely employed in multi-party systems. We show that a PTV-based (suitable for comparative analysis) seven-point scale of partisanship outperforms the classic ANES scale. Groups identified by the new scale show monotonic partisan attitudes, and the comparison of multivariate models of political attitudes testify significantly larger effects for the new scale, as well as an equal or higher predictive ability on a range of political attitudes.

    Per citare l’articolo:

  • La sorprendente geografia del potere locale

    La sorprendente geografia del potere locale

    Con i ballottaggi in Sardegna (Landini 2019), la lunga stagione delle elezioni comunali 2019 è in archivio. Abbiamo ampiamente documentato i risultati, evidenziando l’avanzata del centrodestra, l’arretramento del centrosinistra, che comunque tiene in un quadro di ri-bipolarizzazione del sistema partitico a livello comunale (Emanuele e Paparo 2019; D’Alimonte e Emanuele 2019).

    Quale è la geografia del potere locale oggi, dopo la tornata 2019? Per rispondere a questo interrogativo abbiamo preparato la mappa visibile sopra. In essa, ciascuna provincia è colorata secondo il colore politico[1] della giunta comunale che governa il comune capoluogo[2]. Osservando la mappa, notiamo innanzitutto come Forza Italia e alleati governino oggi una decina di comuni capoluogo in più delle coalizioni di cui fa parte il PD (48 a 37). Ciò significa che le due coalizioni governano praticamente l’80% dei capoluoghi di provincia, percentuale che viene ampiamente superata se si considerano anche i 4 comuni amministrati da coalizioni di destra (di cui fanno parte Lega e/o FDI) senza FI.

    L’elemento che fa da contraltare a questo bipolarismo locale è la debolezza del M5S nei comuni, che non è certo una novità delle comunali 2019, ma abbraccia l’intero periodo degli ultimi cinque anni (Paparo 2018). Sono solo 5 su 107 le province in cui il sindaco del capoluogo è un esponente del M5S. A conferma della meridionalizzazione del partito di Di Maio (Emanuele e Maggini 2019), 4 di questi sono al Sud, con Torino unica eccezione.

    Tuttavia, i parallelismi fra la geografia del voto nazionale con quella delle giunte locali si fermano qui. In effetti, la mappa non pare molto in linea con la tradizione elettorale del nostro paese[3]. Nella Zona Rossa, i capoluoghi dell’Umbria, la maggior parte di quelli della Toscana e anche alcuni dell’Emilia-Romagna sono amministrati da giunte di centrodestra. Al contrario, il centrosinistra ha in mano la maggior parte della Puglia, la Sicilia occidentale e buone porzioni del Nord-Est (non solo in Alto Adige).

    Sappiamo bene come i profondi rivolgimenti elettorali dell’ultimo decennio abbiamo avuti impatti significativi anche sulla geografia elettorale, non solo nelle elezioni comunali (Cataldi e Emanuele 2013; D’Alimonte 2014; Cataldi e Emanuele 2019; De Sio 2019). Tuttavia, per comprendere le ragioni alla base della specifica conformazione che emerge dalla nostra mappa, è necessario introdurre alcuni contributi della letteratura scientifica.

    Innanzitutto, il concetto di elezioni di secondo ordine (Reif e Schmitt 1980). In estrema sintesi, l’idea di fondo di questa teoria è che tutte quelle elezioni in cui non è in gioco il governo del paese sono elezioni meno importanti, in cui gli elettori cercano di determinare esiti desiderati sull’arena principale (quella appunto del governo nazionale). In pratica, useranno l’elezione di secondo ordine a loro disposizione in quel particolare momento per mandare dei messaggi al governo circa la soddisfazione per il suo operato, o al proprio partito per indicare una certa linea politica o priorità tematica.

    In particolare, la letteratura comparata mostra che nelle elezioni di secondo ordine i partiti al governo tendono a perdere voti rispetto alle elezioni di primo ordine vincendo le quali sono arrivati al governo (Marsh 1998; Schmitt 2005; Hix e Marsh 2011).

    Unitamente al concetto di elezioni di secondo ordine, dobbiamo guardare a quello di ciclo della popolarità del governo (Campbell 1960; Tufte 1975; Stimson 1976). Numerosi studi empirici comparati indicano che la popolarità del governo in carica nell’arco di una legislatura segue un andamento ciclico: alta nella fase iniziale della cosiddetta luna di miele, poi  calante fino a (poco oltre) la metà della legislatura, per infine risalire nella sua fase finale (Mueller 1973; Paldam 1986; Shugart 1995). Anche nel caso italiano si è dimostrato che è così (Bellucci 2006).

    I risultati delle elezioni comunali 2019 sono tutto sommato in linea con questo quadro, anche se con notevoli differenze fra i due partiti al governo. Infatti, la Lega sembra ancora all’interno della luna di miele con l’elettorato, mentre per il M5S questa è chiaramente ormai finita.

    Tornando quindi alla nostra mappa, possiamo osservare come in effetti l’anno di svolgimento delle elezioni comunali (e la popolarità in quel momento del governo in carica) sia un fattore molto rilevante per comprendere la conformazione del potere locale, anche più della tradizione elettorale dei diversi territori (che pure continua a esercitare un ruolo nel determinare la competitività relativa delle due coalizioni nei diversi territori). Come abbiamo visto, quest’anno centrodestra e centrosinistra si sono divisi a metà i comuni capoluogo – in tutte le zone geografiche (Angelucci e Paparo 2019). Nei due anni precedenti il centrodestra ha vinto più capoluoghi della coalizione rivale in tutte le zone (Emanuele e Paparo 2017; Emanuele e Paparo 2018), complice la scarsa popolarità dei governi di centrosinistra. Al contrario, fra 2014 e 2016, quando la parabola di Renzi cominciava a puntare verso il basso ma non toccava ancora i minimi, era stato il centrosinistra a conquistare la maggior parte delle amministrazioni locali nei comuni capoluogo nelle diverse zone del paese (Paparo e Cataldi 2015; Maggini 2016).

    Infine, un ultimo elemento che occorre considerare riguarda la relazione fra popolosità dei comuni e risultati elettorali per i diversi partiti e coalizioni. Nel nostro paese, il PD e, più in generale, il centrosinistra ottengono risultati migliori nei grandi centri urbani (sopra i 100.000 abitanti e particolarmente in quelli sopra i 250.000 abitanti); mentre al contrario il centrodestra (e particolarmente la Lega) vanno meglio nei comuni piccoli (Emanuele 2011). Questo è vero in tutti i tipi di elezioni: alle politiche (Emanuele 2013a; 2013b), alle europee, e anche alle comunali (Paparo 2016; Emanuele e Paparo 2017). Ora, i comuni capoluogo di provincia tendono a essere mediamente piuttosto popolosi (circa 170.000 abitanti), tuttavia presentano una notevole varianza interna. Si va dai poco più di 20.000 abitanti di Sondrio e Isernia, agli oltre 2 milioni e mezzo di Roma. In effetti, le vittorie del centrosinistra si concentrano nei capoluoghi più popolosi. Infatti i 37 comuni capoluogo governati da PD e alleati hanno una popolazione media che sfiora i 180.000 abitanti, mentre i 48 amministrati dal centrodestra (con FI) superano appena i 100.000 abitanti di media.

     

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, D. e Paparo, A. (2019), ‘Comunali: equilibrio, stabilità e il ritorno del bipolarismo’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/06/13/comunali-equilibrio-stabilita-e-il-ritorno-del-bipolarismo/.

    Bellucci, P. (2006), ‘All’origine della popolarità del governo in Italia, 1994-2006’, Rivista Italiana di Scienza Politica 36(3), pp. 479-504.

    Campbell, A. (1960), ‘Surge and Decline: A Study of Electoral Change’, Public Opinion Quarterly 24 (3), pp. 397–418.

    Cataldi, M., e Emanuele, V. (2013), ‘Lo tsunami cambia la geografia e strappa 50 province a Pd e Pdl’, in De Sio, L., Cataldi, M. e De Lucia, F. (a cura di) Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE (4), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 53-55.

    D’Alimonte, R. (2014), ‘Il Pd vince dappertutto, anche nel Nord-Est’, in De Sio, L., Emanuele, V. e Maggini, N. (a cura di) Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE (6), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 125-128.

    D’Alimonte, R., e Emanuele, V. (2019), ‘Nei comuni oltre 15.000 abitanti, centrodestra +33, centrosinistra -39’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/06/12/nei-comuni-oltre-15mila-abitanti-centrodestra-33-centrosinistra-39/

    De Sio, L. (2019), ‘La nazionalizzazione della Lega di Salvini’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/27/la-nazionalizzazione-della-lega-di-salvini/

    Diamanti, I. (2009), Mappe dell’Italia Politica. Bianco, rosso, verde, azzurro e … tricolore, Bologna, Il Mulino.

    Emanuele, V. (2011), ‘Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia’, Meridiana, 70, pp. 115–148.

    Emanuele, V. (2013a), ‘Il voto alle coalizioni nei comuni: sotto i 50.000 abitanti Berlusconi è davanti, Bersani vince grazie alle città’, in De Sio, L., Cataldi, M. e De Lucia, F. (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE (4), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 77-81.

    Emanuele, V. (2013b), ‘Il voto ai partiti nei comuni: la Lega è rintanata nei piccoli centri, nelle grandi città vince il Pd’, in De Sio, L., Cataldi, M. e De Lucia, F. (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE (4), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 83-87.

    Emanuele, V. e Cataldi, M. (2019), ‘Voto sul territorio e competizione nei collegi: una geografia elettorale rivoluzionata’, in Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di), Il voto del cambiamento. Le elezioni politiche del 2018, Bologna, Il Mulino, pp. 151-175.

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2017), ‘Il centrodestra avanza, il Pd arretra: è pareggio. I numeri finali delle comunali’, in Paparo A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 191-199.

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2018), ‘I numeri finali del voto: il centrodestra vince le comunali conquistando le roccaforti rosse’, in Paparo A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Le elezioni comunali 2018, Dossier CISE (12), Roma, LUISS University Press, pp. 217-226.

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2019), ‘Comunali, torna il bipolarismo. Il PD arretra ma è in vantaggio dopo il primo turno’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/06/08/comunali-torna-il-bipolarismo-il-pd-arretra-ma-e-in-vantaggio-dopo-il-primo-turno/.

    Galli, G., Capecchi, V., Cioni Polacchini, V. e Sivini, G. (1968), Il comportamento elettorale in Italia, Bologna, Il Mulino.

    Hix, S., e Marsh, M. (2011), ‘Second-order effects plus pan-European political swings: An analysis of European Parliament elections across time’, Electoral Studies, 30(1), pp. 4-15.

    Landini, I. (2019), ‘Ballottaggi in Sardegna: il centrodestra continua ad avanzare’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/07/02/ballottaggi-in-sardegna-sassari-e-monserrato-in-mano-al-centrodestra/.

    Maggini, N. (2016), ‘Il quadro riassuntivo dei ballottaggi:
    arretramento del PD, avanzata del centrodestra e vittorie storiche del M5S’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 145-153.

    Marsh, M. (1998), ‘Testing the second-order election model after four European elections’, British Journal of Political Science, 28(4), pp. 591-607.

    Mueller, J.E. (1973), War, Presidents and Public Opinion, New York, John Wiley.

    Paldam, M. (1986), ‘The distribution of election results and the two explanations of the cost of ruling’, European Journal of Political Economy, 2(1), pp. 5–24.

    Paparo, A. (2018), ‘Le fatiche del M5S nei comuni: l’avanzata
    che non arriva e i sindaci che se ne vanno’, in Paparo A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Le elezioni comunali 2018, Dossier CISE (12), Roma, LUISS University Press, pp. 227-234.

    Paparo, A. e Cataldi, M. (a cura di) (2015), Dopo la luna di miele. Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE (7), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali.

    Reif, K. e Schmitt, H. (1980), ‘Nine Second-Order National Elections – A Conceptual Framework for the Analysis of European Election Results’, European Journal of Political Research, 8(1), pp. 3-44.

    Schmitt, H. (2005), ‘The European Parliament elections of June 2004: still second-order?’ West European Politics, 28(3), pp. 650-679.

    Shugart, M. S. (1995), ‘The Electoral Cycle and Institutional Sources of Divided Presidential Government’, American Political Science Review 89 (2), pp. 327–343.

    Stimson, J. A. (1976), ‘Public Support for American Presidents A Cyclical Model’, Public Opinion Quarterly, 40(1), pp. 1–21.

    Tufte, E. R. 1975. «Determinants of the Outcomes of Midterm Congressional Elections». American Political Science Review 69 (3): 812–826.


    [1] Criteri per l’assegnazione dei sindaci ai poli:

    Sinistra alternativa al PD riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PRC, PCI, PC, MDP, LeU, SI, SEL, Insieme, PSI, +EU, CD, DemA, Verdi, IDV, Radicali, Possibile, CampoProgr, ProgettoCom – ma non dal PD. Il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD; il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI, CPE, Idea, UDEUR (ma né PD né FI). Il Centrodestra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI. La Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell, ITagliIT – ma non FI.

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    [2] La provincia di Barletta-Andria-Trani (ad oggi l’unica con più di un comune capoluogo – ben tre) è assegnata al centrodestra in quanto due dei tre comuni (Barletta e Andria, peraltro i due più popolosi) sono amministrati da FI e alleati.

    [3] Sulle tradizionali caratteristiche della geografia elettorale in Italia si vedano Galli et al. (1968) e Diamanti (2009).

  • Domenica le comunali in Sicilia: quali indicazioni in vista del 26 maggio?

    Domenica le comunali in Sicilia: quali indicazioni in vista del 26 maggio?

    Tra pochi giorni gli elettori di 34 comuni siciliani saranno chiamati alle urne per rinnovare il consiglio comunale e il sindaco. Si tratta, evidentemente, di un appuntamento numericamente molto ridotto, che tuttavia rappresenta l’ultimo voto prima delle cruciali elezioni europee del prossimo 26 maggio. Costituisce quindi l’ultima occasione per misurare lo stato di salute elettorale di partiti e coalizioni sulla base di veri voti nelle urne, seppur espressione di scelte sul piano locale, senza doversi quindi affidare ai sondaggi.

    Inoltre, quelle siciliane anticipano la tornata ordinaria di elezioni comunali, che si terranno in contemporanea con le prossime, imminenti europee[1]. In questo senso, questo piccolo campione di comuni offre una prima occasione per ottenere interessanti indicazioni circa alcuni interrogativi di ricerca particolarmente rilevanti nell’attuale congiuntura della vita politica del paese, che potremo poi indagare compiutamente all’indomani del 26 maggio.

    Prima di tutto, in merito alle scelte strategiche nei due poli. Cosa faranno Forza Italia e Lega nel centrodestra? Correranno da sole o insieme? E nel centrosinistra, riuscirà il PD del nuovo segretario Zingaretti a formare coalizioni larghe che non soffrano di concorrenti sulla propria sinistra? E poi, con riferimento ai risultati, i temi cruciali saranno capacità di tenuta del centrosinistra nei confronti del centrodestra, considerando le molti amministrazioni uscenti che dovrà difendere; e la possibile rielezione di sindaci uscenti del M5S, un evento che ancora non si è mai verificato nonostante le occasioni negli ultimi anni abbiano cominciato ad accumularsi (Paparo 2018a).

    Naturalmente, per avere delle risposte, per quanto preliminari e parziali, a questi ultimi interrogativi, occorrerà attendere ancora qualche giorno, quando avremo i risultati. Tuttavia, già ora è possibile osservare il quadro dell’offerta elettorale in campo nelle elezioni comunali siciliane, e analizzare quindi le scelte strategiche degli attori all’interno delle due coalizioni. Ci concentriamo, come sempre, sui comuni superiori ai 15.000 abitanti che andranno alle urne. In questa tornata di comunali in Sicilia sono sette: in ordine decrescente di popolazione, Gela, Caltanissetta, Bagheria, Mazara del Vallo, Monreale, Castelvetrano e Aci Castello.

    Innanzitutto, occorre sottolineare come FI, FDI e Lega non corrano mai assieme con i tre simboli a sostegno dello stesso candidato: a Bagheria FDI non partecipa al voto, mentre a Gela è Forza Italia a non essere presente sulla scheda, divisa com’è fra il sostegno al candidato del resto del centrodestra e uno con una coalizione interamente civica in cui sono confluiti anche pezzi di ceto politico di centrosinistra. Ma aldilà di questi casi di mancata completezza del formato coalizionale per assenza di uno dei simboli, occorre evidenziare i numerosi casi in cui vi sono almeno due candidati sostenuti da almeno uno dei tre partiti del centrodestra nazionale. In particolare, nella maggioranza dei casi, la Lega ha presentato candidati autonomi, non sostenuti né fa FDI né da FI, che tre volte sfidano il candidato sostenuto invece dal partito di Berlusconi, quando non quello di entrambi gli altri partiti del centrodestra (Caltanissetta). Vi sono poi casi in cui il l’area del centrodestra siciliano, comprensiva di Diventerà Bellissima, sostiene tre candidati diversi (Monreale, Mazara del Vallo).

    Quanto al centrosinistra, il quadro appare non meno frammentato. Innanzitutto, il perno della coalizione, il PD, è in corsa solo in due comuni su sette, e solo a Castelvetrano (non a caso tappa di campagna elettorale per Zingaretti) con il proprio simbolo ufficiale. Nella maggioranza dei casi, il PD locale è diviso a causa di lotte interne fra diversi gruppi, nessuno dei quali in grado di appropriarsi del simbolo del partito, e che quindi animano liste civiche. Queste liste, nei diversi comuni, sostengono candidati in coalizioni con altre liste civiche espressione di notabili con storie politiche anche molto diverse (dal centro di area UDC, al centrodestra berlusconiano, fino pure alla destra vera e propria). Occorre tuttavia ricordare come la Sicilia sia un caso sui generis per il PD. Innanzitutto, si tratta di un contesto in cui la frattura fra renziani e non pare ancora non ricomposta, con il partito regionale ancora guidato da Faraone (riconfermato per mancanza di candidati alternativi lo scorso dicembre), uomo molto vicino all’ex segretario che tuttavia non è riuscito a contenere la vittoria di Zingaretti alle primarie, e pare oggi incapace di tenere unito il partito. Inoltre, in Sicilia, le divisioni fra fazioni nazionali si intrecciano con la politica di alleanze da mettere in campo sul piano locale, che nell’isola avevano già sperimentato un’apertura verso il centro(-destra) all’indomani della vittoria di Crocetta alle regionali quando questi doveva cercare una maggioranza che lo sostenesse all’ARS – ancor prima quindi della segreteria di Renzi e del patto del Nazareno.

    In ogni caso, il quadro che emerge da queste comunali in Sicilia non è per nulla rassicurante per la coalizione progressista in vista delle prossime elezioni comunali, che coinvolgeranno oltre 200 comuni superiori, e la maggioranza di quelli della Zona Rossa. Si tratterà di un test decisivo per la tenuta del vantaggio competitivo del centrosinistra nelle sue regioni di tradizionale radicamento (Paparo 2018b) – parlare di egemonia già oggi è fuori luogo. Ma anche di un possibile volano per le elezioni europee, qualora le campagne elettorali per i candidati sindaci e consiglieri fossero in grado di rimobilitare elettori delusi. Infatti, le comunali 2019 costituiscono la tornata ordinaria di comunali, o per lo meno ciò che ne resta. In totale, quasi il 50% dei comuni italiani sarà chiamato al voto per rinnovare i propri organi di governo locale. Ecco quindi che “ripartire dai territori”, considerando anche la tradizione di buoni amministratori e radicamento territoriale su cui il centrosinistra può ancora contare, potrebbe rappresentare una strategia di successo per le elezioni europee [2]. Al momento, però, la Sicilia ci dice che la nuova leadership di Zingaretti non sembra essere ancora riuscita a riformare uno spirito unitario nel campo progressista, che di questa possibile mobilitazione sul piano locale dovrebbe essere il primo motore.

    Naturalmente, si tratta di una manciata appena di casi, molto periferici e peculiari in quanto ad assetti del sistema dei partiti (Riggio 2018a). Tuttavia, in attesa della presentazione delle liste per le elezioni comunali nelle altre regioni, le indicazioni che vengono dall’offerta nelle imminenti comunali siciliane sono le uniche che si possono trarre circa la capacità di tenuta delle coalizioni sul piano locale. Da questo punto di vista, quindi, non possiamo che segnalare le grandi difficoltà del centrosinistra e del centrodestra di presentarsi compatti nei diversi contesti locali. Se per il centrosinistra, come detto, in Sicilia le fratture dovute alla polarizzazione intercorsa attorno alla leadership di Renzi sono state più marcate che altrove, e quindi è possibile che siano meno divisive in altri contesti, per il centrodestra si potrebbe quasi dire il contrario. Il fatto che la Lega presenti propri candidati non in via eccezionale ma in maniera piuttosto diffusa nella meridionalissima Sicilia lascia intravedere possibili scenari foschi per l’unità della coalizione nel resto del paese.

    Inoltre, non del tutto sorprendentemente, è possibile già oggi fornire una risposta a un altro degli interrogativi di ricerca elencati poc’anzi. Infatti, non occorre attendere i risultati elettorali per conoscere la sorte dei due sindaci uscenti del M5S. Possiamo dire fin d’ora che nessuno dei due conquisterà la palma di primo sindaco del Movimento rieletto sotto le insegne del partito di Di Maio. Infatti, sia Domenico Messinese a Gela che Patrizio Cinque a Bagheria si ritirano dopo un solo mandato elettivo (senza quindi esservi obbligati dalle norme del Movimento). Il M5S è in corsa in entrambi i casi (come peraltro in tutti e sette i comuni), ma con un nuovo candidato.

    Più in generale, sui sette comuni superiori al voto, solo a Monreale il sindaco uscente Capizzi è nuovamente in corsa per un nuovo mandato, mentre sei si presentano come “corse aperte”, senza la figura del sindaco incumbent. Inoltre, ulteriore conferma della straordinaria fluidità dei sistemi di partito in questi comuni, l’unico uscente che si ricandida cinque anni or sono era stato eletto con a sostegno una coalizione formata dal PD e due liste civiche, mentre stavolta è appoggiato solo da due liste civiche (una nuova e una già presente nella sua coalizione nel 2014), mentre il PD locale si è diviso fra lui e altri due candidati.

    Come detto, quello di Monreale non è un caso isolato. In totale, su sette comuni, ci sono ben cinque i candidati sostenuti da coalizioni interamente civiche all’interno delle quali si nascondono pezzi di ceto politico locale piuttosto trasversali per estrazione e storia politica: quasi uno a comune, quindi. Si tratta peraltro di un fenomeno non nuovo, che anzi negli ultimi anni ha più preso via via sempre più piede, in particolar modo in Sicilia ma non solo (Riggio 2018b).

    Riassumendo, il quadro che emerge guardando l’offerta elettorale per le imminenti comunali in Sicilia è quello di un generalizzato sfarinamento del sistema partitico, con i due ex pivot delle grandi coalizioni della Seconda Repubblica che fanno fatica a formare coalizioni unitarie e addirittura, specie il PD, a presentare i propri simboli, divisi spesso fra due o più rivoli nei diversi comuni. Al contrario, i due protagonisti del governo Conte sono quasi sempre in campo, e sarà quindi interessante indagare con quale successo. Come accennato, il M5S difende due amministrazioni, un risultato che dovrà almeno ripetere per potere cantare vittoria, mentre per la Lega la Sicilia è sostanzialmente una terra vergine. Era praticamente assente alle comunali precedenti, e in questi sette comuni alle politiche aveva raccolto il 6% dei voti. A un mese dal fatidico voto delle europee, queste elezioni in Sicilia rappresentano un utile banco di prova per misurare l’avanzata del partito di Salvini nella regione più meridionale del paese, quella che (Campania a parte) ancora alle recenti elezioni politiche del 4 marzo 2018 le aveva regalato il risultato più magro.

    Riferimenti bibliografici

    Paparo, A. (2018a),’Le fatiche del M5S nei comuni: l’avanzata che non arriva e i sindaci che se ne vanno’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 227-234.

    Paparo, A. (2018b),’Conclusioni: verso una nuova geografia elettorale nei comuni?’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 279-283.

    Paparo, A. e M. Cataldi (2014), ‘Fi si salva alle Europee anche grazie alla concomitanza con le comunali’, in De Sio, L.,  Emanuele, V., e Maggini, N. (a cura di) Le Elezioni Europee 2014,  CISE, Dossier CISE(6), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 159-163.

    Riggio, A. (2018a), ‘Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 39-47.

    Riggio, A. (2018b), ‘Crisi dei partiti in Sicilia: m5S e Lega sconfitti, arretrano anche PD e Forza Italia’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 97-106.


    [1] L’unica ulteriore eccezione, oltre la Sicilia, è la Sardegna, in cui il primo turno delle elezioni comunali si terrà il prossimo 16 giugno.

    [2] Non si tratta, peraltro, di un caso di scuola. Cinque anni fa, osservammo che Forza Italia (un partito in crisi di consensi e identità proprio come il PD di oggi), ottenne performance relativamente migliori nella metà scarsa dei comuni in cui si votava anche per le comunali rispetto a quelli chiamati al voto solo per le europee (Paparo e Cataldi 2014).

  • Challenger’s delight: The results of the 2018 Italian general election

    Challenger’s delight: The results of the 2018 Italian general election

    Aldo Paparo, Challenger’s delight: The results of the 2018 Italian general election, Italian Political Science, Volume 13, Issue 1, pp. 63–81.

    The results of the 2018 general election were shocking. Although the main competitors were the same as in 2013 (the centre-right coalition, the centre-left coalition, and the Movimento 5 Stelle), great uncertainty sur-rounded the electoral outcome because of the application of a new electoral system, and polls data indicating the competitiveness of the multiple political formations and the high number of undecided voters. For the first time in Western European history, a successful debutant managed not to lose votes in the subsequent election. In 2013 the Movimento 5 Stelle had actually been the most successful debutant in Western Europe since 1945, and it gained over 7 percentage points, coming close to one third of the votes. At the same time, the Lega (Nord) achieved the best result in its history, with 17.3% of the national votes. Thus, these two challenger parties com-bined received over 50% of votes, while the two mainstream parties, national wings of the major European Parliament party families, both hit their historical lows, together winning less than a third of the votes. The election resulted in a hung Parliament. The centre-right coalition was first, but with far from a majority of seats.

    The Movimento 5 Stelle was the most voted party, finishing second, but close to the centre-right. The centre-left was outdistanced. In this article we describe and discuss the 2018 electoral results and their strange, largely unex-pected outcome. More specifically, we look at voter turnout and the results of the vote, both at the overall national level and with a geographical breakdown, comparing and contrasting them with Italian electoral history and the 2013 results in particular. Finally, we conclude by analysing survey data and vote shifts between 2013 and 2018 to assess the electoral dynamics behind the results.

  • L’aggregato: M5S ancora debole nei comuni, il centrodestra scavalca il centrosinistra

    L’aggregato: M5S ancora debole nei comuni, il centrodestra scavalca il centrosinistra

    Come abbiamo visto, sono stati 109 i comuni superiori ai 15.000 abitanti coinvolti dalla tornata elettorale di questa domenica. Abbiamo già analizzato i risultati in termini di numeri di comuni vinti e ballottaggi conquistati. In questo articolo analizziamo i risultati complessivi per partiti e coalizioni nell’aggregato costituito da questo insieme di comuni.

    Dobbiamo innanzitutto precisare come questo campione appaia piuttosto sbilanciato verso sud. Infatti sono ben 66 i comuni meridionali, ovvero il 62% del totale, quota che raggiunge i due terzi se guardiamo agli elettori chiamati alle urne. Così, come visibile nella Tabella 1, nel complesso dei 109 comuni, il M5S alle recenti politiche aveva sfiorato il 40% (39,2, 6,5 punti oltre lo storico risultato nazionale). Il M5S era non solo il primo partito, ma anche la prima coalizione, con oltre 5 punti di margine sul centrodestra (fermo al 33,8%), e quasi il doppio del voti del centrosinistra (19,7%).

    Quindi, le percentuali che osserveremo alle comunali non sono immediatamente interpretabili come possibili risultati elettorali che si registrerebbero in un’elezione che coinvolgesse l’intero corpo elettorale. Questa premessa è doverosa se si vuole cercare di cogliere, dai risultati di queste elezioni comunali, qualche indicazione circa la forma elettorale dei diversi attori politici.

    Ma procediamo con ordine. Nell’aggregato dei 109 comuni, in queste comunali, la prima coalizione è stata quella di centrodestra. Candidati con Forza Italia in coalizione hanno  infatti raccolto, complessivamente, il 33% dei voti maggioritari, quasi 6 punti in più di quelli sostenuti da coalizioni che comprendevano il PD (27,1%). I candidati del M5S sono invece stati scelti da poco più di un elettore su 10 (l’11,5%). Quasi un voto su cinque è invece andato a candidati civici. Quella del PD è stata la lista di partito più votata, con però appena l’11,4%, seguita dal M5S (10%), Lega (9,1%), e FI (6,7%).

    Tenendo conto dello sbilanciamento geografico del campione di comuni, queste cifre corrisponderebbero, in elezioni comunali svoltesi in tutti i comuni, a un 9,6% per i candidati del M5S, 36% per il centrodestra (con la Lega 12% e FI al 6), e 31,5% per il centrosinistra (con il PD all’11,4%). La Lega sarebbe quindi il primo partito, mentre il centrosinistra sarebbe meno lontano dal centrodestra. Comunque, anche queste cifre sono esclusivamente relative a un voto locale, per quanto distribuito su tutto il territorio, e quindi di difficile interpretabili se non contestualizzate.

    Il primo termine di paragone, per potere inquadrare i risultati delle comunali 2018 è rappresentato dalla precedente elezioni omologhe, le comunali 2013. Il M5S fa segnare una crescita di 3 punti (con tasso di crescita a pari a circa il 35%), il centrosinistra arretra di 8 punti (5 dei quali persi dal PD), con una simmetrica crescita del centrodestra, (pari a 6,6 punti), trascinata dalla Lega. Infatti, il partito di Salvini da solo è cresciuto di 7,5 punti, quasi sestuplicando il proprio risultato delle precedenti comunali, mentre FI è arretrata di quasi 4, arretrando quindi di oltre un terzo.

    Dal confronto con le comunali precedenti, emergono anche la sostanziale stabilità dei risultati dei candidati di sinistra alternativi al PD e di destra alternativi a FI, e la sparizione del centro. Cinque anni fa candidati appoggiati solamente da partiti di centro erano al 6,1%, oggi all’1,6%.

    Tab. 1 – Risultati per liste e coalizioni aggregati nei 109 comuni superiori al voto, 2013 e 2018[1] (clicca per ingrandire)tableu ITA.JPG

    Tra 2013 e 2018, tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti della politica italiana, per cui il mero confronto con le precedenti comunali, per quanto omogeneo, non è sufficiente per potere compiutamente interpretare in chiave politica i risultati di queste comunali. Torneremo sul punto fra un momento. Prima, diamo uno sguardo ai risultati registrati nelle diverse zone geopolitiche del paese. Iniziando dal Nord (Tab. 2), l’elemento che subito emerge è la maggiore concentrazione dei voti sulle liste dei principali partiti. I quattro più grandi superano complessivamente la metà dei voti (contro il 37% dell’aggregato complessivo dei 109 comuni), mentre le civiche si fermano poco oltre il 7%. La Lega è prima con il 21,8%, in crescita del 150%; segue il PD, distanziato di un punto e in calo, ma un tasso un poco più basso della media nazionale. Sono invece staccati sia FI (7,3%) che il M5S (5,6%). Forza Italia è in calo esattamente come nell’insieme dei 109, ma qui anche il M5S arretra (-32%). Il centrosinistra complessivamente cede appena un paio di punti, attestandosi comunque al 38,8%, ma è scavalcato dal centrodestra, che ne guadagna 10 (+35%).

    Tab. 2 – Risultati per liste e coalizioni aggregati nei 27 comuni superiori al voto nel Nord, 2013 e 2018 (clicca per ingrandire)tableu N.JPG

    Nella Zona Rossa il centrosinistra riesce a mantenere la palma di prima coalizione, ma ha lasciato sul terreno oltre 13 punti percentuali (-30%). Il tasso è identico a quello del PD, che perde 9 punti, fermandosi al 21,5%, comunque saldamente primo partito. La coalizione, invece è insediata dal centrodestra, che ha quasi raddoppiato il proprio risultato delle precedenti comunali, arrivando al 32,1%. Impressionante la crescita della Lega: praticamente assente alle precedenti comunali, ha raccolto un voto su sei la scorsa domenica. Anche qui, invece, FI cede circa il 40%. Sostanzialmente stabile il M5S.

    Tab. 3 – Risultati per liste e coalizioni aggregati nei 16 comuni superiori al voto nella Zona Rossa, 2013 e 2018 (clicca per ingrandire)tableu Z.JPG

    Il Sud è, come alle politiche, la Zona dove i vincitori hanno i più ampi margini di vantaggio, come già alle politiche. Stavolta, però, la coalizione vincente non è il M5S ma il centrodestra. Pur con la avanzata più bassa fra le tre zone (3 punti e mezzo, pari a un tasso di crescita del 13%), e fermandosi al risultato più basso (31,2%), infatti, ha 10 punti di vantaggio sul centrosinistra, che arretra di quasi il 30%, cedendo 8,7 punti percentuali. Il M5S raccoglie al Sud un risultato che addirittura è più basso di quello della Zona Rossa, ma qui fa registrare una crescita dell’80% (quasi 6 punti percentuali). Infine, merita di essere sottolineata l’ulteriore crescita dei voti raccolti dai candidati civici e dalle liste a loro sostegno, che superano in entrambi i casi il 20%, ma che per la competizione maggioritaria sfiorano il 25%.

    Tab. 4 – Risultati per liste e coalizioni aggregati nei 66 comuni superiori al voto nel Sud, 2013 e 2018 (clicca per ingrandire)tableu S.JPG

    Torniamo ora al nostro tentativo di ricavare da queste comunali indicazioni sullo stato di salute elettorale dei partiti. Come abbiamo detto, non è sufficiente il semplice confronto con le comunali precedenti. Per interpretare al meglio i risultati registrati alle comunali 2018, abbiamo elaborato la Tabella 5, che mostra, per le principali coalizioni e partiti, la capacità di confermare alle comunali i voti raccolti alle politiche. Si tratta di un indicatore che abbiamo sviluppato precisamente allo scopo di potere comparare le performance elettorali osservate in elezioni comunali.

    Si nota immediatamente come, fra 2013 e 2018, si registri una sostanziale stabilità nei rendimenti alle comunali. Infatti, i rendimenti delle liste dei partiti sono sostanzialmente identici. Tuttavia, si segnalano lievi flessioni nei rendimenti dei partiti mainstream (PD e FI), tutt’altro che sorprendenti se consideriamo che sono partiti di opposizione ad un governo appena formatosi; mentre la Lega migliora di poco il proprio rendimento. Sorprendentemente, invece, alla luce delle attese per i possibili effetti positivi derivanti dalla luna di miele fra il nuovo governo e gli elettori italiani (Stimson 1976), il M5S non migliora il suo basso rendimento.

    Qualche variazione di maggior rilievo, ma comunque contenuta, si osserva guardando ai dati disaggregati per zona geografica. Il M5S peggiora sensibilmente il proprio rendimento al Nord, mentre questo è leggermente in crescita nel resto del paese. Il rendimento della Lega cala leggermente al Nord, ma quintuplica nelle regioni rosse e cresce ancor di più al Sud. Interessante rilevare come nella Zona Rossa il rendimento della Lega sia addirittura migliore di quello dell’ex partito egemone, cui radicamento territoriale e classe dirigente locale dovrebbero garantire una migliore capacità di mobilitare i propri elettori anche alle comunali. Venendo quindi al PD, questo migliora di ulteriori 8 punti il proprio già lusinghiero rendimento al Nord, ma questo cala di 10 punti al Sud (mentre è stabile per la Zona Rossa).

    Anche guardando ai poli, un quadro di stabilità emerge. Il M5S ha confermato esattamente il suo scarso rendimento (appena il 27%). Il Movimento peggiora il proprio rendimento di oltre 10 punti al Nord (dove si ferma al 19%), mentre è sostanzialmente stabile nel resto del paese. Il centrosinistra si è, poi, confermato il polo con il miglior rendimento alle comunali, aumentandolo di 6 punti. Questo è dovuto principalmente al Sud, dove il rendimento del centrosinistra cresce di 17 punti, perché invece nella Zona Rossa è calato di 8 punti, fermandosi al di sotto di quota 100%.

    Il centrodestra è il polo che fa registrare la variazione più rilevante. Ha infatti migliorato il proprio rendimento alle comunali piuttosto sensibilmente, di oltre 10 punti. Questo è dovuto alla Zona Rossa e, ancor di più, al Sud, perché, al contrario, il rendimento del centrodestra al Nord è calato.

    Tab. 5 – Rendimenti elettorali alle comunali rispetto alle politiche di pochi mesi prima, 2013 e 2018ratios_aggr_zgp

    In conclusione, in attesa dei ballottaggi che stabiliranno definitivamente vincitori e vinti di queste comunali 2018, possiamo dire anche i risultati in termini di voti raccolti, come quelli in termini di amministrazioni e secondi turni conquistati, indicano chiaramente il perdurare delle difficoltà del M5S a livello locale. Neppure lo straordinario risultato del 4 marzo e la formazione del primo governo con suoi esponenti ha cambiato questa ricorrenza empirica. Non solo ha raccolto risultati ben più magri che alle politiche, ma non è riuscito neanche a migliorare il quanto più magri i suoi risultati locali siano rispetto a quelli politici nazionali. Queste comunali confermano, tuttavia, anche la trasformazione della geografia elettorale del M5S fra 2013 e 2018 osservata alle politiche, con una crescita concentrata nel Sud.

    Al contrario, il partner di governo del M5S, la Lega, in queste comunali ha fatto bene, migliorando il proprio rendimento al centro-sud, e guidando così l’avanzata del centrodestra, che è diventata la prima coalizione alle comunali nell’insieme delle 109 città, nonostante un calo abbastanza generalizzato fra le diverse zone del paese di FI. Il PD e la sua coalizione si sono difesi abbastanza bene, ma soprattutto al Nord, mentre cali di rendimento si osservano al centro-sud (per l’uno o per l’altra).

    Riferimenti bibliografici

    Stimson, J. A. (1976), ‘Public support for American presidents: A cyclical model’, Public Opinion Quarterly40(1), pp. 1-21.


    [1] Nei dati delle comunali 2018 mancano una sezione ad Ancona, Siracusa e Treviso (in quest’ultimo caso solo per le liste), e due sezioni a Volla, per le quali non erano ancora disponibili i dati al momento della pubblicazione di questo articolo.


    NOTA: Nella parte superiore di ciascuna tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari. Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (sindaco o di collegio), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013, abbiamo considerato quali i voti raccolti ai candidati quelle delle coalizioni (che sostenevano un candidato premier).

    Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o il PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Nella categoria partiti di sinistra rientrano: RifCom, PC, PCI, PAP, FDS, SEL, SI, MDP, LEU, RivCiv. Nella categoria altri partiti di centro-sinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA.

    L’insieme dei candidati sostenuti da almeno una di queste liste, ma non dal PD, costituisce il polo di sinistra alternativa al PD della parte inferiore della tabella. Il polo di centro-sinistra somma, invece, i candidati nella cui coalizione compare (anche) il PD.

    Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CivP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Il polo di centro è formato da candidati sostenuti da almeno uno di questi.

    Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT. Il polo di destra somma i candidati sostenuti da almeno uno di questi o da Lega o FDI, ma non da FI/PDL. Il polo di centro-destra, invece, è la somma dei candidati nella cui coalizione compare (anche) FI (o il PDL).

  • Il M5S sfata il tabù Messina mentre crolla Forza Italia

    Il M5S sfata il tabù Messina mentre crolla Forza Italia

    La notevole crescita elettorale del M5S rinviene al traino del suo exploit al Sud, area dove sistemi locali a competizione ristretta, con classi al governo “in-vulnerabili”, producono sovente proteste centrifughe e non convenzionali [Raniolo 2010]. I risultati siciliani permettono al Movimento di accaparrarsi tutti i 28 collegi uninominali assegnati all’Isola divisi tra Camera e Senato. Un esito impronosticabile alla vigilia, specie in quelle realtà dove i Cinque Stelle scontavano il retaggio di un trend politico-elettorale sfavorevole. Paradigmatica Messina, la cui provincia assurse a maglia nera nelle consultazioni regionali del passato 5 novembre. Il territorio peloritano fu l’unico dove Cancelleri ottenne meno del 30% (27,2%), con la lista provinciale collegata sotto al 20% (19,7%). Anche guardando ai comuni capoluogo, Messina risultò quello in cui il risultato di Cancelleri fu il più basso (30,2%). Eppure, in Sicilia le elezioni politiche mobilitano sempre più che quelle regionali [Riggio 2018], di modo da rendere pivotale il ruolo dell’affluenza. Questa – nel capoluogo messinese – s’attesta attorno al 63%, pressoché identica alle politiche 2013 (Tab. 1). Così, il 4 marzo il Movimento ha raccolto a Messina il 45% dei voti: un aumento di 18 punti rispetto alle precedenti politiche, di 15 punti rispetto alle regionali di pochi mesi prima.

    Subisce – a livello coalizionale – maggiori perdite il centrosinistra, che arretra di 7 punti percentuali (dal 26,1% al 19,1%), 5,7 dei quali costituiti dal Partito Democratico, adesso al 16,5%. Potrebbe aver influito la transumanza del gruppo affiliato all’asse Genovese-Rinaldi: cinque anni fa entrambi militavano nel PD, col primo rieletto alla Camera e il secondo – qualche mese prima – riconfermato all’ARS. Nel gennaio 2016 i due però passarono a Forza Italia. Ciò nonostante, proprio tra le fila berlusconiane si registra la flessione più marcata in ambito partitico: la lista guidata da Berlusconi lascia sul terreno 7 punti percentuali rispetto al PDL del 2013 (27,8% contro 20,8%). A ragione, la contrazione del risultato complessivo del centrodestra si presenta contenuta (-1,1%) poiché attenuata dall’avanzamento di Fratelli d’Italia e Lega, i quali rispettivamente oltrepassano il 3% e il 5%. A dare contezza della diversa postura adottata dall’elettorato, si pensi che alle passate consultazioni regionali la lista unitaria presentata dai due partiti sovranisti (Fratelli d’Italia – Noi con Salvini) si fermò al 4,9%, cioè quasi la metà di quanto complessivamente conseguito alle elezioni del 4 marzo.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Messina, 2013 e 2018ris

    I flussi elettorali relativi alle destinazioni dei bacini elettorali del 2013 verso quelli del 2018 (Tab. 2) non differiscono significativamente da quelli già analizzati a Reggio Calabria [Paparo 2018]. Procedendo a un raffronto, a Messina vengono esacerbate alcune tendenze già evidenziate sull’altra sponda dello Stretto. Il primo dato a imporsi, consideratene la mole, è l’alto tasso di fedeltà per il M5S. Il 90% di quel sesto di elettorato messinese che cinque anni addietro sostenne il M5S ha replicato altrettanto il 4 marzo.

    Il Movimento gode di un elettorato molto più affezionato che quello delle altre forze politiche. Infatti, per rintracciare la seconda migliore percentuale – escludendo il non voto – indicante chi adottò la stessa scelta nell’urna nei due appuntamenti elettorali, occorra scendere fino al 46%, rappresentato dalla coalizione di Berlusconi nel 2013 in favore di Forza Italia nel 2018. Complessivamente, il 56% degli elettori 2013 del centrodestra ha rivotato una delle forze della coalizione nel 2018. Un dato identico a quello emerso a Reggio Calabria, e di poco superiore a quello di Napoli, a certificazione della diffusa volatilità insita nell’elettorato meridionale [Raniolo 2010].

    L’elemento maggiormente discordante rispetto al dato reggino si rintraccia nel Partito Democratico. Appena il 27% tra coloro che votarono la coalizione di Bersani hanno riposto ora la propria fiducia ai dem: oltre 10 punti di fedeltà in meno che oltre lo Stretto. Nel complesso, appena un terzo ha rivotato centrosinistra, contro la metà di Reggio. Si tratta dei valori minimi fra tutte le città che abbiamo analizzato finora, ancor più bassi di quelli registrati a Napoli – dove tuttavia la capacità attrattiva del campione locale Di Maio, in corsa per la guida del paese, poteva spiegare un particolarmente alto tasso di defezione. A Messina, invece, ben il 44% di dell’elettorato 2013 del centrosinistra ha preferito non votare: 9 punti percentuali in più di quanto l’abbia fatto nel campo opposto quello berlusconiano.

    Corroborano quanto detto le destinazioni del cartello riunitosi attorno a Monti nel 2013: i due terzi di quanti a Messina votarono la proposta dell’allora presidente del Consiglio uscente s’indirizza al PD, addirittura i tre quarti al centrosinistra nel suo insieme. Matura quindi una tendenza già anticipata (anche al Sud, seppur in misura inferiore) nel maxi-sondaggio pubblicato dal CISE nelle settimane antecedenti le elezioni, e riscontrata nelle analisi cittadine post-elettorali. Messina – secondo questa prospettiva – appare ancor di più come la lievitazione di tendenze già visibili altrove. Infatti, qui, il gradimento dell’elettorato centrista del 2013 per la proposta 2018 di centrosinistra raggiunge il proprio massimo.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Messina fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)[1]dest

    Il flusso da Monti al PD è così altro che, complice anche la scarsa fedeltà degli elettori di Bersani, la composizione totale del voto al partito di Renzi viene quasi egualmente divisa tra elettori 2013 di Bersani e Monti (Tab. 3). Si tratta di un dato unico fra le città analizzate: sempre infatti dall’elettorato centrista 2013 proviene una quota significativa del PD 2018, ma pari a meno di un terzo di quella in arrivo dalla coalizione 2013 di Bersani. Eccezionale del caso messinese è anche la minima quota proveniente dal centrodestra 2013.

    L’elettorato più compatto, a fronte dell’esiguità della sua consistenza numerica, corrisponde a Liberi Uguali. I tre quarti avevano infatti sostenuto cinque anni fa la coalizione Italia Bene Comune. LeU non riesce, smentendo i propositi della vigilia, ad attrarre il bacino dei Cinque Stelle. Dato molto simile per Forza Italia: il 70% dei suoi elettori erano elettori del centrodestra nel 2013. Il resto proviene da astenuti del 2013. Si tratta di una rimobilitazione davvero notevole, che vale quasi un elettore messinese su 30.

    Il bacino elettorale 2018 del Movimento risulta invece bipartito, analogamente a quello del centrosinistra. Il 55% sono riconferme di elettori 2013. Ben il 42% proviene invece da elettori che cinque anni fa non avevano votato. Complessivamente, la nostra analisi mostra che un elettore messinese su 9 ha votato Movimento il 4 marzo e non aveva votato nel 2013. Il sostegno al M5S – a Messina come in altre città del Meridione – ha posto così un argine all’astensione, flebilmente in calo e inaspettatamente alta.

    Le dimensioni della Lega – in Sicilia come in altre realtà del Sud – non consentono forse di mapparne adeguatamente l’estrazione politico-culturale degli elettori. Questo tuttavia non ridimensiona il 28% – tra il bacino leghista – proveniente dalla coalizione di Bersani, nonché – col medesimo riferimento al centrosinistra – il 34% dell’elettorato di Fratelli d’Italia. Si tratta di flussi che, pur non raggiungendo l’1% dell’elettorato, valgono lo 0,8% e lo 0,7% rispettivamente, risultando così marginalmente significativi.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Messina fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Messina. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a destra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Possiamo immediatamente apprezzare i rilevanti fenomeni di astensionismo asimmetrico, che hanno punito le due coalizioni tradizionali, (che hanno perso molti elettori verso il non voto), e favorito il M5S – che, al contrario, si è dimostrato capace di rimobilitare una quota notevole di astenuti del 2013. Il caso messinese è infatti, fra tutte le città che abbiamo analizzato, quello in cui l’astensionismo intermittente è risultato massimo. Ben il 14% dell’elettorato complessivo ha infatti votato (M5S e in misura assai minore FI) il 4 marzo, non avendo votato cinque anni prima. Una quota identica si è invece astenuta nel 2018 dopo avere votato (centrodestra e centrosinistra) nel 2013.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Messina fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    L’esito di Messina avvalora una certa stabilizzazione del consenso al M5S – specie nelle regioni del Sud – nella misura in cui non attrae più fasce di altri schieramenti (0% per le coalizioni di Bersani e Monti, soltanto il 4% da quella di Berlusconi), quanto al contrario si rivela capace di preservare la propria base e, al contempo, espanderla, conquistando un’importante fetta di elettorato aliena alle urne nel 2013. Intere schiere rimobilitatesi per l’occasione, e di cui soltanto i flussi – presumibilmente – tra le politiche del 2008 e del 2018 chiarirebbero la provenienza, ma che a primo impatto – vista la relazione diretta tra tasso di disoccupazione e rendimento elettorale [D’Alimonte 2018] – parrebbero riconducibili a un profilo non dissimile da quello del bacino del MSI negli anni Settanta, ovviamente sempre al Sud: individui uniti non da un’idea politica ma “dall’immediato tornaconto, dal malcontento o dal desiderio di improbabili rivincite” [Nuvoli 1989].

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte R., (2018), Perché il Sud premia il M5S, CISE (Centro Italiano Studi Elettorali).

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Nuvoli P., (1989), Il dualismo elettorale nord-sud in Italia: persistenza o progressiva riduzione?, in «Quaderni dell’osservatorio elettorale», 23, pp. 67-110.

    Paparo A., (2018), A Reggio Calabria il M5S avanza di 10 punti grazie a rimobilitazione-record dal non voto, CISE (Centro Italiano Studi Elettorali).

    Raniolo F., (2010), Tra dualismo e frammentazione. Il Sud nel ciclo elettorale 1994-2008, in D’Alimonte R., Chiaramonte A. (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino.

    Riggio A. (2018), ‘Il Gattopardo in laboratorio: la Sicilia al voto’, in Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE(10), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 229-234.

    Riggio A. (2018), ‘Sicilia, la geografia del voto’, in Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE(10), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 257-262.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 254 sezioni elettorali del comune di Messina. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 22 unità in tutto. Il valore medio dell’indice VR è pari a 14,1.


    [1] Ringraziamo il Dipartimento Sistemi Informativi del comune di Messina per averci messo a disposizione i dati degli elettori delle politiche 2018 per sezione.

  • A Napoli il M5S supera il 50% con ingressi da tutte le direzioni

    A Napoli il M5S supera il 50% con ingressi da tutte le direzioni

    Le elezioni politiche del 4 marzo a Napoli hanno visto uno straordinario successo del M5S. Nel comune partenopeo, i candidati targati Movimento hanno raccolto complessivamente oltre il 50% dei voti validi (Tab. 1). Confrontando questo dato con quello del 2013, l’avanzata del M5S appare davvero incredibile: ha più che raddoppiato il proprio risultato elettorale, sia in termini percentuali sui voti validi, sia nei valori assoluti.

    Si tratta, peraltro, di un risultato particolarmente eclatante in quanto inatteso alla luce anche dei più recenti risultati elettorali nel capoluogo campano, che non avevano mostrato una crescita del Movimento dopo il 2013, quanto il progressivo rafforzamento della leadership del sindaco De Magistris. È vero che alle Europee del 2014 il Movimento era cresciuto a Napoli di un paio di punti rispetto alle politiche, contrariamente a quanto avvenuto nel resto del paese. Ma dopo di allora non era apparso affatto brillante né alle regionali del 2015, né alle comunali dell’anno seguente. In nessuno dei due casi, il Movimento era riuscito a piazzarsi fra i primi due, penalizzato forse anche dalla competizione maggioritaria per l’elezione del vertice del governo (regionale e comunale). Alle comunali di due anni fa, il suo candidato era addirittura giunto quarto, con meno del 10% dei voti.

    La presenza dell’enfant du pays Luigi Di Maio come candidato al governo del paese può avere giocato un ruolo nel determinare un così marcata avanzata del partito da lui guidato. Non dobbiamo dimenticare come la presenza di Di Maio come capo politico del Movimento abbia rappresentato la prima volta di un meridionale candidato (seppur indirettamente) alla guida del governo per una delle forze competitive per la vittoria da quando, nel 1994, si è inaugurata la stagione dell’investitura popolare a Palazzo Chigi per il capo della coalizione vincente le elezioni. Nel centrodestra il candidato è stato sempre il milanese Berlusconi, fino a questo 2018 quando è stato sostituito dal concittadino Salvini e dai romani Tajani e Meloni quali potenziali premier. Nel centrosinistra si sono succeduti Occhetto (Torino), Prodi (Bologna), Rutelli (Roma), Veltroni (Roma), e Bersani (provincia di Piacenza). Nel 2013, quando si incrinò il bipolarismo, il M5S aveva il genovese Beppe Grillo come capo della coalizione, e a completare il quadro c’era il milanese Monti. Nessuno, dunque, a sud di Roma. Fino a Di Maio. Si tratta di un elemento che forse non è stato messo sufficientemente in risalto nell’interpretazione dell’eccezionale risultato elettorale conseguito al Sud dal M5S – non a caso, forse, con il proprio risultato migliore proprio in Campania (il 49,8%). A conferma della notevole partecipazione dell’elettorato napoletano alle sorti di queste elezioni politiche possiamo leggere un altro dato sorprendente mostrato dalla Tabella 1: l’aumento (seppur minimo) dell’affluenza, che passa dal 60,1% del ’13 al 60,5%.

    Di fronte a questa irresistibile avanzata del Movimento, tutte le altre forze politiche fanno registrare un arretramento. Il centrodestra, che cinque anni fa era prima coalizione nel comune di Napoli, con un vantaggio davvero minimo sul centrosinistra, lascia sul terreno 8 punti, scendendo dal 30,3% al 23,3%. Forza Italia arretra di quasi 10 punti, mentre fanno segnare delle modeste avanzate sia la Lega che FDI.

    Ancor più marcato il calo del centrosinistra, che, complice anche la diminuzione del numero di elettori del comune di Napoli, ha quasi dimezzato il proprio totale di voti, passando da 135.000 a 76.000. In termini percentuali si tratta di un calo che sfiora i 13 punti, con il solo PD in calo di oltre 10.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Napoli, 2013 e 2018risultati

    Alla luce di questo incredibile ribaltamento del risultato, che ha portato il M5S dall’essere la terza forza nel 2013, ad avere ricevuto il 4 marzo più voti di centrosinistra e centrodestra messi insieme, è rilevante comprendere quali spostamenti di elettori lo abbiano determinato. Abbiamo quindi stimato i flussi elettorali del comune di Napoli fra le elezioni politiche del 2013 e quelle del 2018.

    Come possiamo osservare nella Tabella 2, quote rilevanti e curiosamente simili di tutti i bacini elettorali del 2013 si sono riversate sul M5S lo scorso 4 marzo. In particolare, hanno scelto il Movimento il 4 marzo un quinto di quanti avevano allora votato la coalizione guidata da Bersani, un quinto di quanti avevano scelto i partiti del centrodestra cinque anni fa, e un quinto di coloro che non avevano votato nel 2013. L’unica eccezione è l’elettorato di Monti, per il quale il voto al Movimento non è stata una opzione.

    I flussi indicati significano che un elettore napoletano su 11 ha votato il M5S il 4 marzo dopo essersi astenuto nel 2013, uno su 26 aveva votato Bersani, uno su 29 Berlusconi. Complessivamente, la quota di astensionismo intermittente a Napoli sfiora il 10% dell’elettorato, molto simile, seppur di poco inferiore, a quella massima osservata a Reggio Calabria.

    La Tabella 2 mostra come, anche in virtù di forti defezioni verso il non voto, i tassi di fedeltà per gli elettorati delle due ex poli del bipolarismo italiano non raggiungano il 50%: 49% per il centrodestra, addirittura il 39% per il centrosinistra. Si tratta per entrambi dei valori minimi fra tutti i casi che abbiamo analizzato, inferiore anche a quelli di Cagliari e Rimini per il centrosinistra, per la prima volta al di sotto di quota 50% per il centrodestra (anche se non molto inferiore a quelli osservati in altre città meridionali).

    Addirittura, la nostra analisi mostra come il centrosinistra 2018 sia stato più appetibile per l’elettorato 2013 di Monti (il 43% lo ha votato, contro il 36% che ha scelto il centrodestra), di quanto non lo sia stato per chi cinque anni fa votò Bersani. Questo singolare fenomeno lo avevamo già evidenziato a Torino.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Napoli fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)dest

    Guardando ora alla Tabella 3, possiamo capire come siano composti gli attuali elettorati dei diversi partiti a Napoli, in termini di bacini elettorali del 2013. Naturalmente, il caso più interessante è quello del M5S. Il 40% dei suoi elettori del 4 marzo lo aveva già votato cinque anni fa. Il 30% si era invece astenuto. Porzioni molto simili, pari circa a un ottavo del totale, provengono dalle due coalizioni di centrosinistra e centrodestra.

    Per quanto riguarda Forza Italia, i tre quarti dei suoi elettori lo erano già nel 2013, un ottavo avevano votato Monti, e nessun altro ingresso è significativo. Venendo infine al PD, mostra la composizione ormai consueta: circa il 70% dal bacino di Bersani, il 20% da quello di Monti, il resto da Berlusconi.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Napoli fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Napoli. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Dall’immagine si evince la straordinaria capacità d’attrazione del M5S, che è formato da bande di tutti i colori. Certo quella gialla dei suoi elettori 2013 è la più grande, ma quasi un terzo dei suoi voti 2018 provengono da astenuti del 2013, e un quarto, poi, dalle due ex coalizioni principali – in misura pressoché identica.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Napoli fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    Concludendo, possiamo dire che la nostra analisi dei flussi elettorali nel capoluogo campano ci ha permesso di comprendere quali movimenti di elettori abbiano contribuito all’eccezionale successo del M5S. In particolare, abbiamo potuto evidenziare i forti ingressi dal non voto e quelli simmetrici dai due poli. Di contro, abbiamo riscontrato i più bassi tassi di fedeltà per i bacini 2013 di Berlusconi e Bersani. Per quest’ultimo è stato così basso (39%) da risultare inferiore alla porzione di elettori di Monti ad avere votato il centrosinistra.

    Riferimenti bibliografici

    Borghese, S., e Mezzio, F. (2015), ‘In Campania De Luca consuma la propria vendetta’, in Paparo, A., e Cataldi, M. (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 295-300.

    Cataldi, M., e Paparo, A. (2016), ‘De Magistris stravince con i suoi soli voti: i flussi elettorali fra primo e secondo turno a
    Napoli’, in Emanuele, V., Maggini, N., e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 159-162.

    Cataldi, M., Emanuele, V., e Paparo, A. (2012). Elettori in movimento nelle Comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli. «Quaderni dell’Osservatorio elettorale», 5-43.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Paparo, A., e Cataldi, M. (2016), ‘L’avanzata prorompente di un nuovo leader? L’analisi dei flussi a Napoli’, in Emanuele, V., Maggini, N., e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 65-68.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 884 sezioni elettorali del comune di Napoli. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 69 unità in tutto. Abbiamo effettuato analisi separate in ciascuno dei quattro collegi uninominali della Camera, poi riaggregate nelle stime cittadine qui mostrate. Il valore medio dell’indice VR per le quattro analisi è pari a 12,6.

  • Cagliari: il centrosinistra perde 1/3 dei voti nonostante le entrate dal centrodestra

    Cagliari: il centrosinistra perde 1/3 dei voti nonostante le entrate dal centrodestra

    Le elezioni politiche dello scorso 4 marzo in Sardegna hanno visto il trionfo del M5S. I suoi candidati hanno infatti conquistato tutti i collegi uninominali sia alla Camera che al Senato. Tuttavia, questo primo risultato non deve ingannare. In Sardegna nel 2018 il Movimento è andato meno bene che altrove. E questo contrariamente al 2013. Infatti, se cinque anni fa il risultato raccolto dal M5S in Sardegna (sfiorò il 30%) era superiore sia a quello nazionale (25,6%), sia a quello del Sud (27,3%), quest’anno non è stato così. Certo, è cresciuto molto: quasi 13 punti, arrivando a un ragguardevole 42,5%. Ma è rimasto al di sotto del risultato medio complessiva del Sud (43,4%), così come in termini di crescita rispetto al 2013.

    Anche nel capoluogo sardo, il M5S è arrivato primo (raccogliendo un terzo dei voti circa) seppur con una crescita piuttosto bassa se comparata al resto del Meridione: circa 7 punti percentuali. Il Movimento batte di un paio di punti la coalizione di centrodestra, all’interno della quale si segnala l’incredibile crescita della Lega, passata dai 68 voti del 2013 a oltre un decimo dei voti totali quest’anno.

    Anche a Cagliari il centrosinistra è solo terzo: arretrando di oltre 8 punti, si ferma al di sotto del 25%, ben staccato dai due reali contendenti. Il crollo del centrosinistra è davvero impressionante. Complici il calo della partecipazione particolarmente marcato (specialmente per il Sud) e la diminuzione del corpo elettorale cagliaritano, dal 2013 al 2018 la coalizione contenente il PD passa dal poco meno di 30.000 voti a poco meno di 20.000, perdendone quindi per strada quasi 10.000, un terzo.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Cagliari, 2013 e 2018risultati

    Dove sono andati a finire questi voti di Bersani? Certo, LeU ha fatto segnare un risultato relativamente buono, specie per un comune al di fuori della Zona Rossa, ma ha guadagnato un migliaio di voti…

    E quali altri movimenti di elettori hanno determinato i risultati elettorali che abbiamo appena descritto? Per rispondere a questi interrogativi di ricerca occorre guardare alle stime dei flussi elettorali fra 2013 e 2018 che abbiamo elaborato. La Tabella 2 mostra come in realtà la quota di elettori 2013 del centrosinistra che non lo hanno rivotato è ben più alta di un terzo: supera infatti il 50%. Appena un terzo ha scelto il PD, mentre uno su otto ha comunque votato per la coalizione. Per quanto nel contesto del crollo elettorale del 4 marzo, si tratta comunque di tassi di fedeltà particolarmente negativi. Solo a Rimini una così bassa quota (il 47%) di elettori 2013 ha rivotato la coalizione, mentre il coefficiente verso il PD è il più basso in assoluto fra tutti i casi che abbiamo analizzato finora.

    Prendendo quindi in esame quella metà abbondante degli elettori 2013 di Bersani che non hanno votato centrosinistra il 4 marzo, una quota pari a ha un ottavo dei voti totali della coalizione di allora ha scelto LeU. Oltre uno su cinque ha invece scelto il M5S. Questo flusso sfiora il 5% dell’elettorato totale: ciò significa che ogni 21 elettori, uno ha votato il M5S il 4 marzo dopo avere votato Bersani nel 2013. Si tratta di un flusso davvero rilevante, esattamente pari a quelli osservati a Padova, inferiore per consistenza solo a quelli di Prato e Venezia. Si rilevano poi fuoriuscite meno numerose ma significative verso l’astensione e forze minori, mentre nessuno ha defezionato per il centrodestra – consolazione davvero magra.

    Come fa il centrosinistra a non arretrare del 50%, avendo perso oltre la metà dei suoi elettori 2013? La risposta è ancora nella Tabella 2, ed è semplice: nuovi voti. In particolare si segnalano movimenti verso il centrosinistra da parte di elettori che nel ’13 votarono Monti e Berlusconi. Riguardo ai primi, uno su tre ha scelto la coalizione guidata da Renzi (contro meno di un quarto verso il centrodestra, mentre il 40% si è astenuto).

    Quanto agli elettori 2013 del centrodestra, ben uno su 8 ha preferito il centrosinistra quest’anno. Si tratta di un flusso che complessivamente vale oltre il 2% dell’elettorato cagliaritano, un elettore ogni 47. Tra tutti i casi che abbiamo analizzato, solo a Rimini abbiamo evidenziato una consistenza superiore per questo flusso di elettori, che in ogni caso è sempre presente e quasi sempre significativo.

    La Tabella 2 permette di evidenziare alcuni altri flussi significativi. In primis quello dal M5S alla Lega, che vale un cagliaritano ogni 74. Si tratta dell’unico flusso di questa natura a risultare significativo fra i casi meridionali analizzati. Poi, emergono tre rimobilitazioni dal bacino del non voto: quelle verso FI e Lega, che pesano circa l’1% dell’elettorato; e quella, ben più consistente, verso il M5S (3,6% del corpo elettorale). Da sottolineare come, comunque, la quota di astensionisti intermittenti (il 6% dei cagliaritani), seppur rilevante, risulti comunque largamente inferiore a quella emersa in altri comuni del Sud.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Cagliari fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)[1]dest

    Complessivamente, dunque, l’elettorato 2018 del centrosinistra, nonostante la contrazione numerica, è fatto per solo il 70% di suoi elettori 2013. Un decimo viene da Monti, addirittura un quinto da Berlusconi (Tab. 3).

    Triplice anche la composizione dell’elettorato del M5S: poco più del 60% sono elettori fedeli, un quinto erano elettori di Bersani e ben un sesto sono elettori che non avevano votato nel 2013.

    La Lega a Cagliari prende meno della metà dei suoi voti dal bacino 2013 del centrodestra. Nulla viene da sinistra. Un quinto erano elettori di Grillo. Come per il M5S, uno su sei si era astenuto. Completa il quadro la porzione non irrilevante (un ottavo) arriva da partiti minori del 2013.

    Infine, l’elettorato di Forza Italia è composto per i cinque sesti da elettori 2013 del centrodestra, con l’unico ingresso significativo dal bacino del non voto. Da segnalare come nessun elettore di Monti abbia scelto di partito di Berlusconi. Questa totale refrattarietà dell’elettorato Montiano al richiamo di Forza Italia è piuttosto singolare. Fra tutte le grandi città analizzate, l’abbiamo riscontrata solo a Reggio Calabria; mentre in tutti gli altri casi si segnala un certo spostamento di elettori in tale direzione, sempre superiore all’1% dell’elettorato tranne che a Rimini (dove vale lo 0,7%).

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Cagliari fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Cagliari. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a sinistra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Dall’immagine si evincono innanzitutto gli ingressi rossi e marroni per il M5S, provenienti da Bersani e non voto. Inoltre si apprezzano, meno grandi ma ben visibili, il flusso blu dal centrodestra ’13 al PD ’18, e quello giallo dal M5S ’13 alla Lega ’18.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Cagliari fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    In conclusione, la nostra analisi dei flussi elettorali nel capoluogo sardo rivela come solo un terzo degli elettori di centrosinistra abbia votato PD, mentre oltre il 20% abbia scelto il M5S. Si tratta di una quota particolarmente alta, più in linea con quanto osservato al Centro-Nord che non al Sud. L’altro elemento che merita una sottolineatura finale è il sorprendentemente elevato numero di elettori di centrodestra del 2013 che ha scelto il centrosinistra nel 2018. Fenomeno che certo non era rintracciabile nell’analisi del risultato elettorale attraverso i semplici saldi netti.

    Riferimenti bibliografici

    Draghi, S. (1987). L’analisi dei flussi elettorali tra metodo scientifico e dibattito politico, «Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica», 17(3), pp. 433-455.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Plescia, C., e De Sio, L. (2017). An evaluation of the performance and suitability of R× C methods for ecological inference with known true values, «Quality & Quantity», pp. 1-15.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 174 sezioni elettorali del comune di Cagliari. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 13 unità in tutto. Il valore dell’indice VR per le stime qui riportate è risultato pari a 12,9.


    [1] Ringraziamo l’Ufficio Elettorale del comune di Cagliari per averci messo a disposizione i dati degli elettori delle politiche 2018 per sezione.