Autore: Aldo Paparo

  • Focus sull’area grigia: atteggiamenti e opinioni politiche

    di Aldo Paparo

    Dopo aver guardato alle caratteristiche sociodemografiche, in questo articolo confrontiamo il gruppo di chi non risponde con il nome di un partito alla domanda “Cosa voterebbe se domani ci fossero nuove elezioni politiche?”, con quello costituito da coloro che invece indicano il partito che sono intenzionati a votare, riguardo le opinioni da loro espresse in risposta alle nostre domande più politiche.

    La tabella 1 riporta come si sono divisi su queste domande i due gruppi che desideriamo comparare. Abbiamo nuovamente evidenziato in giallo le categorie sovrarappresentate nell’area grigia ed in blu quelle maggiormente concentrate nel voto valido.

    Tab.1 –Attitudini verso la politica e opinioni politiche per il gruppo di coloro che non dichiarano il partito per il quale voterebbero in caso di elezioni immediate, a confronto con quelli che invece esprimono un’intenzione di voto.

    Notiamo innanzitutto che coloro che non rispondono alla domanda sul partito risultano essere meno interessati alla politica ed anche meno informati. Con l’allargarsi dell’area grigia nelle tre ondate c’è stato un indebolimento della differenza con il gruppo del voto valido, che è comunque rimasta sensibilmente marcata.

    Non vi sono grosse differenze per quel che riguarda la percezione del problema più impellente che il governo dovrebbe risolvere. In entrambi i gruppi oltre la metà ha citato il lavoro, seguito dallo sviluppo economico con il 15% circa, con poi le tasse appena sotto il 10%. Se nella precedente ondata l’area grigia si mostrava meno interessata allo sviluppo e più attenta alla scarsa qualità del personale politico, oggi ciò non è più vero.

    Invece si registrano profonde divergenze circa la capacità di risoluzione del problema: oggi oltre tre elettori su cinque fra quanti non esprimono un’intenzione di voto ad un partito pensano che nessuno sia in grado di risolverlo, mentre fra gli altri sono meno di due su cinque quelli che la pensano così. Interessante sottolineare l’evoluzione della percezione della capacità dei tecnici: a dicembre non si registravano grosse differenze fra i due gruppi, con un quarto circa di entrambi che citava il governo Monti come il più abile; sei mesi dopo tale porzione si è dimezzata nell’area grigia, così nel voto valido sono oltre 10 punti percentuali in più quanti ancora mettono l’attuale governo al primo posto per capacità di dare soluzioni.

    Non sorprende certamente che vi sia una profonda divergenza nell’identificazione con un partito fra i due gruppi. I non identificati nell’area grigia, in costante crescita nonostante il suo ampliamento, sono oggi quasi tre su quattro; nel gruppo del voto valido invece rimangono meno di due ogni cinque. Né può meravigliare quanto osserviamo in termini di autocollocazione sull’asse destra/sinistra: la porzione di chi rifiuta di collocarsi rappresenta stabilmente un quarto dell’area grigia, mentre è appena un ventesimo nel voto valido. Anche il centro risulta significativamente più cospicuo nel gruppo degli incerti, mentre sono assai meno presenti coloro che si collocano nel centrosinistra e, anche se in misura inferiore, nel centrodestra.

    Veniamo ora alla composizione dei due gruppi in termini di elettorati 2008: i partiti che fra i propri elettori del 2008 ne hanno meno fra gli incerti è ragionevole ipotizzare che dovranno fare più fatica per aumentare i propri voti fra oggi e le politiche; mentre chi ha tanti suoi ex sostenitori delusi ma ancora non ricollocati ha certamente buone possibilità di crescere con la campagna elettorale. Ebbene nel 2011 il Pd era meno della metà del Pdl fra i rispondenti dell’area grigia. Nell’ultima rilevazione si mantiene una notevole differenza fra gli elettori 2008 dei due partiti che oggi sono incerti, tanto che nel voto valido la provenienza dal Pd è ancora la più numerosa, ma vi è stato un avvicinamento: sono aumentati gli elettori Pd 2008 nell’area grigia. Naturalmente gli astenuti del 2008 tendono a collocarsi più nell’area grigia, anche se con la sua crescita ne rappresentano una porzione calante.

    Sottoponendo i nostri intervistati ad una serie di domande che chiedono loro per ciascun partito qual è la probabilità che in futuro possano votarlo, possiamo conoscere per ogni soggetto qual è valore massimo ed il partito che lo ottiene. Allo stesso modo chiediamo quanto è probabile che il rispondente possa in futuro astenersi. Nella tabella abbiamo riportato, per i due gruppi oggetto della nostra comparazione, come essi si dividano fra le possibili opzioni di voto in termini di massima propensione. Non sorprende che una metà circa degli indecisi assegni la più alta probabilità all’astensione, questo però significa che vi è un’altra metà che non ha attribuito il punteggio massimo al non voto. E fra questi va particolarmente male il Pd, che è addirittura il terzo partito. L’Udc è passata dalla sovrarappresentazione dei primi posti nell’area grigia di un anno fa, alla netta sottorappresentazione di questa primavera. Il Pdl è invece il partito che raccoglie il maggior numero di primi posti fra questi elettori, presso cui si dimostra particolarmente popolare anche il Mov. 5 stelle. Il Fli è l’unico partito che oggi ha percentualmente più primi posti nell’area grigia che nel voto valido.

    Infine possiamo osservare come i due gruppi la pensino su alcune questioni concrete che abbiamo ripetutamente indagato nelle successive ondate. I rispondenti dell’area grigia si dimostrano meno inclini alle posizioni progressiste sia sui temi etici sia su quelli più economici. Fra questi infatti sono assai meno, anche se sempre più della metà, coloro che si dichiarano favorevoli a forme di tutela delle coppie di fatto e all’estensione alle coppie omosessuali dei diritti. Anche per l’automaticità della cittadinanza italiana per i figli di immigrati nati nel nostro paese, la maggioranza di favorevoli è meno ampia nell’area grigia; invece sono di più, seppur di poco, coloro che ritengono che la legge debba obbligare la nutrizione artificiale per i malati in stato di incoscienza. Venendo agli aspetti più economici, l’area grigia è più aperta ad una riduzione dei servizi sociali allo scopo di abbassare la pressione fiscale e si dimostra meno incline a spendere di più pur di non inquinare, soprattutto se nella domanda si fa esplicito riferimento alla propria bolletta; l’unico dato in controtendenza con la generale connotazione di più conservatrice dell’area grigia è la minor vicinanza alle istanze delle aziende per una maggiore flessibilità in uscita.

    In conclusione coloro che dichiarano di volersi astenere o di essere a vario titolo incerti presentano un profilo di maggiore distanza dalla politica rispetto al resto della popolazione: interesse, informazione, identificazione e fiducia  risultano nettamente più basse. Inoltre si evidenziano caratteristiche più vicine al centrodestra che al centrosinistra: lo dimostrano sia le posizioni sulle issues, ma anche la notevole differenziazione della sottorappresentazione fra le due aree politiche sia nell’autocollocazione, sia nella provenienza 2008 che infine per quanto riguarda il massimo ptv.

  • Focus sull’area grigia: caratteristiche sociodemografiche

    di Aldo Paparo

    In un precedente articolo abbiamo presentato i dati relativi alle intenzioni di voto, sottolineando come nel corso dell’ultimo anno si sia registrato uno straordinario aumento di quanti non rispondono alla domanda su quale partito voterebbero in caso di elezioni politiche immediate. Abbiamo anche evidenziato come non sia realistico che appena il 40% circa degli elettori esprima un voto valido alle prossime elezioni: per questa ragione è particolarmente interessante indagare questa area grigia, all’interno della quale si annidano molti dei futuri votanti. Si tratta di rispondenti che si dichiarano intenzionati ad astenersi, o incerti se andare o meno alle urne, o ancora incerti su quale partito votare.

    Iniziamo dunque analizzando la composizione di questo gruppo dal punto di vista sociodemografico, confrontandolo con il gruppo di rispondenti che invece conoscono già il partito per il quale sono intenzionati a votare e ce lo dichiarano nell’intervista (tabella 1). In sostanza stiamo comparando il gruppo di chi ha già deciso cosa votare, con quello degli indecisi, che dovrà essere il target della prossima campagna elettorale. Sono inseriti nella categoria del voto valido anche coloro che affermano di volere annullare la scheda o che la lasceranno in bianco, in quanto anche questi sono elettori che sanno quale comportamento elettorale terranno.

    Tab.1 – Variabili sociodemografiche per il gruppo di coloro che non dichiarano per quale partito voterebbero in caso di elezioni immediate, a confronto con quelli che invece esprimono un’intenzione di voto.

    Nella tabella abbiamo colorato di giallo le categorie che risultano sovrarappresentate nell’area grigia rispetto al resto della popolazione. Il giallo chiaro indica una sovrappresentazione  inferiore all’errore statistico dovuto al campionamento ma comunque importante. Al contrario l’azzurro indica le categorie significativamente meno presenti fra quanti non sanno cosa voteranno, con il celeste chiaro per quelle con un divario inferiore.

    Prima di entrare nell’analisi dettagliata delle diverse variabili, occorre ricordare che il gruppo di quanti non dichiarano l’intenzione di voto per un partito sia notevolmente cresciuta nel corso dei dodici mesi coperti dalla nostra indagine: dal 42% della primavera scorsa, al 50% dell’autunno, fino al 57% di questa primavera. Per cui è evidente che al suo interno vi sia stata un’evoluzione; ed è anche ragionevole supporre che alcune differenze dal resto della popolazione si siano attenuate.

    Ciò detto, possiamo iniziare l’analisi dei dati che osserviamo nella tabella. Rileviamo innanzitutto come le donne siano in tutte e tre le rilevazioni molto più concentrate nell’area grigia: dal 56 al 58%, contro una variazione fra 46 e 48% nel gruppo di coloro che dichiarano il voto per un partito. Si tratta di una differenze costante di circa 10 punti percentuali, che non si è attenuata con l’allargamento dell’area grigia.

    Venendo alla composizione per classi di età dei due gruppi considerati, possiamo dire che non si registrano significative differenze, anche se le due categorie più giovani (fino ai 35 anni) sono sempre sottorappresentate nell’area grigia, ma debolmente. Negli ultimi due sondaggi, si osserva anche una lieve sovrappresentazione di quanti hanno fra i 46 e i 65 anni.

    Passiamo quindi al titolo di studio: la tabella mostra delle chiare differenze fra i due gruppi. Infatti risultano costantemente sovrarappresentati nell’area grigia coloro che non sono andati oltre la licenza media, anche se il trend sembra indicare una crescente concentrazione soprattutto fra quanti non hanno alcun titolo o la licenza elementare. Al contrario sono assai meno che nel resto della popolazione i laureati ed anche i diplomati quadriennali o quinquennali, anche se per quest’ultimi la differenza si è notevolmente attenuata nella più recente rilevazione.

    Per quanto attiene alla professione svolta, il dato più chiaro che emerge è quello della sovrarappresentazione delle casalinghe nell’area grigia. Anche i disoccupati sono sempre più che nel resto della popolazione, ma con differenze esigue. Nelle ultime due ondate si registra inoltre una differenza significativa per la categoria dei giovani fra i due gruppi: ve ne sono meno nell’area grigia.

    Infine le due variabili relative alla religiosità dell’intervistato. Si tratta dell’importanza che la religione occupa nella propria vita e della frequenza alla messa. Coloro che non dicono il partito che voterebbero risultano più religiosi del resto della popolazione. Infatti chi non assegna alcuna importanza alla religione è stabilmente più concentrato fra chi dichiara il partito che voterebbe; mentre nelle ultime due ondate chi la considera molto importante è significativamente più presente nell’area grigia. In particolare nell’ultima, l’importanza della religione appare  particolarmente divisiva fra i due gruppi: 6 punti percentuali in più di poco o per niente nel voto valido; 5 abbondanti di abbastanza e molto in più nell’area grigia. Sempre nel sondaggio della primavera 2012 emerge con chiarezza come siano molti di più coloro che non vanno mai a messa fra chi dichiara l’intenzione di votare un partito, mentre tutte le altre categorie sono sovrarappresentate nell’area grigia, con differenze che crescono con la frequenza alla messa.

    In conclusione possiamo riassumere i dati presentati dicendo che fra quanti non dichiarano l’intenzione di votare un partito sono assai più che nel resto della popolazione le donne (e le casalinghe in particolar modo), chi ha un basso titolo di studio e chi ha una spiccata religiosità.

  • L’analisi dei flussi elettorali fra ricordo del voto e intenzioni di voto

    di Aldo Paparo

    In questo articolo esaminiamo la serie storica dei dati relativi all’incrocio fra intenzione di voto ai partiti in caso di elezioni immediate e il ricordo del voto in occasione delle politiche del 2008, nelle tre successive ondate dell’OP. Quest’analisi ci consente di osservare i movimenti di elettori dall’inizio della legislatura ad oggi. Iniziamo con le tabelle relative al più recente sondaggio, condotto nella primavera del 2012, alla vigilia delle elezioni comunali. La tabella 1 riporta come ciascuna categoria di voto alle politiche 2008 si distribuisca oggi fra le diverse possibili intenzioni di comportamento elettorale.

    Notiamo innanzitutto che il gruppo più fedele alla scelta effettuata nel 2008 è quello di coloro che allora non si sono recati alle urne: i due terzi dichiara che tornerebbe ad astenersi. Si registrano comunque alcune significative rimobilitazioni: l’8% si è detto intenzionato a votare il Pd, il 7 sceglierebbe invece il Mov. 5 stelle.

    Tab.1  – Flussi di voto fra ricordo 2008 e intenzioni primavera 2012. Destinazioni (fatti 100 i voti ottenuti da ciascun partito nel 2008).

    Passando agli elettorati partitici 2008, notiamo come nessun coefficiente lungo la diagonale di fedeltà raggiunga la metà. Il più alto è quello del Pd, che approssimato all’unità è pari al 50%, ma è in effetti del 49,51%. Questo è un dato certamente allarmante che evidenzia la fragilità del nostro attuale sistema politico. Il valore minimo è invece quello della Lega, che ha smarrito quasi i tre quarti di coloro che dichiarano di averla votata alle politiche, mentre solo il 28% di questi la rivoterebbe. E’ vero che appena il 25% degli elettori della Sinistra Arcobaleno del 2008 oggi sceglierebbero Sel, ma un 9% dichiara l’intenzione di votare  per la Federazione della Sinistra  (ricodificata in altro partito), e anche  questa è una scelta di continuità elettorale. Rimane comunque un dato da sottolineare che quasi un quinto di quanti nelle bipolarissime elezioni del 2008 scelsero di non effettuare un voto utile votando per la Sa, dichiarino oggi che voterebbero per il Pd. Il Pdl mantiene esattamente un terzo dei suoi elettori 2008, Idv e Udc entrambi appena meno di due su cinque: un dato così basso per questi due partiti appare controintuitivo alla luce del fatto che sono quelli che hanno perso meno degli altri come percentuale di voto sugli elettori fra 2008 e 2012. Bisogna dunque rilevare che la composizione dei due elettorati debba essere profondamente cambiata.

    Tutti i partiti cedono almeno un quarto del proprio consenso 2008 al non voto, tanto che appena un quinto delle intenzioni di astenersi proviene dall’astensione 2008. Anche in questo caso il peggiore è la Lega con il 42%, seguita dal Pdl che comunque perde verso il non voto una fetta più grande di quella che gli rimane fedele (36% contro 33%).

    Molto interessante il dato delle fuoriuscite verso il Mov. 5 stelle: i partiti che cedono le fette maggiori del proprio elettorato 2008 sono l’Idv e la Lega (rispettivamente il 14 e il 12%). L’Udc cede in molteplici direzioni: un 7% al Pd, altrettanto agli altri partiti di sinistra, il 6% verso Fli, il 6% anche al Pdl e anche il 5% al Mov. 5 stelle.

    Infine guardiamo all’ultima colonna, quella di coloro che nel 2008 non avevano votato in quanto ancora non avevano l’età per farlo. Questi sono coloro che voteranno per la prima volta in occasione delle prossime elezioni politiche e oggi rappresentano un 3% abbondante del nostro campione. Ebbene in questo gruppo i partiti maggiori sono sottorappresentati rispetto alla popolazione nel suo complesso, il Pdl è anzi praticamente inesistente. L’Udc e Sel sono entrambe oltre il doppio del loro risultato nel totale del campione; anche il M5s, l’Idv e la Lega sono sovraprappresentati. I neomaggiorenni si dimostrano inoltre sensibilmente meno disposti ad astenersi del resto della popolazione, ma assai più propensi a votare scheda bianca.

    Veniamo ora alla composizione dei diversi gruppi attuali in termini di elettorati 2008 (tab. 2). Possiamo così vedere verso quali elettorati si sono estesi i diversi partiti. Sel è il partito che meno di tutti attinge dal proprio bacino 2008: appena un voto attuale su cinque. Sono addirittura di più quelli che provengono dal Pd (il 22%) e poi bisogna sottolineare come quasi il 10% dei suoi attuali voti provengano da neomaggiorenni. I due partiti maggiori sono invece quelli che mano riescono a pescare fuori dai propri voti 2008, anche se il Pd ottiene l’8% delle sue preferenze da astenuti 2008.

    Tab.2  – Flussi di voto fra ricordo 2008 e intenzioni primavera 2012. Provenienze (fatti 100 le intenzioni di voto attuali ciascun partito nel 2008).

    L’Udc e l’Idv hanno cambiato pelle, come già avevamo potuto intuire. Per entrambi il 60% circa dei voti attuali non proviene dai propri voti delle politiche. Il partito di Casini prende quasi un quinto dei consensi dagli elettori 2008 del Pdl, rimobilita per quasi il 10%, strappa qualche voto anche a sinistra (in totale il 7% dei suoi attuali) e alla Lega (il 4%). L’Idv prende dal Pd 2008 il 14% dei suoi voti e riesce ad attrarre consensi anche dal fronte moderato, da cui proviene oltre uno su dieci dei suoi attuali consensi.

    Il Mov. 5 stelle di Beppe Grillo si dimostra capace di pescare trasversalmente all’asse destra/sinistra. Per capire quali partiti siano più soggetti a perdere voti verso il M5s utilizziamo, per ciascun partito, il rapporto fra percentuale che esso rappresenta nella composizione dell’elettorato di Grillo e in quella del campione. Le categorie di voto 2008 maggiormente sovrarappresentate nel gruppo degli elettori del Movimento sono quelle dei due partiti minori delle coalizioni di allora: l’Idv ha un rapporto pari a 2,6 e la Lega il 2,3. Anche l’astensione è sovrarappresentata (1,3). I due partiti maggiori sono entrambi leggermente sottorappresentati (0,9 per il Pdl, 0,8 per il Pd). Particolarmente refrattari alla penetrazione grillina sono invece gli elettorati dell’Udc (0,5) e della Sa (0,2).

    Le tabelle 3 e 4 riportano per i due precedenti sondaggi dell’OP le analisi fin qui presentate con riferimento al sondaggio della primavera 2012. Attraverso il loro studio possiamo comprendere con maggiore definizione gli spostamenti di elettori nell’arco degli ultimi 12 mesi. Un anno fa il quadro che avevamo davanti agli occhi era profondamente diverso: innanzitutto si registravano tassi di continuità superiori al 60% per i partiti più grandi (quasi il 70 per il Pd). La Lega intercettava una quota significativa di ex elettori Pdl in uscita (il 4%, da qui le arrivava un voto su sei): questa poteva essere vista come una prova di buona tenuta dell’impostazione bipolare del nostro sistema politico.

    L’Udc aveva invece già iniziato il processo di mutazione della propria base elettorale: tasso di fedeltà inferiore al 50%, da cui proveniva poco più di un terzo del totale; capacità di attrarre in egual misura sia dal centrodestra che dal centrosinistra (in totale il 30% dei suoi voti). Sei mesi dopo era più attraente per gli ex elettori Pd, oggi invece recupera in misura assai più significativa dal Pdl.

    L’Idv compensava le perdite verso Pd, Udc e M5s grazie ai recuperi dall’astensione e soprattutto quello incrociato con gli elettori 2008 del Pd, da cui provenivano oltre un quinto dei suoi voti. Ancora più significativa la fuoriuscita dal Pd 2008 verso Sel: il 7% del totale, pari ad un terzo dei voti di Sel nella primavera 2011. Il Mov. 5 stelle, ancora piuttosto piccolo, attingeva oltre il 50% dei suoi voti dai bacini 2008 dei partiti a sostegno di Veltroni.

    Tab.3  – Flussi di voto fra ricordo 2008 e intenzioni primavera 2011. Destinazioni e provenienze.

    Le perdite verso l’astensione erano assai più contenute: per tutti inferiori al 20%, anche se il partiti del centrodestra allora al governo cominciavano a pagare i primi dazi dovuti alla crisi e cedevano circa dieci punti in più di quelli di centrosinistra.

    Sei mesi dopo, nella rilevazione effettuata nei giorni immediatamente successivi all’insediamento del governo Monti e quindi dopo la caduta del governo Berlusconi e la rottura dell’alleanza fra Pdl e Lega, la nostra analisi registrava un profondo cambiamento. Il tasso di riconferma per il Pdl era sceso sotto il 40%, solo quelli della Lega e del Pd si mantenevano al di sopra di quota 50 e l’astensione era diventata la scelta con la maggiore fedeltà.

    La porzione di elettori Pdl 2008 intenzionati ad astenersi era raddoppiata, passando dal 18 al 36%; come abbiamo visto nei sei mesi successivi non è cresciuta. Possiamo concludere che il partito di Berlusconi sia stato immediatamente travolto dalle dimissioni del suo leader e già nel dicembre 2011 si fosse consumata buona parte del suo calo di conensi.

    La Lega sembrava allora potere beneficiare della crisi del Pdl dovuta alla caduta del governo Berlusconi e della sua opposizione alle misure impopolari del governo Monti. Infatti cedeva qualcosa in più all’astensione rispetto a sei mesi prima, ma la crescita era inferiore a quella di tutti gli altri partiti, ed aveva aumentato al 5% la quota di elettori Pdl che riusciva ad attrarre. Nei sei mesi successivi però il Carroccio ha subito un pesante ridimensionamento: si è ridotta drasticamente la porzione di ex Pdl che lo voterebbero, che oggi è pari appena all’1,8%; inoltre è aumentata di 17 punti percentuali l’intenzione di astenersi fra i suoi elettori 2008. La Lega quindi ha subito con ritardo il contraccolpo dell’abbandono del governo nazionale e certamente ha dovuto scontare anche gli effetti degli scandali recentemente emersi.

    A riprova di questo possiamo leggere il percorso del M5s. Fra primavera e autunno 2011 era cresciuto molto nella sua capacità di recuperare astenuti del 2008: da meno dell’1% ad oltre il 5,5. Da qui venivano allora un terzo dei suoi consensi, mentre la quota proveniente da elettori del centrosinistra nel 2008 si era ridotta al 35%. Ma ancora solo un voto su otto gli arrivava dal centrodestra. Oggi invece uno su venti degli elettori del Pdl del 2008 e oltre uno su dieci di quelli della Lega esprimono l’intenzione di votare il Movimento. Se a Natale era la Lega l’intenzione di voto degli ex Pdl  delusi che non volevano astenersi e il Carroccio non cedeva a Grillo, oggi invece la Lega è uno dei partiti che in assoluto cede di più verso il M5s e i delusi del Pdl dichiarano che voterebbero il Movimento in numero assai superiore a quanti sceglierebbero il Carroccio.

    Anche il Pd aveva raddoppiato le perdite verso il non voto: dall’8% al 16. Nei successivi sei mesi tale porzione è cresciuta di altri 8 punti percentuali abbondanti (tab.1). Erano invece rimaste stabili le fuoriuscite verso sinistra: il 7% a Sel e il 4 verso l’Idv, che oggi invece risultano essersi dimezzate al 6% in tutto.

    Tab.4  – Flussi di voto fra ricordo 2008 e intenzioni autunno 2011. Destinazioni e provenienze.

    Molto interessante quanto è successo nell’arco di tempo considerato nella categoria dei neomaggiorenni. Un anno fa la metà dichiarava l’intenzione di astenersi e nessun partito era sovrarappresentato in tale categoria di elettori. Sei mesi dopo la quota di giovani astensionisti si era dimezzata mentre risultava straordinariamente sovrarappresentato Fli; e anche la Lega e il Pd ottenevano buoni risultati presso tale gruppo. Oggi invece, come detto, l’astensione è pari al 34%, la Lega e Fli sono rimasti sovrarappresentati, ma quelli che vanno meglio sono Sel e l’Udc: la categoria dei giovani si dimostra  dunque particolarmente volubile nelle proprie intenzioni di voto e sarà molto interessante osservare quale sarà davvero il suo comportamento elettorale quando si terranno le prossime elezioni politiche.

  • Le intenzioni di voto negli ultimi dodici mesi

    di Aldo Paparo

    Fra le domande contenute nel questionario sottoposto agli intervistati dell’indagine CISE Osservatorio Politico, quella su quale partito voterebbero in caso di elezioni politiche l’indomani è certamente fra le più interessanti. La figura 1 riporta per ciascun partito la percentuale ottenuta sul totale dei voti validi dichiarati nelle tre diverse ondate dei sondaggi dell’Osservatorio Politico realizzate fino qui.

                  


    Come possiamo osservare, il Pd, che si attesta al 30,1%, si mantiene il primo partito del paese, anche se registra una flessione pari a due punti percentuali. Il secondo partito è il Pdl, con il 21,8% delle intenzioni di voto dichiarate, anch’esso con calo vicino ai due punti. Si rileva poi l’eccezionale crescita dei consensi al Movimento 5 stelle, che raggiunge il 12,7% con una crescita di oltre 8 punti percentuali negli ultimi 6 mesi, e moltiplicato di sette volte rispetto a un anno fa. Molto buono anche il risultato dell’Idv che ottiene l’8%: fra i principali partiti, quello di Di Pietro è l’unico in crescita, insieme a quello di Grillo. Segue poi l’Udc, sostanzialmente stabile con il suo 6,6%. Davvero negativo è il risultato Lega Nord: si ferma al 5,7%, con una flessione superiore al 50% nel giro di 6 mesi (a novembre 2011 aveva infatti il 12,3%). Anche Sel fa registrare un calo, ma ottiene comunque il 5% delle preferenze. Fli si ferma appena oltre il 3% dei voti validi dichiarati.

    Guardando alle variazioni nell’arco del periodo di tempo considerato, bisogna sottolineare il forte calo dei partiti di centrodestra, oltre alla crescita del Mov. 5 stelle. Un anno fa l’alleanza di governo Pdl-Lega nord sfiorava quasi il 40% dei consensi. Oggi invece i due ex alleati ottengono assieme poco più di un voto ogni quattro. Nel centrosinistra si registra invece una maggiore stabilità, con l’Idv che cresce dell’1,2%, pareggiando esattamente l’arretramento di Sel. Nel terzo polo, lievi costanti cali sia per l’Udc che per Fli, anche se in quest’ultimo caso il calo non è poi così lieve. Viste le dimensioni del partito di Fini, un calo inferiore al punto percentuale comporta una riduzione di quasi un quarto del proprio consenso.

    Bisogna però sottolineare come, mai come in questo caso, le percentuali sulle intenzioni di voto dichiarate in caso di elezioni immediate siano una valutazione abbastanza incerta di ciò che davvero accadrà quando ci saranno le prossime politiche. Infatti esse sono calcolate su quanti rispondono in modo valido alla domanda sul partito. Ma, come possiamo osservare dalla figura 2, la quota di elettori che ha espresso durante la nostra intervista la propria intenzione di voto è appena superiore al 40%, con un’astensione dichiarata che sfiora il 37%. E’ chiaro che quando ci saranno davvero le elezioni, la percentuale di elettori che esprimeranno un voto valido sarà sensibilmente superiore. Non è facile stabilire con certezza quanto più grande, ma sarebbe davvero clamoroso se non raggiungesse il 66%. Ciò significa che i risultati dei partiti presentati sopra sono calcolati su meno dei due terzi dei voti totali che realisticamente si registreranno alle prossime politiche; e che tali percentuali sono una buona stima solo se questa grossa fetta di futuri elettori oggi reticenti si distribuirà allo stesso modo di coloro i quali dichiarano già oggi il proprio voto. Ci occuperemo in successivi post di verificare se questa ipotesi sia realistica, qui ci limitiamo a sottolineare la scarsa robustezza della tabella sulle intenzioni di voto stante un così alto tasso di non risposte alla domanda.

    Merita di essere sottolineato un ulteriore elemento che emerge dalla nostra serie di rilevazioni. Quest’esplosione dell’astensione dichiarata è un dato nuovo, intervenuto nel corso degli ultimi 12 mesi. Infatti, come ci mostra la figura 3, nel nostro primo sondaggio era inferiore al 20%, sostanzialmente in linea con quella effettivamente registrata nelle elezioni politiche. Ed anche aggiungendovi gli incerti se andare o meno a votare, rimaneva  comunque compatibile con la crescita fisiologica che si registra da diversi decenni ormai nel nostro paese al un ritmo di circa mezzo punto percentuale all’anno. Da allora è cresciuta all’incredibile ritmo di 9 punti percentuali ogni sei mesi nelle due successive rilevazioni. Questo fenomeno è un chiaro segnale del distacco degli elettori dalla attuale classe politica e anche dell’imprevedibilità della situazione contingente, caratterizzata da un così straordinario tasso di disallineamento.


    Il dato eclatante che emerge guardando alle percentuali calcolate sugli elettori è che tutti i partiti sono calati nell’ultimo anno, a parte ovviamente il Movimento 5 stelle. Quest’ultimo ha moltiplicato per sette la quota di elettori che lo votano. Fra tutti gli altri, il migliore è l’Idv che è oggi votato da una porzione di elettori che vale l’85% di quella di un anno fa. La Lega si è ridotta al 42% del suo bacino originario; il Pdl è appena sopra la metà, così come Fli. Sel è intorno a quota 60% del consenso che registrava 12 mesi or sono, l’Udc al 68%. Il Partito democratico si dimostra ancora una volta relativamente più in salute, ma ha comunque smarrito un quarto dei suoi elettori di un anno fa.

  • Comunali 2012: in due comuni su tre cambia il colore politico del governo cittadino

    di Aldo Paparo

    Sul totale dei 157 comuni superiori chiamati al voto nel 2012, sono ben 101 quelli in cui la coalizione vincente di queste elezioni comunali non è quella che aveva vinto in occasione della precedente tornata amministrativa. Ciò significa che nel 64,3% dei casi assistiamo ad un cambio di colore politico del governo comunale.

    La tabella 1 riepiloga questi “cambi di casacca”, ripartendoli per zona geografica e caratterizzandoli in base alle coalizioni vincenti delle due ultime elezioni comunali. Come era facile prevedere, il massimo dell’instabilità è raggiunta al Sud (67%). Ma il dato è piuttosto uniforme, e questa è certamente una sorpresa. Al Nord i comuni che cambiano casacca sono il 62%; mentre solo nella Zona rossa sono, seppur di poco, oltre due su cinque  quelli che confermano al governo la coalizione uscente.

    La tabella mostra inotre come in oltre la metà dei casi totali (51) si tratti di passaggi di mano da coalizioni di cui faceva parte il Pdl ad alleanze comprendenti il Pd. Ciò è avvenuto in oltre il 43% dei 53 comuni settentrionali al voto. Nelle regioni della zona rossa e in quelle meridionali, i comuni con questa evoluzione di governi locali rappresentano sempre una quota importante del totale dei comuni superiori al voto nelle due zone, ma assai inferiore a quella del Nord (rispettivamente il 29 e il 26%).

    Se passiamo al dato complessivo, non limitandosi ai passaggi diretti fra Pd e Pdl, il quadro diventa ancora più cupo per il centrodestra. Amministrava in 92 comuni e in 65 di questi né Pdl né Lega esprimono oggi il sindaco. Ciò significa che oltre il 70% dei comuni fino a questa primavera governati dal Pdl hanno eletto un sindaco diverso da quello sostenuto oggi dai partiti di Alfano e di Bossi. Riesce a strappare qualche nuova amministrazione (10 intotale), ma quasi esclusivamente al Sud (8).

    Il dato del Nord è impressionante: oltre il 50% dei comuni totali al voto (27 su 53) ha cambiato casacca, da centrodestra a qualcos’altro. Appena uno invece ha eletto il sindaco del Pdl senza che prima tale partito fosse al governo (Chiavari).

    La LegaNord non è riuscita a sfruttare le difficoltà del suo ex alleato. Solo in due comuni (Cittadella e Verona) è riuscita a conquistare da sola i comuni precedentemente vinti in coalizione.[1] Però ve ne erano altri 27 nella stessa situazione, che sono stati vinti da altri (come visto il centrosinistra in primis).

    L’egemonia del “forzaleghismo” nelle regioni settentrionali, già incrinatasi l’anno passato, sembra subire in queste comunali 2012 il colpo ferale. Il centrosinistra ne approfitta temporaneamente, in attesa che il campo avversario si riorganizzi.

    Il terzo polo cresce ma in misura non particolarmente rilevante e quasi esclusimanente al Sud. Anch’esso non riesce a sfruttare a pieno la crisi del Pdl, anzi la sua avanzata avviene principalmente a spese del centrosinistra, cui strappa 6 amministrazioni; mentre sottrae al Pdl un solo comune, il siciliano Scicli. Come detto, i comuni del Nord precedentemente governati dal centrodestra sono passati al centrosinistra: il terzo polo non è riuscito a capitalizzare l’occasione, se non nei termini di una sterile avanazata percentuale.

    Dei tre comuni conquistati dal Movimento 5 stelle, erano precedentemente amministrati dal centrodestra i due emiliani (Parma e Comacchio) mentre il Pd governava a Mira (VE).



    [1] Questi due casi non rientrano nella categoria dei cambi di colore dal momento chela Lega era già al governo. Inoltre i due sindaci, Tosi e Bitonci, erano leghisti. (gavinbros.com)

  • Il centrodestra e la perdita della roccaforte brianzola: i flussi elettorali a Monza

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    Le elezioni a Monza sono state particolarmente rilevanti. Se l’anno scorso con Milano era stata perduta la capitale del “forzaleghismo”, la caduta della roccaforte brianzola rappresenta certamente un ulteriore e forse definitivo colpo. Ciò che desta le maggiori sorprese, al di là del passaggio del governo comunale al centrosinistra,  è la proporzione del ribaltamento della precedente tradizione elettorale. La tabella 1 riporta la storia elettorale al proporzionale del capoluogo lombardo tra le comunali del 2007 e quelle del 2012, permettendoci di osservare la reale dimensione del cambiamento elettorale registrato in questa tornata.

    Tabella 1. La storia elettorale di Monza dalle comunali del 2007 a quelle del 2012

    Innanzitutto è opportuno evidenziare lo straordinario calo dell’affluenza rispetto alle precedenti comunali: 14 punti percentuali in meno di partecipazione. Abbiamo già sottolineato come l’affluenza sia scesa dappertutto nelle comunali 2012, ma a Monza il calo fra 2007 e 2012 è quasi il doppio di quello medio registrato in tutti i capoluoghi di provincia del nord al voto.

    Passando ai risultati per partiti, emerge la débâcle del Pdl che con il 19,5% di oggi sostanzialmente dimezza il risultato percentuale stabilmente conseguito nelle precedenti tre elezioni. Guardando ai voti in valore assoluto, i 9.233 di oggi sono meno della metà di quelli ottenuti alle regionali nel 2010 e addirittura meno di un terzo di quelli delle politiche del 2008.

    Non è andata meglio alla Lega, nonostante ripresentasse come candidato sindaco l’incumbent Marco Mariani. Anche sommando ai voti della lista Lega Nord quelli della civica Monza c’è (come abbiamo fatto nella tabella), il partito del carroccio raccoglie meno della metà dei consensi rispetto sia al 2008 che al 2010, venendo anche superato dal Movimento 5 stelle quale terzo partito.

    Il 7% conseguito dall’Udc, insieme ad una civica collegata, rappresenta un lusinghiero risultato per il partito di Casini: è quasi il doppio di quanto non avesse raccolto nelle tre precedenti consultazioni; ma vista la dimensione del calo dei partiti di centrodestra, possiamo concludere che abbia fallito nell’intento di assorbire i voti in uscita da Pdl e Lega.

    Il centrosinistra sfrutta il momento di difficoltà della parte avversa, che sconta insieme alla divisione un clima di opinione particolarmente ostile.

    Una particolare menzione merita il dato relativo ai candidati indipendenti, che sono stati scelti da quasi un votante su sette.

    Alla vigilia del ballottaggio, dunque, la situazione appariva piuttosto incerta: il candidato del centrosinistra, Scanegatti, aveva sì preso il doppio dei voti dell’avversario di centrodestra, Mandelli; ma il divario avrebbe potuto essere colmato se su quest’ultimo si fossero concentrati i voti dell’antico centrodestra, senza contare l’incertezza su come si sarebbero comportati i molti elettori che al primo turno avevano scelto il Mov. 5 stelle o candidati civici (quasi un quarto del totale).

    Il risultato del secondo turno è il seguente: Scanagatti 25.716 voti, pari al 63,4%, contro i 14.851 voti di Mandelli. Attraverso l’analisi dei flussi elettorali possiamo comprendere come si sia pervenuti ad un simile esito.

    Tabella 2. Flussi elettorali a Monza tra primo e secondo turno, destinazioni

    Notiamo innanzitutto una sostanziale parità nel mantenimento dei propri voti del primo turno: quattro su cinque per entrambi gli sfidanti; con la restante parte che si astiene, senza alcun significativo flusso incrociato.

    Passando poi a verificare se gli elettori “moderati” siano conversi su Mandelli, dobbiamo concludere in senso negativo. Infatti sia fra gli elettori di Martinetti che di Mariani il gruppo più numeroso è quello che ha preferito non tornare a votare e fra i leghisti la differenza fra quanti hanno scelto il candidato del centrodestra rispetto a quello del centrosinistra non è molto ampia.

    Interessante rilevare il comportamento degli elettori del Mov. 5 stelle. Ebbene fra tutti i gruppi che non avevano il proprio candidato al secondo turno, coloro che  avevano votato Fuggetta sono quelli che meno si astengono al ballottaggio. Una maggiore propensione ad esercitare il diritto di voto non pare certo un atteggiamento antipolitico. Inoltre la maggioranza assoluta sceglie di votare per Scanegatti: se a Parma il candidato del Movimento ha ricevuto al ballottaggio i voti del centrodestra, appare prematuro concludere che gli elettori del Mov. 5 stelle siano “di destra”, o per lo meno così indica il caso monzese.

    Tabella 3.  Flussi elettorali a Monza tra primo e secondo turno, provenienze

    Nota metodologica: i coefficienti di flusso sono stati stimati utilizzando il modelli di Rosen, King e altri.

  • Comunali 2012: il quadro dei ballottaggi

    di Aldo Paparo

    Su 157 comuni superiori al voto in questa tornata di elezioni amministrative ben 116 hanno dovuto ricorrere al ballottaggio per scegliere il proprio sindaco. La tabella 1 riassume come si sono concluse tali sfide per quanto riguarda la coalizione risultata vincitrice al secondo turno, mostrando anche i dati scomposti nelle diverse zone geografiche del nostro paese. (https://wbctx.com)

    Come si vede, più della metà dei ballottaggi sono stati vinti dal Partito Democratico insieme alle liste alleate (il 50,8%). Il principale partito del centrosinistra ha conquistato oltre il 60% delle 89 sfide di secondo turno in cui era presente. Il Popolo della Libertà due settimane fa si era assicurato con i propri candidati un numero inferiore di ballottaggi (69). A questo ha però aggiunto una capacità di vittoria al secondo turno pari appena al 37%: così registriamo che meno di un quarto dei ballottaggi totali è stato conquistato dal Pdl con i propri alleati. Entrambi i poli hanno vinto al secondo turno meno comuni di quelli in cui il loro candidato era in testa dopo il primo turno: da 27 a 26 per il Pdl, da 65 a 59 il Pd.

    Molto buona la performance al secondo turno dei candidati sostenuti da partiti di sinistra ma alternativi a quelli appoggiati dal Pd: in 15 casi si erano conquistati il ballottaggio e sono riusciti a vincerlo in 10 (66% di vittorie). Bisogna anche rilevare come solo 6 candidati di sinistra fossero arrivati al secondo turno in testa. Sindaci eletti al ballottaggio sostenuti solo da partiti del terzo polo sono 7, sui 21 che si erano garantiti 15 giorni fa il ballottaggio; erano 9 i candidati terzopolisti in vantaggio dopo il primo turno. Candidati “civici”, non sostenuti cioè da alcun partito, hanno trionfato in 9 degli 11 secondi turni in cui erano presenti, con la straordinaria percentuale di vittoria dell’82% e conquistando più del doppio dei comuni in cui erano in testa (4).

    Questi dati segnalano che in questo momento la capacità dei grandi partiti di coagulare consenso attorno a sé è ai minimi storici e così la frammentazione divampa nel nostro sistema politico. Però i risultati dei ballottaggi consentono anche di capire cosa è successo in queste ultime due settimane e come gli elettori hanno reagito ai risultati del primo turno. Molto interessante in questo senso è analizzare i dati delle sole sfide che vedevano confrontarsi i due candidati sostenuti dal Pd e dal Pdl (56 casi, pari al 47,8% dei 116 ballottaggi totali).

    Come vediamo dalla tabella 2, il centrosinistra ha prevalso in 35 casi e il centrodestra in 21. Questo risultato è esattamente identico a quello registrato due settimane fa quanto a candidati in vantaggio dopo il primo turno: anche allora era finita 35 a 21 per il Pd e i suoi alleati. Ciò non significa che i rapporti di forza del primo turno siano sempre stati mantenuti: in 10 comuni il candidato che si trovava a inseguire è riuscito a prevalere, ma questi si sono equamente divisi fra i due poli. L’aspetto interessante da rilevare è che, contrariamennte a quanto osservato a livello aggregato nazionale,  il saldo non è rimasto invariato nelle diverse aree geografiche: al nord il Pdl aveva il proprio candidato in testa in 6 comuni ed è riuscito a conquistarli tutti e a recuperare in 3 casi lo svantaggio del primo turno.  Nella zona rossa ha ceduto 1 dei 2 comuni in cui era testa senza strapparne nessuno; al sud è riuscito a vincerne 2 in cui trovava in ritardo ma ne ha persi 4 in cui il proprio candidato era in testa.

    Possiamo comunque concludere che nelle due settimane fra primo e secondo turno lo stato di salute dei due poli sia rimasto stabile: estremamente negativo nel complesso, relativamente migliore quello del centrosinistra.

  • Comunali 2012: il risultato finale nei 157 comuni superiori al voto

    di Aldo Paparo

    Certamente la vittoria a Parma di Pizzarotti, candidato sostenuto dal Movimento Cinque Stelle, è la notizia del giorno all’indomani della chiusura delle urne per i ballottaggi delle elezioni comunali; se però desideriamo dare uno sguardo più generale ai risultati di questa tornata di amministrative, è necessario iniziare iniziare dal risultato in termini di comuni conquistati dai diversi schieramenti politici.

    La tabella 1 riporta il colore politico delle coalizioni che hanno appoggiato i 157 candidati vincenti. Il primo dato che si nota è il buon risultato del Partito Democratico che farà parte di 85 maggioranze comunali di governo, avendo conquistato con i suoi alleati oltre la metà delle amministrazioni in palio (54%). Il Pd va particolarmente bene nella zona rossa, dove conquista oltre il 70% dei comuni e sfonda decisamente al nord (60% dei comuni), mentre al sud vince meno di un comune su due (47%). Il Popolo delle Libertà si ferma a 34 vittorie, pari al 22% dei comuni totali; solo al Sud riesce a vincere un comune su quattro, mentre si registra con un dato particolarmente negativo nella zona rossa, con una percentuale di vittorie inferiore al 6%.

    Candidati sostenuti solo da liste civiche hanno prevalso in 12 comuni. Coalizioni comprendenti partiti di sinistra ma non il Pd hanno conquistato 11 amministrazioni. In 8 comuni la vittoria è andata a candidati appoggiati solo da partiti del terzo polo. Sono ben 3 i sindaci espressione del Movimento Cinque Stelle: le due vittorie di Parma e Comacchio valgono per il 12% dei comuni superiori della zona rossa al voto. Tosi a Verona e Pan a Cittadella sono gli unici candidati sostenuti da Lega (eventualmente con civiche) ad avere conquistato un mandato, dopo le sette sconfitte nei ballottaggi. Completano il quadro la vittoria a Jesolo del candidato appoggiato dai partiti che formano la maggioranza a sostegno del governo Monti, e quello di Cannata per Grande Sud ad Avola.

    Se confrontiamo questi risultati con la situazione delle amministrazioni uscenti (tabella 2), due sono i dati emergono: la sconfitta del centrodestra e la depolarizzazione del nostro sistema politico. I rapporti di forza fra “centrodestra” e “centrosinistra” si sono ribaltati: da 92-55 a 34-85. La maggiore capacità del Partito Democratico di formare coalizioni nei diversi contesti locali, anche se diversificate, ha certamente giocato un ruolo decisivo. Bisogna poi considerare lo straordinario calo della partecipazione registrato sia fra precedente tornata e primo turno sia fra quest’ultimo e il ballottaggio, che ha senza dubbio penalizzato il Pdl. Ma il dato rimane: il centrodestra perde, nel saldo fra elezione precedente e attuale, un numero di comuni pari al 36% del totale dei 157, il centrosinistra accresce le sue amministrazioni di 19 punti percentuali. Nelle regioni meridionali il Pdl contiene le perdite, avendo conquistato un numero di sindaci quasi pari alla metà della tornata precedente, ma al nord e nella zona rossa il numero di comuni vinti è diminuito rispettivamente del 73% e dell’86%. Impressionante l’arretramento del partito di Alfano nelle regioni settentrionali: amministrava tre comuni su quattro e oggi si ferma a poco più di uno su cinque.

    Il secondo dato da evidenziare riguarda il numero di comuni vinti da coalizioni non comprendenti nè Pd nè Pdl: si sono quasi quadruplicati, passando da 10 a 38. Nella precedente tornata uno dei due principali partiti aveva vinto nel 94% dei casi e in meno di un comune ogni quindici si era registrata una vittoria fuori dai poli. In questa tornata invece circa un quarto dei comuni al voto (il 24%) ha eletto sindaci non sostenuti nè dal Pd nè dal Pdl, con una concentrazione massima al sud (28%) ma sostanzialmente uniforme fra diverse zone. Con il risultato finale che oggi ci sono più sindaci eletti fuori dai poli (38) di quanti non abbiano vinto sotto le insegne del Pdl (34).

  • Comunali 2012: il rendimento dei sindaci uscenti

    di Aldo Paparo

    In 12 dei 26 comuni capoluogo di provincia al voto gli scorsi 6 e 7 maggio gli elettori erano chiamati a confermare o meno il sindaco uscente. Un terzo degli incumbents (4) è riuscito a vincere già al primo turno: si tratta di Tosi (Lega) a Verona, Perrone e Romoli per il Pdl a Lecce e Gorizia e Federici (centrosinistra) a La Spezia. Se consideriamo il gruppo degli altri 14 capoluoghi in cui non era presente il sindaco uscente, appena due non vanno al ballottaggio (14%). Solo dopo il secondo turno sarà possibile verificare se la presenza di incumbents si rivelerà un fattore importante per la tenuta del sistema politico, almeno a livello locale, attraverso l’analisi differenziata dei due gruppi con e senza uscenti in campo ad esempio sotto il profilo del cambio di colore politico dell’amministrazione. Comunque questo primo elemento, una probabilità di vittoria al primo turno più che doppia, certamente depone in senso affermativo.

    Dei restanti otto incumbents, tre hanno fallito l’appuntamento con il ballottaggio arrivando terzi nella competizione maggioritaria. Tutti e tre erano stati eletti nel 2007 sostenuti dal centrodestra formato Fi-An-Udc-Lega ed hanno oggi pagato la rottura del fronte moderato. Essi sono Prade a Belluno (che con il 23,4% si è fermato ad appena 200 voti dal secondo posto ed è stato superato da due candidati di sinistra), Favilla a Lucca (ha preso il 14,7% contro il 15,7% del candidato del terzo polo Fazzi, a sua volta ex sindaco della città, che se la vedrà con l’alfiere del centrosinistra Tambellini, in netto vantaggio dopo il 46,8% del primo turno) e Mariani della Lega a Monza (si è fermato all’11,2%, ad oltre ottomila voti dal secondo classificato, il pidiellino Mandelli che partirà molto indietro rispetto a Scanagatti, del centrosinistra, accreditato del 38,3% al primo turno).

    Per cinque sindaci uscenti, invece, la corsa è ancora aperta e si concluderà solo il ballottaggio. Tre vi arrivano in pole position: a Stefano (centrosinistra) a Taranto sono mancati a meno di 500 voti per la vittoria al primo turno; Cialente (centrosinistra) a L’Aquila partirà dal 40,7% contro 29,7% dello sfidante del terzo polo; Zambuto (Udc) ad Agrigento, con il suo 39,7% del primo turno, ha oltre 17 punti di margine sullo sfidante Pennica (Pdl).

    A Frosinone ed Asti, Marini (Pd e Udc) e Galvagno (Pdl) dovranno invece rincorrere, dopo essere arrivati secondi al primo turno. Ad Asti il ritardo dell’incumebent è di circa 7 punti (29,5% contro il 37,7% del candidato di centrosinistra). Non è facile ipotizzare come andrà a finire, vista la dispersione del consenso nel primo turno: si sono registrati buoni risultati per diversi candidati civici, la Lega è al 4%, l’Udc al 6%, la Fds al 5%, il Mov. 5 stelle all’8. La partita si preannuncia dunque aperta: fra tutti i 19 ballottaggi nei capoluoghi, questo è l’unico che il Pdl ha concrete possibilità di vincere, a parte i tre in cui il suo candidato si presenta in testa. A Frosinone Marini ha dovuto fronteggiare una dura competizione alla sua sinistra avendo scelto di allearsi con l’Udc. Avrebbe forse addirittura fallito il ballottaggio se i due candidati, uno del Psi e dell’Idv, l’altro di Sel e Prc, non avessero disperso il voto di sinistra a lui alternativo. Adesso si trova a inseguire il rivale del Pdl Ottaviani con oltre 20 punti percentuali di distacco, ma potrebbe farcela se domenica e lunedì lo voteranno tutti gli elettori di sinistra.

    Appare comunque interessante rilevare come, pur in presenza di scenari di competizione assai variegati nei diversi capoluoghi, l’ordine dei candidati per risultato percentuale al maggioritario e quello per piazzamento coincidano. Nessun incumbent che abbia ottenuto almeno il 24% dei voti manca il ballottaggio, così come nessuno di quelli che hanno preso meno di tale soglia lo centra. Si presentano al secondo turno in testa tutti che si avvicinano a quota 40% o la superano, vi arrivano in ritardo quanti si fermano lontani da tale risultato.

    Alla luce dei dati presentati appare dunque probabile che un ulteriore terzo di incumbents possa conquistarsi al ballottaggio il secondo mandato, portando così al 66% la percentuale di capoluoghi in cui il colore politico dell’amministrazione non cambia dopo le amministrative 2012, nel gruppo dei comuni dove si ripresentava l’uscente. Negli altri 14 capoluogo sono stati assegnati al primo turno solo Catanzaro e Brindisi, e in quest’ultimo caso c’è stato un cambio di colore dell’amministrazione. Inoltre a anche a Parma e Palermo il centrodestra perderà il comune, visto che non è presente al ballottaggio. (www.biolighttechnologies.com) Vedremo quale sarà il risultato finale ma si profila una notevole maggiore continuità politica dell’amministrazione nei comuni con incumbent rispetto a quelli senza.

    La tabella riporta anche, per ciascun candidato, la differenza fra la percentuale di voti maggioritari da lui conseguita nel primo turno delle comunali e la somma dei risultati proporzionali alle ultime regionali delle liste che oggi lo sostengono. Possiamo così valutare la capacità di mantenere i voti delle proprie liste o addirittura di andare oltre tale bacino. Dai dati si apprezzano gli straordinari risultati di Zambuto e Tosi che, grazie anche al successo della proprie liste personali, riescono ad andare molto oltre i voti rispettivamente dell’Udc e della Lega. In generale gli incumbent si dimostrano alquanto capaci di conservare il consenso della propria parte politica, pur in un contesto di debipolarizzazione delle scelte di voto. Non è così per tutti: Favilla ha smarrito più della metà dei voti delle proprie liste al 2010 e Mariani il 45%.

  • Comunali 2012: i risultati nei 157 comuni superiori al voto

    di Aldo Paparo

    Sono 157 i comuni superiori ai 15.000 abitanti che hanno votato in questa tornata di elezioni amministrative. In attesa dei risultati definitivi di Catanzaro e Palermo, proviamo comunque a fare un riepilogo di quanto è successo.
    Come si vede nella figura 1, dopo il primo turno 37 comuni sono già stati assegnati, pari al 23,6%, mentre in 120 città (76,4%) si dovrà ricorrere al ballottaggio per scegliere il primo cittadino. In questi stessi 157 comuni, nelle precedenti elezioni comunali, il numero di secondi turni era stato nettamente inferiore: 77 (49%). Ciò è un chiaro segnale dello sfaldamento dei due poli e della frantumazione delle scelte di voto degli elettori.

    Fig.1: Amministrazioni conquistate al primo turno per zona geografica, comunali 2012 e precedente.


    La figura 2  riporta la scomposizione geografica dei ballottaggi. Il dato è assai omogeneo in tutto il territorio nazionale, con oltre i tre quarti dei comuni al secondo turno in tutte le zone. Nelle precedenti  comunali, la situazione era invece alquanto differenziata geograficamente: circa due sindaci su cinque avevano vinto al primo turno nella zona rossa, la metà al sud ed addirittura quasi tre su cinque al nord (10 su 10 fra i capoluoghi). Questo comporta una grossa differenziazione geografica dell’incremento della proporzione di comuni in cui si va al secondo turno: +18% nella zona rossa, +25% al sud e +34% al nord. Certamente la separazione fra Pdl e Lega nord, che invece nella precedente tornata erano pressochè ovunque insieme, è la ragione principale di questo straordinario aumento dei ballottaggi al nord.
    Fig.2: Comuni al ballottaggio per zona geografica, comunali 2012 e precedente.

    Il quadro che emerge è dunque quello di una generalizzata incapacità del Pd e del Pdl di ottenere la maggioranza assoluta insieme ai propri alleati. Dalla figura 3 possiamo però notare come fra le performance dei due attori principali di quelli che furono i poli del bipolarismo italiano vi sia una sostanziale differenza. Il partito di Bersani, infatti, ha conquistato, nelle diverse configurazioni di alleanze, 25 comuni dei 32 già assegnati, appena uno di meno rispetto a cinque anni fa. Il Pdl, invece, si è fermato a 7 contro i 52 comuni conquistati al primo turno nelle precedenti amministrative. Da sottolineare, quale ulteriore conferma del fenomeno di meridionalizzazione del Pdl, il fatto che solo uno (Gorizia) sia fuori dal sud.
    Fig. 3: Colore politico dell’amministrazione nei comuni vinti al primo turno per zona geografica.

    La debacle del partito di Alfano in queste elezioni è confermata dai dati relativi ai ballottaggi (figura 4): su 120 casi il Pdl ne manca il 40% (48). Il Pd presenta invece propri candidati in 101 ballottaggi, mancandone il 16%. Più in generale è interessante rilevare come in meno della metà dei comuni (58) il ballottaggio vedrà confrontarsi il candidato appoggiato dal Pdl con quello sostenuto dal Pd. I comuni in cui al ballottaggio sarà presente un candidato del terzo polo sono 21; in 13 di questi lo sfidante è appoggiato del Pd, in 6 dal Pdl. Sono ben 5 i candidati grillini che accedono al secondo turno, 3 in meno della Lega nord.
    Fig. 4: Riepilogo dei ballottaggi nelle comunali 2012.

    In ogni cella il numero indica le  occorrenze in cui al ballottaggio si confrontano i candidati dei partiti indicati in riga e colonna.