Autore: Federico De Lucia

  • Elezioni Grecia: buona la seconda, vincono gli europeisti

    di Federico De Lucia

    Dopo un mese di instabilità politica, con la pressione internazionale sul collo, gli elettori greci sono tornati all urne per consegnare un governo al proprio Paese. Le elezioni di Maggio avevano dato luogo ad un Parlamento frammentato ed ideologicamente contrapposto, con i partiti favorevoli alle misure draconiane concordate con Bruxelles (Nea Demokratia  e il Pasok) incapaci (per un soffio) di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi. Dopo un’intensa settimana di incontri, è stata certificata l’indisponibilità di tutti gli altri partiti a dar luogo ad un governo di unità nazionale, ed il Presidente della Repubblica ha dovuto disporre il ritorno alle urne, mandando di nuovo in fibrillazione l’intero continente.

    I greci, stavolta, hanno fornito una risposta più chiara: non univoca, ma certamente più chiara. Rispetto al mese scorso, il sistema partitico greco pare avviarsi verso una certa strutturazione (il numero effettivo di partiti è passato in quaranta giorni da 9 a 5,2). Tutti e sette i partiti che avevano ottenuto seggi a maggio sono riusciti a confermarli in questa tornata, ma tutti i partiti piccoli e piccolissimi hanno perso gran parte del proprio consenso a favore delle prime due formazioni, che oggi detengono il 56,6% dei voti, contro il 35,7 che detenevano a Maggio. Entrambi hanno guadagnato una decina di punti percentuali, assumendo un ruolo pressoché egemone all’interno della propria area politica.

    ND è salita dal 18,9 al 29,7% dei consensi, si è piazzata al primo posto, e grazie al corposo premio di maggioranza previsto dal sistema elettorale greco ha raggiunto la considerevole cifra di 129 seggi. Alla sua destra, calano di circa tre punti i Greci indipendenti, mentre resta costante il movimento neonazista Alba dorata.

    Sulla sinistra, assume un peso veramente considerevole il protagonista della campagna elettorale, il partito della sinistra radicale Syriza, nuovo baricentro del mondo progressista greco. Certamente penalizzato dalla sua rapida ascesa, il Partito comunista ellenico (KKE), è sceso di ben quattro punti rispetto a quaranta giorni fa.

    Rimangono invece sostanzialmente costanti, rispettivamente al 12 e al 6%, i due partiti che assumono una posizione centrale nell’attuale configurazione dello spettro politico greco: il Pasok e Dimar.

    Il voto quindi si è concentrato sui due partiti maggiori. Contrariamente a quanto affermano molti commentatori, non si è invece polarizzato: sono infatti i partiti estremi, e non quelli centrali, che hanno perso voti. Il popolo greco ha dimostrato di essere ancora spaccato sulle scelte economiche di fondo, ma stavolta ND e il Pasok, i due partiti favorevoli alle misure chieste da Bruxelles, pur non disponendo della maggioranza assoluta dei voti, detengono la maggioranza assoluta dei seggi.

    Come prevedibile, le consultazioni hanno dato un esito positivo in tempi molto rapidi. Già oggi, a meno di 72 ore dall’esito elettorale, si sta formando un governo tripartito cui parteciperanno ND, Pasok e Dimar. La Merkel e i mercati possono tirare un sospiro di sollievo.


  • Comunali 2012: i risultati nei comuni superiori sardi

    di Federico De Lucia

    Con circa un mese di ritardo rispetto alle altre regioni italiane, il 10 e l’11 giugno si sono recati alle urne i cittadini di 64 comuni della Sardegna. Di questi, solo 3 erano comuni superiori al 15.000 abitanti. Si tratta di cittadine piuttosto importanti: Oristano, Alghero e Selargius. Tutte e tre giungevano al voto con una amministrazione uscente di centrodestra: nel 2007 si era dovuti ricorrere al ballottaggio a Oristano e Selargius, mentre ad Alghero era bastato il primo turno per dare la vittoria allo schieramento berlusconiano.

    In questi tre comuni, l’affluenza, pur calando, non è stata bassissima: si è passati dal 74,7% di cinque anni fa al 69,7% di oggi, superando di un punto e mezzo i livelli di partecipazione delle regionali 2009.

    I risultati vedono il centrodestra confermarsi a Selargius, mentre negli altri due casi si andrà al ballottaggio: ad Alghero si affronteranno i candidati di centrodestra e centrosinistra, mentre ad Oristano lo scontro a due sarà fra centrosinistra e terzo polo. Il Pdl, dunque, ha già perso un comune (Oristano), e rischia di perderne un secondo.

    A Selargius i candidati erano solo due: il sindaco uscente Gian Franco Cappai, sostenuto da uno schieramento coerente a quello che governa in Regione, ovvero da Pdl, Udc, La Destra, Riformatori Sardi (Rs), Partito Sardo d’Azione (Psdaz) e Unione Democratica Sarda (Uds), ha battuto con il 53,5% dei voti Rita Corda, sostenuta da Pd, Idv, Sel e tre liste civiche.

    Anche ad Alghero glie elettori hanno trovato sulla scheda, quasi intatti, i due vecchi schieramenti di centrodestra e centrosinistra: Francesco Marinaro (sostenuto da Pdl, Udc, Fli, Rs, Psdaz, e una civica) e Stefano Lubrano (sostenuto da Pd, Idv, una lista della sinistra radicale, l’Unione Popolare Cristiana (Upc) e una civica) si sono fermati rispettivamente al 44,4 e al 43%, distanziati da poco più di 300 voti, e si affronteranno al ballottaggio. La candidata del Movimento 5 Stelle, Giorgia Distefano, in coerenza con i risultati continentali, ha ottenuto un lusinghiero 9,4%.

    Ad Oristano la competizione è stata invece multipolare: esattamente come cinque anni fa, l’Udc e il forte movimento locale Fortza Paris hanno presentato un candidato differente da quello del centrodestra. Mentre nel 2007 erano stati esclusi per pochissimo dal ballottaggio, quest’anno, il loro uomo, Giuliano Uras, anche grazie al sostegno di altre liste come Fli-Api, il Psdaz, Uds e tre civiche,  ha ottenuto il 34,5%, fermandosi solo qualche decimo di punto sotto Guido Tendas, candidato del centrosinistra sostenuto da Pd, Idv, Sel, Fds, Upc e due civiche. Saranno costoro, dunque ad affrontarsi al ballottaggio. Molto negativa è stata invece la prova di Andrea Lutzu, candidato del Pdl, fermatosi poco sopra il 12%, esattamente quanto ha ottenuto Salvatore Ledda, candidato dei Rs, formazione politica discendente del Patto Segni, e molto in voga in Sardegna di questi tempi per aver promosso il referendum regionale  sull’abolizione delle nuove province sarde.  Al 4% si è fermata invece la formazione autonomista Aristanis Noa.

    In questo grafico possiamo vedere l’evolvere dei rapporti di forza in questi tre comuni negli ultimi cinque anni: si tratta di dati proporzionali di lista. Come si vede, sino alle regionali del 2009, i partiti che oggi formano il centrodestra sardo avevano mantenuto una posizione di netto vantaggio nei confronti degli avversari, rimanendo attorno al 50% dei consensi. Il centrosinistra si piazzava quasi 10 punti sotto, mentre l’Udc, dopo una buona prestazione nel 2007, era regredito nei due anni successivi ad un livello simile a quello che lo caratterizza mediamente a livello nazionale.

    In questa tornata, ben distante nei tempi e negli assetti politici da quella di tre anni fa, la situazione sembra molto cambiata: i partiti del centrodestra (Pdl, Psdaz, Rs e altre liste a sostegno di candidati di tali partiti) perdono venti punti rispetto alle regionali. Un calo esattamente corrispondente alla parallela crescita del Terzo Polo (Udc, Fli, Api, e altre liste a sostegno di candidati di tali partiti). Se a questi aggregati di voti proporzionali corrispondessero delle effettive coalizioni elettorali, l’assetto politico in questi tre comuni si potrebbe dunque tipizzare come quasi perfettamente tripolare. Forse non ancora conscio di questi rapporti di forza, il Terzo Polo sardo è riuscito a presentare una coalizione autonoma solo ad Oristano, dove in effetti ha raggiunto il ballottaggio. Negli altri due comuni è invece rimasto ancorato alla vecchia coalizione di centrodestra, e così facendo ne ha sancito la vittoria a Selargius ed il primo posto in vista del ballottaggio ad Alghero. (centralpointeacademy.com)

    Vedremo cosa accadrà fra due settimane. Nel frattempo, nella Tabella seguente, possiamo vedere i risultati disaggregati dei partiti.

    Pd e Pdl dimostrano di essere molto fluttuanti, ma si tratta di una prerogativa del sistema partitico sardo. Gli elettori isolani, quando votano per le politiche si mostrano molto propensi a concentrare il proprio voto sui partiti più grandi, mentre quando votano a livello locale o regionale distribuiscono i loro consensi fra i vari movimenti locali, autonomisti e civici. Questo avviene, ed in misura molto notevole, anche questa volta, ma al contrario che in passato si nota una significativa differenza fra i due partiti più grandi: mentre il calo del Pd, pur notevole, è compensato dai voti ottenuti dalle liste civiche della sua area politica, così non è per il Pdl. La notevole prestazione dei Riformatori Sardi non basta a compensare le perdite dell partito di Alfano e anche la voce “altri Cdx” (le liste civiche d’area) cala molto rispetto alle amministrative del 2007 e alle regionali del 2009. Ad ottenerne un vantaggio sono proprio i partiti del terzo polo: l’Udc, che torna ai livelli molto lusinghieri di cinque anni fa, ma anche le liste comuni di Fli e Api e le molte liste civiche a sostegno di Uras, candidato del terzo polo ad Oristano.

    In questi comuni dunque, la strategia terzopolista sembra poter dare buoni frutti: resta da capire quanto questi risultati siano estendibili a tutta l’isola. Il Pdl, privo in questa regione di altri alleati possibili (la Lega ad esempio), è costretto a livello regionale e locale ad interagire con i piccoli partiti autonomisti e con il centro dello spettro politico: le difficoltà che incontra in questi giorni la giunta Cappellacci dimostrano che tale dialogo non è sempre pacifico, e questo forse può essere un ulteriore elemento che spieghi le velleità centriste più volte palesate da Beppe Pisanu.

  • Ballottaggi 2012: le vittorie del M5S e la sua avanzata elettorale

    di Federico de Lucia

    Nel 2° turno amministrativo svoltosi nel fine settimana appena trascorso, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, la grande sorpresa di questa tornata elettorale, partecipava al ballottaggio in 5 comuni superiori ai 15.000 abitanti. Tutti questi comuni si trovavano al Nord, tre in Emilia Romagna, il cuore del consenso ai grillini (Parma, l’unico capoluogo, Budrio e Comacchio), gli altri due in Lombardia (Garbagnate Milanese) e Veneto (Mira). In tutti e cinque questi comuni, il M5S affrontava al ballottaggio candidati del centrosinistra; in tutti e cinque era giunto secondo al 1° turno di due settimane fa; ed in tutti e cinque aveva ottenuto una percentuale di consenso nettamente inferiore a quella del proprio avversario (da una scarto minimo di 14,2 punti a Comacchio ad uno massimo di 33 a Garbagnate).

    Il risultato di questo 2°turno parla chiaro: il movimento di Grillo ha battuto il centrosinistra in 3 casi su 5. Oltre al successo di Parma, ampiamente mediatizzato, il M5S registra la conquista dell’amministrazione comunale anche a Mira e Comacchio.

    Può essere interessante dare una occhiata ai valori assoluti del confronto fra M5S e PD nei due turni di queste elezioni comunali. La Tabella seguente mostra i voti ai candidati sindaco nei cinque comuni in esame: presentiamo i dati aggregati perché non si registrano particolari variazioni nei singoli casi.

    Come si vede, in questi comuni l’affluenza, pur calando fra 1° e 2° turno, si è mantenuta su livelli piuttosto alti in confronto al notevolissimo calo che si è registrato a livello nazionale (e di cui già si è dato conto in un altro articolo). Questo può stupire, dato che in questi comuni si presentavano ai ballottaggi dei candidati, quelli grillini, che al primo turno si erano fermati su percentuali molto basse per essere quelle di candidati giunti al secondo posto: da un massimo del 22,3% di Comacchio, ad un minimo di addirittura il 10,3% di Garbagnate.

    Il fatto che l’affluenza sia calata relativamente poco (solo 9.000 voti validi in meno rispetto a due settimane fa) è dunque la conseguenza del fatto che il M5S è riuscito a rimobilitare una significativa quota di elettori: elettori che, come la tabella mostra chiaramente, avevano votato altri candidati al primo turno. I candidati del M5S hanno guadagnato addirittura 50.000 voti in queste due ultime settimane. È certo che una significativa quota di questi elettori proviene dal centrodestra.

    Il PD, dal canto suo, come da tradizione, conferma una significativa capacità di rimobilitare i suoi elettori, ma non riesce a conquistarne di nuovi. Anche alle amministrative dell’anno scorso avevamo notato questo fenomeno: allora la vittoria del centrosinistra era dipesa dalla incapacità del centrodestra di rimobilitare i propri consensi. Quest’anno, in questi cinque comuni, il M5S non ha avuto certo di questi problemi, ed il PD ne ha subito le conseguenze, perdendo 3 confronti diretti su 5, e fra questi certamente il più importante.

    Nel grafico seguente mostriamo le tendenze elettorali (voti proporzionali di lista) delle ultime quattro tornate nei cinque comuni in esame, dalle precedenti amministrative ad oggi, passando per le politiche del 2008 e per le regionali del 2010. Per CDX intendiamo il PDL (nel 2007 FI e AN) e le liste civiche collegate, dato che, come si vede, la Lega e, ove presente, l’UDC, vengono considerati (e ad oggi sono) blocchi a sé stanti.

    Come si vede, con un andamento simile a quello tipico della Zona Rossa, il centrosinistra tiene le sue posizioni nell’ultimo quinquennio: cala leggermente rispetto alle ultimissime tornate, ma in modo assolutamente non allarmante. Quello che stupisce è invece la totale destrutturazione del centrodestra. Il PDL era addirittura davanti al centrosinistra nel suo complesso nel 2007, mentre oggi è ridotto ai minimi termini, il 9,9%: la debacle di Parma incide molto su questa percentuale, ma si tenga presente che anche negli altri quattro comuni il partito di Berlusconi si è fermato poco sopra il 10%. Anche negli scorsi anni il PDL era progressivamente calato, ma le sue perdite erano compensate quasi perfettamente dalla contemporanea crescita della Lega: giunta in tre anni dal 3% al 15%. Oggi le cose sono notevolmente cambiate: non solo il PDL è sceso addirittura sotto il 10%, ma la Lega è tornata con una rapidità impressionante ai livelli di cinque anni fa. Ad usufruire di questa letterale decomposizione sono in molti: in parte certamente il Terzo Polo, cinque anni fa semplicemente inesistente, ed oggi vicino al 10%, in parte le altre liste civiche (non presenti nel grafico, ma al 13,6% nel 2012, quasi raddoppiate rispetto al 2007), in parte il non voto (l’affluenza, fra il 2007 ed il 2012, è calata di 9 punti). Ma è impossibile non collegare la “scomparsa” della coalizione di centrodestra con l’incredibile crescita di Grillo, che triplica in due anni: dal 6% al 19%.

    A brevissimo avremo notizie più dettagliate sulla provenienza di questi voti: quello che certamente si può dire è che, in questi cinque comuni, Grillo sta riempiendo sia un vuoto di consensi che un vuoto di partecipazione. Non solo è stato capace di triplicare il proprio consenso in tre anni, ma è stato capace di portare a votare due volte gli elettori, e non solo i suoi.  Se questi fenomeni i si estenderanno a dimensioni geografiche maggiori, e ci sono le condizioni perché questo avvenga, gli altri partiti, di centrodestra e di centrosinistra, dovranno trovare il modo di reagire.

  • Comunali 2012: i partiti di appartenenza dei candidati sindaco nei comuni capoluogo

    di Federico De Lucia

    Sino ad ora le nostre analisi si sono concentrate sulle prestazioni delle coalizioni e su quelle delle liste di partito. Non ci siamo invece ancora occupati dei candidati sindaco. In particolare, per quanto riguarda i 26 comuni capoluogo al voto, può essere interessante notare a quali partiti appartengano, da una parte i Sindaci già eletti al primo turno, e dall’altra i candidati che si affronteranno ai prossimi ballottaggi.

    I Sindaci già eletti dopo il primo turno dello scorso fine settimana sono solo 7. Di questi, 3 sono del Pd (Federici a La Spezia, Consales a Brindisi, Bertinelli a Pistoia), 3 sono del Pdl (Romoli a Gorizia, Abramo a Catanzaro, Perrone a Lecce) e 1 è un leghista (Tosi a Verona). Nelle altre 19 città si andrà al ballottaggio.

    Come mostra la tabella, lo scontro più ricorrente, fra quelli cui assisteremo il prossimo fine settimana, è quello che vede contrapposti un candidato del Pd e un candidato del Pdl. Tuttavia, si tratta di una prevalenza piuttosto relativa: solo 6 casi su 19. Non mancano altri tipi di sfide: in due occasioni (L’Aquila e Lucca) i candidati del Pd affrontano uomini appartenenti a partiti del Terzo Polo. In un caso (Genova), è un candidato di area Sel ad affrontare un esponente del polo centrista. A Rieti si assiste ad uno scontro fra un uomo di Sel ed uno del Pdl. A Parma, infine, andrà in scena la sfida tanto attesa fra il candidato dei grillini Pizzarotti e quello del Pd locale.

    In tutti gli altri casi (8 su 19), almeno uno dei due sfidanti non sarà un candidato propriamente di partito. Sarà al contrario un esponente della società civile o dell’associazionismo locale, o un candidato di una formazione di caratura territoriale modesta (come Maurici a Trapani, esponente del Grande Sud di Miccichè). Oppure, infine, un soggetto attualmente non inquadrabile in nessuna formazione politica: è il caso di Ferrandelli a Palermo. A Cuneo, addirittura, sia il candidato sostenuto dal centrosinistra che quello sostenuto dal Terzo Polo, sono esponenti del mondo civico.

    Una riflessione a margine può essere fatta in merito all’unico fra gli schieramenti politici che abbia mantenuto un formato di tipo coalizionale in questo turno amministrativo: quello di centrosinistra. Spesso, quando si analizza l’offerta elettorale di questo blocco politico si fa riferimento alle difficoltà che presenta il Pd nella scelta dei candidati, specie in confronto ai suoi alleati più radicali. (www.invisibly.com) È vero che nelle due maggiori città al voto, Genova e Palermo, le primarie di coalizione hanno dato risultati negativi per il partito di Bersani, ed è vero che anche in contesti demograficamente meno rilevanti (Trani, Cuneo, Pistoia, Belluno)non sono mancate polemiche e controversie. Ma è altrettanto vero che, alla fine, come mostra la tabella seguente, le liste Pd hanno finito con il sostenere candidati targati Pd in ben 18 casi su 26. Solo in 3 (Genova, Rieti, Taranto) hanno sostenuto candidati di area Sel, e nei restanti 5 hanno sostenuto candidati della società civile o uomini comunque non appartenenti a nessun partito.

    Nel complesso, non sembra che i candidati specificamente democratici siano andati peggio degli altri: anzi, in tutti e tre i casi in cui il centrosinistra ha già chiuso la partita, il candidato prescelto era un uomo del Pd. I tre esponenti di Sel sono invece andati tutti al ballottaggio, come 4 dei 5 esponenti a-partitici. Nelle 6 occasioni in cui le liste Pd sono state sconfitte, 5 vedevano in lizza candidati democratici, ed una la sindacalista agrigentina Lo Bello.

    Dopo i ballottaggi, comunque, avremo un quadro più completo della situazione.

  • Comunali 2012: il successo del Movimento 5 Stelle

    di Federico De Lucia

    Uno degli elementi che più di tutti ha caratterizzato queste elezioni amministrative è certamente il successo del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Le liste civiche che si ispirano al comico genovese hanno ottenuto una grande affermazione in molti comuni, e il candidato grillino a Parma, Federico Pizzarotti, è persino riuscito a raggiungere il secondo posto assoluto, cosa che gli consentirà di affrontare al ballottaggio il candidato del centrosinistra Vincenzo Bernazzoli.

    Il primo dato che merita attenzione, se si vuole apprezzare quanto il Movimento di Grillo si stia diffondendo sul territorio nazionale, è relativo all’offerta politica, cioè alle presenze dei candidati e delle liste del M5S nei comuni al voto. Dai dati in tabella, appare nitidamente quanto, a questo punto di vista, la situazione sia cambiata rispetto alle elezioni nei capoluoghi dello scorso anno.

    Nel 2011 Grillo era presente in 18 capoluoghi sui 29 al voto (il 62,1%), mentre oggi è presente in 20 dei 26  chiamati alle urne (il 76,9%). Ma ancora più rilevante appare notare come in queste elezioni non vi sia alcun capoluogo del Nord e della Zona Rossa nel quale non fosse presente un candidato grillino. Ed anche al Sud, dove pure ancora la metà dei capoluoghi non ne vedeva ai nastri di partenza, la diffusione degli uomini di Grillo è sensibilmente aumentata rispetto all’anno scorso.

    Per quanto riguarda le prestazioni elettorali, il grafico seguente mostra come il Movimento 5 Stelle, nell’aggregato composto dai soli 20 comuni in cui era presente una sua lista, abbia ottenuto l’8,2% dei voti proporzionali. L’anno scorso, nelle 18 città in cui si era presentato, aveva preso il 4,4%: stiamo parlando di un incremento davvero importante.

    È bene chiarire che l’aggregato geografico di riferimento è diverso per i due anni in esame, e dunque l’impressione che si ricava dal confronto fra i due anni ha un valore solo indicativo. Tuttavia, è possibile fare almeno due considerazioni in proposito: in primo luogo, il M5S si conferma un partito centrosettentrionale (con una punta significativa nella Zona Rossa, ed in particolare in Emilia Romagna); in secondo luogo, le liste di Grillo, in tutte e tre le zone del paese, sono andate molto meglio rispetto a quanto non avessero fatto l’anno scorso, ma in particolar modo va segnalato il sensibile miglioramento registrato al Nord (+ 6,5 punti).

    Se spostiamo l’orizzonte temporale dell’analisi alle regionali del 2010, ci è possibile operare un confronto metodologicamente più attendibile rispetto a quello appena fatto, perché prende in considerazione un aggregato territoriale che è il medesimo per i due anni in questione: le sole 8 città fra quelle in cui Grillo è presente quest’anno, in cui la lista di Grillo era presente anche alle regionali del 2010. Questo ci consente di osservare un vero e proprio trend elettorale, che si mostra ancora più lusinghiero di quello che abbiamo segnalato prima. Come mostra la tabella, in questi 8 comuni, il M5S ottiene l’11%, ben 7 punti in più rispetto a due anni fa, quando si era fermento di poco sopra il 4.

    Generalizzare queste percentuali all’intero territorio nazionale sarebbe assolutamente inesatto: il campione di cui stiamo parlando è piccolo e, soprattutto, solo ed esclusivamente urbano. Non rappresentativo, dunque, della popolazione italiana. Ciò non toglie che la prestazione del Movimento 5 Stelle sia stata davvero molto significativa, anche se va detto che i sondaggi l’avevano in qualche modo prevista. Ciò che era difficile prevedere in queste proporzioni, è stato il contemporaneo crollo del centrodestra: è stato questo il fattore decisivo nello spingere i grillini a centrare il ballottaggio a Parma ed a sfiorarlo a Genova.

  • Elezioni in Grecia: frammentazione, instabilità, incertezza sul futuro.

    di Federico De Lucia

    Nello scorso, cruciale, fine settimana elettorale europeo, si è votato anche in Grecia. Sotto gli occhi preoccupati della comunità internazionale e dei mercati finanziari, i cittadini greci, vessati dalle severissime manovre economiche che il Parlamento ha dovuto approvare sotto la spinta dei partner europei, si sono recati alle urne per decidere il proprio futuro.

    I sondaggi dei mesi scorsi avevano già in qualche modo previsto che il sistema greco, fino al 2009 uno dei meno frammentati d’Europa, sarebbe in questa occasione letteralmente esploso; ma la grande domanda era se le forze che sino ad oggi hanno sostenuto il governo tecnico filoeuropeista, ovvero la grande coalizione formata dal partito di destra moderata, Nea Demokratia, e dal partito di sinistra moderata, il Pasok, sarebbero riuscite a mantenere una maggioranza parlamentare. Ebbene, la risposta è che, nonostante ND si sia aggiudicata il premio di maggioranza di 50 seggi previsto dal sistema elettorale greco per il primo partito (premio che è stato persino innalzato rispetto al passato, dato che sino ad ora era stato di 40 seggi),  non solo nessun partito è riuscito a raggiungere la maggioranza dei seggi, ma nemmeno la somma dei due partiti moderati giunge a tale fatidica soglia, fermandosi due seggi sotto l’obiettivo.

    ND e il Pasok, nel loro complesso, subiscono un vero e proprio crollo elettorale, passando dal 77,4% dei voti che avevano ottenuto nel 2009, al 32,1% di oggi. Meno di un terzo dei votanti greci si è dunque espresso a favore dei partiti che sino ad oggi hanno fornito all’Europa le garanzie economiche richieste. ND ha perso 15 punti rispetto al 2009; il Pasok addirittura 30. Questi due partiti possono essere oggi considerati come un centro politico assediato, da destra e da sinistra, da forze ostili alle politiche di austerità che l’Europa impone. La totalità di questi voti si è infatti spostata verso le ali estreme dello spettro politico: limitandosi ai partiti entrati in Parlamento, i tre partiti alla sinistra del Pasok ottengono complessivamente il 31,4% dei voti mentre i due alla destra di ND il 17,6%.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    A sinistra si rende protagonista di un grande risultato, il 16,8% (triplicando la percentuale del 2009), il partito di sinistra radicale Syriza, forte di una posizione ambigua, e proprio per questo allettante per l’elettorato: il partito guidato da Alexis Tsipras infatti, pur essendo nettamente contrario alle misure del governo tecnico, non si spinge sino a proporre l’uscita dall’Euro come una alternativa praticabile. I comunisti del KKE ottengono l’8,5% (rispetto  al 7% del 2009) mentre Dimar (partito scissosi dal Pasok nel corso della legislatura) si ferma al 6,1%.

    A destra, ottengono il 10,6% gli Indipendenti greci , corrente di scissionisti da ND contraria al governo tecnico, mentre desta particolare preoccupazione in tutta Europa il successo di Chrysi Avgi (Alba d’Oro), partito di estrema destra esplicitamente filonazista, entrato in Parlamento con il 7% dei consensi. Esce invece dalla Camera il partito populista di destra Laos (Lega popolare ortodossa).

    I partiti che ottengono rappresentanza passano dunque da 5 a 7, ma ciò che cambia sono i rapporti di forza fra essi: il numero effettivo di partiti elettorali (un indice di misurazione che tiene conto anche delle dimensioni dei partiti, e non solo della loro quantità) passa dai 3,16 del 2009 agli 8,95 di oggi.  Un quadro, dunque, di preoccupante frammentazione e di forte contrapposizione sulle scelte di fondo.

    A questo punto si apre una delicatissima fase di consultazioni, che il sistema istituzionale greco prevede come molto cadenzata: i leader dei primi tre partiti, nell’ordine, potranno disporre ciascuno di tre giorni di mandato esplorativo per formare una coalizione che goda del sostegno della maggioranza dei membri della Camera. Ben pochi però sono gli scenari praticabili. Maggioranze di centrodestra o di centrosinistra sono assolutamente impossibili o da un punto di vista prettamente numerico (come ad esempio la coalizione di centrosinistra proposta da Syriza), o comunque da un punto di vista programmatico poiché i due tronconi moderati dello spettro politico (ND e il Pasok) hanno posizioni in riguardo alle politica europea assolutamente non compatibili con quelle delle porzioni estreme, che tutte si oppongono in una qualche misura ai termini imposti dall’Europa come condizioni per poter godere dei prestiti necessari alla Grecia per evitare il default. L’unica soluzione possibile (ritenendo inimmaginabile che la sinistra radicale e comunista possa pensare di collaborare con i neonazisti in chiave antieuropeista) resta dunque quella che sostiene il governo uscente, ma come abbiamo detto, ND (pur fortemente avvantaggiata dal premio di maggioranza) e il Pasok si fermano assieme a 149 seggi: due in meno rispetto alla maggioranza assoluta. È perciò necessario coinvolgere almeno un altro dei partiti entrati in Parlamento, ovvero, nella sostanza, ottenere dall’Europa una qualche rinegoziazione delle condizioni del prestito. Vedremo se sarà possibile: se i tre mandati esplorativi falliranno, si dovrà tornare alle urne, e l’instabilità politica si intensificherà ulteriormente.

  • Comunali 2012: l’offerta politica nei capoluoghi della Zona Rossa

    di Federico De Lucia

    Il 6 e 7 Maggio si recheranno alle urne i cittadini di cinque comuni capoluogo della Zona Rossa. Due sono capoluoghi emiliani, Parma e Piacenza, e tre sono capoluoghi toscani, Carrara, Pistoia e Lucca. In tre di questi comuni (Piacenza, Carrara, Pistoia) l’amministrazione uscente è di centrosinistra; negli altri due (Parma e Lucca) è di centrodestra. Solo a Lucca e a Carrara si ricandida il sindaco uscente.

    L’assetto della competizione è ovunque multipolare, ed anzi molto frammentato. Nella tabella possiamo confrontare i numeri medi dell’offerta 2012 con quelli dell’offerta 2007. Si nota in modo inequivocabile come proceda, accelerando violentemente, lo stesso fenomeno che già era iniziato con le amministrative dell’anno scorso: un progressivo svuotamento dei poli principali a favore dei candidati minori. Aumenta sensibilmente il numero di candidati sindaco, mentre addirittura raddoppia il numero di liste non schierate. Diminuiscono invece le liste dei due schieramenti principali, anche se con una evidente differenza: mentre il centrosinistra, pur in calo, continua a mostrare una composizione abbastanza eterogena, possiamo addirittura parlare di “scomparsa” di una vera e propria coalizione di centrodestra.


    Vediamo sommariamente quali sono state le scelte di collocamento dei vari partiti in queste cinque città.

    A Piacenza, il centrosinistra si candida compatto a sostegno di Paolo Dosi, con una coalizione composta da Pd, Idv, una lista comune Sel-Fds-Psi e dai Moderati (formazione politica radicata essenzialmente in Piemonte). Andrea Paparo è il candidato del Pdl, ed è sostenuto anche da due liste civiche (una delle quali, Piacenza Viva, contiene anche alcuni uomini i Fli). La Lega, affiancata da altre due liste (fra le quali una è frutto di una scissione interna al Pdl), candida invece Massimo Polledri. Altri candidati degni di nota sono Pierpaolo Gallini, dell’Udc, e Mirta Quagliaroli, del Movimento 5 Stelle.

    A Parma gli ultimi mesi sono stati particolarmente intensi: il centrodestra è uscito distrutto dalla difficile esperienza della giunta Vignali (conclusasi con le dimissioni dello scorso settembre), e la conseguenza è la sua totale esplosione a livello di offerta politica. Il Pdl, dopo lunga indecisione, ha candidato il suo segretario provinciale Paolo Buzzi; l’Udc, assieme a Civiltà parmigiana, la lista civica che aveva espresso Vignali, torna a candidare il predecessore di quest’ultimo, Elvio Ubaldi. Inoltre, anche la Lega Nord sceglie di presentare un candidato autonomo, Andrea Zorandi. Di fronte ad un centrodestra così frammentato, il centrosinistra, a sostegno di Vincenzo Bernazzoli, si presenta pressochè compatto: Pd, Sel, Idc, Pdci, socialisti, e due liste civiche, di cui una contiene una parte del Fli locale. A questi candidati si aggiungono Federico Pizzarotti, candidato del Movimento 5 Stelle, ed altri quattro candidati di liste minori, civiche o estremiste.

    A Lucca il centrodestra, dopo cinque anni di governo, si presenta se possibile ancora più diviso. In particolare è stata la candidatura di Pietro Fazzi (già sindaco dal 1998 al 2007) a creare scompiglio e scissioni all’interno dei partiti moderati. L’offerta ufficiale vede schierati ben sei candidati di area conservatrice. Il sindaco uscente, Mauro Favilla, è sostenuto dal Pdl e da una serie di liste civiche, fra le quali però ne spicca una espressione di una corrente minoritaria dell’Udc locale (Noi per Lucca al centro). Fazzi ha l’appoggio della sua lista personale (in realtà composta da una porzione del Pdl locale) e dell’Udc . A questi due si aggiungono l’ex consigliere regionale del Pdl Maurizio Dinelli (sostenuto dal Pli, dal Mat, e da due liste civiche), il leghista Antonio Trapani, il laico Luca Leone (sostenuto da Api e Fli) , e lo storico democristiano locale Piero Angelini. Il centrosinistra, conscio della possibilità che la frammentazione del campo avverso gli concede, riesce a presentarsi unito: Alessandro Tambellini è sostenuto da Pd, Idv, Sel, Fds, e da una civica. Tra gli altri candidati, si segnala Daniela Rossellini, del Movimento 5 Stelle.

    A Carrara il centrosinistra ricandida il sindaco uscente, il socialista Angelo Zubbani, con un coalizione parzialmente distinta da quella che abbiamo visto altrove. Essa infatti, oltre a Pd, Sel, Fds, Psi, Pri, Api, comprende anche i centristi dell’Udc. L’Idv, in dissenso rispetto a questa strategia coalizionale, ha scelto di correre separatamente dal centrosinistra, seguita dai Verdi e da due liste civiche, a sostegno di Claudia Bienaimè. A destra, il Pdl e una lista comune di La Destra e Nuovo Psi sostengono Lanmarco Laquidara, mentre la Lega candida un suo uomo, Antonio Biggi. Al centro, abbandonato dall’Udc, Fli non rinuncia a partecipare alla competizione, presentando il proprio segretario cittadino, Nicola Franzoni. Anche a Carrara, infine, va segnalato, fra i candidati minori, quello del Movimento 5 Stelle, Matteo Martinelli.

    A Pistoia infine, la situazione si presenta come abbastanza lineare: Samuele Bertinelli è il candidato del centrosinistra nel suo formato più esteso, ovvero Pd, Idv, Sel, Fds, Verdi, Socialisti e varie civiche. Il centrodestra si presenta con due candidate donne: l’azzurra Anna Maria Celesti, e la leghista Daniela Simionato. A questi si aggiungono il candidato di un Terzo Polo finalmente unito, Alessio Bartolomei, e quello dei grillini, Giacomo Del Bino, oltre ad altri tre candidati minori.

    Nel complesso si può vedere come in questa zona del paese, il centrosinistra, con la parziale eccezione di Carrara, abbia adottato sempre una soluzione coerente con la foto di Vasto. Una coalizione cioè, piuttosto composita, e protesa a sinistra. Il Pdl invece, abbandonato ovunque sia dai centristi che dall’ormai ex alleato leghista, è costretto a rinunciare ai suoi partner storici, e deve accontentarsi di farsi affiancare, ove possibile, da qualche lista civica. La Lega, dal canto suo, presenta un candidato autonomo in tutti e cinque i capoluoghi in esame. Il Terzo polo, poi, conferma in queste zone di avere grosse difficoltà a coordinarsi. Con l’eccezione di Pistoia, i partner del nuovo aggregato centrista non riescono mai a mettersi d’accordo su un unico candidato. Infine, nell’ormai consueto pullulare di liste civiche, va segnalato il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, presente costantemente, con un proprio candidato, in tutti e cinque i capoluoghi di zona al voto.

  • Un Parlamento movimentato: la cronistoria dei gruppi parlamentari al Senato

    di Federico De Lucia e Aldo Paparo

    Al Senato il Pdl contava a inizio legislatura 146 senatori e oggi ne ha 129. La scissione di Fli ne ha sottratti 11, di cui uno poi è rientrato (Pontone); la Poli Bortone ha creato Io Sud, ed oggi è iscritta al gruppo di Coesione nazionale; altri 7 senatori eletti nel Pdl hanno rinforzato le fila di Coesione Nazionale, anche se due sono in seguito tornati indietro sui loro passi; il repubblicano Del Pennino, subentrato nel corso della legislatura, si è iscritto al misto. Musso e Galioto, infine, sono passati al gruppo dell’Udc e sono gli unici (oltre ovviamente a quelli di Fli) ad avere cambiato posizione nei confronti dell’esecutivo. I due unici ingressi che il gruppo del Pdl ha registrato sono quelli di Burgaretta Aparo, che, subentrato a Cintola (dell’Udc), è prima transitato dal Mpa, nel misto, e Dorina Bianchi che, eletta nel Pd, e transitata dall’Udc prima di giungere alla corte del Presidente del Consiglio.

    Il Pd è passato da 119 senatori a 106. 4 di essi hanno seguito Rutelli nel nuovo Api; Gustavino, Serra, Fistarol e Sbarbati sono passati nel gruppo dell’Udc; Rossi e Tedesco nel misto. Tutti costoro continuano ad opporsi al governo. Villari, finito in Coesione nazionale, e la Bianchi sono invece gli unici ad essere passati in gruppi che sostengono l’esecutivo.

    L’Idv è scesa da 14 a 12 senatori: ha perso Russo per l’Api e Astore verso il misto. Entrambi continuano a votare la sfiducia.

    La Lega ha espulso Filippi, che oggi si trova nel misto e continua a votare la fiducia: da 26 a 25 senatori.

    Il gruppo unico di Api e Fli conta 13 elementi: 5 provengono dal Pd, 1 dall’Idv e 7 dal Pdl.

    L’Udc per potere costituire un gruppo ha dovuto coalizzarsi con altre forze. Il gruppo contava in origine 11 membri: i tre eletti dell’Udc, tre senatori a vita (Cossiga, Colombo, Andreotti), i tre della Svp, 1 di Union Valdotaine e la Giai, del Maie. Oggi gli iscritti sono invece 14. Hanno perso due senatori siciliani a favore della maggioranza per via di subentri: Burgaretta si è accasato al Pdl e la Castiglione a Coesione Nazionale. Cossiga è deceduto. I nuovi arrivi sono 6: 4 dal Pd e 2 dal Pdl.

    Il gruppo di Coesione Nazionale è formato da 11 senatori. Tre sono ex Pdl, pentiti di Fli; la Poli Bortone, eletta nel Pdl è transitata prima dal misto; 5 provengono direttamente dal Pdl, e di questi, 3, sono ascrivibili a Forza del Sud; Villari viene dal Pd, e la Castiglione dall’Udc a seguito della scissione del Pid.

    Il misto conta oggi 11 unità: ai due dell’Mpa e ai 4 senatori a vita si sono aggiunti nel corso della legislatura due ex Pd, Astore dell’Idv, Filippi dalla Lega e Del Pennino dal Pdl. Questi ultimi due sono gli unici della maggioranza.

    Al Senato la maggioranza è certamente più tranquilla: gode infatti di ben 167 voti a favore. Tuttavia il fatto che in una Camera non incerta dal punto di vista della fiducia al governo si verifichino così tanti movimenti, testimonia la forte instabilità del nostro sistema partitico.

    La composizione del Senato a inizio legislatura (i gruppi favorevoli al governo aderiscono al centro, quelli di opposizione no)

    NOTA: in tutti i seguenti grafici non sono considerati i senatori a vita.

    La composizione del Senato il 14 dicembre 2010 (i gruppi favorevoli al governo aderiscono al centro, quelli di opposizione no)

    NOTA: a questi bisogna aggiungere 8 fra astenuti e assenti: 2 del pdl, 3 del svp, 1 del pli, 1 dei repubblicani europei e 1 di noi sud.

    La composizione del Senato ad oggi (i gruppi favorevoli al governo aderiscono al centro, quelli di opposizione no)

  • Molise 2011. Alle regionali molisane tassi di preferenza da record

    di Federico De Lucia

    Il fatto che da due legislature regionali a questa parte le elezioni regionali molisane non si svolgano contemporaneamente a quelle delle altre Regioni, ma con un anno e mezzo di ritardo, ha reso inevitabile che la piccola Regione appenninica venisse espunta da quasi tutti gli studi comparati sulle elezioni regionali italiane. Anche a causa di questo, da qualche anno ormai non si fa più riferimento ad un elemento caratterizzante del sistema partitico molisano: l’importanza cruciale del voto di preferenza. Se compariamo le elezioni molisane del 2006 e del 2011 rispettivamente a quelle delle altre Regioni ordinarie del 2005 e del 2010, ci rendiamo conto di come i tassi di preferenza molisani siano veramente altissimi. Nel 2006 il 90,17% di coloro che hanno espresso un voto di lista hanno espresso anche un voto di preferenza; nel 2011 costoro sono stati l’89,71%. In entrambi i casi si tratta del valore più alto fra quelli registrati nelle Regioni ordinarie.

    Nella Tabella 1 possiamo osservare i tassi di preferenza disaggregati per partito e per schieramento, relativamente ad entrambe le ultime due tornate regionali.

    Tabella 1


    Generalmente parlando, i partiti con i tassi di preferenza più alti sono quelli post-democristiani o centristi (UDC, DCpA, La Margherita, UDEUR, ApI, AdC), quelli socialisti (SDI-PSI), e quelli prettamente locali (Progetto Molise e Molise Civile, ma anche Grande SUD e Costruire Democrazia). Anche i DS e l’AN del 2006, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, superarono nettamente il 90%. Gli altri partiti (FI, l’IdV e le liste di sinistra radicale, esclusi i Verdi), pur collocandosi su tassi inferiori a quegli degli altri, si mantengono su livelli nettamente maggiori rispetto a quelli che registrano altrove. Per quanto riguarda i partiti nati recentemente, poi, il PdL sembra più vicino agli alti tassi di AN che a quelli, inferiori, di FI, ed il PD del 2011 presenta invece tassi nettamente inferiori rispetto a quelli propri ai DS e alla Margherita del 2006. (hotcanadianpharmacy.com)

    Passando ai valori medi dei due schieramenti, nel 2006 essi furono entrambi superiori alla notevolissima cifra del 90%. Nel 2011 si è registrato un ulteriore incremento per quanto riguarda i partiti di centrodestra e una diminuzione per quanto riguarda quelli di centrosinistra. Un ruolo chiave nel determinare questa evoluzione l’ha avuto lo spostamento dell’UDEUR, partito clientelare per eccellenza, da una coalizione all’altra. Il dato regionale medio, infine, è calato leggermente (specie a seguito dei cali registrati da PD e IdV), ma è rimasto su livelli assolutamente da record.

    Una gran parte del comportamento elettorale dei cittadini molisani è dunque spiegato dal loro rapporto con i candidati di lista. La fedeltà che essi nutrono nei confronti delle liste di partito è in realtà la conseguenza della fedeltà che essi nutrono nei confronti dei candidati in esse inseriti.

  • Molise 2011: le prestazioni dei partiti

    di Federico De Lucia

    Il sistema partitico che si offre all’osservatore all’indomani delle ultime elezioni regionali molisane è estremamente frammentato. Non solo: se si osservano le tendenze di medio periodo (l’intera durata della Seconda Repubblica), ci si rende conto di come la frammentazione del sistema partitico molisano sia cresciuta ad ogni tornata elettorale regionale. Nella Tabella 1 possiamo notare come il Numero effettivo di partiti elettorali (Nepe, o Indice di Laakso e Taagepera), si sia ininterrottamente innalzato dal 1995 ad oggi, e come esso abbia ormai raggiunto la considerevole vetta di 11,17 partiti effettivi.

    Tabella 1

    Un quadro dunque molto più complesso di quello al quale siamo abituati a livello nazionale. Nella Tabella 2 possiamo vedere quali siano le ragioni di questa difformità, e possiamo confrontare le prestazioni elettorali dei vari partiti con quelle da loro ottenute nell’ultimo quinquennio.

    Tabella 2

    Come avviene in molte Regioni meridionali, i risultati delle elezioni regionali sembrano differenziarsi molto da quelli delle elezioni di carattere nazionale. Da una parte a livello regionale si presentano liste che a livello nazionale non si presentano; dall’altra i partiti maggiori ottengono alle elezioni regionali percentuali molto inferiori a quelle che ottengono alle politiche, perdendo consensi a favore delle liste minori. L’impressione, tuttavia, è che per quanto riguarda il Molise tali fenomeni si siano fortemente intensificati in occasione delle regionali 2011.

    Il quadro elettorale all’indomani di questa tornata si mostra come fortemente complesso e articolato in entrambe le aree politiche maggiori. Nel centrodestra, il partito maggiore, il PdL, ottiene meno del 19% dei voti. Nel centrosinistra, addirittura, non ci sono partiti che superino il 10% dei consensi.

    Per quanto riguarda il centrodestra, appare molto significativo notare il vero e proprio crollo elettorale del PdL: quello che era nato come il potenziale partito unico del centrodestra ha ottenuto una percentuale inferiore a quella che nel 2006 aveva ottenuto la sola Forza Italia. Appare presumibile che una significativa dose di questi consensi si sia spostata verso le varie liste centriste, locali o più genericamente meridionaliste, presentatesi all’interno della coalizione di centrodestra: AdC e Grande Sud, al loro debutto, hanno ottenuto significative quote di consenso; Molise civile, ed in particolare Progetto Molise, sono invece sensibilmente cresciute rispetto alle regionali scorse. Certamente una parte di questi voti sono destinati a rientrare nel PdL in occasione delle prossime elezioni di carattere nazionale, ma il forte attivismo di alcuni dei soggetti in esame ed i risultati da loro raggiunti (ci riferiamo in particolare ad AdC e a Grande SUD) dovrebbe forse destare nel partito di Berlusconi un certo allarme (in questa come in altre Regioni meridionali, del resto).

    L’UDC, dopo una fase di difficoltà, probabilmente connessa alla scelta nazionale di collocarsi fuori dal polo di centrodestra, è tornata tra le fila conservatrici in occasione di queste elezioni regionali. Così facendo è tornata a crescere, pur non raggiungendo i livelli di un quinquennio fa.

    Nel centrosinistra poi, la frammentazione ha raggiunto livelli assolutamente inediti. In entrambe le tornate svoltesi nel 2006, pur viaggiando sottomedia rispetto alle percentuali nazionali, il PD (o l’Ulivo) aveva comunque mantenuto agilmente il ruolo di baricentro della coalizione progressista. Il biennio 2008-2009 è stato invece caratterizzato dall’esplosione dell’IdV, che in entrambe le elezioni tenutesi in questi anni ha sottratto al PD la gran parte dell’elettorato, giungendo sino a sfiorare addirittura il 28%, e relegando i democratici a cifre di poco superiori al 10%. Tornando, nel 2011, ad una elezione di tipo regionale, l’IdV è tornata bruscamente ai livelli del 2006, ma il PD non ne ha beneficiato affatto: anzi, è sceso sotto il 10%, infastidito da liste operanti nella stessa area come l’ApI e il PSI, entrambe autrici di ottime prestazioni. La sinistra radicale, dal canto suo, è tornata nel suo complesso a raggiungere le quote di consenso che le erano proprie sino a prima delle politiche del 2008, con SEL in una posizione preminente rispetto ai comunisti.

    Se a questa esplosione della frammentazione elettorale si aggiunge che tutti i partiti delle due coalizioni hanno conquistato almeno un seggio consiliare, se ne trae una immagine del sistema partitico molisano che tende a ritrarlo come un contesto non certo idoneo a facilitare la mediazione politica all’interno delle coalizioni.