Autore: Matteo Cataldi

  • I flussi elettorali nel comune di Verona: Tosi prosciuga il PdL

    di Matteo Cataldi

    La rielezione di Flavio Tosi a Palazzo Barbieri al primo turno delle elezioni comunali a Verona, come abbiamo detto in  precedenza e come da più parti sottolineato, è il frutto di un successo personale del sindaco uscente che va aldilà delle appartenenze partitiche e del consenso al partito di cui fa parte. Un successo ottenuto perfino “contro” il segretario federale Bossi, col quale nei mesi precedenti si era consumato un lungo braccio di ferro sulla presentazione della lista civica del sindaco e che era giunto fino alla minaccia di espulsione dal partito ad opera del Senatùr. I risultati delle elezioni comunali hanno dato ragione ad entrambi. Ad Umberto Bossi, preoccupato che la lista del sindaco potesse drenare una parte consistente di voti alla lista col simbolo di Alberto da Giussano e al tempo stesso rafforzare la posizione del sindaco “ribelle”; e a Flavio Tosi che immaginava la propria lista avrebbe potuto raccogliere un consenso molto largo, pescando ben oltre il tradizionale bacino di consensi della Lega Nord e forse perfino, come poi puntualmente è accaduto, “cannibalizzare” il PdL.

    L’analisi dei flussi elettorali che presentiamo in questo articolo ci aiuta a vagliare in modo empirico e scientificamente rigoroso le ipotesi sui movimenti di voto intercorsi tra le consultazioni elettorali più recenti, le elezioni regionali del 2010, e le comunali di quest’anno.

    A livello aggregato, Tosi, eletto con il 57,4% dei voti è riuscito a far meglio di Zaia alla guida di una coalizione che comprendeva anche il PdL. Un risultato non distante neppure dal 60,7% dei voti che ottenne nel 2007 quando era sostenuto compattamente da tutto il centrodestra, Udc inclusa.

    Nella figura che presentiamo sono state ricostruite le provenienze del voto alla lista civica del sindaco, che con 45.359 voti ha sostanzialmente eguagliato il numero di voti ottenuto dalla Lega in tutti i comuni capoluogo del centro-nord, Verona compresa (45.657). Fatto 100 i voti della lista civica “per Verona – Tosi sindaco” la figura 1 mostra da dove arrivano i voti a questa lista. Come si può osservare due elettori della civica di Tosi su tre avevano votatola Leganord o il PdL in occasione delle elezioni regionali precedenti. Si spiega anche così il crollo del partito di Alfano e Berlusconi che in soli due anni è passato dal 24,8% al 5,3%.  Circa il 10% giunge da elettori di centrosinistra in grande maggioranza dal partito di Di Pietro e solo una piccola parte dal Pd. Un altro flusso consistente è quello che proviene dal bacino del non voto: il 14% dei voti convogliati sulla lista personale del sindaco sono elettori che si erano astenuti due anni prima. (https://basicbluesnation.com) Specularmente, la matrice delle destinazioni, che non riportiamo nell’articolo, indica che la metà degli elettori della Lega nord del 2010 oggi ha scelto la lista personale del sindaco e lo stesso percorso l’ha compiuto la maggioranza relativa degli elettori del PdL di due anni fa (44 su 100).

    Figura 1. Provenienze dei voti alla lista civica “Per Verona – Tosi sindaco”

    La tabella 1, che leggiamo per colonna, mostra le destinazioni del voto delle liste presenti alle regionali del 2010 rispetto ai candidati sindaco di quest’anno. E’ interessante notare come, ad eccezione degli elettori del Movimento cinque stelle e di quelli della sinistra (che nel nostro caso assomma il partito di Vendola e la Federazione della sinistra), Tosi sia riuscito a catturare una parte non trascurabile dei voti da tutti i partiti presenti nel2010. In particolare, ben il 71% degli elettori del PdL ha scelto il sindaco uscente contro  il 17% che invece ha gettonato il candidato ufficiale del partito Castelletti.

    Anche l’arretramento dei partiti del centrosinistra è notevole. Particolarmente per l’Italia dei valori che cede oltre tre quarti dei propri voti del 2010 non raggiungendo il 2% dei voti validi. Gli elettori di Di Pietro, che come abbiamo documentato in precedenti articoli, sono altrove transitati in massa verso i candidati del Movimento cinque stelle, sembrano aver trovato a Verona, nel sindaco uscente, e nello specifico nella sua lista civica, il candidato più vicino alle proprie preferenze.

    Sette elettori su dieci che alle precedenti regionali scelsero il Pd sono rimasti fedeli al partito di Bersani e hanno votato per Bertucco; una piccola ma non trascurabile quota gli ha invece preferito Tosi (11%) ed una leggermente più consistente Benciolini, candidato del Movimento cinque stelle, che ha sfiorato il 10% dei voti validi (crescendo di oltre 5 punti nel giro di due anni).

    Tabella 1. Matrice delle destinazioni

    Nella seconda tabella riportiamo la matrice delle provenienze del voto ai candidati sindaco. Si osservi come nel successo di Tosi il peso degli elettori di centrosinistra si aggiri attorno al 10%, il 60% dei quali sono ex elettori dell’Italia dei Valori. Dunque una cifra significativa di elettori che, cambiando il proprio orientamento partitico rispetto a due anni fa, ha cambiato anche schieramento travalicando i confini coalizionali.

    Infine, il candidato del Movimento cinque stelle, in analogia a quanto già emerso dall’analisi dei flussi in altre città, rivela un profilo del proprio elettorato piuttosto trasversale. Quattro elettori su dieci di Benciolini provengono dalle fila del centrosinistra ma non molti meno, tre su dieci, sono ex elettori del PdL e soprattutto dalla Lega nord, nonostante Tosi.

    Tabella 2. Matrice delle provenienze

    Nota metodologica:

    La stima  dei flussi elettorali è stata condotta a partire dal risultato delle 268 sezioni elettorali comunali utilizzando il modello conosciuto in letteratura con il nome di “modello di Goodman”. Come ogni procedura di stima statistica anche  quella dei coefficienti di flusso è soggetta ad un certo margine di errore.

  • Pizzarotti ricompatta tutto il centrodestra: i flussi elettorali a Parma tra I e II turno

    di Matteo Cataldi e Aldo Paparo

    L’inattesa e straripante vittoria di Federico Pizzarotti candidato del Movimento cinque stelle a Parma sta tutta in una cifra: 51.235 voti. Questo lo straordianrio bottino di consensi che il neosindaco della città emiliana è riuscito a raccogliere moltiplicando  per tre i voti ottenuti due settimane prima (17.103). Il candidato del centrosinistra Bernazzoli (avanti di 20 punti dopo il primo turno) ha sostanzialmente mantenuto i propri voti perdendone meno di 600 e addirittura migliorando di qualche decimale la propria performance se osserviamo il dato percentuale.  Dunque, se il candidato del centrosinistra ha confermato i propri voti rispetto al primo turno, da dove giungono gli oltre 37.000 voti in più di Pizzarotti?

    Le stime dei coefficienti di flusso, calcolate a partire dal risultato rilevato in ciascuna delle 203 sezioni cittadine ed utilizzando il cosiddetto “modello di Goodman”, ci permettono, adottando la consueta cautela, di capire la provenienza dei voti di ciascuno dei due candidati al ballottaggio.

    La prima tabella mostra la matrice delle provenienze e va letta seguendo il totale di riga: su 100 voti espressi a favore di Pinzarotti, appena 6 provengono dall’area del centrosinistra e tutti quanti da chi aveva votatola Robertial primo turno; un terzo del voto al candidato “grillino” è costituto dalle riconferme di coloro che già lo avevano scelto due settimane prima, mentre il grosso, più di un elettore su due, aveva votato in precedenza un altro candidato di centrodestra.

    La seconda tabella, quella delle destinazioni, evidenzia come si sono distribuiti i voti dei candidati sindaco al primo turno in occasione del ballottaggio. La matrice mostra come il successo di Pizzarotti sia dovuto principalmente alla capacità di convincere gli elettori moderati a tornare alle urne anche dopo che il loro candidato preferito era rimasto escluso dal ballottaggio e ad ottenere tra questi quasi un plebiscito: otto elettori di Ghiretti su dieci hanno votato Pizzarotti, quasi 9 elettori su 10 di Ubaldi (Udc) hanno compiuto la stessa scelta e altrettanto hanno fatto quelli degli altri candidati. In sostanza Pizzarotti a Parma, dopo aver colpito duro il partito di Di Pietro ela Leganord al primo turno sembra essere riuscito a ricompattare tutto l’elettorato moderato di centrodestra sotto il simbolo del Movimento di Beppe Grillo.

     

    tabella 1  Provenienze

    tabella 2 Destinazioni

     

  • I flussi elettorali a Genova

    di Matteo Cataldi

     

    Dopo il comune di Parma ci siamo dedicati all’analisi dei movimenti di voto tra le elezioni regionali del 2010 e il recente primo turno delle comunali nella città di Genova. Anche in questo caso abbiamo utilizzato i dati di tutte le 653 sezioni elettorali e lo stesso modello di stima dei flussi. Con le cautele che tutte le procedure di stima statistiche richiedono nell’interpretare i risultati, i dati che presentiamo possono essere certamente interpretati come indicativi di alcune tendenze ben precise.

    La principale differenza rispetto all’esito del primo turno nella città emiliana è che nel caso del capoluogo ligure è stato il candidato del terzo polo Enrico Musso a spuntarla (sebbene di misura) sul candidato “grillino” e a guadagnarsi il ballottaggio. Musso ha ottenuto il 15% dei voti contro il 13.9% di Paolo Putti. Le analogie tra le due città sono invece di più. Come a Parma il centrodestra diviso è restato escluso dal ballottaggio: il Pdl e la Lega nord hanno entrambi dimezzato i voti ottenuti appena due anni prima. L’analisi dei flussi evidenzia come la buona prova del candidato del terzo polo e di quello del Movimento cinque stelle si è realizzata, la prima, a scapito del centrodestra, e la seconda, soprattutto a danno dei partiti del centrosinistra anche se in misura diversa. L’elettorato del PdL si è diviso praticamente a metà tra il candidato del Terzo polo e quello sostenuto dal partito, Pierluigi Vinai. Musso inoltre ha intercettato la maggioranza dei voti che nel 2010 erano stati espressi a favore della civica del candidato Presidente Biasotti; complessivamente (come mostra la matrice delle provenienze) il 90% degli elettori di Musso provengono da queste due liste.

    L’esplosione del movimento di Beppe Grillo si spiega col successo del  proprio candidato tra gli elettorati dell’Italia dei Valori (da cui è riuscito a drenare il 37% dei voti che il partito dell’ex magistrato ottenne nel 2010), della sinistra, che gli ha ceduto il 26% dei voti e delle altre liste che sostenevano la candidatura di Burlando (in particolare la civica col nome del Presidente). Cumulativamente dai partiti del centrosinistra Putti ottiene il 68% dei suoi voti.

    Vale la pena di notare che gli elettori più fedeli alle indicazioni del proprio partito sono stati quelli del Pd: quasi nove elettori su dieci hanno votato Marco Doria benché non appartenga a quel partito e alle  primarie cittadine avesse battuto il candidato democratico.

    Un altro dato sicuramente interessante è quello relativo alla Lega nord. Dalla matrice delle destinazioni si osserva un flusso considerevole di voti che dal carroccio si è spostano verso il M5S e uno altrettanto consistente che si  è diretto verso l’astensione.

    Sebbene le principali direttrici dei movimenti di voto osservati (centrosinistra e Lega nord che soffrono la concorrenza dei candidati di Grillo e quote di elettori moderati in uscita dal PdL che guardano ai candidati centristi), siano comuni ai due capoluoghi per i quali abbiamo fin qui condotto l’analisi dei flussi, non è corretto interpretarle in chiave più generale ed estenderle, per estrapolazione, ad un’area più estesa che abbracci un’intera regione, o tantomeno l’intero paese.

    Tab. 1 Destinazioni del voto ai partiti del 2010

    Tab. 2  Provenienze del voto ai candidati sindaco

  • I flussi elettorali a Parma

    di Matteo Cataldi

     

    Il risultato del primo turno delle elezioni comunali a Parma, con l’inaspettato secondo posto del candidato grillino che guadagna l’accesso al ballottaggio in cui sfiderà il candidato del centrosinistra Bernazzoli, ha acceso l’interesse attorno alla provenienza dei voti di Pizzarotti e del Movimento cinque stelle che nella città ducale sfiora il 20% dei consensi.

    Lo strumento più appropriato per poter capire i movimenti di voto tra una elezione e quella successiva viene individuato nell’analisi dei flussi che è stata condotta a partire dai risultati di ciascuna sezione elettorale utilizzando il modello di Goodman. Si tratta di stime affette da un certo margine di errore ed occorre interpretarle in modo indicativo, in particolare per i candidati e i partiti più piccoli. Di seguito riportiamo le matrici delle destinazioni e delle provenienze stimate in relazione alle elezioni regionali del 2010.

    La prima tabella (destinazioni) mostra i flussi in percentuale calcolati sugli elettori dei singoli partiti del 2010: più chiaramente, fatti 100 i voti di ciascun partito alle regionali di due anni fa evidenzia come questi si sono distribuiti tra i candidati sindaco quest’anno.

    Le stime confermano che i partiti in maggiore sofferenza sono quelli del centrodestra: il Pdl  ela Leganord si dividono in tanti rivoli diversi. In particolare per quel che concerne il partito di Bossi è interessante notare come la maggioranza relativa (38%) di coloro che nel 2010 avevano votato il carroccio si sia diretta verso il candidato del Movimento cinque stelle Pizzarotti. Restando in tema di defezioni il buon risultato ottenuto dal candidato Ghiretti si spiega con l’eccellente appeal di cui ha goduto tra l’elettorato moderato (lo ha votato più di un elettore “pidiellino” su 4 e il 20% circa di chi nel 2010 aveva scelto l’Udc).

    Gli elettori del Pd si rivelano i più fedeli al proprio partito, 8 su 10 scelgono infatti Bernazzoli; fedeltà che non ritroviamo tra gli elettori di Di Pietro, i quali, per oltre la metà scelgono Pizzarotti evidenziando l’elevata permeabilità dell’elettorato dell’Idv, quantomeno nella città emiliana, alla retorica di Grillo.

    La seconda tabella mostra invece le provenienze del voto ai candidati sindaco. Su questo versante arriva la conferma di quanto appena detto. Dalla Lega nord e dall’Italia dei Valori considerati congiuntamente proviene il 43% dei voti a Pizzarotti e dal Pdl quasi il 60% dei voti di Ghiretti.

    Queste sono le principali dinamiche che l’analisi dei flussi ha messo in evidenza dal 2010 ad oggi, cosa accadrà invece nel ballottaggio del prossimo fine settimana? Come si comporteranno gli elettori di Ubaldi e di Ghiretti? E quelli dei candidati di centrodestra? In attesa del verdetto delle urne, il simulatore online del ballottaggio di Parma ci permette di fare ciascuno la propria ipotesi.

  • Il riflusso della Lega nord

    di Matteo Cataldi

    Il ciclo elettorale espansivo della Lega nord, che ha coinciso con l’avvio della terza ondata leghista a partire dalle elezioni politiche del 2008, aveva conosciuto già in occasione delle elezioni amministrative dello scorso anno una pesante battuta d’arresto e un’inversione di tendenza – sebbene anche allora si fosse trattato solo di un test parziale. L’analisi della performance elettorale della Lega nord nel primo turno delle elezioni comunali di quest’anno ci mette di fronte a una potente onda di riflusso del carroccio in tutto il centro nord.
    Il calo della Lega nord, dopo che l’esperienza di governo dei primi tre anni della Legislatura aveva ingenerato tra i suoi elettori una diffusa delusione e che erano venuti alla luce i modi in cui venivano spesi i soldi del partito, era in larga parte atteso ma la sua portata si è rivelata maggiore delle aspettative.

    Un crollo tanto vistoso che la strepitosa vittoria di Tosi, rieletto sindaco a Verona, non può oscurare. Non è un caso che la sua lista personale abbia ottenuto oltre il triplo dei voti che sono stati assegnati alla lista del partito (13.000 contro 45.000 circa). Questo risultato è in gran parte frutto del successo personale ottenuto da Tosi, che è maturato perfino contro Bossi (e a fianco di Maroni) in aperto contrasto con la linea di governo del partito tenuta dal segretario federale.
    Detto di Verona e del motivo per cui non terremo conto del voto alla lista del sindaco Tosi ma solo di quello della lista del partito, nel resto dei capoluoghi del centro nord l’arretramento è stato prepotente. In molti capoluoghi la Lega è tornata al livello dei consensi di un ciclo fa, cioè sostanzialmente alle percentuali di voto delle elezioni comunali del 2007, leggermente meglio di quanto fatto registrare alle politiche del 2006. Nel confronto con le elezioni regionali del 2010, nell’insieme dei 14 comuni capoluogo, il calo è stato di circa 10 punti percentuali praticamente a parità di affluenza (61.4% nel 2010, 61.2% quest’anno).
    Scendendo nel dettaglio delle singole città, a Monza, dove il partito candidava il sindaco uscente Mariani, la Lega si è fermata al 7.7% (percentuale che sale al 10.4 se includiamo anche la lista civica coalizzata), praticamente il risultato delle politiche del 2006 che le è costato l’esclusione dal ballottaggio.

    A Belluno, il candidato Colle, vicesindaco nella giunta uscente, è arrivato addirittura sesto dietro ai candidati del centrosinistra e della sinistra (che parteciperanno al ballottaggio), e ai candidati del centrodestra, dell’Udc e del Movimento 5 stelle. Il 4.6 ottenuto dalla Lega a Belluno è il peggior risultato di sempre, in qualunque tipo di elezione, conseguito dal carroccio nella Seconda repubblica.
    A Parma Zorandi giunge settimo con meno del 3% dei voti validi, un punto in più delle comunali precedenti ma quasi 12 punti percentuali in meno rispetto a due anni fa e 6 in meno del 2008.
    Fatto 100 il risultato della Lega nel 2010, ovunque ad eccezione di Gorizia, il partito di Bossi ha ceduto oltre il 50% dei propri voti, più che dimezzando il suo peso. Nei capoluoghi delle regioni di più recente insediamento (Emilia Romagna e Toscana) il calo è ancora più marcato, attorno al 70-80%.
    Se allarghiamo la nostra analisi a tutti i comuni superiori non capoluogo del centro nord (56), la Lega cede anche in questo caso 10 punti percentuali rispetto alle regionali e poco meno (8.8%) in relazione alle politiche del 2008.

    Occorre precisare che si tratta di un insieme di comuni poco rappresentativo dell’universo dei comuni centro-settentronali. Per due ragioni: la prima è il peso assolutamente preponderante dei comuni del nord-est e in particolare di quelli lombardi; la seconda ragione risiede nella diversa consistenza del voto alla Lega nei centri urbani maggiori rispetto ai comuni più piccoli. (bricks4kidz.com) La Lega è l’esempio più lampante di partito “village-oriented” ovvero di quel tipo di partiti che fanno il pieno di voti nei centri più piccoli per poi perdere peso al crescere della dimensione demografica dei comuni.
    Per questo aggregato, in termini di variazione rispetto al 2010 il partito di Bossi cala del 67%. Come per i comuni capoluogo anche per quelli superiori il ripiegamento del carroccio è maggiore nelle regioni in cui più consistente era stato l’avanzamento nei precedenti appuntamenti elettorali e dove per la prima volta aveva ottenuto risultati lusinghieri.
    Nella zona rossa, che comprende l’Emilia Romagna, la Toscana l’Umbria e le Marche la Lega perde 4 elettori su 5 rispetto alle regionali del 2010 anche in questo caso praticamente a parità di affluenza. Nel nord-ovest (Piemonte e Liguria) sono invece 3 su 4.

  • Presidenziali in Francia, testa a testa per la vittoria. Exploit delle ali estreme

    di Matteo Cataldi e Vincenzo Emanuele

    Domenica scorsa oltre 46 milioni di francesi si sono recati alle urne per eleggere il settimo presidente della V Repubblica. L’affluenza è stata massiccia: sebbene in calo di 4 punti rispetto al 2007, è andato a votare quasi l’80% dei francesi, un dato che rappresenta un’iniezione di fiducia per la classe politica transalpina per di più giunto in un momento storico in cui la crisi economica tende un po’ in tutta Europa ad acuire il discredito dell’opinione pubblica verso la capacità di rappresentanza dei partiti e dei loro leader. Le aspettative della vigilia circa un sostanziale equilibrio tra Hollande e Sarkozy sono in larga parte confermate: il candidato del Ps è primo con il 28,6% seguito da quello dell’Ump al 27,2%. Qui emerge un primo dato significativo: mai un Presidente uscente era giunto secondo al primo turno delle presidenziali, elemento che denota in modo lampante lo scarso apprezzamento dell’elettorato francese per il Presidente. Nonostante ciò la partita in vista del ballottaggio è apertissima, e non solo perché i due candidati più forti accedono al secondo turno distanziati l’uno dall’altro di appena 1,4 punti. Ma soprattutto perché, guardando al risultato degli altri candidati, scopriamo che la destra rimane sostanzialmente maggioritaria in Francia. Come accaduto già altre volte nella storia delle elezioni francesi, i sondaggi pre-elettorali hanno sottovalutato il risultato del Front National, attestato alla vigilia tra il 14 e il 16%. Ebbene, il responso delle urne consegna a Marine Le Pen la percentuale di voti più alta della storia dell’estrema destra francese. La figlia del vecchio leader del Fn ottiene il 17,9% con oltre 6 milioni e quattrocentomila voti, migliorando sensibilmente il record del padre che nel 2002 con il suo 16,9% era riuscito a strappare un insperato ballottaggio contro Chirac scalzando il candidato socialista Jospin. Anche senza un’accurata analisi di flussi a supporto possiamo facilmente presumere che una quota significativa di elettori dell’Ump ha dirottato la propria preferenza versola Le Pen, per spostare a destra il baricentro della politica francese e dare un segnale di malcontento a Sarkozy. Questo è uno degli elementi di flessibilità consentiti dal sistema elettorale a doppio turno: la possibilità per l’elettore di esprimere  un voto per i proprio candidato preferito o di lanciare un messaggio dirottando inizialmente la propria scelta verso un candidato estremo, per poi raccogliersi o meglio “se rassembler” attorno al candidato che accede al ballottaggio. Per quanto attiene alla geografia del voto in questo primo turno, il Presidente uscente arretra ovunque rispetto a cinque anni fa, risultando il candidato più votato in 39 dei 96 dipartimenti francesi metropolitani contro i 72 del 2007. Le perdite sono particolarmente consistenti nei dipartimenti della Picardie, dell’Ile de France (fino al 7% in meno nel dipartimento Seine-Saint Denis) e in generale in tutto il nord-est dove più forte è stata l’avanzata di Mme Le Pen (si vedano le figure più in basso). Ma cede terreno anche a sud, nelle regioni mediterranee (Provence-Alpes-Cote d’Azur e Languedoc Roussillion), che tuttavia rimangono, assieme a quelle più orientali, i bastioni del voto al candidato dell’UMP. L’insediamento territoriale dello sfidante Hollande non si discosta molto da quello riscontrato nel 2007 e ai tempi della candidatura di Jospin. Il candidato socialista la spunta sul rivale in 56 dipartimenti raccogliendo, in proporzione, la maggior parte dei consensi nella parte centro-occidentale dell’esagono, nelle regioni di Limousine, Poitou-Charentes, Aquitaine, Midi-Pyrénées e Bretagne. In particolare in Bretagne e Midi-Pyrénées sembra aver approfittato del calo di Bayrou che qui cede in media oltre 10 punti. All’estrema destra dello schieramento politico, la geografia del voto alla candidata del Front National resta fortemente strutturata secondo una logica Est-Ovest, con le zone di forza principali concentrate a est della linea Le Havre-Valence-Perpignan. E’ soprattutto nelle regioni e nei dipartimenti nord-orientali fino al confine con il Benelux che Marine Le Pen è riuscita a fare meglio del padre. Questi territori dalla forte impronta industriale, colpiti dalla crisi e con una massiccia presenza di immigrati, nel 2007 furono la principale chiave della vittoria di Sarkozy, ma oggi sembrano, in attesa del ballottaggio tra due settimane, avere almeno momentaneamente voltato le spalle al Presidente. Dalla parte opposta dello scacchiere politico, il candidato del Front de Gauche, il “rivoluzionario” Mélenchon, raggiunge l’11,1%. Sebbene ridimensionato rispetto alle previsioni (che lo davano in lotta per la terza posizione con Marine Le Pen) si tratta comunque di un successo eccezionale: era dai tempi di Georges Marchais (1981), storico segretario del Partito comunista francese, che un candidato dell’extreme gauche non raggiungeva le due cifre in una competizione presidenziale.  Il quadro è completato dal centrista Bayrou, al 9,1%, dimezzato rispetto a 5 anni fa ma tuttavia ancora in grado di esercitare un potere decisivo indirizzando i suoi elettori al ballottaggio verso l’uno o l’altro candidato. Senza tener conto dei cinque candidati minori (tra i quali l’ecologista Eva Joly è al 2,3% e l’ex gollista Dupont-Aignan all’1,8%), questa tornata elettorale ci consegna, in attesa di un quadro più preciso dopo le legislative, un panorama partitico profondamente mutato. Finiti i tempi della “quadriglia bipolare” degli anni ’70 e ’80, ridottasi drasticamente la frammentazione osservata nelle ultime tornate (esemplare il caso del 2002, con nessun candidato che raggiungeva il 20%),la Franciaemerge come un sistema costituito da 5 forze rilevanti. Rispetto al passato la principale novità è costituita dallo svuotamento del centro e delle mezze ali in favore delle estreme. I tre candidati “centrali”, vale a dire Hollande, Bayrou e Sarkozy ottengono insieme il 64,9% contro il 75,7% del 2007 (allora erano Royale, Bayrou e Sarkozy). Se cinque anni fa meno di un francese su quattro indirizzava il proprio voto verso un candidato estremo, oggi lo fa più di un francese su 3: è il segno della radicalizzazione della competizione politica, in parte dovuta sicuramente agli effetti della crisi economica. In vista del ballottaggio la partita è apertissima. Sarkozy può contare sul fatto che l’area di destra, come anticipato in precedenza, rimane maggioritaria: sommando ai propri voti quelli di Le Pen e di Dupont-Aignan (ex Ump) raggiungerebbe il 46,9%, contro il 43,7% della gauche (frutto della somma di Hollande, Mélenchon, Joly, Poutou e Arthaud). D’altro canto c’è da considerare che la politica non è matematica e la “sommabilità” dei consensi a sinistra appare maggiore, se non altro perché già la notte delle elezioni siala Jolyche Mélenchon hanno annunciato il loro pieno appoggio a Hollande, mentre  Sarkozy dovrà faticare molto di più per conquistare gli elettori di Marine Le Pen, che ha impostato tutta la sua campagna, oltre che su un antisocialismo viscerale, anche sull’attacco alla politica del Presidente, troppo vicina alle banche e alla finanza. In attesa del verdetto 6 maggio, a breve sul sito del Cise sarà online il simulatore del ballottaggio francese con il quale ciascuno potrà divertirsi a riassegnare a Hollande e a Sarkozy i voti dei candidati sconfitti al primo turno e pronosticare chi sarà il nuovo inquilino dell’Eliseo.

    FIG. 1: Distribuzione del voto a Hollande per dipartimento.

    FIG. 2: Distribuzione del voto a Sarkozy per dipartimento.

    FIG. 3: Distribuzione del voto a Le Pen per dipartimento.

  • Comunali 2012, l’offerta politica nei capoluoghi del Nord

    di Matteo Cataldi e Nicola Maggini

    Nella parte settentrionale del paese, con l’esclusione dell’Emilia-Romagna ma includendovi la Liguria, saranno 10 i comuni capoluoghi che il 6 e 7 maggio prossimi saranno chiamati a rinnovare la propria amministrazione. Tre piemontesi (Alessandria, Cuneo e Asti), due lombardi (Monza e Como), altrettanti veneti (Verona e Belluno), la friulana Gorizia, Genova e La Spezia. In tutti questi casi i rispettivi sindaci sono giunti alla scadenza naturale del loro mandato e l’ultima elezione, pertanto, è per tutti quella della primavera del 2007.
    Tra questi Genova e poi Verona occupano una posizione di assoluta preminenza sia per il numero di cittadini coinvolti che per il peso politico delle due città. Nel capoluogo ligure il sindaco uscente Marta Vincenzi non correrà per un secondo mandato e le primarie del centrosinistra tenutesi a febbraio hanno visto imporsi Marco Doria, indipendente, sostenuto da Sinistra Ecologia e Libertà. Sarà lui, appoggiato in modo compatto dal tutto il centrosinistra (dal Psi alla Federazione della sinistra) a sfidare gli altri 12 candidati nella città della Lanterna. Il Popolo della libertà, la Lega nord e La Destra candidano ciascuno un proprio candidato a Palazzo Tursi. Il terzo polo sostiene compatto Enrico Musso.
    A Verona il sindaco leghista Tosi chiederà un secondo mandato ai propri cittadini. Collegate alla sua candidatura, oltre alla propria lista personale, ci sono altre cinque liste civiche più quella dei pensionati. Proveranno a sfilargli la fascia tricolore il candidato del centrosinistra Michele Bertucco, Luigi Castelletti, candidato del Popolo delle libertà e del terzo polo (escluso l’Api di Rutelli che invece ha scelto Tosi), ed altri 6 candidati fra i quali quello de La Destra e del Movimento cinque stelle. La lista personale del sindaco della città scaligera, sulla quale si era aperto un lungo braccio di ferro tra il primo cittadino e l’ormai ex segretario federale del partito, Umberto Bossi, potrebbe ospitare alcuni dei 14 dissidenti del Pdl locale che si sono apertamente schierati con Tosi e per il quale Alfano ha disposto la sospensione dal partito.
    Il quadro delle alleanze nei restanti capoluoghi del Nord è piuttosto frastagliato: nel centrodestra, spezzatosi l’asse tra il carroccio e il Pdl, i due ex alleati si presentano sempre separati con l’unica eccezione del comune di Gorizia dove anche la Lega è schierata con il sindaco uscente Romoli (Pdl). Ad Asti e Monza la solitudine del Pdl è smorzata solo dall’alleanza con La Destra. Sempre nel capoluogo brianzolo alcuni consiglieri azzurri sostengono il sindaco uscente Mariani (Lega Nord), in testa l’ex assessore alle Attività produttive Garantini, che in vista del 6 maggio ha trovato posto nella lista personale del primo cittadino. A Como la situazione è più intricata: a marzo le elezioni primarie del Pdl hanno incoronato Laura Bordoli, vicina al sindaco uscente Bruni, che ha sconfitto Sergio Gaddi, assessore alla cultura del comune lombardo. Le tensioni tra le due componenti del Pdl (ex “aennini” ed ex “forzisti”) successivamente esplodono fino allo strappo con cui la componente forzista, che a livello locale fa capo a Gaddi, decide di correre da sola candidando a sindaco proprio l’ex assessore.
    Quello che accade a Como, con la rottura che si consuma tra le due anime del Pdl e la nascita della lista Forza Como a sostegno di una candidatura alternativa a quella ufficiale del partito, non è solo il risultato di contrasti locali, ma un sintomo evidente delle difficoltà che in questo momento il partito di Alfano incontra nel far convivere al suo interno le due anime. Il caso della cittadina orobica non è affatto isolato: dall’inizio del mese di marzo, in poche settimane, sono nate diverse associazioni promosse da ex forzisti che si richiamano allo spirito del ’94 (Forza Verona, Forza Trentino, Forza Toscana, Forza Emilia Romagna, Forza Lecco).
    Sull’altro fronte dello schieramento politico il centrosinistra si presenta quasi ovunque unito: la cosiddetta alleanza di Vasto (Pd, Idv e Sel) si definisce dappertutto con la sola eccezione di Belluno dove il partito di Vendola appoggia Jacopo Massaro. Ma il centrosinistra si allarga fino a comprendere la Federazione della sinistra in tutti i capoluoghi escluso Asti e Como.
    Al centro dello schieramento politico, dell’unità del Terzo polo non c’è quasi traccia. Le tre componenti si presentano divise a Cuneo (dove Fli e Udc sostengono ognuno un proprio candidato), ad Alessandria (dove l’Api corre in solitario), ad Asti, a Monza e a Como mentre è unito solo a Genova. A La Spezia, infine, l’Udc fa parte della coalizione di centrosinistra appoggiando il candidato sindaco (nonché sindaco uscente) Massimo Federici, mentre Fli ha deciso di non presentare una propria lista proprio a causa della difficoltà di proporre una aggregazione terzo polista, ma soprattutto per le divergenze con Udc e Api che si riconoscono nell’amministrazione uscente.
    In tutto il Nord, in occasione delle prossime elezioni comunali, si assiste ad un’esplosione del numero delle candidature a primo cittadino. Rispetto a cinque anni fa gli aspiranti sindaco quasi raddoppiano passando da 63 a 108: un dato che bene evidenzia la destrutturazione del sistema partitico italiano in questa fase. Oggi l’assetto della competizione elettorale in quest’area del paese non è più bipolare. Accanto al centrosinistra che a fatica è riuscito a mantenersi unito, l’unità della destra, almeno per il momento, è andata persa e Pdl e Lega si sfidano apertamente in queste tornata elettorale. I partiti di Casini, Fini e Rutelli costituiscono un altro importante polo di aggregazione del voto ed è giusto tenere in debita considerazione anche il Movimento cinque stelle che presenta un proprio candidato in ognuno dei 10 comuni capoluogo al voto. Il movimento animato da Beppe Grillo già lo scorso anno fu capace di raccogliere una messe consistente di voti in diverse città del Nord: il 5% a Torino, quasi l’8% a Novara, il 9% a Savona, più del 7% a Rovigo fermandosi poco oltre il 3% solo a Milano e Varese.
    Quella del 2007 fu una competizione fortemente bipolare a cui però si accompagnò un’estrema frammentazione interna ai due schieramenti: a livello locale il riflesso più immediato di questa situazione fu l’elevatissimo numero di liste a sostegno dei due candidati principali (138 su 208, pari al 66% del numero totale di liste). Nel 2012, quella frammentazione interna ai due schieramenti si è trasferita all’esterno: ad Alessandria e a Como i candidati alla poltrona di sindaco sono addirittura 16 anche se la maggior parte ha una sola lista che li appoggia, a Genova e a La Spezia sono rispettivamente 13 e 14, 11 a Monza. Per fare un confronto, nel 2007 Verona, che deteneva il primato del numero di candidati sindaco in corsa, ne aveva “solo” 10.
    Complessivamente, la struttura dell’offerta elettorale nei capoluoghi del Nord rivela, ai blocchi di partenza, una situazione molto aperta e dall’esito incerto; tuttavia il centrosinistra, grazie alla maggiore unità e alle divisioni degli avversari, sembra partire in leggero vantaggio.