Autore: Matteo Cataldi

  • Partiti “populisti”? Piuttosto “neo-conflittuali”. E dietro il loro successo c’è spesso una superiore capacità strategica

    Partiti “populisti”? Piuttosto “neo-conflittuali”. E dietro il loro successo c’è spesso una superiore capacità strategica

    Nelle imminenti elezioni europee molti partiti “populisti” ricopriranno un ruolo da protagonisti, come lo avrà Donald Trump in quelle americane di novembre. È bene allora rileggere più largamente il fenomeno, alla luce di una ricerca internazionale unica, condotta dal CISE su sei paesi utilizzando gli strumenti della teoria della “issue yield” (rendimento dei temi). Lo studio riguarda la grande stagione del populismo tra 2017 e 2018, ma i suoi risultati sono forse anche più utili oggi, per capire il successo di partiti che sono ormai protagonisti della vita politica in tutta Europa, e che potranno incidere sulla formazione della futura Commissione Europea.

    1. Issue yield: analizzare i partiti in base ai loro temi caratterizzanti

    Perché ogni partito preferisce parlare solo di alcuni temi, e non di altri? Alla base della spiegazione c’è il fatto che ogni partito ha come obiettivo principale di mantenere o aumentare i propri voti da un’elezione all’altra. E questo obiettivo richiede di conciliare due cose: (a) mantenere al massimo la propria base di elettori fedeli; (b) cercare di convincerne di nuovi. Una parte della letteratura scientifica (a partire da Downs 1957) sostiene che non sia facile conciliare questi obiettivi: ad esempio quando ci si sposta al centro per conquistare elettori moderati, si perdono inevitabilmente gli elettori più radicali. Ma l’innovativa teoria della issue yield (De Sio e Weber 2014) si basa sulla scoperta che, quando si vanno a considerare i singoli temi in discussione (invece che dimensioni ideologiche generali e spesso astratte), esistono spesso dei temi win-win, che permettono a un partito di realizzare entrambi gli obiettivi. Sono quei temi su cui la base del partito è praticamente unanime (quindi senza rischi di divisione interna) ma su cui al tempo stesso sono d’accordo anche moltissimi altri cittadini (quindi con grande potenziale di espansione). Vengono definiti temi ad alto rendimento (high yield); e di fatto – come evidenziano i dati – costituiscono il cuore della caratterizzazione di un partito (ritenuto su questi temi credibile, anche da chi non lo vota) ma anche i cavalli da battaglia su cui concentrare la campagna elettorale.

    2. Il caso francese: Marine Le Pen e il Front National

    Il concetto si può capire molto semplicemente guardando la tabella che riporta i dieci temi con rendimento più alto per Marine Le Pen nelle elezioni presidenziali francesi del 2017. I dati sono tratti dall’indagine internazionale ICCP, condotta dal CISE con sondaggi in sei paesi europei tra 2017 e 2018, su cui si basano tutte le analisi di questa puntata di Telescope. Osserviamo, ad esempio, il secondo obiettivo (limitare il numero di rifugiati): il 93% dei sostenitori dell’allora Front National si diceva d’accordo, come anche il 78% dei francesi. Ecco quindi il win-win: quando Le Pen parla di immigrazione è in sintonia con il 78% dei francesi (da cui potrebbe ottenere qualche nuovo voto), e mantiene al tempo stesso bassissimo il rischio di perdere suoi elettori precedenti. E percentuali così alte valgono pure, ad esempio, per un altro obiettivo: il divieto di velo islamico nei luoghi pubblici. La tabella, tuttavia, mette in evidenza un aspetto sorprendente: la natura post-ideologica di Marine Le Pen. Tra gli obiettivi caratterizzanti il suo elettorato ce ne sono infatti anche alcuni tradizionalmente “di sinistra”: ad esempio legalizzare l’eutanasia, limitare la globalizzazione economica, ridurre le differenze di reddito. È questa la forza di questi candidati e partiti, che comporta peraltro la difficoltà di incasellarli nelle categorie tradizionali di destra e sinistra (fattore che ha anche contribuito alla popolarità dell’etichetta di “populisti”).

    3. Non populisti, ma piuttosto “neo-conflittuali”: un mix di destra e sinistra

    C’è poi un’altra caratteristica che distingue molti partiti “populisti” dai grandi partiti di governo. I partiti mainstream, negli anni più recenti, hanno cercato sempre più di accreditarsi su una visione per certi versi depoliticizzata e tecnocratica, presentandosi semplicemente come più competenti, più “bravi” su obiettivi trasversali, caratterizzati da ampio consenso, poco conflittuali, come ad esempio far crescere l’economia, proteggere il paese dal terrorismo, eccetera.
    Ebbene, i dati dell’indagine ICCP permettono di calcolare l’indice issue yield anche per questi obiettivi più “trasversali”: e si scopre che proprio qui emerge una grande differenziazione tra partiti mainstream e nuovi partiti challenger, spesso etichettati come populisti. Mentre i primi sono caratterizzati soprattutto da temi trasversali (enfasi su una visione problem-solving, quasi tecnocratica, della politica) i secondi sono caratterizzati molto di più su temi conflittuali (De Sio e Lachat 2021). Quindi anzitutto riscoprono e mobilitano la dimensione conflittuale della politica; ma al tempo stesso lo fanno su linee di conflitto nuove e inedite, unendo posizioni di destra su alcuni temi e di sinistra su altri. Ecco quindi che potremmo meglio identificarli come “neo-conflittuali”, ovvero conflittuali, ma su linee di conflitto inedite. In particolare, con una combinazione particolarmente frequente: quella di essere “di destra” su temi culturali (come immigrazione e Europa) e “di sinistra” su temi economici (ad esempio redistribuzione del reddito ed età pensionabile). Un mix per certi versi non sorprendente, che suggerisce un desiderio di protezione dai rischi delle grandi trasformazioni del nostro tempo.

    Il grafico sintetizza questa riflessione, presentando la collocazione di tutti i partiti analizzati in uno spazio che combina la dimensione “problem-solving contro conflittualità” (in verticale) con la dimensione orizzontale “sfida alle ideologie del Novecento” (a sinistra la combinazione innovativa “nazional-welfarista”, a destra quella speculare “cosmopolita-liberista”, al centro le combinazioni più tradizionali di sinistra o destra (De Sio e Lachat 2019).

    4. Dietro il successo: crisi dei partiti? No, strategie efficaci

    Già, ma perché questi partiti “neo-conflittuali” hanno avuto tanto successo, in tutta Europa, nella loro stagione esplosiva tra 2017 e 2018 (quella segnata dall’elezione di Trump e della Brexit)? La risposta per certi versi sorprendente è: perché hanno colto molto meglio le loro opportunità di issue yield che abbiamo visto sopra. Un’analisi della comunicazione dei vari partiti su Twitter e delle loro performance elettorali (De Sio e Weber 2020) ha infatti rivelato che i partiti che – nella loro comunicazione – seguivano più fedelmente i temi ad alto issue yield, hanno poi ottenuto migliori performance elettorali. Ovviamente non perché facessero sofisticati calcoli, ma semplicemente perché – evidentemente – le loro leadership hanno saputo cogliere intuitivamente i temi migliori. Cosa che invece è riuscita molto peggio ai partiti tradizionali, caratterizzati da leadership meno strategiche, ovvero meno capaci di identificare bene (e di usare) i propri punti di forza presso l’opinione pubblica. Ecco quindi che l’“ondata populista”, di cui il dibattito pubblico ha tanto discusso, non è dipesa, allora, da un’opinione pubblica profondamente cambiata rispetto al passato (che avrebbe portato a una crisi irreversibile dei partiti tradizionali) ma dai partiti tradizionali stessi, meno capaci di definire in modo strategico la propria agenda.

    E c’è infine un ultimo punto sorprendente. Andando ad analizzare in dettaglio quali sono i temi che hanno avuto maggiore importanza nello spostare elettori verso questi partiti , ci si attenderebbe che fossero temi “culturali” come l’immigrazione o l’anti-europeismo. Si scopre invece [De Sio e Angelucci 2021] che la parte del leone la fanno i temi economici, e su posizioni di protezione sociale. La tabella qui sotto sintetizza infatti un insieme di complessi modelli di analisi basati su dati individuali, riportando, per diversi temi, il numero di partiti (tra i 38 partiti europei analizzati) che hanno guadagnato elettori grazie a quel tema in particolare. Ebbene, a sorpresa i temi che hanno prodotto i maggiori guadagni di elettori sono proprio quelli economici, e su posizioni di protezione sociale (etichettati come “Progressive” o “Valence” – trasversali); e tra questi partiti ci sono anche (vedi il dettaglio dell’articolo) alcuni tra i più importanti partiti “populisti”, come il Movimento 5 stelle, e populisti di destra, come il Front National di Marine Le Pen e il PVV di Geert Wilders.

    Da tutte queste analisi traiamo dunque alcune lezioni: 1) viviamo ormai in un’epoca per certi versi “post-ideologica” dove è possibile proporre con successo anche partiti che combinano – sui diversi temi – posizioni “di sinistra” con altre “di destra”; 2) dietro la generica etichetta di “populisti” troviamo spesso dei partiti con una chiara caratterizzazione tematica che potremmo definire “neo-conflittuale”: in un’epoca di politica tecnocratica e per certi versi depoliticizzata, riscoprono la dimensione del conflitto, mobilitato tuttavia con modalità nuove, post-ideologiche; e lo fanno spesso sfruttando il desiderio di protezione dei cittadini dai rischi prodotti dalle grandi trasformazioni del nostro tempo; 3) a determinare il successo elettorale non è tuttavia un presunto Zeitgeist, uno spirito del tempo populista, ma semplicemente il fatto che i “populisti” sono stati più abili degli altri a seguire i principi alla base della teoria della issue yield, ovvero identificando i temi più produttivi e sfruttandoli nelle loro campagne. Questo ci dice che la competizione è aperta: anche i partiti tradizionali, se riusciranno a cogliere questa logica, potranno competere ad armi pari.

  • Verso le Europee: quanto contano i candidati, e il ruolo a sorpresa dei “signori delle preferenze”

    Verso le Europee: quanto contano i candidati, e il ruolo a sorpresa dei “signori delle preferenze”

    Manca poco più di un mese alle elezioni europee, e per i partiti è tempo di scadenze: la prima, ieri (22 aprile), col deposito dei loghi che compariranno nella scheda elettorale; la seconda, il 1° maggio, con quello delle liste dei candidati. Loghi e candidati: entrambi essenziali, ma cosa conta di più agli occhi degli elettori? Nelle scelte di voto per le europee è più importante il simbolo del partito da barrare o il nome dell’aspirante europarlamentare da scrivere? In altri termini: quanto pesano le preferenze sul totale dei voti delle diverse liste? Come cambia il dato tra i partiti e le circoscrizioni? Ed infine: cosa c’è dietro la scelta, presa da molti candidati locali, di presentarsi nonostante poche o nulle chance di essere eletti? Da queste domande trae le mosse la 3° puntata di Telescope.

    1. Europee: gli elementi essenziali

    Le europee sono definite elezioni di second order (Reif e Schmitt 1980), perché ai cittadini interessano meno di quelle nazionali. La posta in palio non è il governo del Paese, l’affluenza è sistematicamente più bassa. Gli elettori, allora, sono più inclini a dare un voto “sincero” anziché uno “strategico”. Il “voto utile”, che premia i partiti più grandi, pesa di meno. Sulla base di ciò, quali forze politiche partono, almeno sulla carta, avvantaggiate? Prima di rispondere bisogna ricordare cosa dice la teoria del ciclo elettorale (Paldam 1981): ogni governo vive una luna di miele nei suoi primi 100 giorni di vita, finiti i quali perde via via consenso raggiungendo il gradimento più basso a metà legislatura, prima di risalire verso la sua fine. Nel caso italiano, le europee del 2024 cadono dopo quasi un anno e otto mesi dalla formazione del governo Meloni. Si tratterebbe, quindi, del momento peggiore per l’esecutivo e, viceversa, del migliore per i partiti di opposizione. Questo è l’andamento strutturale di base, che non può prescindere però da un fattore cruciale: le preferenze per candidati specifici, grazie a cui eleggiamo i nostri parlamentari europei.

    2. Le preferenze: com’è divisa l’Italia?

    Alle europee le preferenze contano molto, nonostante le notevoli dimensioni delle circoscrizioni che accorpano più Regioni. Ogni elettore può darne fino a 3, rispettando l’alternanza di genere. Il numero espresso in media da ciascun votante varia tuttavia nelle diverse aree del Paese. Come visibile nella mappa qui sotto riportata, dedicata alle europee del 2019, il dato è inferiore a 0,2 in ampie parti dell’ex Zona Rossa come Emilia-Romagna e Toscana, oltre che nella maggior parte dei Comuni piemontesi. Nei Capoluoghi del Nord-Ovest e del Nord-Est il valore è più alto di quello della rispettiva Regione di appartenenza: Milano (0,66) supera la Lombardia (0,39), così come Torino (0,26) il Piemonte (0,21), Genova (0,37) la Liguria (0,36), Venezia (0,49) il Veneto (0,46), Trieste (0,59) il Friuli-Venezia Giulia (0,53), Bologna (0,46) l’Emilia-Romagna (0,27). La linea di demarcazione più profonda è però soprattutto tra Nord e Sud: in tutte le Regioni meridionali il dato oltrepassa quello nazionale (0,48), con un exploit nella circoscrizione Isole, specie in Sicilia.

    3. Il caso particolare del Movimento Cinque Stelle

    Tra tutti i partiti, quello che ha il minor numero di preferenze espresso in media da ciascun votante è il Movimento Cinque Stelle (0,31). Una condizione particolare e in apparenza contraddittoria, visto che proprio al Sud e nelle Isole il M5s ha la sua roccaforte elettorale. Un radicamento ormai consolidato: analisi successive alle europee 2019 hanno certificato il partito di Conte come la forza politica più territorializzata del Paese, persino più della Lega (Cataldi, Emanuele e Maggini 2024). Come si spiega? Col passare degli anni, il voto al M5s ha cambiato pelle. Oggi non è più un voto di semplice protesta, ma appare chiaramente legato ad alcuni temi specifici, tra cui una domanda di sostegno ai ceti più disagiati: temi che hanno prodotto il riconoscimento di un ruolo importante per il M5s al Sud. Interessante, guardando alla distribuzione del dato al di sotto del Lazio, come valori bassi siano presenti in Regioni quali Abruzzo, Campania, Puglia e Calabria, ma non nelle isole: in Sicilia e Sardegna il ricorso alle preferenze è infatti più simile agli altri partiti.

    4. Dove pesa di più il voto ai candidati

    In queste zone del Paese, alle elezioni europee del 2019 il voto candidate-oriented (Fabrizio e Feltrin 2007) ha raggiunto, ancora una volta, dimensioni notevoli. Lo dimostra il confronto su quanti candidati hanno preso da soli almeno lo 0,5% dei voti validi della propria circoscrizione: nel Nord-Ovest, dove si assegnano più seggi per il Parlamento Europeo (20), sono stati 12, inclusi i 3 leader nazionali di centrodestra (Salvini, Berlusconi e Meloni); nelle Isole, in cui i posti in palio per Bruxelles sono meno della metà (8), il numero di candidati risulta però triplicato (36), battendo persino quello dell’Italia Meridionale (34). Oggi, il declino organizzativo dei partiti e il connesso aumento della volatilità elettorale hanno reso in alcune regioni il voto personale quasi il principale elemento di continuità nel sistema politico; emblematico il caso della Sicilia (Emanuele e Riggio 2017).

    5. Il grande paradosso: il ruolo dei “signori delle preferenze”

    Proprio in Sicilia, la competizione politica resta dominata dai “signori delle preferenze”, ossia politici che detengono un rilevante pacchetto di voti che può essere mantenuto nel tempo in elezioni successive o spostato a sostegno di altri candidati (Emanuele e Marino 2016). Le loro scelte strategiche (ricandidature o endorsements) sono spesso la variabile chiave del sistema, e i loro pacchetti di voti si muovono quasi indipendentemente dalle scelte partitiche e coalizionali. Però c’è un paradosso. In elezioni come quelle europee, con circoscrizioni vastissime e un numero di seggi in palio relativamente basso, in teoria questi politici (che hanno un seguito molto concentrato a livello locale) non dovrebbero essere particolarmente rilevanti e interessati, perché quasi sempre hanno troppi pochi voti per essere eletti. Eppure in vista delle elezioni europee si candidano eccome. Perchè? Anzitutto perché i partiti non vogliono privarsi del loro apporto; ma soprattutto perché queste elezioni – per i “signori delle preferenze” – rappresentano un’occasione unica per contarsi, ovvero per ricevere una certificazione inequivocabile di quanti voti sono in grado di ottenere: voti in grado di certificare il loro peso politico nelle trattative per future candidature nelle elezioni amministrative (a tutti i livelli) e politiche, anche a livello nazionale. Vediamo ad esempio il caso del palermitano Edy Tamajo, oggi assessore regionale nella giunta Schifani e recordman di preferenze: 13.984 alle regionali 2017 in una lista di centrosinistra (Sicilia Futura), 21.700 nella tornata del 2022 ma nel centrodestra con Forza Italia, quando è diventato il più votato in assoluto dell’Isola.  Ecco quindi che le imminenti elezioni europee, viste in quest’ottica, non sono soltanto l’elezione dei 76 membri del Parlamento Europeo di spettanza dell’Italia, ma il miglior investimento possibile per la carriera politica di molti esponenti locali. In attesa della prossima elezione.

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, M., Emanuele, V. e Maggini, M. (2024), “Territorio e voto in Italia alle elezioni politiche del 2022”, in Chiaramente, A. e De Sio, L. (a cura di), Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022, Bologna: il Mulino, pp. 177-216.

    Fabrizio, D. e Feltrin, P. (2007), ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in A. Chiaramonte and G. Tarli Barbieri (a cura di), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Bologna: Il Mulino, pp.175–199.

    Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Emanuele, V. e Riggio, A. (2017), “L’altra faccia del voto in Sicilia: il consenso ai Signori delle preferenze fra ricandidature ed endorsements”, in Emanuele V. e Paparo A. (a cura di), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE, pp. 283-295.

    Reif, K., & Schmitt, H. (1980). Nine second‐order national elections–a conceptual framework for the analysis of European Election results. European journal of political research, 8(1), 3-44.

     

  • Gli elettori del Movimento 5 stelle regalano la vittoria a Conte al primo turno: i flussi elettorali a Treviso

    Gli elettori del Movimento 5 stelle regalano la vittoria a Conte al primo turno: i flussi elettorali a Treviso

    Dopo cinque anni di amministrazione di centrosinistra, Treviso, torna ad essere governata da un sindaco di centrodestra, il leghista Mario Conte, che con il 54,5% dei voti conquista la carica già al primo turno. Il sindaco uscente Manildo con il 37,6% dei consensi si ferma 17 punti dietro il neo sindaco. Quella del 10 giugno è stata sostanzialmente una corsa a due stante la scomparsa rispetto al 2013 di un candidato di centro (Zanetti ottenne oltre il 10% nel 2013) e la deludente prova del candidato sindaco del Movimento 5 Stelle Losappio. Rispetto al primo turno delle precedenti comunali il sindaco uscente perde 5 punti percentuali mentre Conte migliora di quasi 20 punti percentuali il risultato di Gentilini del 2013 (34,8%).

    Tab. 1 – Risultati elettorali per liste e coalizioni a Treviso nelle elezioni politiche e comunali, 2013-2018[1] (clicca per ingrandire)tv_tab

    Nel confronto con le recenti elezioni politiche l’area di centrosinistra alle comunali ottiene quasi gli stessi voti (circa 500 in meno) nonostante un’affluenza sensibilmente più bassa: di poco inferiore al 60%, contro il 77,1% del 4 marzo (7.800 votanti in meno). Specularmente l’area di centrodestra guadagna circa 500 voti. Cambiano i rapporti di forza all’interno di quest’ultimo schieramento con l’ulteriore avanzata della Lega. Infatti se alla lista del partito di Salvini sommiamo le liste civiche ad essa riconducibili (la civica Zaia-Gentilini e la civica Conte sindaco) si raggiunge il 46% dei voti validi che costituiscono l’86% della somma dei voti delle liste della coalizione. Quasi 20 punti percentuali in più rispetto ai voti ottenuti dalla Lega alle politiche, pari a 5.000 teste. Spicca il crollo verticale del Movimento 5 stelle che conferma, a Treviso in particolare, la propria fragilità nelle elezioni locali rispetto all’arena politica nazionale: passa infatti dal 20% del 4 marzo al 4% della scorsa domenica lasciando per strada 7.500 voti.

    Quali sono stati i movimenti di voto intercorsi tra le elezioni per la Camera dei deputati dello scorso marzo e le recenti elezioni comunali?

    La Tabella 2 mostra le destinazioni di voto degli elettori dei vari partiti alle politiche verso i diversi candidati in campo per la carica di sindaco

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Treviso fra politiche e comunali del 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)treviso_dest

    Iniziando dal partito guidato da Pietro Grasso, quasi due elettori su tre di Liberi e Uguali hanno scelto Manildo (62%) ma un quarto ha votato direttamente Conte (26%).

    Tra i due principali schieramenti notiamo l’assenza di flussi incrociati. Gli elettori del centrosinistra (Pd, +Europa, Civica Lorenzin ed Italia Europa insieme) si dimostrano i più fedeli al proprio candidato: l’82% converge sul sindaco uscente e i restanti si astengono. Nel centrodestra invece sale la quota di coloro che scelgono di non tornare a votare (uno su quattro) ed è più bassa, stante l’assenza di altri direttrici di flusso, la percentuale di elettori ad optare per Conte (75%).

    La metà esatta degli elettori del Movimento 5 stelle alle politiche del 4 marzo premia il candidato della Lega a Palazzo Rinaldi. Solo il 13% opta per il grillino Losappio, una quota appena superiore a quella che ha votato Manildo (11%). Un altro 19% è rimasto a casa lo scorso 10 giugno. L’ultima colonna della Tabella 2 ci dice che non ci sono state significative rimobilitazioni dal bacino dell’astensione.

    La Tabella 3 riporta le provenienze di voto ai vari candidati sindaco. Manildo pesca l’80% dei propri voti dagli elettori del centrosinistra e circa l’8% ciascuno da ex elettori di LeU e del M5S. Composizione molto simile a quello del ballottaggio cinque anni or sono, con LeU al posto del terzo polo montiano (Cataldi 2014). Però, allora, il rivale Gentilini non prendeva nulla dal M5S. Conte, invece, ricava dagli elettori del centrodestra alle politiche ottiene il 71% dei suoi voti, e quasi il 25% da elettori del partito di Di Maio. I restanti voti provengono in egual misura da chi aveva votato LeU o altri partiti minori.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Treviso fra politiche e comunali del 2018, provenienze (clicca per ingrandire)treviso_prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Fig. 1) mostra in forma grafica le stime dei flussi elettorali. A sinistra sono riportati bacini elettorali delle politiche, a destra quelli delle comunali. Le diverse bande, colorate in base al bacino di provenienza alle politiche, mostrano le transizioni dai bacini delle politiche a quelli delle comunali. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Treviso fra politiche (sinistra) e comunali (destra) del 2018, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)treviso_sankey

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, M. (2014), ‘Comunali 2013: i flussi elettorali a Treviso tra primo e secondo turno’, in Paparo, A., e Cataldi, M., (a cura di) Le Elezioni Comunali 2013, Dossier CISE(4), Roma, Centro Italiano  Studi Elettorali, pp. 105-106.

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 77 sezioni elettorali del comune di Treviso. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 14 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è pari a 8,4.


    [1]Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari. Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (sindaco o di collegio), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013, abbiamo considerato quali i voti raccolti ai candidati quelle delle coalizioni (che sostenevano un candidato premier).

    Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o il PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Nella categoria partiti di sinistra rientrano: RifCom, PC, PCI, PAP, FDS, SEL, SI, MDP, LEU, RivCiv. Nella categoria altri partiti di centro-sinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA.

    L’insieme dei candidati sostenuti da almeno una di queste liste, ma non dal PD, costituisce il polo di sinistra alternativa al PD della parte inferiore della tabella. Il polo di centro-sinistra somma, invece, i candidati nella cui coalizione compare (anche) il PD.

    Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CivP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Il polo di centro è formato da candidati sostenuti da almeno uno di questi.

    Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT. Il polo di destra somma i candidati sostenuti da almeno uno di questi o da Lega o FDI, ma non da FI/PDL. Il polo di centro-destra, invece, è la somma dei candidati nella cui coalizione compare (anche) FI (o il PDL).

  • I flussi elettorali a Padova: Giordani ricompatta il centrosinistra e conquista il comune

    I flussi elettorali a Padova: Giordani ricompatta il centrosinistra e conquista il comune

    Dopo la parentesi, durata tre anni, dell’amministrazione Bitonci, il centrosinistra riconquista Padova. Il primo turno si era concluso con il sindaco uscente in vantaggio di 11 punti percentuali e quasi 11 mila voti sul rivale Giordani (39.400 voti Bitonci, 28.600 Giordani). Al ballottaggio di domenica scorsa Bitonci guadagna circa cinquemila voti in più rispetto al primo turno, ma Giordani si aggiudica la vittoria conquistandone quasi quattro volte tanto, 19 mila voti in più rispetto al primo turno. L’affluenza è scesa di meno di tre punti percentuali rispetto a due settimane fa, un calo molto modesto considerato quello fatto registrare in molte altre città e quello delle elezioni comunali del 2014, così come quelle ancora precedenti del 2009, quando in entrambi casi l’affluenza tra primo e secondo turno calò di 10 punti percentuali.

    Attraverso l’analisi dei flussi cerchiamo di vedere come si è costruita la vittoria del centrosinistra dal punto di vista delle scelte di voto dei padovani. Nella tabella 1 presentiamo le destinazioni di voto tra primo e secondo turno. Su 100 elettori di Bitonci al primo turno, 89 confermano la propria scelta. Una percentuale di elettori fedeli più alta di quella del diretto rivale che si è fermato all’84%. Come sappiamo non è stato sufficiente soprattutto perché gli elettori di Lorenzoni, candidato della sinistra, si sono riversati in massa su Giordani. L’apparentamento stretto, tra primo e secondo turno tra i due candidati dell’area di sinistra, ha dunque dato i suoi frutti: oltre tre elettori di Lorenzoni su quattro sono tornati a votare Giordani. Dal lato delle provenienze (si veda la tabella 2), più di un terzo (35.4%) dei voti che sono serviti a consegnare le chiavi della città a Giordani provengono da elettori di Lorenzoni.

    Per quanto riguarda gli elettori del candidato del movimento 5 stelle è interessante notare che quasi tutti (si è astenuto solo il 2%) hanno, anzitutto, compiuto una scelta tra i due candidati al ballottaggio. Tra questi è prevalso Bitonci che ha intercettato il 55% dei voti di Borile contro il 42% di Giordani.

    Tabella 1 – Matrice delle destinazioni di voto degli elettori del primo turno3

    Tabella 2 – Matrice delle provenienze di voto ai candidati al secondo turno4

    Fig. 1 – Flussi elettorali fra primo e secondo turno (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)flussi PD dal primo turnoNelle tabelle 3 e 4 vengono mostrate, rispettivamente, destinazioni e provenienze tra le elezioni politiche del 2013 e il secondo turno delle comunali di quest’anno. I voti che hanno permesso la vittoria del centrosinistra a Padova sono quelli della coalizione di Bersani del 2013, un segmento di elettorato che mostra un tasso di fedeltà al candidato del centrosinistra, al netto di piccole variazioni della procedura di stima statistica, prossimo al 100%. A questi vanno aggiunti un quinto circa degli elettori di Monti che in misura del tutto analoga hanno anche premiato Bitonci. Tuttavia la maggioranza degli elettori dell’ex Presidente del Consiglio e senatore a vita (57%) non si è presentata alle urne.

    Gli elettori del centrodestra non hanno invece mostrato la stessa compattezza. Tra coloro che votarono la coalizione di Berlusconi alle politiche, solo il 73% ha optato per il candidato del centrodestra al secondo turno, ma Bitonci, a differenza del rivale, ha potuto contare su un consistente afflusso di voti da elettori del M5s: oltre la metà degli elettori di Grillo del 2013 (53%) ha scelto il sindaco uscente e la restante quota si è astenuta.

    Tabella 3 – Matrice delle destinazioni di voto degli elettori delle politiche 20132

    Tabella 4 – Matrice delle provenienze di voto ai candidati al secondo turno degli elettori 20131

    Fig. 2 –Flussi elettorali fra politiche 2013 e ballottaggio 2017 (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)flussi PD dal 2013

    Riferimenti bibliografici:

    Cataldi, M. (2017), A Padova sfida aperta per il ballottaggio: i risultati e i flussi elettorali /cise/2017/06/13/a-padova-sfida-aperta-per-il-ballottaggio-i-risultati-e-i-flussi-elettorali/

    Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee (1988), Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi riportati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 206 sezioni elettorali del comune di Padova. In entrambe le analisi abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in una delle due elezioni prese in esame), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione).  Il valore dell’indice VR è pari a 3,4 per i flussi fra primo e secondo turno; 7,0 per i flussi dal 2013.

  • Bisinella, tre voti su quattro da elettori del Pd e M5S: i risultati e i flussi elettorali a Verona

    Bisinella, tre voti su quattro da elettori del Pd e M5S: i risultati e i flussi elettorali a Verona

    Giunto alla fine del suo secondo mandato da sindaco di Verona e consumatasi a inizio 2015 la rottura con la Lega Nord-Liga Veneta, Flavio Tosi con la lista “Fare!”, candida la compagna Patrizia Bisinella a Palazzo Barbieri, provando a mantenere in famiglia la carica di sindaco. Del resto in città, Tosi, ha sempre goduto di uno straordinario consenso personale culminato con la rielezione del 2012. In quell’occasione la sua lista raccolse oltre il 37% dei voti validi e come dimostrato in questo articolo, lo fece drenando molti voti ai principali partiti del centrodestra. Il risultato del primo turno a Verona ha premiato la scelta di Tosi e della Bisinella che, seppure di un soffio (1.200 voti appena), accede al ballottaggio con il candidato di centrodestra Federico Sboarina (29.3%) tagliando fuori dal secondo turno il centrosinistra schierato con Ornella Salemi che si è fermata al 22.5% contro il 23.5% della Bisinella.

    La Salemi, in termini percentuali, ottiene praticamente lo stesso risultato della coalizione di centrosinistra del 2012 che si presentava unita sotto la guida di Michele Bertucco, oggi candidato della sinistra: 22.5% Salemi, 22.8% Bertucco cinque anni fa.

    Tra gli altri candidati esclusi dal secondo turno troviamo, oltre allo stesso Bertucco che raccoglie il 4.6% dei voti validi maggioritari, Michele Croce, candidato civico che sfiora il 5% dei voti e Alessandro Gennari del Movimento 5 stelle. Nel capoluogo scaligero, il candidato grillino ottiene esattamente la stessa percentuale di voti raccolta cinque anni prima dal candidato del Movimento (9.5%). Un risultato sotto le aspettative della vigilia, lontano da quello delle europee del 2014 e, soprattutto, delle politiche del 2013.

    Per finire il centrodestra di Sboarina raccoglie una quota di voti simile a quella ricevuta dal centrodestra e dalla destra nel 2013 e nel 2014, ma lontana anni luce da quella dei due candidati di centrodestra nel 2012, Tosi e Castelletti, che congiuntamente misero assieme due voti su tre di quanti espressero validamente un voto.

    La tabella 1 nella parte in alto ci mostra l’evoluzione dei voti per partiti e liste civiche. Iniziando dal Pd e dalle liste alleate notiamo, rispetto alle elezioni omologhe del 2012, una crescita complessiva di 4 punti percentuali dal 17.8 del 2012 al 21.8 di domenica scorsa, un risultato non distante da quello delle politiche ma pur sempre la metà di quanto riscosso dal Pd alle europee. Le varie liste di sinistra, nonostante la scissione patita dal Pd si mantengono, grossomodo, sulla stessa quota di consensi registrata negli anni più recenti.

    Tabella 1 – Risultati elettorali a Verona 2013-2017tab0

    Nel centrodestra cittadino la situazione è molto frastagliata e a causa delle molte divisioni e della presenza di numerose liste civiche complicata da delineare. La Lega Nord, che ha sempre mantenuta una lista propria, perde quasi due punti percentuali rispetto al 2012.

    Infine il Movimento 5 stelle resta in linea con la percentuali di voti delle precedenti comunali, 9.5%, una percentuale che corrisponde a poco più della metà di quella ottenuta alle europee e al 40% circa di quella ricevuta alle elezioni per la camera.

    Veniamo adesso ai flussi di voto tra le elezioni politiche del 2013 e il primo turno di quest’anno a partire dalle 268 sezioni cittadine.

    Nella tabella 2 sono riportate le destinazioni di voto. Rispetto alle altre città per cui il CISE ha elaborato i flussi elettorali, il tasso di fedeltà degli elettori ai candidati sindaco indicati dai partiti votati nel 2013 risulta essere molto basso. Gli elettori della coalizione di Bersani sono quelli che in misura maggiore hanno scelto il candidato del Pd, ma lo hanno fatto, comunque, meno della metà degli elettori di allora (44%).  Poco più di un quarto di questi (27%) è confluito su Bisinella e l’11% ha scelto Bertucco. Un elettore su due tra chi alle politiche scelse l’ex Presidente Monti si è astenuto e un altro quarto ha optato per la candidata del centrosinistra. Chi, infine, scelse uno dei partiti della coalizione di Berlusconi si è diviso in misura molto simile, poco più del 40%, tra astensione e Sboarina; un altro 11% ha invece premiato Bisinella.

    Tabella 2 – Flussi elettorali a Verona: matrice delle destinazioni di voto degli elettori 2013

    tab1

    Tabella 3 – Flussi elettorali a Verona: matrice delle provenienze di voto dei candidati alle comunali 2017

    tab2

    Discorso a parte merita il Movimento 5 stelle i cui elettori del 2013 hanno messo in atto una vera e propria diaspora. Poco meno di un terzo (30%) ha scelto il candidato di centrodestra Sboarina, un altro quarto si è diretto su Bisinella e poco più di un quinto (22%) è rimasto fedele ai cinque stelle premiando Gennari. Per finire un altro 20% dei voti circa si è diviso tra astensione e il candidato civico Croce.

    Nella tabella 3 sono mostrate le provenienze dei voti ai candidati sindaco. Vogliamo sottolineare la trasversalità della candidata di Fare!, addirittura maggiore di quella di Tosi nel 2012. Infatti l’ex sindaco riuscì a drenare un gran numero dei voti pescando, però, principalmente nel bacino di centrodestra, mentre per Bisinella tre voti su quattro provengono da elettori di Bersani e di Grillo. Può essere proprio questa trasversalità la carta migliore da far valere sul tavolo da gioco del secondo turno.

    Figura 1 – Rappresentazione grafica della matrice dei flussi (percentuali sull’elettorato) – CLICCA PER INGRANDIRE

    fig1


    Riferimenti bibliografici:

    Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee [1988], Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi riportati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle circa 260 sezioni elettorali del comune di Verona. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (oggi o nel 2013), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione).  Il valore dell’indice VR è pari a 8.

  • A Padova sfida aperta per il ballottaggio: i risultati e i flussi elettorali

    A Padova sfida aperta per il ballottaggio: i risultati e i flussi elettorali

    A Padova si era votato l’ultima volta nel 2014, a spuntarla era stato Massimo Bitonci candidato del centrodestra che al ballottaggio sconfisse il rivale del centrosinistra, Ivo Rossi. Due anni e mezzo più tardi, a novembre dello scorso anno, la maggioranza dei consiglieri comunali firma le proprie dimissioni facendo così decadere il sindaco che si era inimicato una parte, la più moderata, della propria coalizione.

    Saranno nuovamente centrodestra e centrosinistra a sfidarsi tra due settimane per la poltrona di Palazzo Moroni. Bitonci, che prova a bissare la vittoria di tre anni fa, ottiene poco più del 40% dei voti maggioritari, 11 punti percentuali in più di Sergio Giordani (29.2%) che si trova alla testa di una coalizione di centrosinistra ma che guarda anche al centro e alla destra più moderata.

    Escluso dal ballottaggio pur avendo ottenuto un risultato molto lusinghiero, Arturo Lorenzoni, candidato espressione delle varie sigle della sinistra riunite nella Coalizione Civica per Padova sfiora il 23% dei voti. Deludente invece il risultato del Movimento 5 stelle che con Simone Borile ottiene appena il 5.3% dei voti, in calo rispetto all’8.6% racimolato dal candidato dell’M5s nel 2014.

    Se guardiamo all’evoluzione nel tempo del consenso ai principali poli (la parte in basso della tabella 1) possiamo meglio apprezzare l’exploit della sinistra in queste elezioni comunali: precedentemente quest’area politica, aveva raggiunto il proprio massimo in occasione proprio delle precedenti comunali ottenendo l’11% dei voti, la metà della percentuale di voti di quest’anno. Per il centrosinistra invece siamo su livelli non distanti da quelli precedenti, fatta eccezione per le europee, ma comunque si tratta del livello di consenso più basso della recente stagione, scendendo per la prima volta sotto il 30%. Per il centrodestra vale invece il ragionamento opposto. A partire dal 2013, il 40.3% di voti di queste comunali rappresenta, in termini percentuali, il punto più alto raggiunto, dimostrando l’attuale buono stato di salute dello schieramento nel capoluogo patavino. Infine il Movimento 5 stelle ottiene, in termini percentuali, un quarto dei voti presi alle politiche del 2013 e meno di un terzo di quelli delle europee dell’anno successivo.

    Nella parte alta della tabella 1, possiamo osservare l’andamento delle principali liste dal 2013. All’interno del centrosinistra si nota come il Pd e le liste civiche alleate mostrino un leggero arretramento rispetto alle comunali del 2014 e un lieve incremento di voti percentuali rispetto alle elezioni per la Camera. Nel centrodestra invece, Forza Italia tocca in queste elezioni il punto minimo di consenso, 4%, in calo di tre punti percentuali sulle elezioni omologhe di tre anni fa. (Xanax) Anche allora la lista civica del candidato sindaco aveva, con ogni probabilità, drenato una quota di voti al partito di Berlusconi, oltre che a quello di Salvini. Oggi la civica “Bitonci Sindaco” ottiene oltre il 27% dei voti validi, circa 10 punti percentuali in più della volta scorsa.

    Tabella 1 – Risultati elettorali a Padova 2013-2017tab1

    Per far luce sui movimenti di voto che hanno interessato la città di Padova a partire dalle elezioni politiche del 2013, abbiamo stimato la matrice di flusso tra quelle elezioni e le comunali della scorsa domenica. La tabella 2 mostra le destinazioni di voto degli elettori del 2013 verso i candidati sindaco.

    Tabella 2 – Flussi elettorali a Padova: matrice delle destinazioni di voto degli elettori 2013tab2

    Tabella 3 – Flussi elettorali a Padova: matrice delle provenienze di voto dei candidati alle comunali 2017tab3

    Degli elettori del Pd, guidato allora da Bersani, il 39% ha deciso di non votare a questa tornata. Tra coloro che invece sono andati a votare, Giordani ha ottenuto quasi due voti su tre mentre l’altro terzo ha scelto Lorenzoni.

    Gli elettori di Monti nel 2013 si sono divisi in parti simili tra Bitonci, Giordani e l’astensione ma la maggioranza relativa di questi, il 30% sembrerebbe aver optato per Lorenzoni.

    Circa un terzo (32.6%) tra chi aveva scelto la coalizione di Silvio Berlusconi per la Camera si è astenuta in occasione del rinnovo degli organi comunali, una quota importante ma comunque inferiore a quella del Pd. I restanti, se si esclude una parte piccola ma significativa (6.7%) che sembrerebbe aver votato Giordani, è rimasta fedele alle indicazioni del partito votando Bitonci (59.5%). A Padova dunque, gli elettori di Berlusconi si sono dimostrati più fedeli di quelli degli altri partiti e coalizioni, anche in questo modo si spiega la buona performance del candidato di centrodestra.

    Infine i flussi ci confermano che il candidato in maggiore difficoltà è quello di Grillo e del Movimento 5 stelle. Appena il 17.6% degli elettori pentastellati del 2013 ha votato Borile. Oltre la metà di quei voti (50.3%) sono finiti direttamente a Bitonci già al primo turno e quasi un altro quarto (22.3%) ha transitato verso il candidato del Pd Giordani.

    Figura 1 – Rappresentazione grafica della matrice dei flussi (percentuali sull’elettorato) – CLICCA PER INGRANDIRE

    fig1

    Il primo turno delle elezioni comunali a Padova mostra un centrodestra in buona salute che accede al ballottaggio undici punti percentuali avanti al centrosinistra. Tra due settimane la sfida sarà decisa dalle scelte degli elettori i cui candidati sono rimasti esclusi dal secondo turno (oltre che dalla capacità dei due sfidanti di riportare alle urne i propri elettori del primo turno) e in quest’ottica, sarà importante capire come si orienteranno gli elettori di Lorenzoni. Dall’analisi dei flussi abbiamo potuto constatare come una parte consistente degli elettori del Pd del 2013 (oltre un quinto), abbia scelto Lorenzoni: basterà a Giordani convincere questi elettori a votarlo per avere la meglio su Bitonci? E cosa faranno gli elettori del candidato del Movimento 5 stelle in una situazione tanto incerta?

    Riferimenti bibliografici:

    Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee [1988], Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi riportati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle circa 200 sezioni elettorali del comune di Padova. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (oggi o nel 2013), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione).  Il valore dell’indice VR è pari a 18.

     

  • I flussi elettorali del referendum a Brescia

    I flussi elettorali del referendum a Brescia

    di Matteo Cataldi

    Anche per il comune di Brescia vale quanto abbiamo osservato per Treviso e più in generale per l’intero paese. Il Sì ottiene nei comuni capoluogo e nei centri più grandi risultati nettamente più favorevoli che fuori dai centri urbani. Questa relazione rispecchia, almeno in parte, la maggior forza del Pd nelle città rispetto alla provincia, come osserviamo puntualmente ad ogni elezione nazionale. Nel comune di Brescia i Sì non vanno lontano dalla vittoria ottenendo il 48,4% dei voti validamente espressi. Nella provincia si fermano al 41,8%, un risultato vicino a quello nazionale.

    La matrice di flussi visualizzata attraverso il nostro grafico circolare mostra, rispetto al caso trevigiano, alcune apprezzabili differenze accostandosi, Brescia, più a Torino e Parma che non al capoluogo Veneto. La prima differenza sostanziale rispetto a Treviso è la diaspora dell’elettorato PdL che si divide praticamente in tre parti quasi uguali ma con i sì in prevalenza. La seconda differenza riguarda la Lega Nord. A Brescia, come a Torino e a Parma, una quota di elettori 2013 approda allo schieramento del sì. Complessivamente i voti provenienti dal centro-destra costituiscono un importante flusso in entrata come mostra la figura 1.

    Gli elettori del Pd anche nel caso bresciano costituiscono, in entrata il flusso più importante per il fronte dei favorevoli alla revisione costituzionale. Ma quasi un elettore su tre si astiene (2%) oppure boccia la riforma (28%). Per il resto l’elettorato di Monti si muove anche in questo caso compattamente a favore del sì e vi è una rimobilitazione dal bacino del non voto verso il No e una sensibilmente più piccola verso il sì. Coloro che avevano scelto nel 2013 SEL o Rivoluzione Civile, diversamente che da Treviso, per metà si astengono e per metà votano contro la riforma e il Governo Renzi.

    Fig. 1 – Mappa circolare dei flussi fra elezioni politiche 2013 e referendum costituzionale 2016

    Riferimenti bibliografici:

    Goodman, L. A. [1953], Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    Nota metodologica: le analisi dei flussi elettorali qui mostrate sono state ottenute applicando il modello di Goodman corretto dall’algoritmo Ras ai risultati elettorali delle 203 sezioni del comune di Brescia. Il valore dell’indice VR è pari a 2,6. 

  • I flussi elettorali del referendum a Treviso

    I flussi elettorali del referendum a Treviso

    di Matteo Cataldi

    Il Veneto è la regione del centro-nord in cui si è registrata la più alta percentuale di contrari alla riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. Il No in questa regione ha raggiunto il 62% dei voti validi. Nel comune di Treviso l’esito non è stato diverso, ma il distacco tra il Si e il No è stato di “soli” 10 punti (55% a 45%). Un esito che se raffrontato con quello dell’intera provincia (Sì 37%; No 63%) conferma le indicazioni che avevamo fornito in questo articolo, di una differenza sostanziale tra centri urbani e periferie nel sostegno/avversione alla riforma.

    I flussi elettorali stimati a partire dai risultati delle sezioni cittadine mostrano anzitutto come gli elettori dei due principali partiti di centrodestra abbiano in una misura forse superiore alle attese votato secondo le indicazioni dei propri partiti. Sia per la Lega Nord che per Fi oltre l’85% di chi li aveva scelti nel 2013 ha bocciato la riforma costituzionale. Nel grafico in pagina si distingue nettamente come i due flussi in uscita da questi due partiti si dirigano compattamente verso il No, con piccole defezioni verso il non voto e una altrettanto esigua che dal PdL va a sostegno del Sì. Altrettanto compatta è la pattuglia degli elettori del M5s che per il 90% scelgono il No. Circa l’80% dei No provengono dagli elettori di questi tre partiti. Un altro 15% dei voti per il No è costituito da elettori del Pd che hanno votato come l’ex segretario Bersani che guidò la coalizione di centrosinistra nel 2013.

    Il fronte del Sì è costituito praticamente dalla totalità degli ex elettori della coalizione di Monti e da poco più dei due terzi degli elettori del Pd (il 30% circa, come già accennato ha votato No). Altri consensi all’approvazione della riforma arrivano in misura simile (attorno al 2-3% ciascuno da elettori del Pdl, e altri partiti di centrodestra cosi come da elettori di SEL e Rivoluzione Civile. Infine un 5% circa da elettori del M5s.

    Fig. 1 – Mappa circolare dei flussi fra elezioni politiche 2013 e referendum costituzionale 2016

    Riferimenti bibliografici:

    Goodman, L. A. [1953], Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    Nota metodologica: le analisi dei flussi elettorali qui mostrate sono state ottenute applicando il modello di Goodman corretto dall’algoritmo Ras ai risultati elettorali delle 77 sezioni del comune di Treviso. Il valore dell’indice VR è pari a 6,1.