Autore: Nicola Martocchia Diodati

  • A Vicenza il centrodestra vince al primo turno, grazie ai voti dell’assente M5S

    A Vicenza il centrodestra vince al primo turno, grazie ai voti dell’assente M5S

    Sono dovuti passare 10 anni prima che il centrodestra, spinto da una ondata di positività nei confronti della Lega di Matteo Salvini, riconquistasse la città di Vicenza. Infatti, la notte elettorale del 10 giugno ha assunto immediatamente un profumo di successo per Francesco Rucco. Per il candidato sindaco della coalizione di centrodestra, l’unica fonte di sospance è stato il ‘rischio’ di dover effettuare altre due settimane di campagna elettorale. Rischio peraltro scongiurato all’alba, quando si è capito che il centrodestra era riuscito, per 200 voti, a strappare il municipio al primo turno.

    Per il centrosinistra locale guidato da Otello Dalla Rosa, invece, è stata una sconfitta pesante quella subita il 10 giugno. Infatti, dopo aver strappato nel 2008 la città veneta al centrodestra ed averla amministrata per dieci anni con Achille Variati, vede diminuire in maniera rilevante il proprio consenso in città.

    È stata invece una serata priva di emozioni quella del M5S locale che, dopo aver selezionato il proprio candidato sindaco nella figura dell’avvocato Francesco di Bartolo, non si è vista autorizzare l’utilizzo del simbolo del M5S.

    Certo, nonostante la classica debolezza a livello locale del M5S (De Sio et al. 2018), l’assenza dei pentastellati dalla competizione potrebbe aver contribuito in misura significativa alla vittoria al primo turno di Rucco, e ha certamente contribuito alla riduzione del turnout elettorale (passato dal 62,2% alle comunali del 2013 al 55,8 nel 2018).

    Trend di consenso

    Passando ad analizzare i risultati elettorali, possiamo osservare in Tabella 1 come, se tra le politiche del 2013 e quelle del 2018 il consenso ottenuto dal centrosinistra non sia variato sostanzialmente (-1.3%), il supporto al centrosinistra alle comunali appare invece significativamente calato a distanza di cinque anni (-7.6%). In particolare, se osserviamo il consenso che i cittadini di Vicenza avevano accordato al PD ed alle liste ad esso collegate, possiamo osservare che l’anello debole della coalizione sia stato proprio il primo (che vede ridotti di quasi 5 punti il proprio consenso) a dispetto delle liste civiche di centrosinistra che hanno confermato la loro forza elettorale (da 21% a 21,7%).  Un tale dato sembra fare delle amministrative vicentine un caso di scuola, dove la partita è stata giocata sulle capacità e le performance degli incumbent (Fiorina 1981). Non è difficile immaginare, infatti, che la base militare Dal Molin e la bancarotta della banca popolare di Vicenza abbiano giocato un ruolo chiave nella sconfitta del centrosinistra.

    Tab. 1 – Risultati elettorali per liste e coalizioni a Vicenza nelle elezioni politiche e comunali, 2013-2018[1] (clicca per ingrandire)vic_tab.JPG

    Se la decrescita del centrosinistra risulta significativa, l’aumento del centrodestra appare al di sopra della normalità: rispetto alle amministrative del 2013 (dove il centrodestra a traino PDL si era fermato al 27.4%), il traino leghista di Rucco ha permesso quasi di raddoppiare il consenso, facendo raggiungere alla coalizione di centrodestra il fatidico 50%. Eppure, se si osserva il trend del consenso ottenuto dal centrodestra nelle amministrative e nelle politiche, si rileva una netta correlazione tra il passare del tempo e la crescita di consenso al centrodestra, rappresentazione plastica del progressivo spostamento del baricentro politico della città.

    Tra politiche ed amministrative

    Come abbiamo visto nelle righe precedenti, l’analisi dei trend di consenso delle diverse forze politiche ci ha permesso di osservare, da un lato, una bocciatura secca dell’operato della giunta di centrosinistra e, dall’altro, un progressivo rafforzamento del centrodestra. Passando ora a considerare i flussi di voto tra le politiche e le amministrative 2018, ci proponiamo di fare più luce su due elementi: primo, se, e in che modo, la distribuzione di preferenze delle politiche si è ripercossa sul voto delle amministrative; secondo, quale forza politica ha favorito la mancata presenza del M5S alle elezioni amministrative.

    Prendendo in considerazione la Tabella 2, ci proponiamo di rispondere al primo quesito: ovvero come si è trasformata la distribuzione del consenso tra le politiche e le amministrative.

    Partiamo ancora una volta dai grandi sconfitti: il centrosinistra. In questo caso possiamo vedere che quasi l’80% dei votanti del centrosinistra ha espresso le proprie preferenze anche alle amministrative per la coalizione guidata da Otello Dalla Rosa. Tra il 21% che ha invece cambiato preferenza vediamo che l’11% ha dato il proprio voto alla coalizione di centrodestra, mentre il 9% si è rifugiato nel non voto.

    Passando al centrodestra, si osserva invece una maggiore mobilità del consenso. Difatti, fatto 100 l’elettorato del centrodetra alle politiche, solo il 57% ha votato la coalizione a sostegno di Rucco, mentre un decimo ha votato il PD, e ben il un terzo non ha si è recato alle urne.

    Passando a considerare come gli elettori del M5S hanno distribuito le loro preferenze alle amministrative, si conferma quanto già notato in altri contributi (si veda ad esempio Martocchia Diodati 2017) e peraltro confermato a livello nazionale dall’alleanza gialloverde: gli elettori del M5S, tra tutti i partiti ad esclusione del M5S, preferiscono la Lega Nord. Difatti, se nessuno degli elettori del M5S alle politiche a votato FI alle amministrative e solo il 7% ha votato per il PD, ben il 25% ha espresso la propria preferenza per la Lega.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Vicenza fra politiche e comunali del 2018, destinazioni[2] (clicca per ingrandire)vicenza_dest

    I flussi riportati in Tabella 3 confermano, ed in qualche modo qualificano, quanto riportato in Tabella 2 e quanto già discusso in precedenza sui trend di voti.

    Innanzitutto, le informazioni ricavate dalla Tabella 3 permettono di comprendere in maniera più dettagliata la sconfitta del centrosinistra vicentino. Infatti, non solo c’è stata una decrescita sostanziale del consenso tra le comunali 2013 e quelle del 2018, ma il punto di debolezza che non ha permesso ad Otello Dalla Rosa di replicare il lavoro fatto all’epoca da Achille Variati (sindaco uscente di centrosinistra) è l’incapacità di allargare a destra il perimetro del consenso del centrosinistra locale rispetto a quello delle politiche: infatti, solo il 12% degli elettori del centrosinistra alle comunali proviene dall’elettorato del centrodestra delle politiche.

    Tali risultati permettono anche di comprendere quale sia stata la vera forza propulsiva del centrodestra: riuscire da un lato a sottrarre voti al centrosinistra grazie a FI e alle liste civiche e, dall’altro, a farsi catalizzatori del consenso del M5S grazie alla Lega e alle liste civiche. Basti pensare che ben il 34% del consenso di Forza Italia ed il 16% del consenso delle liste civiche di centrodestra proviene dagli elettori del PD delle politiche, mentre il 27% del consenso delle liste civiche ed addirittura il 51% dei voti della Lega provengono dal bacino del M5S delle politiche. Tale scenario rivela che, come per il centrosinistra il principale elemento di debolezza è stato l’incapacità di allargare a destra il proprio perimetro elettorale, per il centrodestra vicentino, invece, è stata proprio la capacità di acquisire voti dal bacino (meno, in termini assoluti) del centrosinistra e (di più, sempre in termini assoluti) da quello del M5S.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Vicenza fra politiche e comunali del 2018, provenienze (clicca per ingrandire)vicenza_prov

    Il diagramma di Sankey visibile sotto (Fig. 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Vicenza. A sinistra sono riportati bacini elettorali delle politiche, a destra quelli delle comunali. Le diverse bande, colorate in base al bacino di provenienza alle politiche, mostrano le transizioni dai bacini delle politiche a quelli delle comunali. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Osservando il diagramma, saltano subito all’occhio il grande flusso dal centrodestra delle politiche al non voto delle comunali, che pesa il 10% dell’elettorato vicentino, e le differenti scelte operate dagli elettori del M5S, che in maggioranza si sono indirizzati su astensione e Lega, contribuendo, in maniera decisiva, al successo al primo turno di Rucco.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Vicenza fra politiche (sinistra) e comunali (destra) del 2018, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)vicenza_sankey

    Conclusioni

    A conti fatti, due sono gli elementi che hanno agevolato in maniera rilevante la riconquista del governo di Vicenza: l’incapacità di allargare il proprio perimetro elettorale da parte del PD e l’assenza del Movimento 5 Stelle dalla competizione cittadina.

    Difatti, la debolezza del centrosinistra cittadino, che ha perso oltre 7 punti percentuali rispetto al 2013, non ha permesso ad Otello Dalla Rosa di replicare le performance elettorali del suo predecessore. Abbiamo già osservato come tale debolezza possa essere stata causata da dieci anni di amministrazione caratterizzati da eventi complessi e problematici come la vicenda della Popolare di Vicenza e della base militare dal Molin. Eppure, l’elemento chiave per spiegare la vittoria al primo turno del centrodestra a guida leghista non sembra risiedere solamente nella debolezza del centrosinistra locale.

    Al contrario, sembra trovare le proprie radici nella mancata partecipazione alle elezioni del M5S. Basti pensare che più del 50% dei voti guadagnati dalla Lega Nord e più di un quarto del consenso delle liste civiche a supporto di Rucco derivano proprio dal movimento pentastellato. Non solo, quindi, come veniva ipotizzato in introduzione di questo nostro contributo, il M5S è stato determinante per la vittoria di Rucco al primo turno abbassando il turnout elettorale. Al contrario, i flussi elettorali hanno dimostrato come le scelte politiche degli elettori del M5S, non ancora influenzati dell’instaurazione del Governo gialloverde a livello nazionale, dimostrino chiaramente una elevata vicinanza (quantomeno in termini di elettorato) tra i due partiti.

    Riferimenti bibliografici

    De Sio, L., Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (2018), ‘Il risultato? Ancora il clima del 4 marzo, ma il M5S (come nel 2013) non rende bene alle comunali’. https://cise.luiss.it/cise/2018/06/11/come-nel-2013-il-m5s-non-rende-alle-elezioni-comunali-mentre-il-centrosinistra-rende-addirittura-meglio-che-alle-politiche/

    Fiorina, M. (1981), Retrospective Voting in American National Elections, New Haven, Yale University Press.

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Martocchia Diodati, N. (2017) ‘Monza e Legnano: da punti di partenza uguali a risultati diversi. I risultati e i flussi elettorali’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano Studi Elettoriali, pp. 103-112.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 112 sezioni elettorali del comune di Vicenza. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 5 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è pari a 7,6.


    [1]Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari. Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (sindaco o di collegio), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013, abbiamo considerato quali i voti raccolti ai candidati quelle delle coalizioni (che sostenevano un candidato premier).

    Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o il PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Nella categoria partiti di sinistra rientrano: RifCom, PC, PCI, PAP, FDS, SEL, SI, MDP, LEU, RivCiv. Nella categoria altri partiti di centro-sinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA.

    L’insieme dei candidati sostenuti da almeno una di queste liste, ma non dal PD, costituisce il polo di sinistra alternativa al PD della parte inferiore della tabella. Il polo di centro-sinistra somma, invece, i candidati nella cui coalizione compare (anche) il PD.

    Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CivP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Il polo di centro è formato da candidati sostenuti da almeno uno di questi.

    Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT. Il polo di destra somma i candidati sostenuti da almeno uno di questi o da Lega o FDI, ma non da FI/PDL. Il polo di centro-destra, invece, è la somma dei candidati nella cui coalizione compare (anche) FI (o il PDL).

    [2] Ringraziamo l’Ufficio Elettorale del comune di Vicenza per averci messo a disposizione i dati di politiche e comunali 2018 per sezione.

  • Monza e Legnano: da punti di partenza uguali a risultati diversi

    Monza e Legnano: da punti di partenza uguali a risultati diversi

    È stata una nottata sul filo di lana quella di Monza, che ha visto il sindaco uscente Scanagatti (candidato con il centrosinistra) prevalere sul candidato di centrodestra (Allevi) di soli 35 voti. Meno lunga è stata la notte a Legnano, dove il candidato del centrodestra Fratus ha terminato il primo turno in vantaggio di circa sei punti sul sindaco uscente Alberto Centinaio (centrosinistra).

    tableau legnano

     

    tableau monza

    Nonostante la storia delle due città sia ben diversa e gli esiti delle due competizioni siano differenti, i punti di partenza delle due competizioni hanno molti tratti in comune. Innanzitutto, entrambe le città lombarde arrivavano al voto dopo cinque anni di governo cittadino di centrosinistra, che a loro volta erano stati preceduti da cinque anni di amministrazione di centrodestra. Inoltre, aia a Monza che a Legnano i sindaci uscenti si sono ripresentati all’appuntamento elettorale. Infine, in entrambe le città, alle ultime elezioni comunali il centrodestra si era presentato diviso, presentando un candidato della Lega Nord ed un candidato dell’allora Popolo della Libertà.

    Nonostante la vittoria del centrosinistra nel 2012, il radicamento del centrodestra nelle due città si rileva prendendo in considerazione i risultati delle politiche 2013, dove, sia a Legnano che a Monza, il centrodestra risultava essere la prima forza cittadina (31.4 contro il 30.6 del centrosinistra a Monza, 35.7 contro il 27.5 del centrosinistra a Legnano). È con il risultato eclatante a livello nazionale del PD ottenuto alle Europee del 2014 che il centrosinistra delle due città aveva raggiunto le vette del 47.2% a Monza e 42.6% a Legnano. Data la similarità delle condizioni di partenza, cosa ha portato, quindi, a questi due risultati differenti a seguito del primo turno di elezioni amministrative? Nelle prossime righe cercheremo di trovare una chiave di lettura esplicativa attraverso delle prime analisi descrittive dei dati.

    Un primo punto da affrontare risulta essere l’affluenza. Il turnout elettorale si attesta infatti al 51.88% a Monza ed al 52.37% a Legnano. Un’affluenza più bassa della media lombarda (superiore al 56%) e nazionale (attorno al 68%). Un dato, quest’ultimo, che deve far riflettere le forze politiche delle due città, le quali hanno visto decrescere l’affluenza di circa otto e sette punti percentuali rispetto alle amministrative precedenti.

    Ma veniamo ai risultati delle liste elettorali. In linea con (quasi) tutto il nord del paese, l’asse elettorale Lega Nord / Forza Italia ottiene un risultato rilevante, che vede nel partito fondato da Umberto Bossi il suo punto di forza: la Lega Nord raggiunge infatti il 14.2% a Monza e ben il 22% a Legnano, diventando in entrambi i casi il primo partito del centrodestra. Al contrario, la rilevanza elettorale di Forza Italia (alle scorse amministrative PdL) si riduce sostanzialmente, diminuendo di circa sei punti percentuali in entrambe le città.

    Passando al Movimento 5 Stelle, in entrambe le città la lista guidata da Beppe Grillo si è attastata attorno all’8%. Un risultato scoraggiante per una formazione che negli ultimi sondaggi a livello nazionale appare conquistare i suffragi di circa un terzo dell’elettorato. Certamente sul risultato del primo turno hanno influito le caratteristiche individuali delle due candidature a sindaco, ma rimane un nodo organizzativo da sciogliere: i risultati ottenuti in tutta Italia (e Monza e Legnano non fanno eccezione) sono sintomo di una incapacità di veicolare il consenso e le proposte politiche in maniera bottom-up e senza ricorrere al ‘megafono Grillo’.

    Consideriamo ora i risultati delle liste di sinistra. Se a Monza nel 2012 Rifondazione Comunista e Sinistra Ecologia e Libertà avevano partecipato alla coalizione a sostegno di Scanagatti ottenendo il 4.5%, la componente posizionatasi più a sinistra sull’asse sinistra/destra ha oggi presentato un proprio candidato, attestandosi però all’1.3%. Un risultato leggermente superiore è stato invece ottenuto dalla lista a sostegno del candidato sindaco a Legnano, Juan Pablo Turri (2.1%), che però vede decrescere il consenso della coalizione cittadina di sinistra di oltre 3 punti percentuali rispetto al 2012.

    Differenze tra le due città si possono rilevare anche prestando attenzione alle liste civiche che non si sono presentate in coalizione con il centrosinistra od il centrodestra. Qui si intravedono primi rilevanti differenze tra le due città, che possono suggerire qualche spiegazione sui diversi risultati delle competizioni di Monza e Legnano. Infatti, se il consenso raccolto delle liste civiche a Monza nell’ultima assise elettorale risulta in linea con quanto rilevato alle precedenti amministrative (l’11.2 contro 12.6), a Legnano i risultati appaiono sostanzialmente diversi. Infatti, nel 2012 a Legnano non vi sono state liste civiche presentatesi fuori dalle coalizioni di centrosinistra e centrodestra, mentre in questa tornata elettorale le due liste a sostegno della candidata Sindaco Ornella Ferrario hanno raccolto più del 13%.

    Ultimo elemento da analizzare è certamente il voto per le coalizioni a sostegno dei sindaci uscenti. Si conferma primo partito in entrambe le città il PD, il quale, rispetto alle scorse amministrative, accresce il proprio consenso elettorale: a Monza, passando dal 24.8 del 2012 al 29.8, a Legnano aggiungendo 10 punti percentuali ai 13.1 raccolti nel 2012. Se da un lato quest’ultimo dato sembra evidenziare un allargamento dell’elettorato fedele al Partito Democratico a seguito delle elezioni Europee, esso sembra anche confermare come (in linea con il trend nazionale) ampia parte di quel 45% ottenuto nel 2014 nelle due città lombarde si sia orientato ora su nuovi lidi o rifugiato nel non voto (ma vedremo meglio successivamente, analizzando i flussi elettorali, i precisi movimenti degli elettori).

    Se questi primi risultati ci confermano un trend similare tra le due città a nord-est (Monza) e nord-ovest (Legnano) di Milano, qual è stato il fattore che ha portato il centrosinistra a ‘tenere’ a Monza e a fermarsi a una distanza di circa sei punti rispetto allo sfidante a Legnano? A prima vista, ed in attesa di un’analisi più approfondita che potrà essere svolta a partire dai flussi elettorali, sembra che la risposta risieda nella performance delle liste alleate al PD. Infatti, dove il centrosinistra ha primeggiato (Monza) le liste alleate del PD hanno accresciuto più del 60% il loro elettorato, passando dal 5.7% al 9.5%. Al contrario, le liste legnanesi a sostegno del candidato di centrosinistra hanno complessivamente diminuito il loro apporto alla coalizione di oltre 40 punti percentuali rispetto al 2012. La capacità delle liste civiche di centrosinistra di raccogliere consenso sembra essere la chiave per assicurare al PD e alle coalizioni di centrosinistra un maggiore o minore successo nelle competizioni locali.

    Ma è ancora presto per tirare conclusioni definitive: è necessario, innanzitutto, comprendere a fondo come si siano trasformate le preferenze espresse dei cittadini e quali liste siano state premiate dalla volatilità elettorale (leggasi un’analisi dei flussi elettorali) e, non da ultimo, ricordare che quello che è accaduto questa notte è solo il primo giro di boa. Saranno le prossime due settimane a determinare le sorti di Scanagatti e Allevi a Monza e di Centinaio e Fratus a Legnano.

  • Regionali 2015: in Puglia una cronaca annunciata con conseguenze nazionali

    Regionali 2015: in Puglia una cronaca annunciata con conseguenze nazionali

    di Nicola Martocchia Diodati

    Nonostante la conferma delle aspettative circa l’esito, le conseguenze politiche delle elezioni regionali pugliesi sono particolarmente rilevanti. Infatti, come già si osservava nella nota scritta prima delle elezioni (/cise/2015/05/20/regionali-in-puglia-cronaca-di-una-vittoria-annunciata/), la rilevanza a livello nazionale che si supponeva potesse avere la frammentazione dell’offerta elettorale del centrodestra appare oggi notevole. Nonostante ciò, vi sono ulteriori elementi degni di nota. Tra questi, l’aumento dell’astensionismo e l’elevata decrescita del consenso del Partito Democratico.

    Il primo dato che emerge a livello regionale, come d’altronde anche a livello nazionale, è l’elevato tasso di astensionismo: solamente il 51,2% degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne. Confrontando i dati dell’affluenza della tornata elettorale appena conclusa con quelli relativi alle elezioni regionali del 2010, alle elezioni politiche del 2013 ed a quelle europee del 2014, è possibile osservare come il tasso di astensione sia ulteriormente cresciuto nell’ultimo anno, nonostante il numero assoluto di votanti rispetto all’ultima tornata sia aumentato di circa sessantacinquemila unità. Gli aventi diritto al voto che si sono recati alle urne sono quasi il 25% in meno (oltre 242.0000 persone) dei votanti presentatisi alle urne nel 2010. Le motivazioni di questa decrescita sono molteplici ma, escludendo la crescita di sfiducia nelle istituzioni, presente a livello nazionale, due elementi possono risultare particolarmente rilevanti: la non presenza di un election day e la scarsa competitività delle stesse elezioni regionali (Blais 2000), che si preannunciavano, come già sottolineato prima delle elezioni, come la cronaca di una vittoria annunciata. Infatti, se da un lato la mancanza di una sovrapposizione delle elezioni regionali con elezioni di reale rilevanza nazionale ha certamente contribuito ad una minore attrattività del voto, il fattore che sembra più utile per la comprensione di un ulteriore aumento dell’astensionismo in Puglia è certamente la scarsa competitività delle elezioni stesse. Infatti, la competitività delle elezioni è in grado di mobilitare parte dell’elettorato, vista la possibilità di risultare decisivi sull’esito del voto.

     Tab. 1 – Risultati elettorali delle elezioni regionali 2015 in Puglia

    Passando ai risultati delle elezioni, dall’analisi della Tabella 1 risulta in primo luogo rilevante sottolineare come Michele Emiliano, nonostante la vittoria con ampio margine rispetto agli altri concorrenti ed una personalità certamente meno divisiva rispetto a quella del precedente presidente della Regione, non sia riuscito ad eguagliare i risultati elettorali ottenuti nel 2010 da Nichi Vendola. Nonostante la vittoria netta ed indiscutibile, Emiliano sembra non abbia sfruttato  appieno quel vantaggio competitivo che poteva derivare dalla sua storia professionale, caratterizzata da una elevata integrità morale ed onestà, fattore che può risultare particolarmente rilevante secondo gli studi psicologici del voto (Caprara et al. 2008). Difatti, fatto 100 il totale dei voti ottenuti dalla coalizione, nel 2010 Nichi Vendola aveva ottenuto un ulteriore 13% di preferenze espresse esclusivamente al candidato presidente, mente Emiliano è stato in grado di convogliare sulla sua figura solamente il 2,7% delle preferenze espresse da elettori che non hanno votato anche per un partito che lo sosteneva.

    Un secondo elemento rilevante è l’arretramento del Partito Democratico, che è passato dal 20,7% delle regionali 2010 al 33,6% delle Europee del 2014 ed al 18,8% delle regionali 2015. Una variabilità così elevata nella distribuzione dei voti potrebbe essere imputabile, da un lato, ad una questione sistemica relativa a diverse tipologie di elezioni (nonostante il divario tra elezioni regionali 2010 ed elezioni europee 2009 fosse di circa 2 punti percentuali) e, dall’altro, al dibattito che si è scatenato nelle ultime settimane a seguito del documento emesso dalla Commissione Antimafia durante la campagna elettorale.

    Questi elementi non possono tuttavia oscurare la rilevanza politica del terremoto avvenuto nel centrodestra. La frammentazione dell’offerta elettorale e i risultati ottenuti da Adriana Poli Bortone e Francesco Schittulli rendono evidente come la sfida alla leadership del centrodestra lanciata da Fitto a Berlusconi possa essere riaperta, quantomeno in Puglia. Infatti, nonostante la formazione Oltre con Fitto non sia stata in grado di eguagliare il risultato di Forza Italia, Schittulli, sostenuto da Fitto, ha invece ottenuto un risultato nettamente superiore rispetto a quello di Adriana Poli Bortone, la quale, per la seconda elezione consecutiva, appare non essere realmente in grado di convogliare su di se un elevato consenso dell’elettorato.

    A dimostrazione di come la rilevanza dell’offerta elettorale (Cox 1997) sia determinante è sufficiente osservare come, rispetto alle elezioni del 2010, i candidati supportati dal centrodestra pugliese abbiano perso, complessivamente, circa il 10% dei voti. Inoltre, se consideriamo i partiti del centrodestra, rileviamo come, ad eccezione di NCD, che non ha presentato il proprio simbolo sulla scheda elettorale, sia Forza Italia che Fratelli d’Italia abbiano visto decrescere notevolmente il proprio consenso: i primi hanno ceduto circa il 13%, mentre i secondi hanno ottenuto un consenso alle urne pari a circa il 60% di quello riscontrato alle Europee dello scorso anno. Chi nel centrodestra ha invece incrementato consistentemente la propria forza è stata la Lega Nord, presentatasi con la lista Noi con Salvini, che ha aumentato il proprio consenso elettorale rispetto alle scorse elezioni Europee dell’1,8%, ottenendo così un risultato pari al 2,3%.

    Ha diminuito di circa 8 punti percentuali il proprio consenso anche il Movimento 5 Stelle, che si è confermato secondo partito con circa il 16% dei voti. Va sottolineata l’elevata discrepanza tra i voti ottenuti dal Movimento 5 Stelle e quelli ottenuti dalla candidata presidente Antonella Laricchia, la quale ha ricevuto, fatti cento i voti ottenuti dalla lista a suo sostegno, circa ulteriori 12 punti percentuali di preferenze espresse esclusivamente a suo sostegno. Insomma, tra tutti i candidati presidente, Laricchia è stata quella maggiormente in grado di incassare un vantaggio nelle urne grazie alla propria immagine e personalità.

    Tab. 2 – Risultato elettorale nelle diverse province pugliesi

    Passando a considerare i risultati disaggregati a livello sub-regionale, c’è una leggera variabilità nei risultati ottenuti dai diversi candidati presidente. Emiliano ha ottenuto il suo risultato migliore nella circoscrizione di Foggia, unica provincia in cui ha ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi, mentre la provincia in cui ha ottenuto il peggior risultato è quella di Bari, attestandosi al 45%. Al contrario, Laricchia ha ottenuto il suo miglior risultato proprio nella provincia di Bari, raggiungendo il 22,3% dei consensi. Poli Bortone ha ottenuto un risultato particolarmente omogeneo (tra il 14 ed il 16%) in tutte le provincie, ad eccezione di Bari, provincia nella quale Schittulli (già presidente della provincia stessa) ha ottenuto il suo miglior risultato, oltre 20% dei voti, mentre nelle province di Brindisi, Foggia e Lecce si è attestato attorno al 15% dei voti. Considerando ora le liste a sostegno dei candidati presidente, possiamo sottolineare come il Partito Democratico abbia ottenuto il suo peggior risultato nella provincia di Bari, attestandosi al 16,4% dei consensi, mentre il miglior risultato è stato ottenuto dal PD nella provincia di Lecce, dove ha ottenuto il 22,3% dei voti. Per quanto riguarda invece i partiti che compongono le coalizioni a sostegno di Poli Bortone e Schittulli, si può osservare come non vi sia una elevata variabilità nel voto tra le diverse province, quanto invece una omogeneità nella distribuzione de
    i consensi a livello subregionale.

    Il Consiglio Regionale, a seguito delle elezioni, risulta così composto: 29 seggi sono stati assegnati alla maggioranza, di cui 13 al PD, 6 alla lista Emiliano Sindaco di Puglia, 4 a Noi a Sinistra per la Puglia, 3 ai Popolari e 3 alla lista La Puglia con Emiliano. Dei restanti 21 seggi attribuiti alla minoranza, 8 sono stati conquistati dalla coalizione a sostegno di Schittulli (4 alla lista Oltre con Fitto e 4 alla lista Movimento Politico Schittulli-Area Popolare), 6 da Forza Italia (unica lista a sostegno della candidatura di Poli Bortone ad avere ottenuto dei seggi), 6 dal Movimento Cinque Stelle. L’ultimo seggio rimantenete spetta invece al candidato perdente primo dei non eletti.

    Concludendo, le elezioni regionali pugliesi dimostrano, ancora una volta, di essere un laboratorio politico nazionale: dalle primarie del centrosinistra e dalla vittoria di Vendola nel 2005 alla sfida tra due leadership nazionali nel 2015. Eppure sembra che il tentativo di sperimentare nuove alleanze non sia terminato il giorno delle elezioni: la richiesta di Emiliano al Movimento 5 Stelle di entrare nel governo della regione (nonostante l’ex magistrato disponga della massima maggioranza possibile nel consiglio regionale) rappresenta infatti un tentativo di aprire una nuova stagione politica, che farebbe del governo pugliese un chiaro esempio di maggioranza consensuale e, soprattutto, potrebbe rappresentare l’inizio di un nuovo percorso politico a livello nazionale.

    Riferimenti bibliografici:

    Blais, André. To vote or not to vote?: The merits and limits of rational choice theory. University of Pittsburgh Pre, 2000.

    Caprara, Gian Vittorio, et al. “The personalization of politics: Lessons from the Italian case.” European Psychologist 13.3. 2008: 157-172.

    Cox, Gary W. Making votes count: strategic coordination in the world’s electoral systems. Cambridge: Cambridge University Press, 1997.