Autore: Vincenzo Emanuele

  • I flussi elettorali del referendum ad Ancona

    I flussi elettorali del referendum ad Ancona

    di Vincenzo Emanuele

    In principio erano parte integrante della ‘Zona rossa’, ossia di quella cintura di regioni dell’Italia centrale che aveva sempre espresso, nel corso del tempo, un netto consenso per i partiti di centrosinistra (e del PCI-PDS-DS-PD in particolare).

    Poi venne il ‘terremoto elettorale’ del 2013, con la vittoria del M5S nella regione (32% contro il 31,1% dell’intera coalizione Bersani). Da allora le Marche possono essere considerate un’area contendibile.

    Non fa eccezione questa consultazione referendaria, in cui il NO ha prevalso, sebbene in modo meno netto che nel resto del paese (55,1%). Nel capoluogo marchigiano il consenso del NO è stato lievemente inferiore che nel resto della regione (53,5%). I flussi elettorali rappresentati dalla Figura in basso ci svelano cosa è realmente accaduto fra le politiche del 2013 e il voto di domenica scorsa. Qui, come nel resto del Centro-Nord, l’elettorato del Pd 2013 non è stato compatto: 2/3 hanno appoggiato la riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi, 1/3 si è sfilato, optando per il NO (22%) o l’astensione (13%). Eppure questa divisione interna dei vari elettorati non ha toccato solo il Pd ma quasi tutti i partiti. Più che nelle altre città nelle quali abbiamo analizzato i flussi elettorali, ad Ancona notiamo che il referendum costituzionale ha diviso quasi tutti i segmenti di elettorato. A parte l’elettorato montiano, che vota compatto per la riforma, tutte le altre aree mostrano importanti defezioni rispetto all’indicazione di voto delle rispettive elite: solo il 60% del popolo del Pdl e il 58% della sinistra radicale votano NO. Il restante 40% defeziona: tutto verso il SI nel caso del Pdl, a metà fra il SI e l’astensione gli ex elettori di Ingroia. Sorprendentemente, anche nel M5S si nota un certo livello di defezione: un elettore su 4 vira verso il SI o si astiene. Come altrove, anche ad Ancona è soltanto il fronte del NO che riesce a rimobilitare una quota di ex astenuti (11%).

    Infine per quanto concerne le provenienze dei due elettorati, si nota, da un lato, la polarizzazione politica del SI che è in gran parte schiacciato sull’area del governo (Pd+Monti), che rappresenta circa il 72% dell’elettorato favorevole alla riforma. Dall’altro lato, invece, il fronte a sostegno del NO è più variegato: il 46% è composto da elettori pentastellati, mentre il centrodestra rappresenta appena 1/4 dell’area del NO, percentuale poco superiore a quella di elettori di sinistra o centrosinistra ostili alla riforma (22%).

    Fig. 1 – Mappa circolare dei flussi fra elezioni politiche 2013 e referendum costituzionale 2016

    ancona

    Riferimenti bibliografici:

    Goodman, L. A. [1953], Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    Nota metodologica: le analisi dei flussi elettorali qui mostrate sono state ottenute applicando il modello di Goodman corretto dall’algoritmo Ras ai risultati elettorali delle 100 sezioni del comune di Ancona. Il valore dell’indice VR è pari a 3,7. 

     

  • A growing impact of new parties Myth or reality? Party system innovation in Western Europe after 1945

    Vincenzo Emanuele e Alessandro Chiaramonte

    Emanuele, V. and Chiaramonte, A. (2016), ‘A growing impact of new parties: mith or reality? Party system innovation in Western Europe after 1945‘, Party Politics, Online First

    Despite the large body of literature on the emergence and success of new political parties in Western Europe, few, if any, attention has been paid to investigate new parties from a systemic perspective, therefore exploring their potential effects on party systems. This article focuses on party system innovation (PSInn), defined as the aggregate level of ‘newness’ recorded in a party system at a given election. After having reviewed the extant literature on the topic, the article discusses what a new party is and provides a new index to measure PSInn. The article analyses the evolution of PSInn across 324 elections held in 19 West European countries from 1945 to 2015 and its cumulative effects over time. Although in most countries the party landscape today is still very similar to the one appearing after World War II, data offer clear evidence of a sharp increase of innovation in the last few years.

  • Referendum e categorie professionali: il SI domina tra i pensionati, il NO è avanti in tutti i settori attivi

    Referendum e categorie professionali: il SI domina tra i pensionati, il NO è avanti in tutti i settori attivi

    di Vincenzo Emanuele

    Nella Prima Repubblica, quando il tradizionale cleavage di classe era ancora molto forte, l’incrocio del voto con la categoria professionale rivelava una netta dicotomia tra le intenzioni di voto della borghesia e quelle degli operai: dirigenti, professionisti e grandi imprenditori mostravano un massiccio sostegno per la DC e i partiti di destra (PLI e MSI), mentre gli operai votavano prevalentemente il PCI e il PSI.

    Nel corso della Seconda Repubblica queste differenze si sono affievolite, dal momento che quote crescenti della classe operaia hanno iniziato a votare partiti di destra, e allo stesso modo la borghesia si è divisa tra le due maggiori coalizioni. Durante il ventennio berlusconiano, invece, altre categorie hanno subito una netta polarizzazione: come rivelato dai dati Itanes (Bellucci e Segatti 2010, 155), la divisione fondamentale tra le professioni non è stata più quella tipica del voto di classe (borghesia vs. classe operaia) ma quella relativa al tipo di impiego, dipendente o autonomo. Così, gli impiegati si sono nettamente spostati a sinistra, mentre commercianti e piccoli imprenditori (la cosiddetta ‘piccola borghesia’) hanno accentuato la loro propensione a votare centro-destra.

    Con le elezioni del 2013 assistiamo ad un nuovo capovolgimento, caratterizzato dall’ingresso sulla scena del Movimento 5 Stelle. Con la sua trasversalità, il partito di Grillo stravolge le tradizionali divisioni esistenti nell’elettorato italiano, e si dimostra capace di pescare voti in tutte le direzioni. Come mostrato dai dati IPSOS (18-22/02/2013, N: 11026), il M5S risultava largamente il più votato sia nella borghesia che fra gli operai, sia tra i lavoratori del settore pubblico che fra quelli del settore privato. Insomma, le dinamiche che avevano caratterizzato l’incrocio fra professione e voto nella storia dell’Italia Repubblicana sembravano spazzate via. Questo trend è proseguito negli ultimi anni, come mostrano anche le indagini del CISE. In particolare, una nuova divisione sembra emergere, quella fra settori ‘attivi’ dell’elettorato, che premiano il M5S, e settori passivi, ovvero pensionati (tra i quali domina il Pd), casalinghe (fra le quali il Pd è primo ma il centro-destra, e in particolare il partito di Berlusconi, è ampiamente sovrarappresentato), e studenti (fra i quali Pd e M5S sono in equilibrio) (Emanuele e Maggini 2015).

    Date queste premesse, è interessante osservare quali sono, a pochi giorni dal voto del 4 dicembre, come si distribuiscono le intenzioni di voto al referendum tra le categorie professionali. La Tabella 1 mostra i risultati del sondaggio CISE-OP del Novembre 2016. La variabile ‘occupazione’ è suddivisa in 8 categorie, mentre l’intenzione di voto al referendum è rappresentata da una variabile a tre categorie, dal momento che include anche il dato di astenuti e incerti. A fronte di un vantaggio complessivo di 5 unti per il NO, la categoria più ostile alla riforma è quella dei disoccupati (14% per il SI contro 49% per il NO). Il NO è poi in largo vantaggio in tutti i settori attivi dell’elettorato, dalla borghesia (+16), agli operai (+15), agli impiegati privati (+14), e perfino fra i dipendenti pubblici, che fino al 2013 rappresentavano la constituency di riferimento del centro-sinistra (+10). Al contrario, i settori ‘passivi’ sembrano meno ostili alla riforma: se fra le casalinghe rimangono comunque 8 punti di scarto, fra gli studenti c’è perfetta parità fra i SI e i NO, mentre tra i pensionati, che rappresentano di gran lunga la categoria più numerosa con circa 1/4 del campione il SI stravince (+22). E’ dunque evidente il parallelismo insito fra le intenzioni di voto al referendum e il pattern del voto per categoria professionale che è emerso a partire dal 2013. Del resto, ciò non deve stupire, vista la fortissima politicizzazione della riforma che sta portando verso un voto sempre più giocato su Renzi e il suo governo piuttosto che sui contenuti della riforma. E’ normale, dunque, che in questo contesto si assista ad un riallineamento delle categorie professionali rispetto all’intenzione di voto al referendum che ricalca la divisione dell’elettorato fra M5S (premiato dai settori attivi) e Pd (sostenuto sopratutto dai pensionati e, più in generale, dai settori passivi).

    E’ però interessante notare infine che esiste un’ampia porzione dell’elettorato, il 37% (ossia la maggioranza relativa del campione), che dichiara di volersi astenere o di essere incerto sul voto. Questa quota, che potrebbe risultare decisiva spostandosi a favore dell’una o dell’altra opzione negli ultimi giorni della campagna, non è equamente distribuita fra le categorie professionali. La borghesia e i dipendenti pubblici sembrano avere le idee piuttosto chiare: solo 1/4 di loro non esprime un’intenzione di voto. Anche pensionati e impiegati privati risultano sotto la media del campione: fra loro, circa 1/3 non si schiera. Al contrario, operai e casalinghe sono i settori in cui regnano propensione ad astenersi e incertezza sul voto: il 52% di entrambi i settori sono ancora potenzialmente ‘sul mercato’. Mobilitarli potrebbe incidere profondamente sull’esito del referendum: un massiccio spostamento verso il SI degli incerti potrebbe ribaltare le sorti del voto; al contrario, una mobilitazione degli incerti a favore del NO potrebbe trasformare la consultazione in una Caporetto per Renzi e il suo governo.

    Tab. 1 – Intenzioni di voto al referendum per professione

    prof8

     

    Riferimenti bibliografici

    Bellucci, P. e Segatti, P. (a cura di) (2010), Votare in Italia: 1968-2008. Dall’appartenenza alla scelta, Bologna, Il Mulino.

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2015), ‘Il Partito della nazione? (Xanax) Esiste e si chiama Movimento Cinque Stelle, /cise/2015/12/07/il-partito-della-nazione-esiste-e-si-chiama-movimento-5-stelle/

     

  • Follow the Candidates, Not the Parties? Personal Vote in a Regional De-institutionalized Party System

    Emanuele, V. and Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system, Regional and Federal Studies

    This article analyses how personal vote shapes electoral competition and predicts electoral results in a regional de-institutionalized party system. After having analysed the connection between unpredictable political environment and personal vote, we build an original empirical model that explores preferential vote and patterns of re-candidacies and endorsements of the most voted candidates in the Calabrian regional elections. The analysis shows that leading candidates retain a more stable and predictable support over time with respect to parties and that candidates and their system of interactions are able to predict the electoral results better than parties and their alliances.

  • Gaining Votes in Europe against Europe?

    Emanuele, V., Maggini, N and Marino, B. (2016). ‘Gaining Votes in Europe against Europe? How National Contexts Shaped the Results of Eurosceptic Parties in the 2014 European Parliament Elections’, Journal of Contemporary European Research. 12 (3), 697-715.

    In the wake of the harshest economic crisis since 1929, in several European countries there has been a rise of Eurosceptic parties that oppose EU integration. The 2014 European Parliament elections were a fundamental turning point for these parties. In this article, after a theoretical discussion on the concept of Euroscepticism, we provide an updated classification of Eurosceptic parties after the 2014 European Parliament elections. We show the cross-country variability of such parties’ results and present two hypotheses aiming at explaining Eurosceptic parties’ results, one related to each country’s economic context and one related to each country’s political-institutional context. Through a comparative approach and the use of quantitative data, we test the two hypotheses by creating two standardised indices of economic and political-institutional contexts. Three important findings are shown: Eurosceptic parties perform better in either rich, creditor countries or in poor countries; Eurosceptic parties perform better in countries with peculiar political-institutional features, such as high levels of party system instability and a more permissive electoral system; finally, and crucially, favourable political-institutional contexts seem to be more important than favourable economic contexts for Eurosceptic parties’ electoral results.

  • Comunali 2016, l’affluenza va giù di 5 punti. Frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto

    Comunali 2016, l’affluenza va giù di 5 punti. Frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto

    di Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini

    Il primo dato di cui tenere conto per analizzare l’esito di queste elezioni amministrative è, come sempre, quello relativo alla partecipazione elettorale. Osservando i 132[1] comuni capoluogo al voto, l’affluenza è stata del 60%, in calo di oltre 5 punti rispetto alle precedenti comunali (vedi Tabella 1). Disaggregando questo dato tra le diverse zone geopolitiche,[2] notiamo un calo molto forte al Nord e nella Zona Rossa rispetto alle precedenti comunali (-10 punti) e una sostanziale stabilità al Sud (-2 punti). Il dato però è influenzato dal fatto che il solo comune di Roma pesa di più di tutto il resto del Sud. Infatti notiamo che scorporando il dato della capitale, in cui la partecipazione è stata del 56,2%, l’interpretazione cambia. Il Sud esclusa Roma partecipa nettamente più che nel resto del Paese (65,2%), ma l’affluenza è in calo di sei punti. Interessante notare il fatto che, rispetto alle elezioni europee di due anni fa, c’è stata una diminuzione dei votanti al Nord (-3,7 punti) e nella Zona Rossa (-2,8 punti), mentre si è registrato un netto incremento al Sud (+19 punti, sempre escludendo Roma), trainando così il dato nazionale complessivo (+5,9 punti). Questo dato dimostra in modo lampante la peculiarità delle elezioni comunali, dove il voto personale (espresso tramite lo strumento del voto di preferenza) è molto importante, soprattutto nel contesto meridionale, in contrasto invece con il voto delle elezioni europee dove pesa di più il voto di opinione e le logiche politiche nazionali.

    Tab. 1 – Riepilogo dell’affluenza nei 132 comuni superiori al voto e confronto con le elezioni precedenti

    affluenza 132

     

    In linea con le precedenti comunali, la disaggregazione per dimensione demografica[3] dei comuni rivela che la partecipazione è inversamente proporzionale alla grandezza delle città. Nei comuni compresi tra 15 e 50.000 abitanti ha votato in media il 66,4% degli elettori, contro appena il 55,9% delle cinque maggiori città.

    Al contrario, analizzando il dato per le ultime elezioni politiche ed europee, la dimensione demografica non aveva alcuna influenza sulla partecipazione elettorale. Infatti nei comuni medio-piccoli la partecipazione al voto era praticamente identica a quella delle grandi città.  Questo dimostra il fatto che le comunali sono molto sentite nei comuni più piccoli, soprattutto al Sud. Una delle possibili interpretazioni di questi dati sull’affluenza alle urne potrebbe riguardare la capacità del M5S, laddove presente, di incrementare la partecipazione mobilitando parte dell’elettorato deluso dalla politica. I dati ci mostrano che non è così. Infatti, nei 107 comuni su 132 in cui è presente, la partecipazione è stata del 59,3% contro il 65,7% dei 25 comuni superiori in cui la lista del M5S è assente. Anche un’altra variabile poteva avere un’influenza sulla partecipazione al voto: ci saremmo aspettati, cioè, una partecipazione più alta nei comuni la cui ultima consiliatura è andata a scadenza naturale, rispetto a quei comuni in cui per problemi politici o giudiziari la giunta è caduta e si è andati ad elezioni anticipate. Anche questa ipotesi è smentita dai dati. La partecipazione risulta infatti praticamente la stessa nei due gruppi, ossia del 60,4% nei 103 comuni che hanno votato nel 2011 e del 59,4% nei 29 comuni che non sono andati a scadenza naturale.

    In generale, comunque, quello registrato alle recenti comunali non è stato un crollo dell’affluenza, ma un  calo tutto sommato ‘fisiologico’, in linea con i trend generali degli ultimi anni.

    Disaggregando il dato nei 24 comuni capoluogo[4] al voto, l’affluenza è stata inferiore rispetto al dato complessivo dei comuni non capoluogo (57,6%, in calo di quasi cinque punti). Spicca il dato di alcuni comuni del Sud, con partecipazione superiore al 70%: Benevento, Cosenza, Crotone, Caserta, Latina. Al contrario la partecipazione è stata molto bassa a Roma (56%), Milano (55%), Napoli (54%) e Trieste (57%). Curiosamente, proprio Roma è l’unico capoluogo in cui la partecipazione cresce rispetto alle precedenti comunali (+3,3), mentre è in forte calo a Milano (13 punti), Cagliari, Olbia e Bologna (-12 punti circa).

     

    Tab. 2 – Affluenza nei 24 comuni capoluogo al voto e confronto con le precedenti comunali

    affluenza 24 capoluoghi

    Oltre all’affluenza, l’altro elemento da cui partire per fornire una prima disamina del voto (in attesa di conoscere i risultati aggregati definitivi dei voti ai partiti) è quello relativo ai conteggi delle vittorie e delle sfide al ballottaggio nei 132 comuni superiori. Interpretare un voto come quello delle amministrative non è semplice, giacché non sono chiari i termini di confronto, tanto che spesso accade che tutti i partiti dichiarano di aver vinto. Un buon metodo di lavoro è quello di guardare prima di tutto alla situazione di partenza (vedi Tabella 3). Su 132 comuni superiori, il centrosinistra (ossia le coalizioni guidate dal PD) ne governava 84, contro i 29 del centrodestra (ossia le coalizioni guidate dal PDL/Forza Italia).  Era questa la fotografia di un’Italia ancora sostanzialmente bipolare (meno del 15% dei comuni erano governati da sindaci sostenuti da altre coalizioni diverse dalle due principali), nella quale il centrosinistra tradizionale (quello ‘modello di Vasto’ PD-SEL-IDV) risultava in largo vantaggio nei confronti di un centrodestra berlusconiano che iniziava allora il suo declino elettorale, mentre il M5S era ancora un attore politico marginale[5].

    Tab. 3 – Riepilogo dei vincitori e delle presenze al ballottaggio nei 132 comuni superiori

    conteggi 2016

    Passando all’analisi di queste comunali, bisogna quindi tenere conto del fatto che oggi il contesto politico generale è completamente mutato rispetto ad allora. Il primo dato che emerge è il dimezzamento dei comuni vinti al primo turno: sono solo 21 su 132 contro 40 delle ultime comunali. Questo è un indice della trasformazione in senso tripolare del sistema partitico italiano (D’Alimonte, Di Virgilio, Maggini 2013; Chiaramonte e Emanuele 2014), nonché della frammentazione dell’offerta e del voto in queste comunali[6].

    Nei comuni già assegnati prevale il centrosinistra (11) sul centrodestra (7). Due comuni sono vinti da liste civiche e uno dalla Lega (‘Destra’).

    Per quanto concerne le sfide ai ballottaggi, il PD si giocherà la conquista del comune in 84 delle rimanenti 111 città (48 da primo); il centrodestra in 55 (24 da primo); il M5S in 19 (6 da primo); le coalizioni di liste civiche in 28 (12 da prime); e infine coalizioni di destra (ossia comprendenti Lega e/o FDI ma senza Forza Italia) in 13 (10 da prime).

    Interessanti le sfide ai ballottaggi (vedi Tabella 4): in 42 città su 111 ci sarà la tradizionale sfida in stile Seconda Repubblica tra centrosinistra a guida PD e centrodestra a guida Forza Italia. La partita in stile Roma tra centrosinistra e M5S ci sarà invece soltanto in 11 città (il 10% dei comuni). Infine, più frequente sarà la sfida fra centrosinistra e civiche (13 città), mentre ci sarà un ballottaggio fra centrodestra e M5S solamente in due città.

    Tab. 4 – Riepilogo delle sfide tra prima e seconda coalizione nei 111 comuni superiori al ballottaggio

    conteggi sfide ballottaggi

    Esaminando nel dettaglio i risultati nei comuni capoluogo, notiamo che al primo turno sono stati assegnati soltanto quattro comuni, di cui tre al centrosinistra (Rimini, Cagliari e Salerno) e uno al centrodestra (Cosenza). In tutti e quattro i comuni si riconferma l’amministrazione uscente, sebbene a Rimini e Salerno con un sindaco diverso da quello che ha governato la città negli ultimi anni. In totale, come emerge dalla Tabella 5, erano presenti otto incumbent: sei di centrosinistra, uno di sinistra e uno di centrodestra. Di questi, due sono riconfermati al primo turno: si tratta di Zedda a Cagliari e Occhiuto a Cosenza. In altri quattro casi (Torino, Bologna, Napoli e Carbonia) si andrà al ballottaggio con il sindaco uscente piazzato in prima posizione. A Trieste e Novara, invece, i due sindaci democratici, Cosolini e Ballaré andranno al ballottaggio da inseguitori, contro coalizioni rispettivamente di centrodestra e di destra.

    Nei 20 capoluoghi che andranno al ballottaggio, il PD si conferma la forza politica più presente: correrà in 17 ballottaggi, dei quali 10 da primo. Il centrodestra segue con 13 presenze di cui 5 primi posti. Decisamente meno presente il M5S che si giocherà la vittoria solo a Roma (da primo), a Torino e a Carbonia. Sorprendente per certi versi è il risultato delle coalizioni di destra formate da Lega Nord e Fratelli d’Italia: sono prime in tre comuni (Novara, Latina e Isernia). Completano il quadro dei ballottaggi una coalizione di sinistra (per De Magistris) a Napoli, una di centro a Crotone (comprendente l’UDC), una coalizione di liste civiche a Latina e una coalizione guidata dal movimento di Fitto ‘Conservatori e Riformisti’ a Brindisi.

    Tab. 5 – Dettaglio dei vincitori e delle sfide al ballottaggio nei comuni capoluogo

    Comuni capoluogo

     

    Tutte queste considerazioni spingono verso una interpretazione prudente del voto. Certamente spiccano risultati eclatanti come quello di Roma per il M5S ed emergono chiare difficoltà del PD, soprattutto a Napoli ma in parte anche in roccaforti storiche come Torino e Bologna. Però allargando lo sguardo dalle città più grandi, nei confronti delle quali c’è stata maggiore attenzione mediatica, all’insieme dei comuni superiori, il quadro di analisi appare molto variegato ed è difficile trarne una lettura uniforme in chiave nazionale. Basti pensare che il M5S che pure, come si è detto, ottiene un risultato storico a Roma e un altro molto positivo a Torino, tuttavia fatica ancora ad emergere nel resto dei comuni come potenziale alternativa di governo; anzi, da questo punto di vista, il centrodestra, quando è unito, rimane ancora un polo più competitivo.

    Domenica 5 giugno si è giocato solo il primo tempo di una partita i cui i veri vincitori si scopriranno ai ballottaggi del 19 giugno.

     

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione’, in A. Chiaramonte and L. De Sio (eds.), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

    Corbetta P., Parisi, A. e Schadee, H. (1988), Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    D’Alimonte, R., Di Virgilio, A. e Maggini, N. (2013), ‘I risultati elettorali: bipolarismo addio?’, in ITANES (a cura di), Voto amaro. Disincanto e crisi economica nelle elezioni del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 17-32.

    Emanuele V. (2011), ‘Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia’, in Meridiana – Rivista di Storia e Scienze Sociali, 70, pp. 115-148.

    Emanuele, V., (2013), ‘Il voto ai partiti nei comuni: La Lega è rintanata nei piccoli centri, nelle grandi città vince il Pd’, in De Sio, L., Cataldi, C. e De Lucia, F. (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier Cise (4), Rome, CISE, pp. 83-88.

    Emanuele, V. Marino, B. e Martocchia, N. (2016), ‘Comunali 2016, l’analisi dell’offerta politica nei comuni capoluogo’, /cise/2016/05/15/comunali-2016-lanalisi-dellofferta-politica-nei-comuni-capoluogo/.

    Maggini, N. e De Lucia, F. (2014), ‘Un successo a 5 stelle’, in A. Chiaramonte and L. De Sio (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 173-201.

    [1] Sono esclusi dall’analisi i sei comuni siciliani con popolazione compresa tra i 10 e i 15.000 abitanti e altri 11 comuni superiori ai 15.000 abitanti (Altopascio, Anguillara Sabazia, Bovolone, Bracciano, Caravaggio, Caronno Petrusella, Cirò Marina, Codogno, Corbetta, Laterza, Rocca Di Papa) per i quali non è possibile fare un raffronto perché alle precedenti elezioni comunali votavano in un turno unico e con regole elettorali diverse in quanto inferiori ai 15.000 abitanti.

    [2] Sul concetto di zone geopolitiche e le diverse classificazioni proposte, vedi Corbetta, Parisi e Schadee (1988), Diamanti (2009), Chiaramonte e De Sio (2014).

    [3] Per un’analisi del rapporto tra dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia vedi Emanuele (2012; 2013).

    [4] Il comune di Villacidro è stato escluso dall’analisi in quanto inferiore ai 15.000 abitanti.

    [5] Per una storia elettorale del M5S si veda Maggini e De Lucia (2014).

    [6] Vedi Emanuele, Marino, Martocchia (2016) /cise/2016/05/15/comunali-2016-lanalisi-dellofferta-politica-nei-comuni-capoluogo/.

  • Comunali 2016, l’analisi dell’offerta politica nei comuni capoluogo

    Comunali 2016, l’analisi dell’offerta politica nei comuni capoluogo

    di Vincenzo Emanuele, Bruno Marino e Nicola Martocchia Diodati

    Il prossimo 5 giugno si svolgerà la più importante tornata elettorale da qui alle prossime elezioni politiche. Saranno coinvolti circa 15 milioni di italiani per un voto amministrativo che coinvolgerà 1342 comuni di cui 149 superiori[1] e 25 capoluoghi di provincia. A questi si aggiungono Bolzano e gli altri 19 comuni del Trentino-Alto Adige che hanno votato l’8 maggio scorso e Ayas (Valle D’Aosta) che ha votato lo scorso 15 maggio.

    Si tratterà di un test importante, ancorché forse non ancora decisivo, per Renzi e il Partito Democratico, chiamati ad un risultato positivo per proiettarsi verso la sfida cruciale del referendum costituzionale di ottobre e delle successive elezioni politiche. Finita la ‘luna di miele’ del 2014 (con il roboante 40,8% delle elezioni europee del 2014), Matteo Renzi ha superato con relativo successo lo scoglio delle regionali del 2015, vincendo in 5 regioni su 7 e, nonostante il forte arretramento in termini di fiducia (sia personale sia del governo) registrato da tutti i sondaggi, si presenta a queste amministrative come il vero dominus della politica italiana. Il rovescio della medaglia, naturalmente, riguarda il fatto che Renzi sia allo stesso momento anche il bersaglio al quale puntano le opposizioni: la vittoria alle amministrative, o almeno in qualche città chiave, da parte del M5S o delle destre (sono quasi sempre almeno due), ne legittimerebbe la richiesta di elezioni anticipate, mettendo ulteriore pressione su un governo da sempre fragile sia per i numeri di cui dispone che per il ‘vizio’ di essere nato in parlamento e non nelle urne. Il Pd, primo secondo tutti i sondaggi e incumbent nella stragrande maggioranza delle città al voto, si trova nella scomoda posizione di chi ha tutto da perdere e fronteggia una campagna elettorale resa ancor più difficile dalle divisioni interne tra renziani e minoranza, dai quasi giornalieri scandali giudiziari che coinvolgono ogni giorno suoi esponenti sul territorio e, infine, dai postumi dello scandalo di Mafia Capitale a Roma, città che rappresenta il vero ago della bilancia di questa tornata elettorale.

    D’altro canto, anche per il Movimento 5 Stelle si tratta di un passaggio decisivo. Con la morte di Casaleggio, il progressivo allontanamento di Beppe Grillo dalla politica e lo sviluppo di una classe dirigente interna che sta acquisendo autonomia in Parlamento e visibilità sui media (Di Maio è ad oggi secondo solo a Renzi per quanto concerne la fiducia nei leader), il Movimento è in piena fase di trasformazione e queste amministrative gli offrono l’irripetibile occasione di compiere il salto decisivo da partito anti-establishment di protesta a mainstream opposition con potenziale di governo. Dopo le prime, piuttosto complesse, esperienze di governo in alcune città (Quarto, Livorno, Ragusa, per non parlare dei recenti problemi a Parma), vincere a Roma potrebbe rappresentare un grande trampolino in vista delle prossime politiche e dare al Movimento quella credibilità che ancora non riesce ad ottenere agli occhi della classe dirigente italiana e della grande stampa.

    Infine, il centrodestra. Unito, come a Milano, rappresenta un polo assolutamente competitivo per la vittoria. Diviso, come a Roma, rischia seriamente di rimanere escluso dai ballottaggi. Ma la vera partita il centrodestra non la gioca contro il Pd o il M5S. Non conterà tanto il numero di città vinte (oltretutto negli ultimi cinque anni le amministrative sono sempre state una Caporetto per il centrodestra). La vera nodo delle amministrative per il centrodestra è tutto interno, nella conta fra la nuova, rampante, destra di Salvini e Meloni e il tradizionale, decadente, blocco berlusconiano. Se l’Italicum dovesse rimanere la legge elettorale con cui si voterà alle prossime elezioni politiche, non ci sarà spazio per due alternative di destra. Queste comunali potrebbero dirci quale delle due dovrà farsi da parte.

    La situazione di partenza

    Prima di osservare le caratteristiche dell’offerta elettorale attuale, diamo un’occhiata alla situazione di partenza nei 25 comuni capoluogo al voto, confrontandola con il precedente turno amministrativo del 2011[2]. Alle elezioni amministrative del 2011, in 21 comuni la vittoria era andata al centrosinistra, mentre in 4 comuni il candidato sindaco di centrodestra aveva ottenuto più voti (a Napoli, invece, aveva vinto De Magistris sostenuto da una coalizione di Idv e Federazione della sinistra)[3]. Eppure, dopo cinque anni osserviamo un significativo cambiamento di queste percentuali: il primo dato, per certi versi sorprendente, riguarda il fatto che 6 comuni, ovvero quasi il 25%, andranno al voto sotto commissariamento prefettizio. All’interno di questi comuni vi è il caso più eclatante, quello di Roma, che ha visto le dimissioni di 26 consiglieri, evento che ha portato alla caduta dell’amministrazione guidata da Ignazio Marino. Ciononostante, un buon numero di comuni arriva all’appuntamento del prossimo giugno con la stessa amministrazione eletta cinque anni fa: 16 comuni guidati dal centrosinistra, 2 guidati dal centrodestra e uno sostenuto dalla sinistra radicale (De Magistris). Questo dato enfatizza il ruolo del Pd come vero incumbent[4] della competizione.

    Di questi 19 comuni, 9 vedono la ricandidatura del sindaco uscente. I nomi più eclatanti sono Virginio Merola a Bologna, Luigi de Magistris a Napoli, Piero Fassino a Torino e Massimo Zedda a Cagliari. Passando ad un’analisi più generale dell’offerta politica nei 25 capoluoghi, è interessante confrontare i dati di liste, candidati e coalizioni con la precedente tornata del 2011. Il 2011 aveva segnato, pur in presenza di una logica di competizione fondamentalmente bipolare, un netto aumento della frammentazione rispetto al passato, sia in termini di candidati (da 5,5 di media a 8) che di liste (da 5 a 9,3) (Emanuele e Paparo 2011) [5]. Visto l’avvenuto passaggio dal bipolarismo che ha caratterizzato la Seconda Repubblica alla nuova fase tripolare emersa dopo le politiche 2013 sia a livello nazionale (Chiaramonte e Emanuele 2014) che regionale (Tronconi 2015), ci si sarebbe potuti attendere un radicale cambiamento della configurazione dell’offerta nel 2016 rispetto al 2011, con un incremento della frammentazione in termini di candidati sindaco e una diminuzione delle liste a sostegno di ciascuno di loro. In altri termini, si potrebbe immaginare il passaggio, anche a li vello locale, da una competizione fra coalizioni ad una fra singoli partiti. Eppure, due disincentivi sistemici impediscono tale trasformazione: il sistema elettorale comunale, che spinge i partiti a coalizzarsi per raggiungere il premio di maggioranza, e la presenza del voto di preferenza, che incentiva la moltiplicazione delle liste e la corsa dei partiti ad accaparrarsi quante più alleanze possibili con i ras locali del voto (Emanuele e Marino 2015). È possibile che questi disincentivi influenzino la situazione di partenza, che risulta per certi versi essere molto simile al 2011, sia in termini di candidati sindaco (8,5 di media nelle 25 città, leggermente più che nel 2011), sia di liste in competizione (22,2 di media contro le 21,6 del 2011).

    Quello che cambia, ma non troppo, è il dato del numero di liste a sostegno di candidati fuori dai due ‘blocchi’ principali (ovvero quelli comprendenti il Pd e FI[6]): oggi sono 10,4 ma nel 2011 erano 9,3. Per quanto concerne il numero medio di liste all’interno delle due principali coalizioni, vi sono in media 5.8 liste per le coalizioni a guida Pd e 6 per quelle a guida FI, per un totale di 11,8. Il dato di FI è in leggera flessione rispetto al 2011 (le liste in coalizione a guida PdL erano in media 6,4) ma è curioso il fatto che tale partito, nonostante il disfacimento della coalizione di centrodestra in molte città, riesca ad aggregare ancora diverse liste a sostegno dei candidati che sostiene. Un’analisi più approfondita delle coalizioni in cui è presente Forza Italia rivela il grande ruolo giocato dalle liste ‘non nazionali’, cioè civiche e locali: su un totale di 127 liste incluse nelle coalizioni in cui è presente il partito di Berlusconi, oltre il 60%, ben 77, sono liste non riferibili ad etichette nazionali. Un altro dato interessante è, naturalmente, la grande variabilità a livello di liste e candidati tra le diverse città: si va dai 17 candidati sindaco di Torino ai 5 di Cosenza, Olbia e Ravenna, dalle 41 liste di Napoli, alle 14 di Savona e Ravenna. In generale, notiamo una maggiore frammentazione a livello di lista al Sud con una media di 26,1 liste contro le 18.1 del Centro-Nord. Al contrario, la competizione per il sindaco risulta più variegata al Centro-Nord rispetto al Sud (in media si presentano 8.9 candidati al Centro-Nord contro i 8,2 del Sud). In altre parole, se al Centro-Nord la competizione è soprattutto per la carica di sindaco, al Sud invece la vera partita si gioca per la conquista di un posto all’interno del consiglio comunale.

    Complessivamente, ciascun candidato sindaco è sostenuto, in media, da 2,6 liste. In nessuna delle 25 città Pd o FI si presentano da soli, ma sempre con almeno un’altra lista a proprio sostegno, a differenza del M5S che corre da solo in tutti i comuni (ma è assente a Latina). Nonostante l’attenzione dei media si sia concentrata sulla frammentazione del centrodestra a Roma (vedi sotto), i dati ci confermano che la crisi di questa parte dello schieramento politico non è limitata alla Capitale. Al contrario, in ben 8 comuni capoluogo su 25 Forza Italia e la Lega Nord (o Noi con Salvini) non presentano un candidato unico alla guida della città. Anche la vecchia alleanza PD-SEL di bersaniana memoria risulta frantumata: è presente solo in 8 comuni su 25.

    L’offerta politica nelle principali città

    TUTTE LE TABELLE CON L’OFFERTA POLITICA NEI CAPOLUOGHI QUI (aggiornate al 4 giugno 2016)

    Questi dati ci restituiscono una fotografia generale dell’offerta politica nei capoluoghi chiamati al voto. È utile ora analizzare nel dettaglio la situazione di partenza nelle cinque città principali: Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli.

    TORINO – Il sindaco uscente Piero Fassino cerca la riconferma dopo cinque anni in Comune, sostenuto dal PD e da altre tre liste. A sinistra sarà sfidato da Giorgio Airaudo, deputato di Sinistra Ecologia e Libertà. Nonostante nel (centro) sinistra non si presenti un candidato unitario, spostandosi verso il centrodestra la situazione è ancora più frammentata: mentre l’UdC, in una coalizione con altre quattro liste, sostiene Roberto Rosso, ex forzista, il vecchio partito di Rosso, FI, supporta invece, assieme ad altre due liste civiche, la candidatura di Osvaldo Napoli, ex deputato di Forza Italia. Lega Nord e FdI, replicando uno schema di coalizione già presente in altre città, candidano, assieme ad una lista civica, Alberto Morano, notaio torinese. Infine il Movimento Cinque Stelle sostiene l’imprenditrice Chiara Appendino.

    MILANO – Rispetto al capoluogo sabaudo, a Milano la competizione sembra seguire ancora il vecchio schema bipolare fra le due coalizioni principali: la conquista di Palazzo Marino si gioca fra il centrosinistra, che candida l’ex commissario all’Expo Giuseppe Sala, sostenuto dal Pd e da altre tre liste, e Stefano Parisi che corre per lo schieramento di centrodestra, che include FI, Lega Nord, Fratelli d’Italia e Milano Popolare (lista che include importanti politici del Nuovo Centro Destra come Maurizio Lupi). Il Movimento Cinque Stelle, mai realmente in corsa per la vittoria, propone la candidatura a sindaco di Gianluca Corrado, avvocato che ha sostituito, non senza polemiche, Patrizia Bedori, uscita vincente dalle ‘comunarie’ grilline in città.

    BOLOGNA – Il sindaco uscente di centrosinistra, Virginio Merola, si ripresenta, sostenuto dal Pd e da altre quattro liste. FI, Lega Nord e FdI supportano invece la leghista Lucia Borgonzoni, che può anche contare sull’appoggio di due liste civiche. L’ex leghista Manes Bernardini corre per una lista civica, mentre il M5S sostiene Massimo Bugani, già candidato sindaco con lo stesso partito nel 2011 e consigliere comunale uscente.

    ROMA – La campagna elettorale e la presentazione delle liste nella capitale hanno occupato un buon numero di prime pagine dei principali quotidiani italiani. Non è difficile capire perché: vincere o perdere a Roma ha un valore simbolico non indifferente. Mafia Capitale e le dimissioni di Ignazio Marino hanno scompaginato il fronte politico capitolino, che vede un gran numero di candidati sindaco. Il PD, assieme ad altre sei liste, sostiene Roberto Giachetti, ex radicale, parlamentare del Pd e vice-presidente della Camera dei Deputati. Nel fronte opposto, due sono i principali candidati: Alfio Marchini, già candidatosi alle ultime comunali, sostenuto da FI e da altre sei liste, e Giorgia Meloni, leader di FdI, che è sostenuta da Noi con Salvini e da altre tre liste. L’avvocato Virginia Raggi, vera favorita della competizione secondo tutti i sondaggi, corre sotto le bandiere del M5S. Come sostenuto da Roberto D’Alimonte[1], sembra che il centrodestra stia utilizzando il primo turno in città come una specie di ‘elezione primaria’ per la leadership. Riteniamo che tale argomentazione rimanga valida anche dopo il ritiro di Guido Bertolaso in seguito alla decisione di Silvio Berlusconi di appoggiare Alfio Marchini. In questo senso, i risultati delle elezioni amministrative a Roma avranno certamente un eco che supererà facilmente i confini della città.

    NAPOLI – Anche a Napoli la costruzione dell’offerta politica è stata travagliata. In questo caso è il centrosinistra ad aver affrontato i problemi più gravi: basti ricordare la contestata vittoria alle primarie di centrosinistra di Valeria Valente contro Antonio Bassolino, ex sindaco di Napoli ed ex presidente della Campania. Valente è sostenuta da ben 11 liste. Sono invece 10 (erano quattro nel 2011), quasi tutte civiche, le liste a sostegno del sindaco uscente, l’ex magistrato Luigi de Magistris. FdI candida Marcello Taglialatela, sostenuto anche da un’altra lista. Infine, lo sconfitto al ballottaggio di cinque anni fa, Gianni Lettieri, guida una coalizione composta da Fi e da altre nove liste. Il M5S sostiene Matteo Brambilla, vincitore a sorpresa delle elezioni primarie grilline.

    Bibliografia

    Cataldi, M., Emanuele, V. e Paparo, A. (2012), ‘Elettori in movimento nelle Comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli’, Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, 67(1), pp. 5-43.

    Catellani, P. e Alberici, A. I. (2012), ‘Does the Candidate Matter? Comparing the Voting Choice of Early and Late Deciders’, Political Psychology, 33(5), pp. 619-634.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione’, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

    D’Alimonte, R. (2015), ‘A Roma il primo turno di trasforma in primarie’, /cise/2016/03/20/a-roma-il-primo-turno-si-trasforma-in-primarie/.

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2011), ‘Comunali 2011: offerta politica nei comuni capoluogo di provincia’, /cise/2011/05/10/comunali-2011-offerta-politica-nei-comuni-capoluogo-di-provincia/.

    Emanuele. V. e Maggini, N. (2015), ‘Il Partito della Nazione? Esiste, e si chiama Movimento 5 Stelle’, /cise/2015/12/07/il-partito-della-nazione-esiste-e-si-chiama-movimento-5-stelle/.

    Emanuele, V. e Marino, B. (2015), ‘From a party system to a ‘candidate system’? ‘Lords of Preferences’ and electoral support in Calabria, paper presentato al 29° convegno della Società Italiana di Scienza Politica (SISP), Arcavacata di Rende (Cosenza), 10-12 Settembre 2015.

    Gelman, A. e King, G. (1990), ‘Estimating Incumbency Advantage Without Bias’, American Journal of Political Science, 34(4): pp. 1142-1164.

    Tronconi, F. (2015), ‘Bye-Bye Bipolarism: The 2015 Regional Elections and the New Shape of Regional Party Systems in Italy’, South European Society and Politics, 20(4): pp. 553-571.

    [1] Questo dato comprende 6 comuni siciliani che votano da superiori in virtù della legge regionale ma non hanno i 15.000 abitanti richiesti dalla legge nazionale (sono infatti compresi tra 10.000 e 14.999 abitanti). Inoltre 11 comuni dei rimanenti 143 non erano superiori nella precedente tornata amministrativa.

    [2] Bolzano è inclusa nelle analisi di questo articolo per quanto concerne le considerazioni generali sull’offerta elettorale. Per ulteriori approfondimenti si veda l’articolo di Federico De Lucia /cise/2016/05/04/il-primo-test-delle-comunali-2016-lofferta-politica-a-bolzano/. Al contrario, Villacidro è esclusa dalle analisi in quanto, essendo inferiore ai 15.000 abitanti, presenta liste uniche per ciascun candidato. Si noti come a Giugno andranno alle urne Brindisi, Caserta, Isernia e Villacidro (che non elessero il sindaco nel 2011), mentre nel 2011 andarono alle urne Rovigo, Arezzo, Siena, Fermo, Barletta, Reggio Calabria, Ragusa, Iglesias (e questi comuni non eleggeranno il sindaco nel prossimo Giugno).

    [3] Per un approfondimento sul risultato e i flussi elettorali alle comunali del 2011 a Napoli, si veda Cataldi, Emanuele e Paparo (2011).

    [4] Sul cosidetto incumbency effect  si veda Gelman and King (1990).

    [5] /cise/2011/05/10/comunali-2011-offerta-politica-nei-comuni-capoluogo-di-provincia/.

    [6] Tale criterio è stato utilizzato per facilitare il confronto con il 2011, quando la competizione era chiaramente bipolare e basata sul confronto fra candidati del centrosinistra capeggiato dal Pd e del centrodestra capeggiato dal PdL.

    [7] /cise/2016/03/20/a-roma-il-primo-turno-si-trasforma-in-primarie/.

    [8] Peraltro, riguardo tale ipotesi, il sondaggio CISE dello scorso Novembre ha mostrato come, in un eventuale ballottaggio tra M5S e PD alle elezioni politiche, grazie alle seconde preferenze degli elettori di centrodestra, il M5S potrebbe battere il Pd (Emanuele e Maggini 2015). /cise/2015/12/07/il-partito-della-nazione-esiste-e-si-chiama-movimento-5-stelle/.

  • Il Partito della Nazione? Esiste, e si chiama Movimento 5 Stelle

    Il Partito della Nazione? Esiste, e si chiama Movimento 5 Stelle

    Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini

    La rilevazione semestrale sulle opinioni politiche degli italiani effettuata dal CISE per il Sole 24 Ore fotografa i cambiamenti in atto nell’opinione pubblica e offre importanti spunti di riflessione e dibattito.
    Come emerso dall’articolo di D’Alimonte già pubblicato qui (link), la principale novità del sondaggio riguarda la crescita del Movimento 5 Stelle, che, non solo si conferma come il secondo partito del paese dietro al Pd con il 30,8% delle intenzioni di voto, ma risulterebbe altamente competitivo per la vittoria ad un eventuale ballottaggio anche contro il Pd.
    A questo punto è opportuno chiedersi chi sono oggi gli elettori dei due maggiori partiti e in cosa si differenziano. A partire dal successo di Renzi alle elezioni europee del 2014, uno dei principali temi del dibattito pubblico ha riguardato la caratterizzazione del Pd come ‘Partito della Nazione’, capace di pescare consensi in tutti i settori della società e in tutte le aree politiche. In particolare si è ipotizzato che il Pd stesse andando verso una caratterizzazione post-ideologica, superando i confini tradizionali destra-sinistra, come già fatto dal M5S nel 2013. Ma è davvero così?
    Partiamo innanzitutto dall’individuazione del profilo socio-demografico dei due partiti. Come vediamo nella Tabella 1, gli elettori pentastellati hanno un profilo marcatamente maschile (il 38,7% degli uomini vota il M5S contro il 23,1% delle donne). In particolare questo significa che fatti 100 gli elettori dei Cinque Stelle, 62 sono uomini. Il Pd mostra invece un profilo più femminile, dal momento che riceverebbe il 40,7% tra le donne e il 30,3% tra gli uomini. Il confronto tra i due elettorati rivela dunque l’esistenza di un gender divide: tra gli uomini il M5S è avanti di 8 punti, mentre tra le donne il Pd prevale di quasi 18 punti.
    Per quanto concerne il rapporto tra età e intenzione di voto, numerose ricerche empiriche (fra cui ITANES 2013) hanno enfatizzato il profilo giovanile dell’elettorato grillino contrapposto al profilo più ‘âgé’ dell’elettorato Pd e Pdl. I nostri dati confermano che il M5S va bene tra i giovani, fra i quali è il primo partito (35,2%). Tuttavia, la novità è rappresentata dal fatto che il voto al Cinque Stelle cresce all’aumentare dell’età fino alla categoria dei 45-54enni, in cui il M5S risulta primo con quasi il doppio dei voti del secondo partito (42,3% contro il 24,5% del Pd). Nelle due classi di età più anziane, invece, il voto al partito di Grillo crolla, in linea con le analisi del passato. In particolare, tra coloro che hanno più di 65 anni, il M5S è terzo con il 13,6%, superato anche da Forza Italia. In maniera speculare il partito di Renzi risulta fortemente sovrarappresentato nelle due classi di età più anziane, raggiungendo la maggioranza assoluta dei consensi fra gli over 65. Ciò però non significa che i democratici vadano poi così male tra i giovani, dal momento che tra i 18-29enni sono appena sotto la media generale con un distacco dal M5S di meno di 3 punti. Sono quindi le coorti centrali, cioè i nati tra gli anni ‘60 e ‘70, quelle più ostili al partito del Premier.
    Strettamente connesso all’età è poi il dato che emerge dall’incrocio tra professione e voto. Come vediamo dalla Tabella 1, il Pd conferma di essere il partito dei pensionati con il 57% delle preferenze in tale categoria. Inoltre, sorprendentemente, va meglio fra gli impiegati privati che fra quelli pubblici, per lungo tempo sua tradizionale constituency. Al contrario, il M5S risulta il partito più votato in tutte le categorie ‘attive’ del mondo del lavoro, con una particolare sovrarappresentazione in quelle che un tempo rappresentavano i due poli del conflitto di classe: operai e borghesia. Fra le tute blu il partito di Grillo ottiene il 46%, il doppio del Pd (23%); stessa cosa nella borghesia, dove con il 39% il M5S doppia il partito di Renzi (39% a 19%). In entrambe le categorie, non solo il Pd è fortemente sottorappresentato, ma risulta anche tallonato dalla Lega che, oltre a confermare un profilo operaio già mostrato da precedenti ricerche, sembra aver fatto breccia nella borghesia conservatrice, un tempo vicina a Berlusconi. Quest’ultimo mantiene un forte zoccolo duro soltanto tra le casalinghe (28%). Fra gli studenti, infine, si nota un quasi perfetto equilibrio tra i due partiti principali, in linea con quanto già visto rispetto al voto dei giovani. Il risultato complessivo dell’analisi del rapporto fra professione e voto rivela che il M5S è la forza politica più trasversale (o interclassista), risultando nettamente il primo partito dei lavoratori (40% contro il 24% del Pd). Al contempo, il partito di Grillo domina tra i disoccupati (38% contro il 22% del Pd).
    Questa trasversalità del profilo dei Cinque Stelle emerge anche dall’incrocio con il reddito dichiarato (una novità assoluta dei sondaggi CISE): il M5S va bene nelle due classi di reddito intermedie (fra i 10.000 e i 50.000 euro di guadagno netto annuo del nucleo familiare), mentre è fortemente sottorappresentato tra i poveri e i più ricchi (categorie in cui il Pd è primo). Ulteriore curiosità riguarda il profilo degli elettori di Forza Italia, caratterizzato sempre più da marginalità sociale: il 94% di questi dichiara un reddito inferiore ai 25.000 euro.
    La trasversalità del M5S è confermata poi dall’analisi del voto per zona geografica, in cui risulta il partito più ‘nazionale’, come nelle elezioni del 2013 (Emanuele 2015), mentre il Pd è relativamente più debole al Sud e nelle Isole. Completiamo il profilo socio-demografico osservando il rapporto tra istruzione e voto, che nella Seconda Repubblica ha sempre visto il centrosinistra sovrarappresentato fra i laureati mentre il centrodestra ha sempre avuto la maggioranza fra gli elettori scarsamente istruiti. Oggi la situazione è in parte smentita: se è infatti vero che tra ai laureati il Pd è nettamente il primo partito con il 38,2% dei voti seguito dal M5S con il 28,9%, è altresì vero che fra coloro che hanno al massimo la licenza elementare il Pd è il partito dominante (60%) seguito a grande distanza da Forza Italia. Il Pd dunque è sovrarappresentato in due segmenti radicalmente opposti, mentre nelle due categorie intermedie (licenza media e diploma), le più numericamente affollate, il partito di Renzi è sotto la media del campione, mentre il M5S è sovrarappresentato, soprattutto tra i diplomati (37,3%), confermando dati emersi già in passato (Maggini 2014).

    Se dall’analisi del profilo socio-demografico appare chiaramente la trasversalità del M5S e la caratterizzazione del Pd verso determinati segmenti (anziani, pensionati, elettori a bassa istruzione o laureati, elettori del Centro-nord), l’analisi dell’autocollocazione politica (Tabella 2) è utile per completare il quadro offrendo ulteriori evidenze empiriche. Nonostante l’enfasi di molti commentatori su un’ipotetica mutazione genetica del partito di Renzi, gli elettori Pd mostrano una netta collocazione a sinistra (71%, 30 punti in più del totale del campione), mentre il M5S si conferma un partito trasversale anche politicamente, con il 43% dei suoi elettori che si collocano al centro o che non si collocano lungo l’asse sinistra-destra (16 punti in più della media), il 36% a sinistra e il 21% a destra.
    Questa differenza tra i due partiti per quanto concerne l’autocollocazione politica può risultare una variabile chiave per comprendere le possibili scelte di voto all’eventuale ballottaggio previsto dall’Italicum. Dai dati CISE risulta che oggi il ballottaggio più probabile sarebbe quello tra Pd e M5S e in questo caso la partita è aperta, con il M5S che risulterebbe leggermente in vantaggio, seppure dentro il margine di errore statistico (51,5%-48,5%). In tale contesto di incertezza risulterebbe decisivo il comportamento di voto al ballottaggio degli elettori degli altri partiti. L’incrocio tra le intenzioni di voto al primo turno e al ballottaggio Pd-M5S (Tabella 3) mostra che al secondo turno la maggioranza degli elettori dei partiti di centrodestra voterebbero (anche abbastanza nettamente) per il M5S. Questa è una notizia di assoluta rilevanza: nonostante Renzi sia solitamente percepito come un leader post-ideologico che ha senza dubbio allargato le basi del consenso del partito, il Pd oggi farebbe fatica a sfondare nell’elettorato di destra vista la presenza di un movimento trasversale dal punto di vista ideologico come il M5S. Quest’ultimo si presenta come una perfetta ‘alternativa di Condorcet’, ossia come una scelta che, pur non essendo maggioritaria, risulta potenzialmente vincente nelle diverse possibili opzioni (sfida Pd-M5S o Centrodestra-M5S). Il Movimento 5 Stelle è dunque il second-best della maggior parte degli elettori, sia di sinistra che di destra.
    Questo non significa che il M5S vincerà sicuramente le prossime elezioni. Ciò dipenderà da tanti altri fattori (leader, struttura della competizione, performance del governo etc.), però una cosa è certa: il partito di Renzi oggi è il principale partito di centrosinistra ma non è il ‘Partito della Nazione’. Anzi, se oggi un ‘Partito della Nazione’ esiste si chiama il Movimento 5 Stelle.

    Tabella 1 Incrocio tra alcune variabili socio-demografiche e l’intenzione di voto

    sondaggio CISE 11-2015 socio-demo

    Tabella 2 Autocollocazione politica: confronto Pd-M5S

    sondaggio CISE 11-2015 autocoll

    Tabella 3 Flussi fra intenzioni di voto al primo turno e all’eventuale ballottaggio Pd-M5S

    sondaggio CISE 11-2015 flussi 1-2

    Riferimenti bibliografici
    Emanuele, V. (2015), Vote (de)-nationalization and party system change in Italy (1948-2013), in “Contemporary Italian Politics”, pp. 1-22, DOI:10.1080/23248823.2015.1076617.
    ITANES (2013), Voto amaro. Disincanto e crisi politica nelle elezioni del 2013, Bologna, Il Mulino.
    Maggini, N. (2014), Understanding the Electoral Rise of the Five Star Movement in Italy, Politologickỳ Časopis-Czech Journal of Political Science, XXI(1), 37–59. https://doi.org/10.5817/PC2014-1-37.

    Nota metodologica
    Il sondaggio è stato realizzato dal CISE per Il Sole 24 Ore. La rilevazione è stata condotta da Demetra nei giorni dal 16 al 24 novembre 2015 con metodo misto CATI e CAMI (telefonia fissa e mobile). Il campione nazionale composto da 1.522 intervistati è rappresentativo della popolazione italiana con 18 anni e oltre. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) è di +/- 2,5 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio demografiche.

  • Party system volatility, regeneration and de-institutionalization in Western Europe (1945–2015)

    Chiaramonte, A., & Emanuele, V. (2015). Party system volatility, regeneration and de-institutionalization in Western Europe (1945–2015). Party Politics, 1354068815601330.

    Despite a great flourishing of studies about Latin America and Central and Eastern Europe, the issue of party system institutionalization has been widely neglected in Western Europe, where the presence of stable and predictable patterns of interactions among political actors has been generally taken for granted for a long time. Nevertheless, party system institutionalization is not something that can be gained once and for all. This article proposes a theoretical reconceptualization and a new empirical operationalization of party system (de-)institutionalization. Furthermore, it tests the presence of patterns of de-institutionalization in Western Europe from 1945 to (March) 2015 (336 elections in 19 countries) by using an original database of electoral volatility and of its internal components (regeneration and alteration). Data analysis shows that Western Europe is facing great electoral instability and party system regeneration and that many countries have experienced sequences of party system de-institutionalization, especially in the last two decades.

  • Vote (de-) nationalisation and party system change in Italy (1948–2013)

    Emanuele, V. (2015). Vote (de-) nationalisation and party system change in Italy (1948–2013). Contemporary Italian Politics, (ahead-of-print), 1-22.

    The nationalisation of politics is a major political phenomenon deriving from the historical trend towards the formation of national electorates and party systems brought about by the progressive reduction in the significance of territorial cleavages. During the last 50 years, though the issue of vote nationalisation has been addressed by a large volume of literature, serious analysis of the Italian case has never made much progress, having been limited to the reflections of a few isolated authors. Over the past 20 years, a period marking the passage from the long period of polarised pluralism to the so-called ‘Second Republic’, the Italian party system has undergone profound changes, with the continuing emergence and growth of new political parties and a sharp increase in the levels of party fragmentation and volatility. How has nationalisation of the vote evolved in this changing framework? This article analyses the process of (de)-nationalisation of the vote in Italy and explains its evolution between the first (1948–1992) and the second (1994–2013) phases of the republican era, assessing the impact of various possible determinants. The empirical analysis shows that vote nationalisation in Italy is strongly associated with competition factors and with the level of institutionalisation of the party system.