di Federico De Lucia e Nicola Maggini
Un altro modo per saggiare le difficoltà dei partiti italiani è sondare la propensione al voto (Propensity to vote, “ptv”) per un determinato partito limitatamente a coloro che lo avevano votato nel 2008. Ai cittadini intervistati viene chiesto di esprimere la probabilità di votare in futuro per ciascun partito, collocandola su una scala da zero a dieci – dove zero significa “per niente probabile” e dieci “molto probabile”. Riteniamo di poter affermare che la percentuale di intervistati che esprimono, per un determinato partito, una propensione al voto maggiore a 5, identifichino le massime potenzialità elettorali di quel partito sul totale dell’elettorato (astenuti inclusi, dunque). Si tratta cioè del potenziale elettorale del partito in questione ed è su questo che concentriamo la nostra analisi.
Nella Figura seguente possiamo vedere quanta parte dell’elettorato 2008 delle varie forze politiche dichiara ancora oggi probabile un suo voto a favore di esse.
È bene tenere presente che in questo caso l’informazione che ricaviamo è diversa da quella ottenuta in un precedente articolo: sappiamo cioè quanti, fra i propri elettori del 2008, i vari partiti hanno trattenuto nel loro bacino o hanno perduto, ma niente sappiamo sull’andamento complessivo del loro potenziale elettorale fra tutti gli intervistati.
Tuttavia, il dato è veramente significativo e vale la pena metterlo in evidenza. Circa un terzo di coloro che nel 2008 avevano votato tutti e cinque i partiti che possiamo analizzare in questa sede (Fli e Sel nel 2008 non esistevano), oggi non fanno più parte del loro potenziale elettorale. Se questo, a prima vista, può sembrare non eclatante (quattro anni non sono pochi), si noti come la gran parte di questo calo si sia verificata solo negli ultimi dodici mesi: ad aprile 2011, a ben tre anni dalle ultime elezioni politiche, il potenziale elettorale dei due partiti allora al governo conservava ancora più dell’80% dei loro vecchi elettori (e si pensi che il Pdl aveva anche subito una scissione rispetto al 2008), e il potenziale di quelli all’opposizione conservava più del 70%. Oggi le cose sono diverse, e per alcuni partiti, sono cambiate in modo molto significativo.
Il potenziale elettorale del Pdl, in dodici mesi, ha perso il 22% degli elettori 2008, ed oggi ne conserva appena più della metà. La gran parte di tale calo si è verificata in occasione della perdita del governo del Paese. Per la Lega vale il discorso opposto: il Carroccio era riuscito a reggere bene alla fine del governo Berlusconi, ma ciò che non ha potuto la crisi di governo, hanno potuto le inchieste giudiziarie e i dissidi politici all’interno del partito.
Ma non si tratta di un calo che riguarda i soli partiti del centrodestra: anche il Pd, dopo aver tenuto bene sino alla fine del 2011, ha subito un rapido e allarmante drenaggio nel proprio potenziale elettorale nei primi mesi del 2012. In questo caso, è verosimile che la ragione sia da rintracciarsi nel clima di disaffezione generale verso tutti i partiti.
Per Udc e Idv il discorso è invece parzialmente diverso: questi due partiti mostrano, da una parte una percentuale di partenza già piuttosto bassa, e dall’altra, fluttuazioni abbastanza incoerenti, alternate ad andamenti piuttosto stabili. Pare di poter dire che in questi partiti, per motivi ovviamente diversi, sia in atto, e già da prima della nostra prima rilevazione, una sorta di riallineamento politico. Nel caso dell’Udc, tale riallineamento è solo l’ultimo di una lunga serie: molti degli elettori che aveva nel 2008 sono oggi usciti dal suo potenziale elettorale, ma questo senza che le percentuali di consenso complessive ne abbiamo sofferto in modo irrimediabile. Un fenomeno simile lo avevano mostrato i flussi elettorali per l’Udc fra le elezioni politiche del 2006 e quelle del 2008. Nella sostanza, si può dire che, anche grazie alla posizione centrista da lui occupata, le fluttuazioni politiche di Casini siano un gioco a somma 0: cioè che compensino regolarmente le inevitabili uscite con altrettanti ingressi. Anche l’elettorato potenziale dell’Idv è molto cambiato rispetto al suo elettorato “reale” del 2008, ma in questo caso la gran parte delle perdite sono avvenute prima del 2011 (probabilmente molto prima). Si tratta della necessaria conseguenza del fatto che la percentuale di consenso ottenuta dai dipietristi nel 2008 era dovuta in gran parte (almeno per la metà) ad un voto utile proveniente dalla sinistra radicale. È verosimile che una buona parte di questi consensi si sia ricollocata a sinistra, una volta riorganizzatasi tale area dello spettro politico (si pensi alla nascita ed al consolidamento di Sel). L’Idv ha dunque forse perso quei voti, ma li ha più che compensati con altri elettori più moderati o comunque non collocati sull’asse sinistra-destra: i dipietristi probabilmente si sono cioè ricollocati con successo sul mercato elettorale.