Elezioni regionali in Sicilia. Il voto di preferenza

di Federico De Lucia

Come risaputo, uno fra i principali fattori che contribuiscono a spiegare le dinamiche elettorali siciliane è il rapporto di tipo clientelare che lega l’elettorato isolano ai candidati di lista. Con questo intendiamo dire che, tradizionalmente, la maggior parte dell’elettorato siciliano si mobilita non in risposta a stimoli di natura ideologica o “d’opinione” ma in risposta a stimoli connessi al rapporto personale che detiene con i candidati ad occupare le cariche elettive. I candidati siciliani hanno sempre potuto contare su un radicamento territoriale molto profondo, che si è sempre tradotto in pacchetti di voti di preferenza incredibilmente costanti nel corso del tempo.

Durante la Prima Repubblica questo sistema di raccolta del consenso si articolava all’interno dei partiti tradizionali, ed in particolare alcuni (quelli di governo) erano, nella sostanza, niente più che la somma dei pacchetti di voti clientelari dei loro candidati. La fine repentina di quel sistema politico ha provocato in Sicilia una sorta di esplosione della strutturazione clientelare, con i vari pacchetti di voti alla ricerca di una nuova collocazione. Per dare una idea di tale esplosione, si pensi che alle elezioni regionali nel 1996, le prime della Seconda Repubblica, le liste presentate furono addirittura 45! Nel corso del quindicennio successivo il sistema politico siciliano ha dato luogo ad una progressiva strutturazione, anche a seguito della introduzione, nel 2005, di una soglia del 5% . Da allora, prima di creare una nuova lista, le clientele devono avere una qualche speranza di mettere assieme pacchetti di voti sufficientemente corposi.

In sintesi, con la Seconda Repubblica sono divenute evidenti alcune caratteristiche del sistema partitico siciliano che la paralisi cinquantennale precedente aveva in qualche modo occultato: la prima è che i pacchetti di voti seguono i candidati a prescindere dalla lista nella quale essi si collocano; la seconda è che, dato questo presupposto, più sono le liste, più sono numerosi i posti in lista disponibili per candidati alla ricerca di voti. Quindi, ai candidati clientelari conviene distribuirsi in più liste per incrementare il proprio bacino complessivo di voti e di seggi, a patto che tali liste superino le soglie. Frammentarsi, cioè, conviene, a patto di farlo con criterio.

Questo il quadro generale, che spiega molte delle dinamiche elettorali isolane: diamo ora uno sguardo a ciò che è successo sotto questo versante nelle ultime tre tornate regionali. Nella Tabella 1 si riportano i voti complessivi di lista e di preferenza a livello isolano.

Tabella 1

 

Nel 2006 ben l’86% dei votanti le liste ha espresso un voto di preferenza: un dato molto alto, in linea con le tendenze locali del passato. Nel 2008 si è assistito ad un incremento notevole dell’affluenza rispetto al 2006 ma, contemporaneamente, ad una riduzione di coloro che hanno espresso un voto di preferenza: la conseguenza è che il tasso complessivo di preferenza è calato bruscamente al 71%. Nel 2012 invece il voto di lista si è contratto moltissimo, in coerenza con l’impressionante calo dell’affluenza. Anche i voti di preferenza si sono significativamente contratti, ma molto meno: il tasso complessivo è dunque tornato a livelli molto alti, l’83,5%.

Quindi, da 6 anni a questa parte si è registrato un calo continuo del voto di preferenza in Sicilia, confermato sia quando l’affluenza aumenta (2008) sia quando diminuisce (2012). La conclusione logica cui si potrebbe giungere rimanendo a tale superficiale livello di analisi è che il tradizionale rapporto clientelare fra candidati ed elettori siciliani sta entrando in crisi. In realtà non è così e ce ne accorgiamo osservando i dati disaggregati per lista. Nella Tabella 2 riportiamo tali valori, relativamente ai soli partiti maggiori.

 Tabella 2

Il dato è evidente: se si confrontano i dati 2006 e quelli 2012 l’impressione è esattamente opposta all’ipotesi che abbiamo appena formulato. Tutti i partiti rilevanti dell’isola aumentano il loro tasso di preferenza: è il 2008 a configurarsi come una tornata deviante ed eccentrica.

Partiamo dal confronto fra il 2006 e il 2008. In quest’ultima occasione l’affluenza è aumentata significativamente perché si votava lo stesso giorno delle elezioni politiche: questo significa che si sono trovati a votare per le regionali elettori che tradizionalmente non si recano alle urne in corrispondenza di tale tipo di consultazioni. Tali elettori sono anomali rispetto a quelli usuali perché sono “elettori d’opinione” e pertanto esprimono molte meno preferenze. Ecco perché tutti i partiti, ma soprattutto quelli grandi, vedono un crollo dei tassi di preferenza rispetto a due anni prima. Ma come si è visto nella Tabella 1 , fra il 2006 e il 2008 si è registrato un calo anche assoluto di voti di preferenza, pur in presenza di un aumento di votanti: questo si spiega con le conseguenze che sul mercato dei voti di scambio ha prodotto, nel 2008, il debutto di Pd e Pdl come liste uniche (in Tabella 2, le voci di tali partiti nella colonna 2006, infatti, rappresentano l’aggregato di Ds-Margherita e Fi-An). Come si è detto, in un contesto clientelare la presentazione di due liste uniche invece di quattro è un fatto molto penalizzante: il dimezzamento dei posti in lista disponibili ha comportato che una buona parte degli elettori di quei partiti si sia trovata senza candidato di riferimento. A riprova di ciò, si noti come, togliendo nelle due elezioni in questione i dati di Pd e Pdl, i voti di preferenza complessivi al contrario aumentino nel 2008 rispetto al 2006.

Passando al 2012, anche in questo caso si è registrato un notevole calo di voti di preferenza rispetto al 2006, e sarebbe stato ben difficile immaginare il contrario visto il contemporaneo crollo di 12 punti percentuali dell’affluenza alle urne. Come si è visto anche il tasso di preferenza complessivo è sceso, di circa 3 punti, ma i tassi disaggregati di tutti i più importanti partiti sono invece tornati a salire: e non solo rispetto al 2008, ma addirittura rispetto agli altissimi valori del 2006 (e a questo si aggiungano gli altissimi tassi di preferenza registrati da nuovi partiti come Cantiere Popolare, Fli e Grande Sud, tutti sopra il 95%). Pertanto si può dire che nella smobilitazione generale che ha caratterizzato il sistema partitico siciliano, ciò che resta in qualche modo strutturato sono proprio le clientele, e solo loro.

E allora come mai il tasso di preferenza complessivo, dal 2006 al 2012 è calato dal 86,6 all’83,3? La ragione di questo è il successo del Movimento 5 Stelle, che è un partito diverso da quelli tradizionali sotto questo aspetto. Il suo tasso di preferenza, sebbene in crescita rispetto al 37,7 del 2008, si è mantenuto al 49,6%. Un dato molto basso rispetto a quello degli altri partiti, che si fa sentire sul valore regionale aggregato a causa dell’accresciuto peso elettorale del movimento di Grillo. Senza considerare il M5S, il tasso di preferenza siciliano del 2012 sarebbe stato l’89,5%, un dato medio veramente impressionante!

Dunque, se è vero che il numero assoluto di voti di preferenza diminuisce costantemente dal 2006 ad oggi, le interpretazioni affrettate potrebbero rivelarsi erronee. Nel 2008 le preferenze sono diminuite a livello relativo (tassi di preferenza) solo per la eccezionale presenza alle urne di un elettorato diverso da quello consueto, e a livello assoluto solo per quanto riguarda Pd e Pdl, a causa delle conseguenze, nefaste dal punto di vista clientelare, del debutto elettorale delle loro liste uniche. Nel 2012, invece, le preferenze sono diminuite in valore assoluto solo perché il crollo della partecipazione al voto è stato veramente rimarchevole. In realtà, M5S a parte, esse costituiscono ancora, ed anzi sempre più, l’essenza dei partiti isolani, o meglio, di ciò che oggi ne rimane.