Le Parlamentarie Pd: numeri e regole

di Federico De Lucia e Matteo Cataldi

Fra il 29 e il 30 dicembre, in pieno periodo festivo e dopo meno di un mese dal secondo turno delle primarie per la candidatura alla premiership, il PD riaprirà circoli e gazebo per permettere ai cittadini di partecipare ad una nuova consultazione. Da questa nuova tornata di elezioni primarie scaturirà la gran parte della composizione delle liste elettorali con cui il PD si presenterà alle prossime elezioni politiche del 24 Febbraio 2013. Si tratta di una decisione direttamente conseguente alla permanenza della legge elettorale Calderoli che, come noto, preclude all’elettore la scelta per il singolo candidato inserito in una lista. Con un sistema del genere, l’elezione dipende quindi integralmente dall’ordine che il candidato occupa in lista, e proprio a definire tale ordine contribuiranno le elezioni primarie per i parlamentari del PD.

Il regolamento che il PD ha approvato è piuttosto complesso, ed è congegnato in modo tale da garantire flessibilità alle strutture organizzative locali e centrali del partito. Questo al fine di favorire la rappresentanza dei territori e la parità di genere.

Innanzi tutto, chiariamo bene quali e quanti sono i posti in palio. Le primarie servono a selezionare, e ad ordinare in lista, il 90% dei candidati alla Camera e al Senato. Il restante 10% è nominato dalla Direzione Nazionale. Da questo computo vanno esclusi però i capilista, che vengono proposti alla Direzione Nazionale dal Segretario Nazionale, sentiti i Segretari regionali. Dunque, ben 782  sui 918 candidati del PD che concorreranno per un posto in Parlamento nel febbraio prossimo (escludiamo dal computo i candidati per i 18 eletti all’estero, per  i due candidati nei collegi valdostani, alla Camera e al Senato, e per i 7 candidati nei collegi trentino-altoatesini, al Senato) si confronteranno con il voto popolare e saranno collocati in lista in una posizione coerente con il proprio risultato.

La tabella 1 mostra, divisi per ciascuna camera, il numero di candidati che sarà  collocato nelle liste del Pd tramite la quota riservata alla Direzione Nazionale, il numero di candidati che troverà spazio in virtù del fatto di capeggiare una lista in una delle due camere, ed il numero di coloro che l’inclusione nelle liste elettorali dovrà guadagnarsela sul campo attraverso le consultazione del prossimo fine settimana.

Tabella 1: i tre tipi di candidati alle primarie parlamentari

In realtà è bene tenere presente un fatto molto importante: sebbene non sia chiaro ad oggi quali saranno precisamente i posti in lista occupati dai componenti del listino (capilista a parte, ovviamente), è assolutamente certo che essi saranno tutti collocati in una posizione eleggibile (altrimenti che senso avrebbe il fatto di sceglierli dall’alto?). Pertanto, i candidati selezionati più o meno direttamente da Bersani, che sono poco più del 10% dei totale, saranno tutti eletti, e costituiranno grossomodo il 30% dei circa 400 parlamentari su cui potrà prevedibilmente contare il PD nella prossima legislatura. Cerchiamo di capire come funzionano queste primarie.

A questa consultazione possono partecipare tutti gli iscritti al PD e tutti gli elettori iscritti all’albo dei partecipanti alle elezioni primarie per la premiership dello scorso 25/11 (dunque, circa 3.100.000 persone). Per votare è necessario versare due euro e firmare un dichiarazione di voto per il PD e un impegno a riconoscere gli organi di garanzia previsti dal partito. L’elettore può esprimere uno o due voti: in questo secondo caso però essi devono essere differenziati per genere, pena la nullità del secondo voto.

Possono candidarsi tutti gli iscritti e gli elettori che, essendo compatibili con il Codice Etico del Pd, sottoscrivono gli impegni in esso previsti. Ciascun candidato può presentarsi solo e soltanto all’interno di un ambito provinciale. Possono concorrere anche coloro che, pur avendo superato i tre mandati interi al Parlamento nazionale, hanno ottenuto la deroga per la ricandidatura dalla Direzione nazionale. Le deroghe in questione  hanno riguardato 10 personaggi di spicco del PD: Rosy Bindi, Anna Finocchiaro, Beppe Fioroni, Franco Marini, Gianclaudio Bressa, Cesare Marini, Mariapia Garavaglia, Angelo Agostini, Giorgio Merlo e Giuseppe Lumia. Alcuni di loro saranno collocati nel listino, altri dovranno cimentarsi con la prova elettorale.

Salvo deroghe concesse dal Comitato Nazionale elettorale, non sono invece candidabili a) i parlamentari europei, b) i Sindaci dei Comuni superiori ai 5.000 abitanti, c) i Presidenti dei Municipi/Circoscrizioni delle città metropolitane eletti direttamente, d) i Presidenti di Provincia e di Regione, gli assessori e i consiglieri regionali in carica.

Per candidarsi in una provincia è necessario raccogliere le firme del 5% degli iscritti del partito in quella provincia, in almeno 3 circoli, e comunque in valori assoluti non inferiori a 50 e non superiori a 500. Sono esentati dalla raccolta delle firme i parlamentari uscenti. Le richieste di candidatura vanno presentate al Coordinamento provinciale, che definisce la rosa dei nomi in un numero massimo pari al doppio dei posti in lista spettanti a quella provincia.

I tre livelli territoriali fondamentali nel procedimento elettorale sono: i Coordinamenti provinciali, le Unioni regionali, la Direzione Nazionale. I Coordinamenti provinciali agiscono sull’ambito territoriale nel quale materialmente si svolge la competizione elettorale: formano le rose di candidati, si occupano delle operazioni di voto e dello scrutinio, e comunicano i risultati del voto al livello superiore. Le Unioni regionali si occupano di assegnare alle varie provincie un numero preciso di posti in lista (la distribuzione avviene attraverso il sistema proporzionale Sainte-Lague) e, sulla base dei risultati della consultazione, formano materialmente le liste circoscrizionali (alla Camera) e regionali (al Senato), non mancando di tutelare la rappresentanza territoriale e la parità di genere. La Direzione Nazionale approva le liste finali, e le completa nominando i capilista e i componenti del cosiddetto listino.

Facciamo un esempio concreto di come funziona questo procedimento, concentrandoci sul caso della regione Toscana che  tra Camera e Senato dovrà presentare 56 candidati (38 a Montecitorio e 18 a Palazzo Madama). Secondo il sito web dell’Unione regionale toscana del PD, 9 di questi posti sono riservati a candidati scelti dalla Direzione nazionale (dunque, i due capilista e 7 nomi appartenenti al cosiddetto “listino”), mentre gli altri 47 posti vengono distribuiti proporzionalmente fra i Coordinamenti territoriali toscani (ben 13, perché in questa regione oltre alle 10 province ci sono anche tre unità sub-provinciali che sono: Empolese-Valdelsa, Viareggio-Versilia e Val di Cornia-Isola d’Elba). La distribuzione Sainte-Lague (come tutte quelle effettuate con metodi a divisore), oltre ad assegnare tra i vari territori i posti in lista in palio, li colloca lungo una unica graduatoria decrescente. Ciascuna provincia quindi, oltre a sapere il numero dei posti che le spettano, saprà anche la posizione di questi posti  nelle lista circoscrizionale e pertanto la probabilità di successo dei candidati designati in quelle posizioni. Questo il risultato della distribuzione in Toscana:

tabella 2: i posti spettanti a ciascun coordinamento territoriale in Toscana

Per i 47 posti in lista di cui stiamo parlando, i risultati delle primarie saranno fondamentali: essi determineranno chi sarà ammesso e chi sarà escluso dalla lista e, soprattutto, in quale ordine coloro che vi avranno accesso saranno presentati. Questo secondo punto è fondamentale: si tenga a mente che solo i primi nomi in lista hanno possibilità concrete di essere eletti. In Toscana, in particolare, gli eletti complessivi (fra Camera e Senato), saranno probabilmente una trentina, di cui 9 indicati dalla Direzione nazionale. Solo la prima metà dei classificati alle primarie pertanto, potrà concretamente ambire ad un posto in Parlamento.

Una volta che in ciascun territorio le consultazioni primarie avranno determinato le graduatorie locali, spetterà all’Unione regionale compilare effettivamente le liste per la Camera e per il Senato. Le direzioni regionali del partito, cioè, avranno, da una parte, il numero di posti in lista riservati al listino, dall’altra, per i posti rimanenti, la graduatoria di divisori ottenuti mediante la distribuzione Sainte-Lague. In corrispondenza di ciascun posto in lista, spettante ex ante ad un preciso ambito territoriale, saranno collocati i vari candidati provenienti da quel territorio, in ordine di piazzamento nella propria graduatoria locale. Alle Unioni regionali sarà però concesso un certo grado di discrezionalità e di flessibilità nella compilazioni definitiva delle liste: in particolare, esse potranno derogare alla graduatoria, al fine di garantire a ciascun territorio almeno una posizione effettivamente eleggibile, e che le quote di genere siano rispettate (minimo il 33% di esponenti di ciascun genere in ciascuna lista).

Una volta terminato il lavoro delle Unioni regionali, sarà la volta del livello nazionale, che dovrà indicare i capilista e i nomi del listino. L’8 gennaio la Direzione Nazionale dovrebbero approvare le liste definitive: soli 12 giorni dopo è prevista la consegna presso le cancellerie dei Tribunali e delle Corti d’Appello, in vista delle prossime elezioni politiche.