di Roberto D’Alimonte
Recentemente Gianfranco Pasquino ha rivendicato i meriti di una sua vecchia proposta di riforma elettorale presentata negli anni 80. Il ‘modello Pasquino’ prevede una camera di 500 deputati. Al primo turno vengono assegnati 400 seggi con sistema proporzionale in circoscrizioni elettorali relativamente piccole. I restanti 100 seggi vengono assegnati in un secondo turno. Settantacinque vanno al partito o alla coalizione con più voti, a condizione che ne ottenga almeno il 40 %, mentre 25 seggi vengono assegnati a chi arriva secondo. Al secondo turno possono partecipare tutti i partiti o le coalizioni che presentano un programma di governo e indicano in maniera vincolante un candidato primo ministro e un candidato vice-primo ministro.
Se questo fosse stato il sistema elettorale in vigore per le ultime elezioni politiche quale sarebbe stato il risultato alla Camera? Ci saremmo trovati nelle stesse condizioni in cui ci troviamo ora a causa del pasticcio del Senato. In altre parole senza maggioranza chiara. Ipotizzando una camera di 500 deputati, e ammesso che o la coalizione di destra o quella di sinistra avessero ottenuto il 40 % dei voti al secondo turno (ipotesi ardita), sia l’una che l’altra avrebbero avuto circa 200 seggi complessivi, cioè il 40 %. Solo se ci fosse stata una elevata percentuale di voti dispersi e quindi si fosse prodotta una fortissima distorsione nella distribuzione dei seggi al primo turno la coalizione più forte avrebbe potuto superare la soglia del 40 % dei seggi totali, ma senza riuscire ad arrivare al 50 %.
Se invece si fosse utilizzato il doppio turno di lista proposto su questo giornale le elezioni di Febbraio avrebbero prodotto con certezza un governo con una maggioranza assoluta di seggi. Questa è la differenza, che a Pasquino sfugge, tra il suo doppio turno e il doppio turno di lista. Nel ‘modello Pasquino’ non è affatto detto che i 75 seggi di premio assegnati a chi ottiene più voti al secondo turno siano sufficienti a creare una maggioranza. Nel contesto attuale il suo premio è in realtà un premietto annegato in un proporzionale che genera ingovernabilità. Tra l’altro, se nessuna forza politica raggiungesse il 40 % dei voti al secondo turno i 75 seggi di premio verrebbero distribuiti proporzionalmente. Un esito ancora più probabile data la previsione di un secondo turno aperto praticamente a tutti e non solo ai due partiti o coalizioni con più voti al primo turno. Poi ci sono i paradossi. Se già al primo turno dovesse emergere una coalizione con la maggioranza assoluta di seggi, questa maggioranza diventerebbe al secondo turno una super maggioranza. Peggio ancora. Potrebbe anche accadere che un partito o una coalizione che ottiene la maggioranza dei seggi al primo turno ottenga meno voti di una altra coalizione al secondo turno.
Il doppio turno di lista non ha questi difetti. E’ un sistema semplice. Soprattutto è un sistema ‘majority assuring’. Assicura sempre e comunque una maggioranza. Può essere applicato secondo due diverse modalità. Nel primo caso se un partito o una coalizione arriva al 40 % dei voti ( o qualcosa di più) ottiene un premio che la porta al 55 % dei seggi. In questo caso non c’è secondo turno. Se invece nessuno arriva al 40 % i primi due partiti o coalizioni vanno al ballottaggio. Nel secondo caso si va al ballottaggio tra i primi due se al primo turno nessuno arriva al 50 % dei voti. Con questo sistema un vincitore c’è sempre e la sera delle elezioni si sa chi fa il governo. E il vincitore sarebbe legittimato dal fatto di aver ricevuto o il 40 % dei voti o addirittura il 50 %.
In breve, non basta parlare di doppio turno di coalizione. Ci sono doppi turni e doppi turni. Non si possono confrontare mele e pere. Quella di Pasquino è una mela, il doppio di turno di lista è una pera. Inoltre quando si propongono certe riforme elettorali occorre tener ben conto dei contesti. Non si possono mettere sul tappeto modelli diversi come se fossero intercambiabili. Non esistono sistemi buoni per tutti i contesti e tutte le stagioni. In questo momento storico, tra i sistemi elettorali con qualche possibilità di essere approvati, il doppio turno di lista è quello più adatto per conciliare rappresentanza e governabilità. Naturalmente ci sono problemi. Uno è che per essere efficace dovrebbe essere abbinato ad una riforma del Senato che semmai vedrà la luce non sarà certamente in tempi brevi. E finché questo non avverrà correremo sempre il rischio di maggioranze diverse nelle due camere. Il secondo problema è che il doppio turno di lista, essendo un sistema che dà sempre un vincitore, potrebbe non essere gradito a chi invece preferisce che un vincitore non ci sia.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore del primo settembre