Attualità

  • Premier, elezione, maggioranza e poteri del Quirinale: i quattro nodi da sciogliere sulla via della riforma

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 1 giugno 2023

    L’elezione diretta del premier, invece della elezione diretta del presidente della repubblica, sembra essere l’opzione preferita del centro-destra in tema di riforma costituzionale. Per ora questa è la sola indicazione emersa. Per arrivare a un progetto compiuto ci sono da risolvere quattro problemi.

    Il primo è il collegamento tra elezione del premier e quella del Parlamento. Questo chiama in causa il sistema elettorale. Senza questo collegamento si rischia di eleggere un premier senza una maggioranza di governo. Visto che l’obiettivo della riforma è la stabilità dell’esecutivo, come condizione necessaria di governabilità, la questione è molto rilevante. A livello di comuni e di regioni, dove il capo dell’esecutivo è eletto direttamente dai cittadini, il problema è stato risolto abbinando alla elezione diretta un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza tale da garantire, quasi sempre, alla lista o alla coalizione del sindaco e del presidente eletto la maggioranza assoluta dei seggi in consiglio. 

    Il secondo problema è la modalità di elezione del premier e della maggioranza. Nei comuni per vincere occorre arrivare al 50% dei voti al primo turno. Se nessuno ce la fa, i due candidati più votati si affrontano in un secondo turno. Questo è il ballottaggio classico. Nelle regioni la situazione è più variegata ma in generale prevale il sistema a turno singolo.  A livello nazionale quale sarà la formula? Se si adottasse il turno singolo si corre il rischio di avere un premier eletto da una minoranza, anche solo il 30% o meno. È ragionevole che si punti al doppio turno. Ma vista la opposizione del centro-destra al ballottaggio classico, la soluzione più realistica, ma non la migliore, è il ballottaggio eventuale. Si fissa una soglia, diciamo il 40%, e se nessuno ci arriva scatta il secondo turno cui accedono i due candidati più votati al primo.

    Il terzo problema è il rapporto tra premier eletto e la sua maggioranza. Sia nei comuni che nelle regioni sindaco e presidente possono essere sfiduciati dai rispettivi consigli ma in questo caso si torna alle urne. È questo il meccanismo che effettivamente stabilizza l’esecutivo. Succede, ma molto raramente, che i consiglieri arrivino al punto di rinunciare al seggio e affrontare una nuova campagna elettorale pur di liberarsi di un sindaco o di un presidente diventati sgraditi. Ma questo meccanismo irrigidisce tutto il sistema. Né può essere sostituito dalla sfiducia costruttiva. Infatti se premier e maggioranza sono eletti insieme sarebbe comunque una violazione della volontà popolare la formazione di un governo con lo stesso premier e una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne. E se non andiamo errati il rispetto della volontà popolare è, insieme alla ricerca della stabilità, uno degli obiettivi della riforma.  Aggiungiamo, in tema di rigidità del modello, che nei comuni e nelle regioni anche le dimissioni per qualunque motivo di sindaco e presidente comportano elezioni anticipate. Questo problema però si potrebbe risolvere prevedendo che ai candidati alla sindacatura e alla presidenza si affianchino al momento del voto dei vice che subentrerebbero in caso di necessità.

    Il quarto problema sono i poteri del premier eletto direttamente. Questo chiama in causa il rapporto con il presidente della repubblica. Oggi tra i poteri del capo dello stato tra i più rilevanti ce ne sono due: il potere di nominare il premier e i ministri e quello di sciogliere le camere. In una forma di governo in cui il premier è eletto direttamente dai cittadini va da sé che il presidente perde il potere di nominare il premier.  Ma perderebbe anche quello di nominare i ministri? Ma soprattutto cosa succederà al potere di scioglimento? Resta in capo al presidente della repubblica oppure verrà condiviso tra lui e il premier o addirittura verrà trasferito tout court al premier? 

    È evidente che fino a quando il centro-destra non darà una risposta a queste domande, oltre alle altre questioni sollevate sopra, non si potrà dare un giudizio sul suo progetto di riforma costituzionale. Quello che si può dire oggi è che l’orientamento è quello di adottare anche a livello nazionale quel “modello italiano di governo” che è stato introdotto a livello sub-nazionale negli anni novanta. È un modello originale che nei comuni e nelle regioni funziona, ma la sua trasposizione a livello nazionale comporta problemi di non facile soluzione. L’alternativa, una volta scartata la strada del presidenzialismo e del semi-presidenzialismo, è quella di una razionalizzazione del modello introdotto prima con la legge Mattarella e poi con la legge Calderoli. Questa razionalizzazione si chiama Italicum. Con questo sistema il premier è eletto ‘direttamente’ dai cittadini ma può essere sfiduciato dalle camere senza tornare necessariamente alle urne. È un modello quindi più flessibile e non comporta una revisione dei poteri del presidente della repubblica.

  • Comunali 2023, la vittoria del centrodestra nei comuni superiori: “ritorno al bipolarismo” in attesa del ballottaggio

    Il 14 e 15 maggio è andato in scena il primo turno delle elezioni amministrative in 91 comuni superiori ai 15.000 abitanti. L’articolo scritto precedentemente da Matteo Boldrini e Aldo Paparo ha fotografato la situazione relativa all’affluenza, sottolineando la tendenza in diminuzione della partecipazione elettorale nel Paese. Spostando invece il focus sull’interpretazione dei risultati, possiamo ora derivare importanti indicazioni sui vincitori e i perdenti di queste elezioni. Come muoverci? Un criterio solido è quello di procedere al conteggio del numero di sindaci vincenti per coalizione, disaggregando il dato sia per macroarea geografica che per caratteristica del comune (capoluogo di Provincia), e infine comparandolo con i risultati delle ultime amministrative negli 86 comuni analizzati [1].

    La Tabella 1 evidenzia, innanzitutto, una situazione di partenza di perfetta parità tra le coalizioni di centrodestra e centrosinistra (31 vittorie contro 31), con una quota discreta di comuni governati da sindaci civici (14), e un Movimento 5 Stelle (M5S) quasi del tutto assente (1). Queste amministrative segnano, almeno per quanto concerne i 47 comuni già decisi al primo turno (vedasi la seconda colonna), una rottura dell’equilibrio iniziale, decretando la netta affermazione del centrodestra sul polo di centrosinistra (25 vittorie a 17). Per comprendere come e dove sia stata costruita questa vittoria arrivano in soccorso le colonne successive. Mentre l’ex Zona Rossa e il Sud si caratterizzano come aree di alta competitività tra i due poli (2 a 3 nella prima, 11 a 10 nella seconda), è il Nord a fare la differenza. È infatti qui che il centrodestra domina la competizione amministrativa, conquistando ben 12 comuni, rispetto ai 4 del centrosinistra. L’importanza del Nord per l’affermazione del centrodestra è indirettamente corroborata dall’analisi dell’ultima colonna, dove è riportato il dato dei capoluoghi di Provincia vinti al primo turno, e dove si ripropone invece un sostanziale equilibrio tra i due poli. Qui, infatti, il centrodestra conquista 3 comuni (Latina, Sondrio e Treviso) – 4 considerando Imperia e la vittoria di Claudio Scajola, che però non è sostenuto da liste nazionali di centrodestra – su 6, con il centrosinistra che si riconferma a Brescia e Teramo. Una non novità considerando come, seppur in un clima d’opinione che vede il centrodestra maggioritario nel Paese, le prestazioni del centrosinistra (e soprattutto il Partito Democratico) sono storicamente positivamente correlate con la dimensione dei comuni (Emanuele 2013).

    Questa analisi evidenzia un altro punto essenziale, strettamente legato alla morfologia del sistema partitico. Assistiamo, infatti, a una riduzione marcata della frammentazione del quadro politico. Un fenomeno in divenire, già sottolineato per le elezioni amministrative del 2021 (Maggini e Trastulli 2021) e del 2022 (Emanuele e Paparo 2022), connesso al progressivo e incessante drenaggio di voti dal M5S e dai partiti alla sinistra e alla destra dei due poli.  A questo, oggi si aggiunge il marcato calo di competitività dei civici (passati da 14 a 4) – frutto anche di un’offerta elettorale figlia delle recenti elezioni nazionali del settembre 2022 – riavvicinando così il sistema partitico agli schemi bipolari caratterizzanti la Seconda Repubblica.

    La partita delle amministrative risulta tuttavia ancora aperta, mancando all’appello 39 comuni dove si andrà al ballottaggio nelle giornate del 28 e 29 maggio. La Tabella 2 evidenzia, in tal senso, come in quasi la metà di questi comuni (18 su 39) si riproporrà la sfida tra centrodestra e il centrosinistra, con i primi in leggero vantaggio sui secondi (10 a 8), a cui vanno aggiunti due ballottaggi in cui il centrosinistra sfiderà la coalizione di destra, a guida Lega o Fratelli d’Italia (FDI). Nel complesso, le coalizioni a guida Partito Democratico giungono al ballottaggio in 27 comuni su 39, mentre il centrodestra avanza al secondo turno in 26 città (31 se si considerano le coalizioni a guida Lega o FDI che escludono Forza Italia). A confermare quanto detto precedentemente sulla riduzione della frammentazione del quadro politico, il M5S e le coalizioni alla sinistra del PD raggiungono il secondo turno in sole due occasioni. In riferimento ai capoluoghi, infine, particolare menzione merita la sfida serrata nell’ex feudo rosso, Ancona, dove il centrodestra guidato da Daniele Silvetti (45,1%) risulta in vantaggio sulla candidata del centrosinistra Simonella Ida (41,3%).

    Nota metodologica

    La Sinistra alternativa al PD riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Potere al Popolo (PAP), Rifondazione (PRC), Partito comunista Rizzo (PC), Partito comunista italiano Arboresi (PCI), Partito comunista dei lavoratori (PCDL), Articolo-1-MDP (MDP), Sinistra italiana (SI), Partito socialista italiano o socialisti (PSI), Centro democratico (CeDem), Italia in Comune (ITCOM), DemA (DemA), Italia dei Valori (IDV), Europa verde (Verdi), Possibile (Possibile), DemoS (Demos) – ma non dal PD.

    Il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD.

    il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra  Noi Moderati (NOIDOM), Più Europa (+EU), Azione (AZ), Italia Viva (IV), Noi con l’Italia (NCI), Unione di Centro (UDC), Democrazia Cristiana (DC), Partito Repubblicano (PRI) Volt (Volt) – ma né PD né FI.

    Il Centrodestra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI.

    La Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega o Prima + nome del comune (LEGA), Fratelli d’Italia (FDI), Cambiamo Toti (Cambiamo), Popolo della Famiglia (PDF), Partito liberale europeo (PLE), Rinascimento Sgarbi (Sgarbi), Italexit (ITEXIT), Fiamma Tricolore (FT), Movimento Idea Sociale (MIS) – ma non FI.

    I candidati civici sono invece quei candidati non sostenuti da alcuna lista di cui sopra ma soltanto da liste civiche.

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI che hanno la priorità) in sede di attribuzione pre-elettorale viene segnato come appartenente ad entrambe le aree (vedi ‘Altre formule’). Esempio: se, per ipotesi, Potere al Popolo (PAP) e Azione (AZ) sostengono lo stesso candidato (che non è candidato di nessun partito principale) la coalizione viene indicata come SX-CX. Dopo il voto, si valuterà il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (CIV). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico.

    Riferimenti bibliografici

    Boldrini, M. e Paparo, A. (2023). ‘Comunali 2023: astensione in crescita ovunque, tiene il Sud’, disponibile su: Comunali 2023: astensione in crescita ovunque, tiene il Sud | CISE (luiss.it)

    Emanuele, V. (2013). ‘Il voto ai partiti nei comuni: La Lega è rintanata nei piccoli centri, nelle grandi città vince il Pd’, in Le Elezioni Politiche 2013, L. De Sio, C. Cataldi e F. De Lucia (a cura di), Dossier CISE, pp. 83-88.

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2021). ‘Comunali 2022, il quadro dei vincitori e delle sfide al ballottaggio nei 142 comuni superiori’, disponibile su: Comunali 2022, il quadro dei vincitori e delle sfide al ballottaggio nei 142 comuni superiori | CISE (luiss.it)

    Maggini, N. e Trastulli, F. (2021). ‘“Ritorno al bipolarismo”: il quadro delle vittorie e delle sfide ai ballottaggi nei comuni sopra i 15mila abitanti’, disponibile su: “Ritorno al bipolarismo”: il quadro delle vittorie e delle sfide ai ballottaggi nei comuni sopra i 15mila abitanti | CISE (luiss.it)

    [1] La discrepanza tra i 91 comuni superiori al voto e gli 86 qui esaminati deriva da 5 comuni, esclusi dall’analisi, che precedentemente avevano votato con il sistema elettorale previsto per i comuni inferiori a 15.000 abitanti, rendendo dunque impraticabile il confronto con l’ultima tornata di amministrative.

  • Comunali 2023: astensione in crescita ovunque, tiene il Sud

    Il risultato del primo turno di amministrative tenutesi il 14 e il 15 maggio sembra confermare la tendenza alla diminuzione della partecipazione elettorale nel nostro Paese. Il dato finale a livello nazionale evidenzia infatti un’affluenza pari al 59,03%, con una flessione di circa due punti percentuali rispetto alle elezioni amministrative precedenti, quando si è recato a votare il 61,22% degli aventi diritto, e di quasi cinque punti rispetto alle politiche del 2022, quando l’affluenza si era attestata al 63, 8%. Si tratta di un risultato che certamente non sorprende. Le elezioni amministrative sono infatti considerate delle elezioni di “secondo ordine” rispetto alle elezioni politiche (Reif e Schmitt 1980) in cui è più difficile mobilitare gli elettori. Inoltre, è noto che l’Italia risulta interessata da tempo da un trend di decrescente affluenza (Emanuele e Maggini 2016; Trastulli 2021; Improta e Angelucci, 2022).

    Data il complessivo calo dell’affluenza, è interessante esplorare questa tendenza in base alle differenze geografiche e alla dimensione dei Comuni, per evidenziare se questo aumento dell’astensionismo abbia avuto caratteristiche omogenee oppure presenti delle specificità territoriali.

    La Tabella 1 illustra l’affluenza alle comunali del 2023 nei 91 comuni superiori (cioè con più di quindicimila abitanti) divisi per zona geopolitica (Nord, Zona Rossa e Sud). In primo luogo, in tutte e tre le aree si registra una diminuzione dell’affluenza rispetto alla precedente tornata elettorale, con valori sostanzialmente simili, solo leggermente più alti per quanto riguarda le regioni del Nord (-2,6%) e più bassi per quanto riguarda la Zona Rossa (-1,8%). Il Nord si conferma inoltre la zona del Paese con la minore affluenza in questo tipo di elezioni (54,1%), con valori inferiori sia alla Zona Rossa (57,6%), sia al Sud (61,7%), l’area in cui l’affluenza ha raggiunto i livelli più alti.

    Questo quadro viene in parte confermato dal confronto con le elezioni politiche. Rispetto allo scorso settembre, infatti, il calo dell’affluenza nei comuni maggiori è stato più elevato (-4,6%) rispetto a quello complessivo di questa tornata di amministrative. Tuttavia, nuovamente, vi sono ampie differenze territoriali. Il Nord costituisce l’area del Paese dove il calo rispetto alle politiche è stato più elevato (-15,3%), seguito dalla Zona Rossa (-10,7%). Al contrario, al Sud, vi è stata una crescita dell’affluenza di ben 4,6 punti percentuali, confermandosi come l’area del Paese più interessata a questo tipo di competizioni elettorali. Si tratta di un dato coerente con quanto visto con le recenti tornate amministrative (Trastulli 2021; Improta e Angelucci, 2022) e presumibilmente legato a dinamiche localistiche e alla presenza di “signori delle preferenze” (Fabrizio e Feltrin 2007; Emanuele e Marino 2016).

    Concentrandosi poi sulla competizione elettorale nei comuni capoluogo (Tabella 2), si nota come essa sia interessata da forti specificità locali. Sebbene infatti in questi comuni la crescita dell’astensionismo sia generalmente più elevata, vi sono numerosi casi particolari.

    Rispetto alle elezioni politiche, infatti, l’affluenza crolla a Treviso (-19,1%), Vicenza (-15,9%) e Brescia (15,3%), mentre sostanzialmente tiene a Imperia (-4,2%), Massa (-3,7%) e Teramo, oltre a crescere a Brindisi (+3,6%). Rispetto alle comunali invece il quadro diviene ancora più complesso, con una forte decrescita a Treviso (-7%), a Imperia (-4,7%) e Sondrio (-4%) ma addirittura una leggera crescita dell’affluenza ad Ancona (+0,4%), Brescia (+0,4%) e Siena (+0,7%).

    L’astensione sembra dunque confermarsi nuovamente come la vera vincitrice di questa tornata elettorale. Tuttavia, sembra consolidarsi una tendenza di tipo nuovo, con il Sud e i centri più piccoli (o comunque non capoluogo) maggiormente interessati a queste competizioni di “secondo ordine”.

    Riferimenti bibliografici

    Emanuele, V., & Maggini, N. (2016). ‘Calo dell’affuenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Cosa succede in città? Le elezioni comunali del 2016, V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Dossier CISE, pp.49-56.

    Emanuele, V., & Marino, B. (2016). ‘Follow the candidates, Not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalized party system’. Regional & Federal Studies, 26(4), 531-554.

    Fabrizio, D., & Feltrin, P. (2007). ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle regioni italiane, A. Chiaramonte e G. Tarli Barbieri (a cura di), Bologna: Il Mulino, pp. 175-199.

    Reif, K., & Schmitt, H. (1980). ‘Nine second-order national elections – A conceptual framework for the analysis of european election results’. European Journal of Political Research, 8(1), pp. 3-44.

    Trastulli, F. (2021). ‘Comunali 2021: crollo dell’affluenza, vince l’astensione. Grandi città disertate, “tiene” l’effetto incumbent’, disponibile su: Comunali 2021: crollo dell’affluenza, vince l’astensione. Grandi città disertate, “tiene” l’effetto incumbent | CISE (luiss.it)

  • Elezioni regionali. Che cosa ha causato l’astensione record

    di Roberto D’Alimonte

    Pubblicato sul Sole 24 Ore il 13 febbraio 2023

    Non c’è stata nessuna sorpresa. L’esito del voto in Lombardia e Lazio è stato quello ampiamente previsto da mesi. E’ bastato conoscere l’offerta, cioè le alleanze fatte e non fatte dai partiti dei due poli , per sapere come sarebbe andata a finire, e cioè la vittoria del centro-destra unito contro il centro-sinistra diviso. La sorpresa viene invece dal dato sulla partecipazione al voto. Era prevedibile che fosse più bassa rispetto a cinque anni fa ma non che fosse tanto bassa. Eppure nemmeno questa è una novità assoluta. Nel 2014 in Emilia-Romagna, una delle regioni più virtuose del paese in fatto di affluenza,, si è recato alle urne per l’elezione del presidente della regione solo il 37,7% degli elettori. Un record negativo che nemmeno il dato di oggi scalfisce. Negli stessi giorni in cui si votava in Emilia-Romagna si è votato anche in Calabria, una delle regioni meno virtuose, e lì l’affluenza è stata addirittura superiore, il 44,1%. Per completare il quadro ricordiamo che nelle elezioni successive, le politiche del 2018, in Emilia-Romagna la partecipazione al voto è tornata su livelli ‘normali’ ; ha votato infatti il 78,3% degli elettori.

    Il caso della Emilia-Romagna è particolarmente interessante perché evidenzia alcune delle ragioni responsabili per l’elevato livello di astensionismo delle elezioni di oggi. Con buona pace di Bonaccini, eletto allora presidente della regione e oggi candidato alla segreteria del Pd, in quella occasione gli elettori hanno disertato le urne perché l’offerta proposta, cioè i candidati, erano poco attraenti. E’ molto probabile che questo sia stato uno dei motivi della bassa affluenza in Lombardia e Lazio. A questo occorre aggiungere altri due elementi: l’assenza di temi coinvolgenti e la percezione diffusa che l’esito fosse scontato. Sommando a questi fattori contingenti le ben note cause strutturali che da tempo incidono sulla affluenza (debolezza dei partiti in primis) ne esce fuori un quadro caratterizzato da un astensionismo tendenzialmente crescente ma in parte intermittente. In altre parole si vota sempre di meno ma si vota anche selettivamente. Nella stessa Emilia-Romagna dove nel 2014 ha votato solo il 37,7% degli elettori, alle regionali di cinque anni dopo in un clima politico completamente diverso l’affluenza è stata del 67,8%. E’ possibile che la stessa cosa succeda anche in Lombardia e Lazio in futuro. Per ora resta il fatto che Fontana e Rocca sono stati eletti con percentuali elevate ma da una esigua minoranza di elettori.

    Con un astensionismo così alto occorre prudenza nell’analizzare questo risultato.

    Il centro-destra ha vinto ma non è vero che sia andato meglio delle ultime politiche. Questa è una lettura sbagliata del voto. Proprio perché sono pochi gli elettori andati a votare sono anche relativamente pochi, rispetto alle politiche di settembre, gli elettori che hanno votato i partiti del centro-destra. Ma in politica contano le percentuali. E questo spiega l’esultanza di Salvini che alle politiche aveva preso in Lombardia il 13,3 % e oggi, pur avendo ottenuto meno voti di allora, si ritrova con una percentuale più alta e soprattutto con un distacco da Fdi che nel 2022 era di quindici punti e oggi è diminuito. E così Salvini si rafforza dentro il suo partito e in fondo anche Meloni si rafforza dentro il governo. Il suo risultato in Lombardia non è esaltante visto che alle politiche aveva preso il 28,5 % e oggi meno ma proprio per questo la convivenza con la Lega diventa meno problematica. In ogni caso il voto conferma Fdi come primo partito anche in Lombardia oltre che in Lazio. In breve , a quattro mesi dalle politiche questo voto dimostra che poco è cambiato da allora in fatto di preferenze degli elettori. Questo vale a destra come a sinistra dove il Pd ha dimostrato una sostanziale tenuta e il M5s ha confermato di essere sempre più un partito meridionale.

    Chi esce male da questo voto è il terzo polo. In Lombardia diversi sondaggi avevano pronosticato un risultato a due cifre. Aver ottenuto meno del 10% con una candidatura di prestigio come quella di Letizia Moratti deve far riflettere. In una competizione, come quella delle regionali, in cui la sfida è prendere un voto in più degli avversari è difficile attirare consensi se non si è percepiti come competitivi. Da questo punto di vista il voto disgiunto, su cui forse puntava il terzo polo, funziona poco. E’ difficile sfuggire alla dinamica del maggioritario. E questa è una lezione di cui il terzo polo dovrà tener conto per il futuro.

    Nel centro-sinistra resta aperto il problema delle alleanze. Per quanto limitato, il test di oggi dice che non basta una coalizione Pd-M5s o Pd -Azione/Italia viva per essere competitivi nei confronti di un centro-destra unito. E’ vero che il centro-sinistra unito non può vincere comunque dappertutto. In Lombardia da quando è entrata in vigore nel 1995 l’elezione diretta del presidente della giunta regionale il centro-sinistra non è mai riuscito a vincere, nemmeno quando si è presentato unito. Non poteva certamente farlo adesso presentandosi diviso. Ma in Lazio è diverso. Qui il centro-sinistra ha vinto tre elezioni regionali su cinque a partire dal 1995. Oggi ha perso malamente e continuerà a perdere qui e altrove se continuerà a presentarsi diviso. Ci vorrebbe un nuovo Ulivo, ma al momento non si vede chi e come possa metterlo insieme.

Ricerca

  • Paralysed Governments: How Political Constraints Elicit Cabinet Termination

    To cite the article:

    Improta, M. (2023), 'Paralysed governments: How political constraints elicit cabinet termination', Parliamentary Affairs, DOI: https://doi.org/10.1093/pa/gsad023.

    The article, published on Parliamentary Affairs, can be accessed here.

    Abstract

    A crucial feature of the democratic life cycle, government stability, has prompted the interest of many scholars across the globe. As a result, research on this matter has established itself as one of the most developed agendas in comparative politics. However, despite the abundance of studies on the drivers of government stability, the ruling parties’ capacity to promote policy change when in government remains unexplored. This study aims to fill this lacuna by testing the effect of political constraints on the premature end of cabinets. It does so by leveraging an original longitudinal multilevel dataset comprising information on 429 governments in 20 Western European countries on which event history analyses are performed. The study’s findings show that high political constraints significantly increase the risk of cabinet termination, indicating that seeking to survive in office without governing can be an impassable road for ruling parties.

  • What’s new under the sun? A corpus linguistic analysis of the 2022 Italian election campaign themes in party manifestos

    To cite the article:

    Trastulli, F., & Mastroianni, L. (2023). What's new under the sun? A corpus linguistic analysis of the 2022 Italian election campaign themes in party manifestos. Modern Italy, doi: 10.1017/mit.2023.45.

    The article, published on Modern Italy, can be accessed here.

    Abstract

    In this article, we introduce an innovative approach to examining campaign themes in Italy, by performing an original corpus linguistic analysis of the party manifestos related to the crucial 2022 election. Through its systematicity and flexibility, our approach allows us to gauge theory-driven propositions using a large amount of so far unexplored textual data. As anticipated, the 2022 Italian party manifestos are characterised by a somewhat balanced configuration of emphasis across a variety of themes, of which some are more controversial and others more widely shared among voters and parties. Further, we also corroborate that parties primarily focus on those themes that historically fit them best, ideologically and in terms of perceived competence. Lastly, salient ‘issues of the day’ are differently emphasised by Italian parties, which particularly avoid devoting considerable attention to the highly sensitive Russian-Ukrainian war.

  • Class cleavage electoral structuring in Western Europe (1871–2020)

    To cite the article:

    Emanuele, V. (2023), 'Class cleavage electoral structuring in Western Europe (1871–2020)', European Journal of Political Research, DOI:10.1111/1475-6765.12608.

    The article, published on European Journal of Political Research, can be accessed here.

    Abstract

    Despite the huge amount of studies on cleavages, scholars have never elaborated a dynamic model to conceptualize and measure the stages of electoral development of the class cleavage and, specifically, the stage corresponding to its full electoral structuring. To fill this gap, by combining some key electoral properties of the class cleavage, I build a model that returns, for each country in each election, the current stage of electoral development of the class cleavage. I test this model in 20 Western European countries from the late 19th century to 2020. Results show that an electorally structured class cleavage has characterized most of Western Europe's electoral history. However, contrary to conventional wisdom, it is not merely a product of socio-structural factors that have been experiencing an irreversible decline. Conversely, its demise or resilience is a matter of the national political context, as it mostly depends upon specific party system characteristics.

  • Gli effetti della televisione. Ma ancora dopo trent’anni?…

    Lorenzo De Sio e Davide Angelucci hanno recentemente pubblicato una ricerca - The Cultural (Even More Than Political) Legacy of Entertainment TV - in cui indagano gli effetti di lungo termine dell'esposizione precoce alla televisione di intrattenimento (in particolare Mediaset) sui valori dei cittadini. Qui una breve intervista di Matteo Boldrini ai due autori.

    Gli effetti della televisione sulle opinioni, in particolare politiche, e quindi sul voto. Fu un argomento molto discusso negli anni Novanta, all'indomani della discesa in campo di Berlusconi, ma oggi diciamo che non sembra un argomento molto attuale. Da dove è nata l'idea dell'articolo?

    Lorenzo De Sio: Beh, in effetti è vero... l'idea ci è venuta qualche anno fa, dopo aver letto uno studio sul tema di alcuni ricercatori della Bocconi [Durante, Pinotti e Tesei, ndr]. Loro avevano raccolto dei dati interessantissimi sulla potenza delle antenne Mediaset (all'epoca Fininvest) nei primi anni Ottanta, e li avevano combinati con dati sui rilievi montuosi di tutta Italia, ricostruendo in quali comuni italiani le reti di Berlusconi (all'inizio solo Canale 5) si vedevano già dal 1979, e in quali invece arrivarono solo anni più tardi. Incrociando questi dati con dati di sondaggio raccolti vari anni dopo, hanno testato se nei comuni che avevano ricevuto Mediaset per più anni c'erano differenze nelle opinioni delle persone, rispetto agli altri comuni. E hanno scoperto che effettivamente c'era una maggiore tendenza (anche se lieve) ad avere opinioni più "populiste", a votare Forza Italia, o addirittura a votare il Movimento 5 Stelle nel 2013, trent'anni dopo...

    Ricordo questo studio uscito anni fa. Ma fu molto controverso; suscitò un dibattito in cui prese posizione anche il giornalista Enrico Mentana in termini molto critici...

    Infatti. I dati erano effettivamente solidi (anche se con effetti non molto forti), ma la polemica è nata perché gli autori sostenevano che uno degli effetti di Mediaset fosse l'abbassamento dei livelli cognitivi dovuto a una programmazione di bassa qualità, che quindi avrebbe predisposto le persone verso atteggiamenti populisti; e questo scatenò un acceso dibattito. Siamo partiti da questo punto perché i dati erano interessanti e i risultati solidi, ma c'era qualcosa che non ci convinceva nel meccanismo esplicativo.

    Che cosa esattamente non condividevate della spiegazione offerta dagli studiosi della Bocconi?

    Davide Angelucci: Secondo noi, la vera causa non era l'abbassamento del livello cognitivo. Da tante ricerche elettorali sappiamo con chiarezza che Forza Italia nel corso dei decenni è stata in grado di mobilitare gli elettori su temi specifici, come ad esempio precise preferenze economiche (ad esempio la tutela dei lavoratori autonomi e delle imprese), anche tra classi sociali diverse, e ovviamente non solo tra le persone meno istruite o politicamente disimpegnate. Quindi secondo noi il meccanismo dietro all'effetto dell'esposizione mediatica a Mediaset doveva essere un po' diverso. In quel periodo, i primi anni '80, Mediaset tra l'altro presentava contenuti esclusivamente di intrattenimento. Il punto però è che questi programmi promuovevano specifici stili di vita e un sistema di valori che era molto diverso da quello promosso dalla Rai, che anche nell'intrattenimento aveva un'impostazione molto più pedagogica, e legata ad altri valori.

    LDS (interrompe): ... io c'ero e me li ricordo bene: le prime serie come Dallas [che peraltro iniziò con pochi episodi in Rai, ma fu subito cancellata e passò su Canale 5 che la trasmise con grande successo per molti anni, ndr] e Dynasty, con stili di vita individualisti, lussuosi e moralmente molto disinvolti... programmi come OK il prezzo è giusto, che inneggiavano al consumismo; varietà come Drive In... tutte cose che sulla Rai non si sarebbero mai viste, tanto che uno dei più celebri programmi di Mediaset (anche se qualche anno più tardi) si chiamerà proprio Non è la Rai...

    DA: Ecco: l'idea è che anche i programmi di intrattenimento veicolano degli stili di vita e quindi dei valori; e quindi che l'esposizione a questi programmi possa avere un impatto sui cittadini e sui loro valori. Da questo punto di vista, abbiamo costruito la nostra argomentazione basandoci su un'ampia letteratura scientifica che mostra come gli individui differiscano tra loro su un'ampia gamma di valori, che influenzano anche la politica e le scelte di voto. In questo senso, quindi, la nostra idea ruota attorno al fatto che l'impatto di una maggiore esposizione a Mediaset non è legato a un abbassamento delle capacità cognitive dei cittadini, ma piuttosto alla sua capacità di influenzare i valori di riferimento di molti di questi cittadini.

    Voi parlate di effetti sui valori. Ma come si possono misurare i diversi valori in cui credono le persone?

    LDS: La vera sfida è proprio questa. Ma su questo c'è stata tanta ricerca, soprattutto in psicologia: la ricerca sui valori delle persone ha sviluppato scale di misurazione che vengono somministrate in numerose indagini. Un contributo particolarmente affascinante viene dallo psicologo israeliano Shalom Schwartz, che negli anni Novanta ha proposto una serie di domande per valutare l'orientamento degli individui verso dieci diversi valori fondamentali. Ad esempio, questi valori includono l'importanza dell'edonismo, del raggiungimento del potere, del successo, del conformismo, dell'espressione della benevolenza verso gli altri, eccetera. E, per l'appunto, ci ricordavamo che queste domande erano state inserite in un'indagine del gruppo di ricerca ITANES [cui partecipano anche studiosi CISE, ndr] su un campione di italiani, svolta nel 2006. A quel punto abbiamo incrociato i dati ITANES sui valori dei cittadini con i dati sulle antenne di Mediaset dei primi anni '80, raccolti dai ricercatori della Bocconi. Abbiamo quindi identificato quali intervistati vivevano in comuni che avevano ricevuto Mediaset per anche cinque o sei anni in più, all'inizio degli anni '80, per scoprire se - a distanza di vent'anni - le loro opinioni effettivamente erano un po' diverse da quelle degli altri. In sostanza, abbiamo replicato l'analisi condotta dai nostri colleghi, ma esaminando in particolare l'impatto sui valori. Con l'idea di fondo che, anche se magari quegli intervistati non avevano personalmente guardato le reti Mediaset (magari anche perché erano troppo piccoli), questo era accaduto alle loro famiglie, ai loro vicini, ai loro compagni di scuola o colleghi di lavoro, quindi di fatto potendo influire sugli orientamenti di valore di intere comunità.

    E quindi, quali sono stati i risultati?

    DA: I risultati sono estremamente interessanti. Abbiamo scoperto che l'esposizione a Mediaset, in particolare quella a lungo termine, ha avuto un impatto sensibilmente più ampio, e statisticamente più solido, sui valori dei cittadini rispetto a quanto trovato dai nostri colleghi relativamente al populismo: questi intervistati sono risultati più individualisti e più conservatori rispetto agli altri. Questo sembra sostenere la nostra tesi che l'eredità culturale della televisione di intrattenimento sembra più forte delle sue implicazioni politiche, e probabilmente le precede. Questo non vuol dire che non abbia anche implicazioni politiche, ma ha anche implicazioni più ampie per le trasformazioni culturali e i valori. Vale la pena notare che nel periodo - cruciale per la nostra analisi - in cui si vedeva solo in alcune città (i primi anni '80), Mediaset si concentrava esclusivamente sulla programmazione di intrattenimento, senza alcun contenuto politico o di cronaca. Questo ci porta a riflettere sull'importanza, in un sistema democratico, di garantire una pluralità di visioni del mondo, anche nei contenuti non direttamente politici.

    Ma oggi, soprattutto i giovani, non usano così tanto la TV. La vostra ricerca ha ancora implicazioni rilevanti?

    LDS: Questo è un punto importante. In realtà, sappiamo: 1) che la TV continua a rimanere estremamente rilevante per vari segmenti della popolazione; ma soprattutto 2) che i contenuti televisivi sono ormai diffusi in molti modi diversi, ad esempio attraverso lo streaming anche in mobilità, e per questo continuano ad essere molto popolari e importanti. Ad esempio, una serie molto seguita tra i più giovani, come "Mare Fuori", ha paradossalmente avuto più successo in streaming che sulla TV via etere. E spesso molti contenuti televisivi circolano molto anche attraverso i social media; ecco quindi che la TV riveste ancora una grande importanza. Ma soprattutto va sottolineata l'importanza dei programmi non politici nell'influenzare i valori. Visto che abbiamo trovato effetti significativi a distanza di vent'anni, la domanda è: quali valori vengono trasmessi da tutti i contenuti mediatici in cui siamo immersi? E che impatto hanno sui nostri valori? Anche gli spettacoli comici come LOL e le serie disponibili su Netflix, che impatto hanno sui nostri valori? Perché un impatto evidentemente ce l'hanno. Tra l'altro noi stiamo anche lavorando a un ampio progetto di ricerca con altre tre università italiane [il progetto POSTGEN, ndr] in cui vogliamo analizzare il possibile impatto sulla politica degli influencer sui social media (anche e soprattutto non politici, come ad esempio Chiara Ferragni). Più in generale, questo deve farci riflettere sulla questione del pluralismo, ovvero sulla rappresentazione di diversi valori, anche nei programmi di intrattenimento e anche sui social. Quindi, un'agenda di ricerca per il futuro è quella di esaminare i tipi di valori associati ai contenuti più diffusi, per capire se stiamo subendo una forte influenza in una certa direzione e non ne siamo ancora consapevoli.


Volumi di ricerca

  • The Deinstitutionalization of Western European Party Systems

  • Conflict Mobilisation or Problem-Solving? Issue Competition in Western Europe

  • “La politica cambia, i valori restano” ripubblicato in Open Access

  • Il voto del cambiamento: le elezioni politiche del 2018

  • Cleavages, Institutions and Competition

  • Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective

  • Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013

  • Competizione e spazio politico. Le elezioni si vincono davvero al centro?

  • La politica cambia, i valori restano? Una ricerca sulla cultura politica dei cittadini toscani

  • Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008


Dossier CISE

  • Online il Dossier CISE “Le elezioni amministrative del 2019”

  • The European Parliament Elections of 2019 – individual chapters in PDF

  • The European Parliament Elections of 2019 – the e-book

  • “Goodbye Zona Rossa”: Online il Dossier CISE sulle elezioni comunali 2018

  • Dossier CISE “Goodbye Zona Rossa”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • “Gli sfidanti al governo”: Online il Dossier CISE sulle elezioni del 4 marzo

  • Dossier CISE “Gli sfidanti al governo”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • The year of challengers? The CISE e-book on issues, public opinion, and elections in 2017

  • The year of challengers? Individual PDF chapters from the CISE e-book

  • “Dall’Europa alla Sicilia”: Online il Dossier CISE su elezioni e opinione pubblica nel 2017