di Vincenzo Emanuele
Un’Italia fiaccata da oltre 5 anni di crisi economica, pessimista sul futuro, sempre più scettica sul processo di integrazione europea e sull’opportunità di rimanere nella moneta unica: è questa l’immagine del nostro paese che emerge da alcune domande testate nell’indagine Osservatorio Politico CISE del dicembre 2013[1].
Innanzitutto è stato chiesto ai nostri intervistati di fornire un giudizio retrospettivo sull’economia e, in particolare, sulla situazione economica in Italia nel corso dell’ultimo anno. Come era lecito attendersi, per 4 elettori su 5 del nostro campione di circa 1500 intervistati la situazione economica nel corso dell’ultimo anno è peggiorata, per il 18% è rimasta uguale al passato e solo il 3% giudica la situazione economica molto o abbastanza migliorata. I giudizi non variano di molto se incrociamo questa domanda con il voto alle coalizioni, dividendo tra elettori di centrosinistra, centrodestra, centro (gli ex elettori della coalizione guidata da Monti), Movimento 5 Stelle e area dell’astensione. Notiamo un maggiore pessimismo da parte degli elettori del centrodestra e del M5S, per l’85% dei quali la situazione economica è peggiorata nell’ultimo anno, mentre gli elettori di centrosinistra e di centro mostrano una percezione leggermente più positiva della situazione (vedi Tabella 1).
I giudizi si differenziano maggiormente allorché si passa da un giudizio retrospettivo ad una valutazione prospettiva dell’andamento dell’economia. Chiedendo agli intervistati come sarà la situazione economica del paese nei prossimi 12 mesi, la sfiducia e il pessimismo continuano a prevalere, dal momento che la maggioranza relativa dei rispondenti (39%) prevede un peggioramento dell’economia italiana e un ulteriore 37% prospetta un mantenimento delle condizioni attuali. Rispetto alla domanda precedente, però, il giudizio è assai meno netto, dal momento che emerge anche circa un quarto del campione che si aspetta un miglioramento della situazione economica nel corso del prossimo anno. Il giudizio sul futuro dell’economia italiana sembra essere piuttosto condizionato dalla propria appartenenza politica. In particolare si individua una linea netta che separa l’area di governo dalle opposizioni: gli elettori di centrosinistra e di centro, i cui partiti compongono la maggioranza che sostiene il governo Letta sono di gran lunga più fiduciosi rispetto agli elettori del centrodestra (la stragrande maggioranza dei quali votano Forza Italia e Lega Nord e quindi si collocano all’opposizione[2]), di Grillo e agli astenuti (vedi Tabella 1). Solo il 15% degli elettori del M5S prevede un miglioramento della situazione economica, contro il 37% di quelli del centrosinistra. Allo stesso tempo, gli elettori del centrodestra sembrano i più pessimisti: la metà di loro ritiene che l’economia peggiorerà ulteriormente. Si tratta di una percentuale più che doppia di quella mostrata dagli elettori di centrosinistra (22%).
Tab. 1 La situazione economica nell’ultimo anno e nei prossimi 12 mesi (N= 1516; 1472).
Il pessimismo e la sfiducia causati dalla crisi economica e dall’incapacità della classe politica di farvi fronte sembrano investire anche altri temi, sempre più al centro del dibattito in questi mesi: l’Europa e l’euro.
L’Italia è sempre stato un paese favorevole all’integrazione europea. Nelle indagini annuali dell’Eurobarometro (http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/eb_arch_en.htm) gli elettori italiani risultavano sempre fra i più europeisti, ma evidentemente qualcosa è cambiato negli ultimi mesi. Forse l’immagine veicolata dai media e da ampi settori della classe politica di un’Europa sempre più burocratizzata e germanocentrica, attenta solo all’equilibrio dei conti pubblici e lontana dai problemi della gente ha affievolito il sogno europeista cullato fino a poco tempo fa dalla stragrande maggioranza degli italiani. Oggi coloro che giudicano l’appartenenza dell’Italia all’Europa come “un bene” sono meno della metà (49%), mentre per un rispondente su 5 è “un male” (vedi Tabella 2). Ancora una volta sembra emergere una netta dicotomia tra gli “europeisti” centristi e progressisti (rispettivamente, il 79% e i 68% dei quali vede come un fatto positivo la presenza dell’Italia nell’UE) e i giudizi molto più incerti degli elettori di centrodestra (35% positivi contro 28% negativi) e del M5S (36% positivi e 31% negativi). L’area del non voto, invece, si colloca in posizione intermedia tra questi due grandi gruppi di elettori, ma comunque più vicina al versante degli euroscettici. In ogni caso, comunque, in nessuno dei 5 sottogruppi in cui abbiamo suddiviso il campione, i giudizi negativi circa l’appartenenza dell’Italia all’UE prevalgono su quelli positivi.
Per quanto concerne la moneta unica, è stato chiesto al nostro campione di intervistati se sono d’accordo con quanto affermano ormai alcuni autorevoli economisti e alcune forze politiche (in primis la Lega Nord), e cioè che l’Italia farebbe bene ad uscire dall’euro. Fino a pochi mesi fa questa domanda avrebbe visto una predominio quasi plebiscitario dei favorevoli alla moneta unica, mentre oggi un terzo esatto del campione è molto o abbastanza favorevole alla proposta di fuoriuscire dall’euro. Questo 33% si distribuisce in modo assai differenziato a seconda del colore politico. I centristi si confermano i più europeisti, con appena l’11% di favorevoli all’uscita dall’euro, seguiti dagli elettori di centrosinistra (18%). E’ interessante notare che, a differenza della domanda sull’appartenenza all’UE, nel caso dell’euro i più scettici sembrano gli elettori conservatori, più ancora dei grillini, mentre l’area dell’astensione non si discosta molto dalla media nazionale. Oggi il 48% degli elettori di centrodestra è contrario all’euro (vedi Tabella 2): un dato eclatante che può segnare una novità rilevante nel panorama politico italiano del prossimo futuro. La consapevolezza di questi numeri potrebbe infatti spingere Berlusconi verso una campagna elettorale delle prossime elezioni europee tutta giocata sull’attacco all’Europa e all’euro. Ciò costituirebbe una svolta profonda sia nel tradizionale rapporto fra classe politica italiana ed Europa – da sempre caratterizzato da un appoggio sostanzialmente trasversale di centrosinistra e centrodestra alle politiche di integrazione – sia per quanto concerne la collocazione europea di Forza Italia (dal 1998 saldamente inserita nel PPE).
Tab. 2 Il giudizio sull’appartenenza all’UE e sulla proposta di uscita dall’euro (N= 1488; 1485).
In un contesto apparentemente proibitivo, caratterizzato dall’imperversare della crisi economica, dal pessimismo sul futuro e dalla perdita di fiducia nei confronti dell’Europa, il governo Letta sembra reggere abbastanza bene. Come vediamo nella Tabella 3, il 42% degli intervistati esprime un giudizio molto o abbastanza positivo sul suo operato, a fronte di un 58% di giudizi negativi. Le differenze tra elettori a sostegno dei partiti di governo e di opposizione rilevate in precedenza spiccano qui in modo assai pronunciato: i favorevoli al governo sono oltre il 60% al centro e a sinistra, mentre questa cifra risulta più che dimezzata fra gli elettori di centrodestra (30%) e del M5S (28%). Eppure, anche tra chi è contrario al governo, il ricorso ad elezioni immediate non sembra per tutti la soluzione migliore. Oltre un terzo degli elettori del M5S e del centrodestra vorrebbe che il governo Letta restasse in carica almeno fino al 2015, ossia fino alla conclusione del semestre di presidenza italiana dell’UE contro poco meno dei due terzi che invece invoca un immediato ricorso alle urne. Su questa domanda, peraltro, l’elettorato è perfettamente spaccato a metà (vedi Tabella 3). Questo dato ci appare un ulteriore conferma dello stato di pessimismo e sfiducia in cui versano gli elettori italiani: una quota rilevante[3] di coloro che sono critici nei confronto del governo Letta vorrebbe comunque che quest’ultimo restasse in carica almeno un anno per cercare di risolvere la crisi. Questi elettori sono dunque scettici perfino sul fatto che un ritorno alle urne possa rappresentare una soluzione vantaggiosa per l’Italia, visto l’alto rischio di riprodurre un Parlamento privo di maggioranza, almeno finché non sarà approvata una nuova legge elettorale.
Tab. 3 Il giudizio sul governo Letta e e sulla sua permanenza in carica (N= 1462; 1435).
[1] Indagine CATI/CAMI (telefonia fissa/mobile) svolta su un campione di 1500 intervistati, rappresentativo della popolazione elettorale italiana su alcune caratteristiche sociodemografiche. Le interviste sono state condotte dalla società Demetra di Mestre tra il 16 e il 22 dicembre 2013.
[2] Qui presentiamo solo il voto alle coalizioni e non ai partiti sia per rendere significativi gli incroci con le variabili analizzate (altrimenti le singole celle dell’incrocio avrebbero troppi pochi casi perdendo così significato) sia per questioni di presentabilità grafica dei risultati in tabella.
[3] Si tratta precisamente del 33,7% dei rispondenti (N=1399).