Unito ma perdente? Il PSE tra coesione partitica e declino elettorale

di Michail Schwartz

Il gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) rappresenta all’interno del Parlamento Europeo forze Socialiste, Laburiste, Socialdemocratiche e Progressiste presenti nei ventotto stati appartenenti all’Unione Europea. Esso afferisce al Partito Socialista Europeo (PSE) e costituisce attualmente la seconda forza politica all’interno del Parlamento, potendo contare su 195 europarlamentari (184 dopo il voto del 2009), provenienti da tutti e ventotto i paesi membri dell’Unione.

 Il nome articolato è solamente l’ultimo di una lunga serie (si veda Tabella 1) e deve la sua “complessità” ad un compromesso a cui si è giunti a ridosso delle ultime elezioni europee (Giugno 2009). La scelta di cambiare nome infatti è stata diretta conseguenza dell’entrata all’interno del gruppo di partiti solo in parte legati alla tradizione Socialista e Socialdemocratica, tra cui il Partito Democratico italiano (PD), il Partito Democratico Cipriota (EDEK) ed il Partito dell’Armonia Nazionale lettone (TSP). Contenendo questi partiti al loro interno componenti provenienti da altre aree del centrosinistra (come quella cattolica, liberale o ambientalista) ed essendo gli esponenti di queste correnti riluttanti ad un ingresso all’interno di un gruppo socialista nel nome, si dovette trovare una sintesi di compromesso, che esemplificasse la nuova natura allargata e più eterogenea del gruppo.

 Tab. 1 Denominazioni del Gruppo Socialista 1953-2013

Fonte: http://www.europe-politique.eu

La storia del Gruppo S&D inizia ben prima della creazione del Parlamento Europeo e dell’introduzione delle elezioni dirette nel 1979. Già un gruppo di partiti socialisti appartenenti ai “sei” si era venuto a formare, nel Settembre del 1952, all’interno dell’Assemblea della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Inizialmente la famiglia Socialista si trovò molto divisa nel supportare le prime fasi del processo di integrazione europea, contando tra le sue fila numerosi oppositori (come la SPD tedesca o il PSI italiano). Si venne a formare dunque “una divisione immediata tra coloro che reputavano l’integrazione europea come essenziale per controllare i mercati e completare la creazione dei sistemi di welfare nazionale e coloro che pensavo potesse solo interferire con questo obiettivo” (Hix and Lord 1997).

 Con l’allargamento dell’Unione da sei a nove stati (1973), ulteriori partiti si aggiunsero al nucleo iniziale e nel 1979, con l’introduzione dell’elezione diretta del Parlamento Europeo, si strutturarono in un vero e proprio gruppo parlamentare. Ai partiti appartenenti ai “sei” si aggiunsero partiti di matrice laburista, come il Labour britannico, nonché un partito socialdemocratico di matrice scandinava come quello danese. Il risultato delle elezioni fu favorevole al Gruppo Socialista il quale ottenne il 27,6% dei suffragi, divenendo così il primo gruppo per numero di seggi all’interno della prima assemblea parlamentare europea direttamente eletta. Tuttavia la notevole eterogeneità del gruppo, assieme al marcato euroscetticismo di alcuni dei nuovi membri come i laburisti inglesi ed i socialdemocratici danesi, minarono notevolmente la coesione interna al gruppo, in particolar modo sulle questioni riguardanti l’approfondimento del percorso di integrazione europea (Ladrech 2006).

Nelle successive tre tornate elettorali (vedi Figura 1) la leadership dei socialisti all’interno del Parlamento, non solo rimase inalterata, ma crebbe costantemente, fino a raggiungere il suo apice con le elezioni del 1994, quando il neo Gruppo del Partito Socialista Europeo[1] ottenne il 34,9% dei consensi (contro il 27,7% del secondo gruppo parlamentare, quello dei Popolari Europei).

Nel frattempo, con l’allargamento della Comunità Europea (diventata Unione Europea nel 1992), prima a dieci membri con l’ingresso della Grecia nel 1981 e poi a dodici membri, con l’ingresso di Spagna e Portogallo nel 1986, anche il Gruppo Socialista crebbe nella composizione. Nel 1994 si aggiunsero inoltre i partiti socialdemocratici dei neo membri Austria, Svezia e Finlandia.

 Un momento di svolta nella storia del Gruppo Socialista avvenne a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Lo scioglimento dei due blocchi a livello internazionale e la creazione di un mercato unico (ESM) affiancato da una unione monetaria (EMU) a livello europeo, spinse buona parte del gruppo dirigente socialista, alla ricerca di una ridefinizione della propria identità politica (Ladrech 1996). Questo sforzo portò con se anche un allargamento della propria composizione interna con l’entrata, tra gli altri, nell’Ottobre del 1992, del PDS italiano. Il gruppo socialista inoltre contribuì in maniera decisiva (spinto dal nuovo articolo 138a “sui partiti” presente all’interno del Trattato di Maastricht[2]) alla destrutturazione della vecchia Confederazione dei Partiti Socialisti della Comunità Europea (CSPEC) e alla creazione, nel Novembre del 1992, del nuovo Partito Socialista Europeo (PSE), nel tentativo di ricompattare il frammentato fronte socialdemocratico e trovare soluzioni nuove alle sfide sociali poste dall’accelerazione, in senso monetarista, del processo di integrazione europea.

 Fig. 1 Andamento elettorale del Gruppo Socialista 1979-2009.

Fonte: http://www.europe-politique.eu

Il trend positivo iniziato con le prime elezioni del 1979 si esaurì con quelle del 1999. In quella tornata il Gruppo del Partito Socialista Europeo subì un crollo di 6 punti e fu scavalcato dal Gruppo dei Popolari, il quale diventò (e rimane ancora oggi) il primo partito all’interno dell’emiciclo di Strasburgo.

Da questo momento in poi è seguito un periodo di costante calo da parte dei Socialisti, calo che li ha portati nel 2009 ad ottenere solo il 25% dei consensi (quasi 10 punti in meno rispetto al periodo d’oro dei primi anni novanta) e “la più esigua rappresentanza all’interno del Parlamento Europeo dalle elezioni del 1979” (Hix 2009).

 Proprio a causa di questo costante calo nei consensi (accentuato dall’allargamento ad Est, dove i partiti più forti erano conservatori o cristiano-popolari) e con l’incombere delle elezioni Europee del 2009, la formazione socialista ha cambiato strategia, aprendosi a forze politiche, all’interno del campo della sinistra, provenienti da altre esperienze, nel tentativo di recuperare il gap con il predominante gruppo dei Popolari Europei. Ovviamente l’attenzione è ricaduta sul neonato Partito Democratico, il quale, ai tempi, rappresentava il secondo partito italiano. Dall’ingresso di quest’ultimo, come già detto prima, deriva il cambiamento di nome in Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici[3] nonché l’abbandono dello storico simbolo rappresentante la rosa circondata da dodici stelle. Tutto ciò non è però bastato ai socialisti per evitare nel 2009 una sconfitta netta, che li ha visti soccombere nella stragrande maggioranza dei paesi dell’Unione e che ha determinato un risultato ampiamente al di sotto del  loro maggiore avversario, il Partito Popolare Europeo.

 Alla vigilia delle elezioni europee di Maggio i socialisti propongono il tedesco Martin Schulz come candidato alla presidenza della Commissione Europea. Nonostante l’impietosa débacle del 2009, essi possono ora contare su diversi primi ministri e capi di stato (Matteo Renzi e François Hollande su tutti) e su un Gruppo al Parlamento Europeo che, nonostante la netta inferiorità numerica, gode di buona salute. I 21 eurodeputati eletti dal PD nel 2009 infatti hanno permesso al Gruppo S&D di poter contare tra le proprie fila almeno un partito per ogni paese membro, facendo dunque registrare un livello massimo di “inclusività”, sia “parlamentare”[4] che “partitica”[5] (Calossi 2011, 165).

 Tab. 2 Partiti membri del Gruppo S&D nei 28 paesi UE.

 

Quello dell’inclusività non è tuttavia l’unico fattore che ci indica lo stato di buona salute del Gruppo S&D. Tenendo conto infatti degli indicatori proposti da Calossi per misurare il grado di istituzionalizzazione e rafforzamento dei gruppi all’interno del Parlamento Europeo, il Gruppo S&D presenta anche un massimo grado di “persistenza”[6] ed un alto grado di “coesione di voto” (la più alta tra i vari gruppo parlamentari. (vedi Tabella 3).

  Tab. 3 Coesione di voto nei primi diciotto mesi della VII legislatura.

Fonte: Hix, Noury and Roland (2013)

 A questi dati si aggiunge inoltre una bassa “concentrazione partitica”[7], la più bassa, in entrambi i casi (A e B), all’interno del Parlamento (vedi Tabella 4), segno anch’esso di una certa indipendenza dai partiti nazionali, comunque ancora molto forti ed influenti all’interno del processo decisionale dell’Unione.

 Tab. 4 Grado di concentrazione partitica A=tenendo conto del primo partito; B=dei primi due partiti).

Dati elaborati dall’autore; fonte: http://www.socialistsanddemocrats.eu.

Detto questo non si può non osservare come i socialisti si trovino ad un bivio. Le ultime elezioni li hanno visti soccombere in tutti gli stati chiave dell’Unione. I Laburisti ed i Socialisti francesi hanno segnato un record negativo raccogliendo rispettivamente il 16% ed il 17%, il Partito Democratico italiano si è trovato staccato di quasi 10 punti dal Pdl, mentre in Finlandia, Olanda, Polonia ed Irlanda addirittura i partiti afferenti al Gruppo S&D sono arrivati terzi. Il tutto senza contare le sconfitte in Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna. (flathatnews.com) Un risultato che, combinato con la quasi onnipresenza di governi di destra nei paesi dell’Unione, ha portato i Socialisti a trovarsi in minoranza anche all’interno degli altri due organi principali dell’UE (Commissione e Consiglio Europeo). Ora sarà interessante osservare quanto la candidatura forte di Martin Schulz (candidato unico, appoggiato praticamente da tutto il PSE) potrà incentivare una risalita elettorale dei Socialisti, anche perché in palio questa volta ci potrebbe essere proprio la poltrona di primo Commissario pienamente legittimato da un mandato politico nella storia dell’Unione Europea.

 

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[1] Il cambio di nome avvenne nel 1993, a seguito della creazione del Partito Socialista Europeo al posto della Confederazione dei Partiti Socialisti della Comunità Europea CSPEC.

[2] Questo articolo, fortemente voluto dalle principali famiglie politiche europee e dai relative gruppi parlamentari di riferimento, afferma che: “I partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per l’integrazione in seno all’Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione”.

[3] Inizialmente si era pensato alla denominazione APSD, acronimo di Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici, denominazione che presto ha lasciato spazio a quella attuale.

[4] Per inclusività parlamentare si intende “il numero di paesi dell’Unione dai quali il Gruppo riceve almeno un parlamentare” (Calossi 2011, 165).

[5] Per inclusività partitica si intende “il numero di paesi nei quali sono presenti partiti a livello nazionale collegati al Gruppo Parlamentare” (ibidem).

[6] Per persistenza si intende “il periodo storico di esistenza del Gruppo parlamentare, calcolato in numero di legislature del Parlamento Europeo” (ibidem 165).

[7] Per concentrazione partitica  si intende “la percentuale degli europarlamentari del gruppo corrispondente ai parlamentari afferenti al più grande partito nazionale e la percentuale di europarlamentari del gruppo corrispondente ai parlamentari afferenti ai due più grandi partiti nazionali (Calossi 2011, 165).