Affluenza, un calo atteso. Al Sud 1 su 2 si astiene

di Vincenzo Emanuele

Mentre il risultato elettorale che si va delineando consegna un quadro politico terremotato rispetto alle Politiche di un anno fa, i dati relativi alla partecipazione al voto risultano più vicini alle pessimistiche previsioni della vigilia. Dal punto di vista dell’affluenza, le elezioni Europee del 2014 in Italia sono state senz’altro elezioni di “secondo ordine”. Secondo la consolidata teoria di Reif e Schmitt (1980), alle elezioni europee, essendoci un minore interesse in gioco rispetto alle politiche (manca infatti il “premio” della conquista del governo) gli elettori sono meno interessati e ciò si traduce in più bassi livelli di partecipazione al voto.
Il dato italiano conferma in pieno questo assunto: ha votato il 58,7% nel territorio nazionale e il 57,2% se consideriamo anche la circoscrizione estero. L’astensionismo è dunque cresciuto di quasi 8 punti rispetto alle europee del 2009 (66,5%) e di 16,5 punti rispetto alle politiche di un anno f (75,2%). Il calo era largamente atteso, e si inserisce in un trend ormai trentennale di declino della partecipazione elettorale che tocca tutti i tipi di consultazione, dalle politiche alle comunali. Eppure non si pensava forse ad una diminuzione dell’affluenza tanto pronunciata. Un rapido confronto con il recente trend delle politiche, in cui la partecipazione è passata dal 80,5% del 2008 al 75,2% del 2013 faceva ritenere plausibile un analogo abbassamento attorno ai 5 punti anche alle europee. Questo calo è stato invece di quasi 8 punti rispetto a 5 anni fa. Certo, si può addurre la questione del voto in una sola giornata contro i due giorni in cui si votò nel 2009. Ma a questo elemento fa da contraltare il traino che avrebbe potenzialmente potuto esercitare la contemporanea presenza delle elezioni regionali in Piemonte e in Abruzzo[1] . Insomma, se queste dovevano essere le prime “vere” elezioni europee, vista la centralità che l’UE ha assunto in seguito alla crisi economica che ha colpito l’Europa dal 2008, almeno dal punto di vista della partecipazione al voto in Italia non lo sono state. Nemmeno l’enfasi posta dai media sullo scontro Grillo-Renzi è bastata a contenere la crescita dell’astensionismo.

La Figura 1 traccia il trend di partecipazione alle elezioni europee in Italia dal 1979 ad oggi. E’ facile notare come il progressivo declino dell’affluenza abbia subito una prepotente accelerazione a partire dal 2004. Dal 1979 al 2004 infatti la partecipazione è scesa complessivamente di 13 punti in 25 anni (circa mezzo punto l’anno). Dal 2004 al 2014, invece, è diminuita di ben 14,4 punti (poco meno di un punto e mezzo l’anno).
Fig. 1 Andamento della partecipazione al voto alle europee nel territorio nazionale, 1979-2014

Questo dato italiano si inserisce in un quadro europeo in parziale controtendenza: nel complesso dell’Unione la partecipazione ha tenuto, rimanendo stabile attorno al 43%. L’Italia rimane uno dei paesi con la più alta affluenza alle urne, ma il gap dal resto d’Europa si è ridotto.

Tab. 1 Affluenza alle Europee 2014 per regione e area geopolitica e confronto con il 2009 e il 2013

La disaggregazione del dato nazionale (58,7%) per regione e area geopolitica (Tabella 1) rivela alcuni risultati interessanti. Come accade tradizionalmente, la partecipazione è stata più alta della media nazionale nelle regioni rosse (68,2%) e al Nord (64,5%), mentre è stata largamente inferiore alla media al Sud, in cui un elettore su due si è astenuto. Inoltre, il gap tra Centro-Nord e Sud del paese si sta allargando rispetto al passato. Osservando i dati sul “differenziale territoriale di partecipazione[2]” rispetto alle Europee di 5 anni fa e alle Politiche 2013 (ultime due colonne della Tabella 1), si nota che in entrambi i confronti il Sud è l’area del paese con il differenziale di partecipazione più alto. Nelle regioni meridionali l’astensione è cresciuta di 9 punti rispetto alle Europee 2009 e di oltre 19 rispetto alle Politiche di un anno fa. La crescita dell’astensione rispetto alle Politiche è impressionante in Sardegna (+26,3 punti) e comunque di 20 punti o superiore anche in Molise, Sicilia e Basilicata. Regge solo l’Abruzzo, grazie al traino delle elezioni regionali (+2,1 l’affluenza rispetto alle Europee 2009). Mentre la Zona rossa presenta dati di partecipazione alti e piuttosto omogenei (tra il 66 e il 71%), al Nord è evidente una netta discrepanza tra il Nord Ovest e il Nord Est. In Piemonte (grazie anche alla contemporanea presenza delle elezioni regionali), Lombardia e Liguria si assiste ad una maggiore tenuta della partecipazione rispetto alle Politiche (tra i 10 e i 14 punti di calo), nel Nord Est il crollo assume proporzioni simili a quelle del Sud: in Veneto l’affluenza è scesa di 18 punti, in Friuli di 20, in Trentino-Alto Adige di 28 punti. Nel complesso, l’astensionismo aggiuntivo rispetto alle Politiche 2013 è stato più forte nelle regioni geograficamente periferiche del paese, dal Nord (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige) al Sud (Sardegna, Sicilia).

Fig. 2 Mappa della partecipazione all’Europee 2014 per provincia (Natural breaks).

Per provare a fornire un’ interpretazione meno impressionistica e più ragionata della partecipazione al voto è necessario scendere ulteriormente nel dettaglio subnazionale (la Figura 2 presenta la mappa dell’affluenza a livello provinciale[3]) e inserire nel ragionamento anche un indicatore non elettorale come il livello di civismo. Sviluppato da Pedersini e Cartocci (2004), il livello di civismo è un indicatore molto utilizzato dalla letteratura sociologica e politologica. Fa riferimento alla dotazione di capitale sociale ed è calcolato, per ciascuna provincia italiana, sulla base di quattro indicatori[4]. Ci aspettiamo che la correlazione tra partecipazione al voto e dotazione di capitale sociale risulti positiva, in quanto il livello di civismo è solitamente considerato una delle precondizioni dell’impegno nella vita sociale e politica. I dati relativi alle Europee 2014 confermano ampiamente questa relazione[5]: la correlazione bivariata a livello provinciale tra affluenza alle Europee 2014 e livello di civismo è di r= .622, significativa al livello dello 0.001 (test a due code). Le province più “dotate” di capitale sociale tendono a partecipare di più (vedi Figura 2). Non solo, ma è anche rintracciabile una correlazione tra civismo e astensionismo aggiuntivo rispetto alle Politiche 2013 (r = -.355). Questa seconda relazione è ancor più intrigante: non solo le province meno “civiche” votano meno, ma tendono anche ad astenersi maggiormente quando l’interesse in gioco viene a mancare[6].

Fig. 3 Relazione tra livello di civismo e affluenza alle Europee 2014 per provincia


Non a caso le province con il minor civismo e il maggior astensionismo aggiuntivo sono anche quelle nelle quali tradizionalmente viene espresso un voto più personalistico quando non specificamente di scambio (Parisi e Pasquino 1977): delle 37 province che risultano avere un livello di civismo inferiore alla media e un astensionismo aggiuntivo superiore alla media, ben 32 sono meridionali. Allo stesso tempo solo 2 province sulle 39 che risultano avere un alto capitale sociale e un basso astensionismo aggiuntivo sono meridionali (L’Aquila e Sassari).
Rispetto alla relazione attesa emergono poi alcuni casi devianti: 11 province del Nord (Aosta, Trento e gran parte di Veneto e Friuli), 4 province sarde (Cagliari, Medio-Campidano, Olbia Tempio e Carbonia Iglesias) e 3 della Zona rossa (Ancona, Lucca e Massa-Carrara) fanno registrare alti tassi di defezione rispetto alle Politiche 2013 nonostante la presenza di un livello di civismo superiore alla media nazionale. Al contrario, invece, 16 province che risultano caratterizzate da un basso livello di civismo, presentano un differenziale di partecipazione rispetto alle Politiche inferiore alla media italiana. Tra queste spiccano 8 province meridionali, di cui tre abruzzesi (Pescara, Teramo e Chieti) per le quali la relazione attesa è vanificata dalla presenza del simultaneo voto per il Consiglio regionale e il Presidente della Regione che fa innalzare considerevolmente l’interesse in gioco in questa tornata elettorale.

[1] Inoltre si votava contemporaneamente in più metà dei comuni italiani, ma anche nel 2009 ci fu un’analoga sovrapposizione fra comunali ed europee.

[2] Secondo Mannheimer e Zajczyk (1982, 411) il differenziale territoriale di partecipazione è una delle costanti del comportamento elettorale nel nostro paese.

[3] La mappa segna le province con colori diversi a seconda del livello di partecipazione al voto. Colori più scuri indicano una maggiore affluenza. Le quattro classi che risultano dalla mappa sono calcolate sulla base di un algoritmo che minimizza la varianza interna a ciascuna classe massimizzando quella esterna fra classi (Jenks 1967).

[4] È misurato prendendo in considerazione indicatori quali il livello medio di partecipazione elettorale, la tendenza a partecipare a associazioni culturali e/o ricreative, la quantità di persone che leggono almeno un quotidiano al giorno, il numero di donatori di sangue (fattore che intende segnalare la diffusione di pratiche di solidarietà sociale).

[5] La correlazione è tuttavia parzialmente endogena dal momento che uno degli indicatori utilizzati per il calcolo del livello di civismo è proprio il livello “storico” di partecipazione al voto. Sebbene si tratti di dati di partecipazione precedenti al 2004 – anno in cui viene pubblicato l’indice – quindi non recentissimi.

[6] Anche Cartocci (1987) utilizza un indicatore simile per mappare le province italiane in termini di particolarismo ad attitudine al voto di scambio. Egli utilizza però l’astensionismo aggiuntivo registrato al referendum sull’aborto del 1981 rispetto alle Politiche del 1979.