Regionali in Liguria: il centrodestra unito sfida il Pd

di Vincenzo Emanuele

Il prossimo 31 maggio si voterà per il rinnovo dei Consigli regionali di 7 regioni, nonché per la scelta dei rispettivi Presidenti della Giunta. E’ quello che resta della grande tornata regionale che nel 1995 comprendeva ben 15 regioni e che ha progressivamente perso per strada oltre la metà degli enti per via degli scandali politici che hanno colpito molte regioni negli ultimi anni, costringendo i rispettivi Consigli allo scioglimento anticipato. Tra le 7 regioni al voto c’è anche la Liguria.

Terra di confine tra la cosiddetta ‘Zona rossa’ e quella che storicamente veniva definita come ‘Zona industriale’ (Corbetta, Parisi e Schadee 1988), la Liguria può essere considerata una regione politicamente contendibile. E’ infatti presente una netta cesura tra le due province orientali, Genova e soprattutto La Spezia, politicamente e geograficamente contigue alla Zona rossa, e la Riviera di Ponente, più vicina al centrodestra. Proprio come gli ‘swing states’ americani, la Liguria è passata, negli ultimi 20 anni, dal centrosinistra al centrodestra, seguendo le tendenze politiche nazionali. Il centrodestra berlusconiano vinse le politiche del 1994, poi perse le regionali del 1995 e le politiche del 1996. Nel 2000 riconquistò la regione, con Sandro Biasotti, nella tornata regionale che costò la poltrona di Presidente del Consiglio a Massimo D’Alema. Nel 2001 fu un sostanziale pareggio, mentre nel 2005 il centrosinistra si riprese il governo regionale con Claudio Burlando che riuscì a battere l’incumbent Biasotti. Nel 2006 l’Unione di Prodi ottenne la maggioranza in regione, mentre nel 2008 fu il ticket Pdl-Lega ad avere la meglio, riportando Berlusconi a Palazzo Chigi. Il resto è storia recente, con Burlando riconfermato nel 2010, ancora una volta contro Biasotti, grazie all’appoggio di una maxi-coalizione che andava dall’Udc a Rifondazione. Nella Tabella 1 è possibile osservare i risultati delle ultime tre competizioni elettorali disputate nella regione, ossia le Regionali 2010, le Politiche 2013 e le Europee 2014. Per facilitare il confronto fra le aree politiche, il risultato di alcune liste minori è stato riaggregato (‘Altri centrosinistra’, ‘Altri centrodestra’, ‘Altri centro’ e ‘Altri’).

Tab. 1 – Risultati elettorali dei principali partiti in Liguria (2010-2014), voti assoluti e percentuali.

Osservando la Tabella è possibile cogliere la peculiarità della recente storia elettorale ligure: le tre competizioni hanno avuto esiti profondamente diversi tra loro. La variabile che ha contribuito a mutare in maniera decisiva il quadro politico dell’ultimo ventennio è stata la straordinaria performance elettorale del Movimento 5 Stelle, che proprio in Liguria, terra d’origine di Beppe Grillo, ha uno dei suoi principali feudi elettorali. Alle regionali del 2010, il M5S non si presentò (a differenza di altre regioni in cui ottenne buoni risultati, come ad esempio in Emilia-Romagna[1]) e il centrosinistra riuscì ad avere la meglio sul centrodestra sfruttando l’ampiezza della coalizione messa in campo da Burlando: in particolare, il contributo di Rifondazione e dell’Udc fu decisivo per permettere la riconferma del governatore uscente, dal momento che la coalizione Biasotti raggiunse il 47.3% mentre i partiti del centrosinistra tradizionale di quegli anni (quello della famosa ‘foto di Vasto’, Pd-Sel-Idv) si fermarono appena sotto il 45%. Il Pdl era la prima forza politica in regione con il 29.3% dei voti, che diventa 35% se ai voti del partito aggiungiamo quelli della lista Biasotti (6.1%). Il Pd inseguiva con il 28.3% (il 32% se sommiamo anche i voti della lista Burlando), mentre si segnalava l’ottimo risultato dell’Italia dei Valori, che sfruttando l’onda lunga delle europee dell’anno precedente, raggiungeva l’8.5%. Si registrava, inoltre, un perfetto bipolarismo, con due coalizioni pigliatutto e due soli candidati alla Presidenza. Tutto cambia nel 2013, con l’avvento del M5S che a sorpresa ottiene un risultato sensazionale: 300.000 voti, corrispondenti al 32.1%. Non è solo il primo partito, alla Camera è addirittura la prima coalizione. A farne le spese sono entrambe le coalizioni principali: il centrosinistra di Bersani scivola al 31.1%, malgrado una sostanziale tenuta del Pd (27.7%), mentre la coalizione berlusconiana crolla al 23% complessivo (con il Pdl al 18.7%), meno della metà dei voti ottenuti nel 2010. Si allarga inoltre l’area di centro (dal 4 al 10%), grazie al contributo di Mario Monti, e si assottiglia la sinistra radicale (2.1%). L’impatto del Movimento 5 Stelle nel 2013 sembra essere stato trasversale e aver drenato consensi dai due schieramenti. Alle europee dell’anno scorso, però, lo scenario cambia completamente: l’area di centro, orfana di Monti, torna a svuotarsi (3.9%) e il M5S si ridimensiona, cedendo 6 punti e lasciando sul campo quasi 100.000 voti, complice un’affluenza in calo di quasi 15 punti rispetto alle politiche. In linea con quanto avviene nel resto d’Italia, le europee sono caratterizzate dal boom del Pd di Matteo Renzi, che vola al 41.7%, crescendo di oltre 65.000 voti rispetto alle politiche e di 112.000 rispetto alle regionali 2010. Nonostante lo svuotamento del centro e il ridimensionamento del M5S , il centrodestra non riesce a recuperare il terreno perso alle politiche. Al contrario, perde ancora terreno (22.4%), nonostante la risalita della nuova Lega di Salvini, che raddoppia i voti rispetto alle politiche. La grande sconfitta è Forza Italia che cede 67.000 voti sulle politiche e addirittura 110.000 sulle regionali. Riassumendo, dunque, negli ultimi 5 anni il quadro politico ligure è cambiato repentinamente: l’ingresso di un nuovo attore, il M5S, e la crisi di Forza Italia hanno rotto il ventennale equilibrio che persisteva tra le due coalizioni principali. La portata del cambiamento è ben visibile confrontando le regionali del 2010 con le europee del 2014. Due competizioni diverse, ma caratterizzate da un livello di partecipazione praticamente identico (poco inferiore al 61%) e che quindi ben si prestano ad un confronto fra valori assoluti. A distanza di 4 anni, i voti della sinistra radicale e il centro post-democristiano sono più o meno gli stessi. Anche l’area del centrosinistra ha praticamente gli stessi voti di 4 anni fa, solo che adesso questi voti non si distribuiscono più fra diverse formazioni minori ma si concentrano in un unico partito (il Pd). L’inserimento del M5S nella politica ligure sembra dunque aver penalizzato soprattutto il centrodestra che ha perso per strada quasi 180.000 voti e ha più che dimezzato la propria forza elettorale.

Date queste premesse la partita delle regionali liguri sembrerebbe già chiusa in partenza. Eppure le cose non stanno così, perché il contesto politico è radicalmente mutato.

Per quanto concerne il centrosinistra, il 41.7% del 2014 sembra un lontano ricordo. Alle primarie dell’11 gennaio per la scelta del candidato governatore, si è consumata una dura frattura interna al gruppo dirigente del partito. La candidata renziana, Raffaella Paita, già assessore alla Infrastrutture nella Giunta Burlando, ha vinto di misura contro Sergio Cofferati (53% contro 46%). L’ex leader del ‘correntone’ ha denunciato l’irregolarità della competizione, caratterizzata da infiltrazioni organizzate di militanti del centrodestra e dal massiccio voto di immigrati extracomunitari (soprattutto cinesi) a sostegno di Raffaella Paita. In polemica con l’esito del voto, Cofferati è poi uscito dal partito.

Dall’altra parte il centrodestra, profondamente diviso sul piano nazionale e in molte delle regioni al voto, è riuscito inaspettatamente a ritrovare un’unità di intenti in Liguria, coalizzandosi a sostegno di Giovanni Toti, l’ex direttore di Studio Aperto e del TG4, nonché attuale europarlamentare e consigliere politico di Berlusconi.

Tab. 2 – Regionali 2015 in Liguria: liste e candidati Presidente.

Come vediamo nella Tabella 2, che riporta l’offerta politica delle prossime regionali, il bipolarismo è ormai un lontano ricordo. Dallo scontro bipolare Burlando vs. Biasotti del 2010 si è passati ad una competizione multipolare, con 8 candidati Presidente (sostenuti da 18 liste) di cui 4 realmente competitivi. La coalizione di centrosinistra del 2010 si è frantumata: il Pd (con due liste civiche) sostiene Raffaella Paita, mentre la sinistra radicale (Rifondazione, Comunisti italiani, Sel) appoggia la candidatura del civatiano Luca Pastorino, eletto in Parlamento nel 2013 nella fila del Pd e passato recentemente al gruppo misto dopo aver annunciato la sua candidatura, sulla quale potrebbe coagularsi il sostegno della minoranza democratica (civatiani, bersaninani etc.) oltre che di una parte dei sostenitori di Cofferati alle primarie di gennaio. Come detto, tutto il centrodestra è unito a sostegno di Giovanni Toti, che può contare su ben 8 liste, da ‘Area Popolare’ alla Lega Nord. Toti dovrà fare i conti con la concorrenza di Enrico Musso, economista ed ex senatore Pdl, candidato con il sostegno della lista civica ‘Liguria Libera’. Oltre al già citato Luca Pastorino appoggiato dalla sinistra radicale, il Movimento 5 Stelle candida la trentunenne dottoranda in lingue straniere Alice Salvatore. Gli altri tre candidati (Antonio Bruno per ‘Altra Liguria’, Matteo Piccardi del Partito Comunista dei Lavoratori e Mirella Batini per ‘Fratellanza Donne’) sono destinati a recitare un ruolo di contorno. Gli ultimi sondaggi registrano una situazione di incertezza e grande frammentazione del voto. Ci sarebbe un testa a testa tra la Paita e Toti, entrambi attorno al 30-33%, con l’esponente di Forza Italia addirittura in vantaggio secondo l’ultima rilevazione (effettuata da Ferrari Nasi & Associati). Più staccata la candidata del M5S, attorno al 19%, e Luca Pastorino che raggiungerebbe comunque un sorprendente 14%.

Ricordiamo, infine, che la Liguria è l’unica delle 7 regioni al voto a non aver adottato una propria legge elettorale regionale. Si voterà ancora una volta con la vecchia legge Tatarella (l.43/1995), ma con una significativa novità: i seggi in Consiglio si sono ridotti da 40 a 30. Così 24 seggi (l’80%) saranno assegnati in collegi provinciali (13 a Genova, 4 a La Spezia e Savona, 3 ad Imperia) con la formula del quoziente Hagenbach-Bischoff (più eventuale ripartizione dei più alti resti in un collegio unico regionale con formula Hare), mentre i restanti 6 seggi (il cosiddetto ‘listino’) saranno assegnati alla coalizione del candidato Presidente arrivato primo. Il premio si riduce a 3 seggi se la coalizione del Presidente raggiunge o supera il 50% dei seggi nella quota proporzionale. Ma, dato il livello di frammentazione, non appare questo il caso. Una possibilità tutt’altro che remota è però quella di non conseguire una maggioranza certa in Consiglio regionale. Infatti, mentre la l. 43/1995 prevedeva l’assegnazione di seggi aggiuntivi, nel caso in cui, dopo l’assegnazione del premio, la coalizione vincente fosse ancora sotto il 55%, il d.l. 138 del 2011, nella logica di contenimento dei costi, ha previsto limiti al numero dei consiglieri regionali che sono stati recepiti dagli statuti. Poiché lo statuto ligure già prevede il numero massimo (trenta), la non attribuibilità di seggi aggiuntivi potrebbe privare della maggioranza in Consiglio il Presidente eletto. La legge regionale, quindi, non è ‘majority assuring‘. Infine, la soglia di sbarramento è del 3%, ma per le liste collegate ad un candidato Presidente che ottiene il 5% non c’è alcuna soglia legale. E’ possibile il voto disgiunto e l’espressione di un solo voto di preferenza.

 

Riferimenti bibliografici:

Corbetta, P., Parisi, A. e Schadee, H. (1988), Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

Cataldi, M. e Emanuele, V. (2014), Regionali in Emilia-Romagna, chi può insidiare Bonaccini? /cise/2014/11/18/regionali-in-emilia-romagna-chi-puo-insidiare-bonaccini/



[1] Sul punto vedi Cataldi e Emanuele (2014).

Vincenzo Emanuele è professore associato in Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza della Politica presso la Scuola Normale Superiore (ex SUM) di Firenze con una tesi sul processo di nazionalizzazione del voto in Europa occidentale e le sue possibili determinanti. La sua tesi ha vinto il Premio 'Enrico Melchionda' conferita alle tesi di dottorato in Scienze Politiche discusse nel triennio 2012-2014 e il Premio 'Celso Ghini' come miglior tesi di dottorato in materia elettorale del biennio 2013-2014. È membro del CISE, di ITANES (Italian National Election Studies) e del Research Network in Political Parties, Party Systems and Elections del CES (Council of European Studies). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle elezioni e i sistemi di partito in prospettiva comparata, con particolare riferimento ai cleavages e ai processi di nazionalizzazione e istituzionalizzazione. Ha pubblicato articoli su European Journal of Political research, Comparative Political Studies, Party Politics, South European Society and Politics, Government and Opposition, Regional and Federal Studies, Journal of Contemporary European Research, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. La sua prima monografia Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015) è edita da Rowman and Littlefield/ECPR Press (2018), mentre la seconda The deinstitutionalization of Western European party systems è edita da Palgrave Macmillan. Sulle elezioni italiane del 2018, ha curato la Special Issue di Italian Political Science ‘Who’s the winner? An analysis of the 2018 Italian general election’. Clicca qui per accedere sito internet personale. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.