di Roberto D’Alimonte
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 17 novembre 2016
Oggi il No è davanti al Sì. Per la precisione questo era vero ieri, cioè nei giorni tra il 27 Ottobre e il 7 novembre quando è stato realizzato il sondaggio Cise-Sole 24 Ore i cui risultati presentiamo qui.
La precisazione temporale è necessaria perché il clima di opinione di questi tempi è talmente volubile che umori e intenzioni di voto possono cambiare rapidamente anche in un breve lasso di tempo. Figuriamoci da qui al 4 dicembre. La tendenza però sembra chiara. Per quanto i sondaggi siano strumenti molto imperfetti sono troppe le rilevazioni che concordano sulla prevalenza dei No per ritenere questa stima completamente infondata. Nel nostro caso il No è al 34 %, il Sì al 29 % con un 37% tra incerti e astenuti.
Tab. 1 – Intenzioni di voto al referendum del 4 dicembre
Eppure la riforma costituzionale piace o quanto meno non dispiace agli elettori. Ne piacciono in particolare i singoli contenuti. Il 57% è d’accordo sul fatto che la maggior parte delle leggi possa essere approvata solo dalla Camera. Addirittura l’83% ritiene positivo che il governo possa chiedere alla Camera di deliberare su alcuni provvedimenti in tempi certi. Ma anche sulla composizione del Senato e sulla clausola di supremazia la maggioranza di giudizi è positiva. Solo sul trasferimento di competenze dalle regioni allo stato la maggioranza non è d’accordo.
Tab. 2 – Giudizi sui contenuti della riforma costituzionale
E sia detto per inciso, anche la riforma elettorale, il tanto criticato Italicum, piace. L’80% dei rispondenti si dice abbastanza o molto d’accordo sul fatto che il sistema elettorale dovrebbe permettere agli elettori di scegliere direttamente il presidente del consiglio come avviene per i sindaci. Ed è esattamente quello che succede con l’Italicum.
Tab. 3 – Grado di accordo con la seguente affermazione
Ha ragione quindi il premier a insistere sulla spiegazione dei contenuti della sua riforma. Tanto più che il 60% del campione sostiene di conoscerla poco o affatto.
Tab. 4 – Conoscenza circa i contenuti della riforma [1]
Il problema però è che questo sforzo si scontra con l’atteggiamento negativo di molti elettori nei confronti del premier e del suo esecutivo. Infatti il 61% dà un giudizio abbastanza o molto negativo sulla azione di governo nel suo complesso. Purtroppo per Renzi questo giudizio finisce con l’influenzare la decisione di voto. E così la valutazione favorevole sui suoi singoli aspetti non si traduce in un giudizio positivo sul complesso della riforma. E tanto meno in un Sì al referendum. Il senso è chiaro: si vota no alla riforma per votare contro il premier, anche se – tutto sommato – se ne condividono i contenuti. Il fenomeno è emerso chiaramente da mesi e se ne attribuisce la responsabilità al premier. Certo, Renzi ci ha messo del suo, ma la personalizzazione di questo voto referendario ci sarebbe stata comunque. Renzi ha solo anticipato i suoi avversari. In larghi strati dell’elettorato, soprattutto meridionale, si respira un tale clima di disaffezione nei confronti di chi ha responsabilità di governo che è cosa naturale per gli oppositori del premier personalizzare il voto facendo leva sul fatto che la vittoria del No ne comporterebbe automaticamente le dimissioni.
Tab. 5 – Giudizi sull’operato del governo Renzi [1]Questi dati, e altri già pubblicati, mostrano chiaramente la natura partitica di questo voto. I Sì sono concentrati prevalentemente tra gli elettori dei due partiti di governo, Pd e Ncd. Il 76% dei primi e il 73% dei secondi sono intenzionati a votare Sì. Sono percentuali non eccezionali ma sicuramente elevate. Il problema sono gli altri elettori. Il messaggio di Renzi stenta a far breccia nel variegato elettorato dei partiti di opposizione. Ci sono quote di elettori del M5s e di Fi disposti a votare Sì, scostandosi dalla posizione ufficiale dei loro partiti, ma sono ancora relativamente pochi.
Tab. 6 – Intenzioni di voto al referendum per gli elettorati dei diversi partiti
Così come sono relativamente pochi i giovani favorevoli alla riforma. Infatti in tutte le classi di età fino ai 64 anni il No è in vantaggio, e lo è di circa 20 punti fra gli under 45. Il Sì è in vantaggio, largamente, solo fra chi ha almeno 65 anni. Il che va anche bene perché questi sono gli elettori che tendono a votare di più. Ma per un premier giovane che ha fatto del ricambio generazionale la sua bandiera lo scarso appeal tra i più giovani è un grave handicap.
Tab. 7 – Intenzioni di voto al referendum per classe di età
L’altro handicap è il voto nelle regioni del Sud. Qui l’ostilità nei confronti del premier e del suo governo è più forte che altrove. Stagnazione economica e disoccupazione, soprattutto quella giovanile, ne sono certamente una delle cause principali. È difficile che nelle poche settimane che ci separano dal voto gli umori degli elettori meridionali possano cambiare drasticamente. Ma andranno veramente a votare? In questo tipo di sondaggi il dato sull’affluenza è generalmente sovrastimato. Se tutti quelli che hanno dichiarato di voler andare a votare il 4 dicembre lo facessero veramente la vittoria del Sì sarebbe molto difficile. All’ultimo referendum che ha avuto successo, quello sul nucleare, nel 2011 l’affluenza è stata circa il 57%. Ed era un referendum sentito. Al referendum sulla riforma costituzionale di Berlusconi nel 2006 hanno votato il 54% degli elettori. Con queste percentuali il Sì potrebbe avere una chance e in questo caso il voto degli italiani all’estero potrebbe fare la differenza. Se invece l’affluenza fosse particolarmente elevata è probabile che prevalga il No. Se andrà così, il giorno dopo il voto potremmo ritrovarci con un’Italia spaccata nettamente in due come ai tempi del referendum Repubblica-Monarchia, ma con un esito rovesciato rispetto ad allora. E senza una ragione legata al quesito.
Tab. 8 – Intenzioni di voto al referendum per zona geopolitica [1]
Per ulteriori analisi sulle intenzioni di voto al referendum clicca:
La polarizzazione del voto referendario sull’asse destra-sinistra
Il referendum e la dimensione europea
Il fronte del SI e la questione meridionale
[1] Quattro regioni costituiscono la Zona Rossa: Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria. Le 7 regioni a nord di queste costituiscono in Nord, mentre le 9 regioni a sud della Zona Rossa formano il Sud.