Tutti i numeri delle comunali: scompare il M5S, il centrodestra torna competitivo, i civici sono il terzo polo

Il Movimento Cinque Stelle è fuori da tutti i ballottaggi nei 25 comuni capoluogo al voto. Il bipolarismo torna di moda: il centrodestra unito è competitivo e fra due settimane si giocherà i ballottaggi sfidando il Pd e i suoi alleati nella maggior parte dei comuni superiori al voto. I candidati civici rappresentano, almeno in termini numerici, il vero terzo polo.

Il Movimento Cinque Stelle è già fuori da tutti i ballottaggi nei 25 comuni capoluogo al voto. Il bipolarismo sembra tornato di moda: il centrodestra unito è competitivo e fra due settimane si giocherà i ballottaggi sfidando il Pd e i suoi alleati nella maggior parte dei comuni superiori al voto. Queste le due indicazioni principali dal voto di ieri, in attesa che termini il lentissimo spoglio delle schede e diventino definitivi i dati sull’affluenza e i risultati delle liste.

Questo turno di elezioni comunali coinvolgeva 9 milioni di elettori per un totale di 1004 comuni di cui 160 superiori ai 15.000 abitanti e 25 capoluoghi di provincia (di cui 4 capoluoghi di regione). Si è trattato dell’ultima grande tornata elettorale nazionale prima delle elezioni politiche. Inoltre, come emerge in un precedente articolo, si tratta di una tornata molto ben rappresentativa degli equilibri politici nazionali: infatti, confrontando il risultato aggregato dei principali partiti alle politiche e alle europee in questi 160 comuni, l’esito è praticamente identico a quello registrato a livello nazionale, sebbene con una leggera sovra-rappresentazione del M5S e una sotto-rappresentazione della destra.

Storicamente, la tornata di comunali che precede le politiche rivela grandi sorprese ed è spesso anticipatrice di tendenze poi corroboratesi alle elezioni politiche. Ma anche un turno capace di illudere. Si pensi a quanto successo nel 1993, quando il centrosinistra travolse quel che restava del pentapartito vincendo nella stragrande maggioranza dei comuni. Eppure, meno di un anno dopo, la ‘gioiosa macchina da guerra’ di Occhetto fu clamorosamente sconfitta alle elezioni politiche. E ancora, più recentemente, nel 2012 – la tornata amministrativa che è andata a scadenza naturale ieri – il successo della coalizione di centrosinistra illuse Bersani e soci, ma a febbraio 2013 il boom del M5S cancellò tutto.

Interpretare il voto alle elezioni amministrative non è facile. Il peso dei fattori locali è in alcuni contesti decisivo. Inoltre, vista la moltitudine di città al voto sul territorio nazionale, tutti i partiti hanno qualche vittoria da intestarsi. Tutti, nei commenti postelettorali, hanno in qualche modo ‘vinto’, e ciò genera grande confusione nell’opinione pubblica. Un buon metodo di lavoro, dunque, è quello di partire innanzitutto dai dati, e in particolare dalla situazione di partenza in termini di colore politico delle amministrazioni uscenti. Come mostra la Tabella 1, nei 149 comuni superiori che hanno votato ieri e dei quali è disponibile il confronto con le precedenti comunali[1], il centrosinistra (Pd e alleati) aveva vinto nella maggioranza assoluta dei comuni (76), mentre il centrodestra (ossia Forza Italia e i suoi alleati) ne aveva conquistati poco più di un quarto (40). Era un’Italia nel complesso ancora bipolare: le due principali coalizioni conquistavano il 78% dei comuni. Eppure si intravedevano già segnali di disgregazione del quadro politico che sarebbero poi emersi con forza alle politiche del 24 e 25 febbraio del 2013[2]. Non solo per la nascita del M5S, vincitore per la prima volta in 3 comuni fra i quali Parma, ma anche per il successo ottenuto da candidati sostenuti da coalizioni alternative alle due che, l’un contro l’altra armate, avevano dominato la Seconda Repubblica: una coalizione di sinistra radicale vinceva in 9 comuni, coalizioni di centro vincevano in 7 comuni, mentre la destra (ossia coalizioni comprendenti Lega e/o Fratelli d’Italia e loro alleati, ma senza Forza Italia) vincevano in 3 comuni. Dieci città eleggevano candidati sostenuti da liste civiche, mentre in un caso (Jesolo) emergeva una formula innovativa, quella della grande coalizione, che di lì a pochi mesi avrebbe preso forma a livello nazionale con il governo Letta.

Tabella 1. Riepilogo dei vincitori e delle presenze al ballottaggio nei 149 comuni superiori.

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Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal Pd o dal Pdl (o Fi) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo Pd e Pdl che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).


Passando all’analisi di queste comunali, sorprende la crescita del numero di sindaci eletti al primo turno: sono ben 43, ben 6 in più rispetto alla tornata precedente, quando furono 37[3]. Nei comuni già assegnati il Pd e i suoi alleati prevalgono nettamente sul centrodestra (22 a 8), mentre ben 11 comuni sono vinti da candidati sostenuti da liste civiche e due dalla destra. Fra i capoluoghi, sono tre quelli già assegnati: Cuneo e Palermo vanno al centrosinistra, mentre Frosinone viene rivinto dal centrodestra. Il dato dei sindaci eletti al primo turno è in controtendenza con quanto si verificò l’anno scorso, con 21 sindaci eletti al primo turno contro i 40 delle precedenti nei 132 comuni per i quali era possibile un raffronto (Emanuele e Maggini 2016). Un dato che all’epoca fu interpretato come un chiaro segnale della trasformazione in senso tripolare del sistema partitico italiano avvenuta a tutti i livelli a partire dalle elezioni del 2013 (Chiaramonte e Emanuele 2013; 2014; 2016). In questa tornata ci si aspettava un dato in continuità con l’anno scorso, vista la massiccia presenza del Movimento Cinque Stelle, che ha presentato un proprio candidato sindaco e una propria lista in 131 comuni su 149, mentre nelle precedenti era presente solo in 83. Eppure, un conto è la presenza, un altro conto è la competitività. Sorprendentemente, infatti, si è assistito ad un inatteso ritorno della dinamica bipolare. I voti ai candidati grillini, infatti, non sono sufficienti in molti contesti ad impedire l’elezione al primo turno di un candidato dei due principali schieramenti. Ma, quel che è peggio per il partito di Grillo, è che quegli stessi voti non siano sufficienti al Movimento per essere competitivo, cioè per accedere ai ballottaggi nella maggior parte delle città.

La terza colonna della Tabella 1 presenta infatti il numero di ballottaggi conquistati e la relativa posizione di accesso alla sfida del prossimo 25 giugno. Come si può facilmente notare, il M5S è sostanzialmente scomparso dalla partita: si giocherà 10 ballottaggi, e solo in una città (Carrara) parte in vantaggio. Il suo risultato finale il 25 giugno rischia quindi di essere inferiore a quello delle precedenti amministrative, quando trionfò in 3 comuni. Naturalmente bisogna essere molto cauti nel trarre conseguenze politiche nazionali sull’arretramento grillino: è infatti evidente che i candidati pentastellati soffrono a livello locale anche per la scelta strategica di non fare alleanze e di presentare a sostegno del proprio candidato sindaco sempre e soltanto una lista. Ciò significa meno candidati e meno traino dal voto di preferenza. E in molti contesti, soprattutto del Sud, in cui il voto è fortemente personalizzato e orientato dalla mobilitazione dei ‘Signori delle preferenze’ (Emanuele e Marino 2016), questa mancanza si rivela fatale.

Le due principali coalizioni di centrosinistra e centrodestra tornano ad essere le protagoniste indiscusse della partita a livello locale: il Pd e i suoi alleati sono al ballottaggio in 75 comuni sui 106 per i quali è possibile un confronto (ossia i 149 iniziali meno i 43 già decisi al primo turno). Di questi 75, è primo in 38 casi, fra i quali spiccano Alessandria, Lodi, Monza, Lucca, Pistoia e L’Aquila (vedi Tabella 2, che presenta il dettaglio della situazione dopo il primo turno nei 25 capoluoghi). Il centrodestra se la giocherà in 78 comuni, dei quali 43 partendo dalla prima posizione. Fra questi spiccano ben 13 capoluoghi, tra i quali si segnalano le due città liguri, Genova e La Spezia, un tempo roccaforti rosse. Considerando che alle precedenti comunali la coalizione forza-leghista partiva da 40 comuni, si comprende che il centrodestra ha la possibilità concreta di incrementare nettamente il proprio bottino in queste amministrative. Nonostante la ri-bipolarizzazione della competizione sia il dato principale che emerge dai dati, prosegue il boom dei candidati civici, in linea di continuità con la tornata del 2016 (Emanuele e Maggini 2016). Anzi, nel 2017 i civici fanno ancora meglio: vincono in 11 comuni (in tutto furono 10 nelle precedenti) e potranno solo crescere il 25 giugno, avendo a disposizione altri 36 ballottaggi (17 da primi, tra i quali spicca il caso di Parma). Se c’è ancora un tripolarismo a livello locale, sono proprio i candidati civici, e non il M5S, il terzo polo. Il quadro è infine completato dalle altre coalizioni: la sinistra farà probabilmente peggio di 5 anni fa: governava 9 comuni, lo stesso numero di quelli in cui adesso è al ballottaggio. Ma solo in 4 casi parte in testa, e tra questi c’è Belluno. La destra, che governava in 3 città, esce molto bene da questo primo turno: vince in due comuni e si giocherà la vittoria in altri 12, sebbene solo in due casi partendo davanti. Infine il centro è sostanzialmente scomparso: alle precedenti amministrative Casini e soci detenevano 7 città, oggi figurano al ballottaggio solo a Trapani.

Tabella 2. Dettaglio dei vincitori e delle sfide al ballottaggio nei comuni capoluogo.

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Uscendo dal confronto con le precedenti amministrative, possiamo disarticolare in modo più preciso e completo questi numeri guardando al dettaglio delle sfide al ballottaggio nei 160 comuni superiori che sono andati al voto domenica. Di questi, 49 sono stati vinti al primo turno[4], mentre 111 andranno al ballottaggio (vedi Tabella 3). In poco meno della metà dei casi (52) il menù prevede la classica sfida fra centrosinistra e centrodestra, con la coalizione berlusconiana in leggero vantaggio ai nastri di partenza (28 a 24). In altri 5 casi il Pd sfiderà la destra sovranista, in altrettante circostanze le civiche, mentre i ballottaggi Pd-M5S – che furono l’incubo dei democratici nel 2016 (quando il partito di Renzi li perse tutti) – avranno luogo solo in 4 città. Interessante notare infine che in 6 città la competizione è totalmente depoliticizzata: a sfidarsi saranno infatti due candidati civici.

Tabella 3. Riepilogo delle sfide tra prima e seconda coalizione nei 111 comuni superiori al ballottaggio.

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Bibliografia

Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2013) ‘Volatile and Tripolar: The new Italian party system’, in De Sio L., Emanuele, V., Maggini, N. and Paparo, A. (eds.) (2013), The 2013 Italian General Elections, Rome, CISE, pp. 95-100.

Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014) ‘Il sistema partitico italiano tra cambiamento e stabilizzazione su basi nuove’ in De Sio L., Emanuele, V. and Maggini, N. (a cura di) (2014), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE (6), Roma, CISE, pp. 147-152.

Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2016), ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, CISE, pp. 129-137.

Emanuele, V., e Maggini, N. (2016), ‘Calo dell’affluenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, CISE, pp. 49-56.

Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.


[1] Sono esclusi 11 comuni che nelle precedenti comunali risultavano ancora inferiori ai 15.000 abitanti, e i cui risultati non sono pertanto comparabili (si votata in un turno unico e con un sistema elettorale diverso).

[2] In 124 comuni, ossia oltre l’80% dei 149 comuni per i quali è possibile un confronto con il passato, infatti, aveva votato nel 2012, mentre i restanti 25 comuni sono tornati alle urne nel 2017 in seguito alla fine anticipata delle rispettive consiliature.

[3] Sull’aumento del numero di vittorie al primo turno bisogna segnalare che tale innalzamento è facilitato, per i comuni siciliani, dal cambiamento della legge elettorale regionale per l’elezione dei sindaci (l.r. 17/2016). Essa consente di vincere al primo turno con il 40% dei voti, non più con la maggioranza assoluta. Non è un caso che su 15 comuni siciliani superiori ai 15.000 abitanti che sono andati al voto, ben 8 hanno eletto il sindaco al primo turno.

[4] I 49 comuni che hanno eletto il sindaco al primo turno così suddivisi: centrosinistra 23, centrodestra 11, destra 2 e candidati civici 13.