Davvero il fallimento del “governo del cambiamento” gioverà a M5S e Lega?

“Se si va a votare sul veto a Savona questi prendono l’80%”. Dicono ne sia convinto Massimo D’Alema. Ma sarà davvero così? Davvero il fallimento del progetto di “governo del cambiamento” (per lo scontro sul nome di Paolo Savona) è destinato a produrre dividendi elettorali per M5S e Lega?

In realtà è possibile nutrire qualche dubbio. Non in base a considerazioni generali, ma in base a un dato. Il dato è molto semplice: gli elettori del M5S (e in parte anche quelli della Lega) non sono affatto così anti-Euro come sono stati spesso dipinti. Dai dati CISE del febbraio scorso risulta che circa il 60% degli elettori M5S è per restare nella UE (61%) e per restare nell’Euro (56%); nella Lega questa percentuale scende intorno al 40% (rispettivamente 42 e 38), ma è pur sempre ragguardevole. In altre parole le basi di questi due partiti (soprattutto il M5S) sono tutto fuorché compattamente euroscettiche: e in una campagna elettorale in cui si discuta apertamente (dovendo prendere una posizione chiara) di “piano B”, entrambi i partiti si troverebbero in verosimile imbarazzo, con la loro base elettorale essenzialmente spaccata in due.

Questo spiega perché in queste ore si stia consumando una battaglia su quello che gli esperti di comunicazione chiamano “framing”, ovvero su come il fallimento di Conte (sul nome di Savona) verrà inquadrato e declinato nella campagna elettorale. Il Quirinale ha detto in modo chiaro che il motivo del veto su Savona è la sua posizione ambigua e critica rispetto a una questione chiave: la collocazione dell’Italia nell’Euro. Viceversa, per i motivi appena visti, M5S e Lega stanno comprensibilmente cercando di imporre un framing diverso: quello per cui questi partiti in realtà non considerano l’uscita dall’Euro, né un piano B, né che il professor Savona abbia espresso questi orientamente; e che in realtà la rottura sarebbe avvenuta a causa di una sudditanza di Mattarella verso i mercati, i “poteri forti”, e le altre capitali europee.

Come abbiamo visto, questa strategia è ben comprensibile, visto che sia Di Maio che Salvini sanno che i loro elettori difficilmente lì seguirebbero in una linea chiaramente anti-Euro. E infatti la previsione più verosimile è che, nel corso della campagna elettorale, i due partiti – quando sfidati sul tema dell’Europa – cercheranno di evitare la questione divisiva della collocazione nell’Euro, tentando di imporre il framing ecumenico e non divisivo del far contare di più l’Italia in Europa, che non corrisponde a una posizione euroscettica. D’altra parte è difficile pensare che questa battaglia del framing possa essere vinta da M5S e Lega, e che in campagna elettorale nessuno chieda loro di prendere una posizione chiara sull’Euro. Quindi il rischio per questi due partiti è anche che la loro posizione “ecumenica” sul far contare di più l’Italia in Europa venga inevitabilmente interpretata da molti elettori con il sospetto dell’allusione a una possibilità reale di considerare l’uscita dall’Euro. Una volta che questa questione è entrata nel dibattito politico in relazione al caso Savona, sembra difficile che la percezione che i cittadini hanno di questi due partiti possa tornare indietro a prima di questi eventi. Di conseguenza, rispetto alla campagna elettorale appena vista, in cui l’Europa è rimasta decisamente sullo sfondo, possiamo aspettarci che il tema europeo sarà invece al centro dell’imminente campagna elettorale. E questo potrebbe rappresentare un problema soprattutto per il M5S, il cui successo ha finora sfruttato in modo cruciale una voluta vaghezza delle sue posizioni su molti temi (tra cui quello dell’Europa).

Va infine osservato che esiste un altro motivo per cui il M5S sta, comprensibilmente, insistendo sul presunto “colpo di stato” di Mattarella: sviare l’attenzione dalla cattiva gestione pentastellata della trattativa per il governo. Di Maio deve infatti rispondere di un esito finale pessimo. Era riuscito infatti (con una campagna eccellente, giocata sulla sua abilità nel proporre un profilo rassicurante e “governativo” per il M5s) a portare il suo partito al 33%, e alla fine anche a sedersi a una trattativa con la Lega, separandola con successo dal centrodestra. Tuttavia da quel momento in poi è emerso chiaramente che Salvini e i suoi hanno fatto valere la loro maggiore esperienza, e alla fine l’indirizzo politico del futuro governo – soprattutto alla chiusura finale, centrata sulla figura di Paolo Savona come ministro dell’Economia – erano decisamente più vicini alle priorità e posizioni della Lega che a quelle del M5S. Con il paradosso finale che la rottura (con il sogno di sedersi al governo sfumato in poche ore) si è consumata di fatto sulla questione del “piano B” per considerare l’uscita dall’Euro: un tema niente affatto cruciale (anzi divisivo) per il M5S. Così nel M5S è serpeggiata la sensazione che il M5S si sia fatto “usare” da Salvini.

Riguardo alla Lega, per questo partito anche una posizione netta sul “piano B” forse è più facilmente gestibile (anche se il suo elettorato su questo è diviso). Tuttavia non va dimenticato che l’importante ruolo di Salvini è stato possibile in quanto primo partito di una coalizione che ha preso il 35% e che comprendeva altri partiti (tra cui Forza Italia). In caso di nuove elezioni, per Salvini sarebbe così facile correre da solo? E se si ricostruirà una coalizione di centro-destra, sarà facile trovare un accordo su posizioni che contemplano apertamente una possibile uscita dall’Euro? Sono questioni aperte.

E un’ultima considerazione va al Pd. Vedendo come Salvini era riuscito a portare a proprio vantaggio la trattativa con il M5S, viene da pensare che, se avesse accettato di trattare, un Pd dotato di una strategia più o meno chiara (che non fosse solo tattica elettorale) avrebbe probabilmente condotto il M5S a una trattativa con un esito positivo, e lontano dalle sirene del “piano B” e degli attacchi al presidente della Repubblica. E verosimilmente oggi avremmo un governo in grado di ottenere la fiducia delle Camere. Caratterizzato da tensioni, ma pur sempre un governo.

È anche dal Pd (che su Europa e Euro ha un elettorato molto compatto, quindi può puntare sul tema senza rischi) che dipenderà se il M5S (e forse la Lega) pagherà un prezzo per la propria ambiguità sull’Euro. Tuttavia il Pd attuale (ancora percepito come vicino alle elite, e lontano dai ceti più disagiati, e che non ha ancora avviato un’analisi del voto del 4 marzo) difficilmente può avere molto appeal per quegli elettori di sinistra delusi che avevano scelto il M5S e magari potrebbero lasciarlo per timore di una linea anti-Euro. Sarà probabilmente necessario un cambio di strategia. Staremo a vedere.