Le analisi condotte dal CISE hanno ampiamente dimostrato il peso dell’immigrazione sulle scelte di voto degli Italiani, nonché l’importanza che tale tema ha avuto (e continua ad avere) per il successo elettorale dei partiti di governo, in special modo della Lega (De Sio e Paparo 2018). Quest’ultima, nello specifico, adottando una linea dura sulla gestione dei flussi migratori e rivendicando apertamente la politica dei porti chiusi, è stata in grado di mobilitare l’elettorato italiano. Elettorato peraltro già ampiamente critico nei confronti del fenomeno: basti pensare che secondo alcuni recenti dati CISE, circa l’80% degli intervistati ritiene che il numero di migranti in Italia sia troppo alto, laddove solo il 20% ritiene che l’Italia possa accogliere un numero maggiore di migranti (vedi anche De Sio 2018).
Già, ma cosa c’è alla base degli atteggiamenti degli italiani nei confronti dell’immigrazione? In generale, vogliamo prendere in considerazione due possibili narrazioni e dimensioni esplicative: da una parte ci chiediamo se gli italiani esprimano posizioni critiche nei confronti dell’immigrazione a causa di una maggiore presenza (reale o percepita) di migranti sul territorio e della minaccia economica e di sicurezza (reale o percepita) che essi rappresentano; dall’altra, invece, ci chiediamo se tali atteggiamenti siano il frutto di fattori culturali latenti, che trovano la loro radice in predisposizioni valoriali pregresse, più profonde, e non certo nate negli ultimi mesi. La risposta a questo interrogativo non è banale. Una cosa infatti è scoprire che la capacità di mobilitazione della Lega di Salvini ha fatto leva su una nuova inquietudine dovuta alla crisi migratoria; altra cosa sarebbe scoprire che in realtà ha riportato alla luce degli atteggiamenti profondi che erano stati in passato anche alla base del consenso al centrodestra guidato da Berlusconi. Insomma, gli italiani, aizzati da Salvini, sono improvvisamente diventati tutti intolleranti (come si legge di frequente sui media), oppure – sostanzialmente – una parte di loro è sempre stata ostile all’immigrazione? In questo senso verrebbe da ricordare che la legge Bossi-Fini fu introdotta dall’intero centrodestra guidato da Berlusconi; e fu sempre nel seno di quella coalizione che Roberto Calderoli (all’epoca vicepresidente del Senato) paragonò la ministra Kyenge a un orango. Di conseguenza l’atteggiamento di chiusura espresso da Salvini in realtà è forse più in continuità con l’identità della coalizione di centrodestra di quanto appaia oggi nei commenti. Tuttavia vale la pena di esplorare il quesito basandosi su dati di opinione pubblica. Quanto delle posizioni critiche nei confronti dell’immigrazione è frutto di predisposizioni individuali radicate all’interno di una parte importante del corpo sociale?
Possibili fattori esplicativi
Diverse sono le argomentazioni che vengono utilizzate per spiegare atteggiamenti più o meno ostili nei confronti dell’immigrazione. Una prima argomentazione individua in fattori di disagio economico e deprivazione oggettiva la causa di atteggiamenti ostili nei confronti dell’immigrazione. L’ostilità nei confronti dei migranti e, più in generale, atteggiamenti di intolleranza politica, andrebbero dunque rintracciati nella paura diffusa (soprattutto tra le classi sociali più basse ed economicamente più vulnerabili) che un afflusso eccessivo di immigrati possa scalfire il benessere economico dei cittadini ‘autoctoni’, sottraendo lavoro e risorse (Scheve e Slaughter 2001). Sulla base di questo approccio, l’aspettativa è che le oggettive condizioni socioeconomiche dei ‘nativi’ possano incidere in modo significativo sul modo in cui vengono strutturati gli atteggiamenti nei confronti dell’immigrazione.
Una prospettiva diversa è fornita invece dalle teorie di prossimità e vicinanza. Secondo questo approccio, gli atteggiamenti nei confronti del fenomeno migratorio non sarebbero il frutto esclusivo di fattori sociali ed economici, ma piuttosto dell’esperienza diretta del fenomeno migratorio nella vita quotidiana, nonché della relativa percezione di insicurezza (personale e non economica) derivante dalla condivisione di spazi fisici e sociali (vedi Stouffer 1955, ad esempio, per quanto riguarda la relazione tra percezione della minaccia ed intolleranza politica). Da questo punto di vista, la prossimità e la visibilità dei migranti nei luoghi della vita quotidiana -come ad esempio nelle strade, sul posto di lavoro, nei mezzi pubblici, etc.- sarebbero alla base di atteggiamenti tendenzialmente più diffidenti ed ostili nei confronti dell’immigrazione (Fetzer 2000; vedi anche Hainmueller e Hopkins 2014, 236-237). Da una prospettiva opposta, alcuni studi mostrano tuttavia come la condivisione di spazi ed esperienze quotidiane crei in realtà i presupposti per una maggiore tolleranza, favorendo lo scambio di idee, la conoscenza reciproca ed un’apertura alla diversità (Fetzer 2000; McLaren 2003). Questo quadro ci porta a formulare due ipotesi rivali: da una parte, è lecito aspettarsi che una maggiore visibilità del fenomeno migratorio nella vita quotidiana delle persone possa generare una reazione ostile verso l’immigrazione. Dall’altra, è possibile ipotizzare che la presenza di immigrati favorisca in realtà la comunicazione e la reciproca comprensione, stimolando quindi l’apertura verso il diverso, verso ciò che non si conosce.
Gli argomenti che abbiamo brevemente descritto imputano gli atteggiamenti nei confronti dell’immigrazione a condizioni tendenzialmente oggettive (è il caso dello status socioeconomico o della prossimità) oppure a percezioni individuali derivanti in qualche misura da tali condizioni (è il caso delle percezioni di insicurezza personale che associano l’immigrazione a criminalità). Una terza argomentazione guarda invece all’effetto esercitato da una certa predisposizione valoriale. Sulla base di questa prospettiva, gli atteggiamenti verso l’immigrazione non sarebbero tanto (o soltanto) veicolati da condizioni oggettive di deprivazione economica e prossimità o da percezioni soggettive di insicurezza, quanto piuttosto da quell’insieme di principi generali ed esistenziali (i valori, appunto) che guidano le opinioni ed il comportamento sociale delle persone.
I valori possono essere definiti come principi astratti che regolano l’agire individuale. Essi sono anche considerati come elementi costitutivi delle ideologie politiche, gli elementi di base che fondano una struttura coerente di convinzioni che riguardano non solo il mondo sociale così come esso è ma anche come dovrebbe essere (Catellani e Milesi 2010). Da questo punto di vista, i valori non sono semplicemente guida dell’agire individuale (cosa è bene o più giusto fare per l’individuo) ma regolano anche l’atteggiamento degli individui nei confronti di determinate politiche o di specifiche issues (cosa sarebbe giusto che la politica facesse in relazione a determinate problematiche) (Catellani e Milesi 2010: 221). È assumendo questa prospettiva che l’interrogativo relativo al modo in cui i valori si collegano agli atteggiamenti verso l’immigrazione diventa chiaramente rilevante.
Già, ma come identificare i possibili valori? Il tentativo probabilmente più sistematico di identificare i valori principali che guidano l’agire umano è da attribuire allo psicologo Shalom Schwartz (1992, 1994, 2006). In una serie di studi condotti in più di 60 paesi, Schwartz ha identificato un elenco di dieci valori fondamentali che le persone riconoscono come principi guida del loro agire sociale e che individuano altrettanti obiettivi esistenziali: Universalismo (Comprensione e tolleranza); Benevolenza (Miglioramento del benessere delle persone vicine); Tradizionalismo (Rispetto della tradizione e della sua eredità); Conformismo (Rispetto delle regole, dell’ordine costituito e delle principali norme sociali); Sicurezza (Ordine sociale e sicurezza personale); Successo (Successo personale e riconoscimento sociale); Edonismo (Ricerca del piacere sensoriale); Autodirezione (Autonomia e controllo del proprio destino); Stimolazione (Ricerca di una vita in continua evoluzione e ricca di stimoli); Potere (Status economico e sociale elevato che dia accesso alle risorse necessarie per ottenere una posizione dominante rispetto agli altri). Sono questi i dieci valori che prenderemo in considerazione nella nostra analisi.
Gli Italiani e l’immigrazione
Al fine di valutare se ed in che misura le posizioni sull’immigrazione siano il frutto di variabili sociodemografiche, di oggettive condizioni di vicinanza oppure di predisposizioni valoriali pregresse, abbiamo utilizzato i dati raccolti in una recente indagine di opinione condotta dal CISE (Dicembre 2018) su un campione rappresentativo della popolazione elettorale italiana (N=1.113). La variabile di interesse è l’atteggiamento verso i flussi migratori, una variabile che ci consente di distinguere coloro che ritengono che l’Italia riceva troppi migranti da coloro che invece ritengono che l’Italia potrebbe accogliere più migranti.
Per valutare la consistenza di ciascuna argomentazione teorica discussa in precedenza, abbiamo costruito tre modelli analitici e per ciascun modello abbiamo fatto affidamento su un’analisi di regressione lineare (Tabella 1). Il primo modello (Modello 1) include una batteria di variabili che tengono sotto controllo le caratteristiche sociodemografiche dei rispondenti e che servirà come benchmark su cui valutare gli effetti delle variabili di maggior interesse per questo studio. Il secondo modello (Modello 2) aggiunge alle caratteristiche sociodemografiche dei rispondenti, alcune misure di prossimità con i migranti. Si tratta in particolare di variabili che misurano la presenza di colleghi stranieri nel posto di lavoro e la presenza di stranieri nelle strade in prossimità del luogo di residenza del rispondente. Un ulteriore indicatore individua quei rispondenti che segnalano episodi di criminalità di cui essi stessi o loro conoscenti siano stati vittime. Infine, il modello include il livello di insicurezza percepita dai rispondenti. Il terzo modello (Modello 3) aggiunge ai modelli precedenti la batteria formata dai dieci valori di Schwartz che sono stati precedentemente discussi.
Tab. 1 – OLS Regression analysis. Variabile Dipendente: Atteggiamenti verso l’immigrazione[1] Partendo dal primo modello, troviamo effetti statisticamente significativi per l’età ed il livello di istruzione. Rispetto alle persone di età compresa tra i 45/54 anni -la nostra categoria di riferimento-, i 18/35enni e gli ultra sessantacinquenni mostrano orientamenti sostanzialmente più favorevoli rispetto all’immigrazione. Allo stesso modo, i rispondenti con un livello di istruzione più elevato appaiono relativamente più aperti agli immigrati. In parte significativo è anche l’effetto della classe sociale. Nello specifico, nelle classi più basse gli atteggiamenti verso l’immigrazione sono più negativi se paragonati con gli strati sociali più alti -la nostra categoria di riferimento. Da questo punto di vista, i dati sembrano confermare, almeno in parte, quanto ipotizzato in letteratura e discusso nelle sezioni precedenti.
Aggiungendo l’insieme delle misure di prossimità e percezione della minaccia, la capacità esplicativa complessiva del modello migliora sensibilmente. L’R2 passa infatti dallo 0,05 relativo al Modello 1, allo 0,11 nel Modello 2, con una varianza spiegata dell’11%. In linea generale, il Modello 2 conferma quanto già visto in precedenza. Svanisce tuttavia l’effetto della classe sociale (già di per sé modesto nel Modello 1). Per quanto riguarda invece le misure di prossimità e percezione, i rispondenti che lavorano e collaborano con colleghi stranieri appaiono relativamente più aperti nei confronti degli immigrati. Questo risultato sembra dunque confermare quelle argomentazioni teoriche secondo cui un contatto diretto e collaborativo, come può essere quello che si svolge all’interno di un ambiente di lavoro, possano favorire un livello di empatia e tolleranza maggiore, favorendo quindi atteggiamenti generalmente più positivi nei confronti dei migranti. Notiamo invece che una maggiore percezione di insicurezza personale determina orientamenti più negativi rispetto alla possibilità di accogliere i migranti.
I valori (Modello 3) aggiungono una componente esplicativa ulteriore. Le predisposizioni valoriali, sebbene non cancellino del tutto l’effetto dell’istruzione, della percezione della minaccia e della presenza di stranieri nel posto di lavoro, fanno crescere l’R2 dallo 0,11 (registrato nel Modello 2) allo 0,25 con una varianza spiegata pari al 25%. Ciascuna delle tre componenti (socioeconomica, di prossimità e valoriale) restituisce quindi una particolare dimensione degli atteggiamenti verso l’immigrazione e contribuisce alla spiegazione complessiva del fenomeno. Tuttavia, il peso di ciascuna di queste tre componenti esplicative è radicalmente diverso. Il Modello 2 aggiungeva una varianza spiegata di 6 punti percentuali rispetto al Modello 1; la capacità esplicativa del Modello 3, invece, aumenta di ben 14 punti percentuali rispetto al Modello 2. In altre parole, rispetto alle condizioni oggettive di prossimità e rispetto alle percezioni di minaccia individuali dei rispondenti, le predisposizioni valoriali che guidano gli individui pesano più del doppio nel determinare gli atteggiamenti dei rispondenti verso l’immigrazione.
La nostra analisi suggerisce in particolare che i valori della sicurezza e del tradizionalismo incidono in modo particolarmente negativo sull’apertura ai migranti; al contrario, benevolenza ed universalismo giocano a favore di atteggiamenti relativamente più aperti. A margine, troviamo anche un effetto negativo sull’apertura ai migranti del valore dell’autodirezione. Se gli effetti relativi al tradizionalismo, alla sicurezza, alla benevolenza ed all’universalismo non stupiscono e sono sostanzialmente in linea con quanto già osservato in passato da altri studi (Catellani e Milesi 2010), appare invece controintuitivo l’effetto negativo dell’autodirezione, rispetto al quale studi precedenti mostrano un effetto contrario (Catellani e Milesi 2010). È molto probabile, tuttavia, che questo controverso risultato sia da attribuire alla distribuzione particolarmente sbilanciata della variabile che misura l’autodirezione. In effetti, circa il 95% del nostro campione identifica l’autonomia, l’originalità e la creatività come principi esistenziali particolarmente importanti nella loro vita.
Conclusioni
Il risultato delle nostre analisi mostra che le tre argomentazioni prese qui in considerazione, benché tutte in qualche misura rilevanti, contribuiscono in modo diverso a spiegare gli atteggiamenti nei confronti dell’immigrazione. Questi ultimi appaiono il risultato non tanto e non solo di condizioni di deprivazione economica oggettiva e di fattori sociodemografici; né tanto meno il frutto esclusivo di condizioni oggettive di prossimità agli immigrati o di percezione soggettiva di minaccia e insicurezza. Sono infatti le predisposizioni valoriali a fare la parte del leone e a spiegare la parte più rilevante delle differenze negli atteggiamenti sull’immigrazione.
Le difficoltà sperimentate in un mercato del lavoro precario, il timore di vedersi sottratte dagli stranieri risorse economiche e posti di lavoro, la percezione di insicurezza associata alla presenza cospicua di immigrati sono spesso considerati elementi alla base di opinioni piuttosto critiche nei confronti dell’immigrazione e tendono a fornire argomenti legittimanti di tali posizioni. Tuttavia, la capacità esplicativa di questi argomenti appare chiaramente limitata. Dietro, infatti, si nascondono elementi culturali pregressi, che hanno radici profonde nella storia personale dell’individuo e che predispongono il modo di pensare ed agire in società.
La principale implicazione di questo risultato è chiara: se è vero che i valori sono l’elemento chiave per capire il modo in cui le persone si rapportano al fenomeno migratorio, è plausibile allora ipotizzare che il successo elettorale di un partito come la Lega -che ha investito ampiamente sulla tematica dell’immigrazione- sia dipeso esattamente dalla capacità del partito di dare voce e visibilità a quei principi esistenziali, a quei valori che più di altri favoriscono atteggiamenti critici, se non addirittura ostili, nei confronti dei migranti.
Il problema, tuttavia, è che elementi come i valori – veri e propri principi esistenziali – difficilmente sono soggetti a fluttuazioni di breve termine; rappresentano aspetti più profondi della struttura individuale di atteggiamenti e opinioni. Ecco quindi che ci risulta difficile unirci a quelle interpretazioni che vedono gli ultimi anni (tra crisi migratoria e arrivo di Salvini al governo) come responsabili di una qualche mutazione genetica che avrebbe visto degli italiani “brava gente” trasformarsi improvvisamente in razzisti. In realtà, il fatto che questi atteggiamenti siano spiegati da orientamenti valoriali generali suggerisce proprio che si tratti di caratteristiche più strutturali di una parte dei cittadini italiani, d’altronde in linea con il consenso che per vent’anni aveva sostenuto la coalizione di centrodestra e le sue politiche restrittive verso l’immigrazione. Si tratterà dunque di atteggiamenti che verosimilmente andranno tenuti bene in conto, anche per il futuro.
Riferimenti bibliografici
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De Sio L e Paparo A (2018) Il mandato del 4 marzo. Dietro vittorie e sconfitte, la domanda di affrontare vecchi problemi e nuovi conflitti, In Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo (a cura di), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018 (pp. 153.158). Dossier CISE (11), LUP e CISE, Roma.
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Stouffer S (1955). Communism, Conformity, and Civil Liberties. New York: Doubleday.
[1] Il segno ‘+’ indica un atteggiamento più favorevole nei confronti dell’immigrazione rispetto alla categoria di base; il segno ‘-’ indica, invece, un atteggiamento relativamente meno favorevole nei confronti dell’immigrazione. Per ciascuna variabile l’etichetta ‘Base’ indica la categoria rispetto alla quale sono calcolati gli effetti. Ad esempio, nel caso dell’età il segno positivo associato alla coorte 18-35 anni indica che questa classe di età è relativamente più favorevole all’immigrazione rispetto alla categoria base, vale a dire la classe di età 45-54. Sono riportati solamente gli effetti che sono risultati significativi (p.<0.05).