Il ribaltone è servito in Piemonte. Nuovamente. Se negli Stati Uniti il caso emblematico di swing-state, ossia quegli Stati che cambiano spesso maggioranza di elezione in elezione, in Italia, per fare un paragone (un po’azzardato), il nostro Ohio è proprio il Piemonte, avendo continuamente cambiato colore politico nell’ultimo ventennio. Sergio Chiamparino (Partito Democratico, PD), dopo Mercedes Bresso (PD) ed Enzo Ghigo (Forza Italia) è il terzo incumbent sconfitto nell’ultimo ventennio; solo Enzo Ghigo dalla Seconda Repubblica ad oggi è riuscito a confermarsi alla guida della regione per due mandati (1995-2000 e 2000-2005). A queste elezioni Chiamparino non si presentava certo quale favorito, risentendo le elezioni regionali del traino delle elezioni europee, in cui la Lega (al 37,1%) ha distanziato di quasi 15 punti il PD (23,9%) e i 5 Stelle (fermi al palo al 13,3%). A trionfare è stato Alberto Cirio, un passato nella Lega Nord di marca bossiana, ed ex eurodeputato di Forza Italia nella legislatura appena conclusa. Questi ha raccolto il 49,9% con cui stacca il competitor democratico di quasi 15 punti: segno di una nettissima vittoria.
Un’elezione, quella regionale, che ha risentito anche del dibattito all’interno del governo (e nelle piazze) sulla questione TAV: la Lega, insieme ai partiti mainstream e Fratelli d’Italia a sostenere la necessità dell’opera e i 5 Stelle, con la sinistra radicale e i verdi sul fronte opposto. Con la sinistra radicale non presentatasi con un proprio candidato e i verdi alleati nella lista di Liberi e Uguali, solo il Movimento 5 Stelle reppresentava un’opzione elettorale a sostegno delle ragioni del NO alla grande opera. Dentro il centrodestra unito e il centrosinistra ben due liste (una per parte) hanno all’interno del simbolo la scritta “Sì TAV”, segno di una condivisone di vedute all’interno dei due schieramenti.
L’offerta elettorale
Andando con ordine, in Piemonte erano quattro i candidati ai nastri di partenza: Alberto Cirio sostenuto da cinque liste (le tre canoniche di centrodestra, ossia Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, più l’UDC e la lista Sì TAV); l’uscente Sergio Chiamparino, sostenuto da ben sette liste, tra le quali spiccano il PD e Più Europa; Giorgio Bertola, consigliere regionale uscente del Movimento 5 Stelle, il quale aveva nettamente sconfitto Luca Zacchero alle regionarie lo scorso ottobre; e l’outsider Valter Boero, candidato per il Popolo della Famiglia.
Il risultato elettorale
Anche le elezioni del 2019, analogamente a quelle del 2014, come ricordato, si sono svolte in concomitanza con le elezioni europee: cinque anni orsono, era stato Chiamparino a sfruttare l’onda lunga del PD a guida renziana – capace di ottenere il 40,8% nella tornata sovranazionale – e staccare nettamente (25 punti percentuali) Gilberto Pichetto, candidato del centrodestra (Volpi 2014). Oggi è invece toccato a Chiamparino soffrire l’ondata verde della Lega alle europee, capace di far risalire il centrodestra dal 22,1% del 2014 al 50% attuale. Una elezione, questa, che si conferma più in linea con quella precedente, rispetto a quelle del 2010 e del 2005 – nelle quali la differenza tra i due blocchi era stata davvero risicata. Si pensi alle elezioni del 2010 in cui il candidato legista Roberto Cota sopravanzò Mercedes Bresso di soli 10.000 voti. Nel 2019 la differenza tra i due blocchi è pari a 14 punti, ovvero oltre 300.000 voti (con 4.805 sezioni scrutinate su 4.807).
Si è parlato fin qui del trascinamento delle elezioni europee, ma quanto si discostano questi risultati da quelli regionali? Poco, in effetti. La Lega rispetto alle Europee conferma la percentuale ottenuta livello regionale (37,1%), nonostante perda in termini assoluti 100.000 voti. Un dato che tuttavia è in linea con la discrasia riscontrata nel caso del PD nel 2014, quando i voti raccolti in meno da Chiamparino erano oltre 210.000 (Volpi 2014). Anche il PD (-1,5% la differenza tra europee e regionali), Forza Italia (-0,7%) e Fratelli d’Italia (-0,5%) sono stabili tra le due consultazioni elettorali. Nemmeno il Movimento 5 Stelle riesce ad invertire la rotta negativa delle europee, fermandosi al 12,6% rispetto al 13,3% delle europee.
Un’altra considerazione a parte la merita certamente il confronto con le elezioni politiche del 2018, anche perché ci permette di aprire la questione della sconfitta del Movimento 5 Stelle. Dei quasi 650mila voti raccolti lo scorso anno, il Movimento ne perde quasi 360mila, oltre la metà. E se il dato assoluto è distorto dal calo dell’affluenza, basterà qui ricordare che il 25,4% nei due collegi piemontesi è più del doppio della percentuale raccolta dai grillini quest’anno. E se per la Lega è facile intuire la crescita tanto in termini percentuali quanto anche in termini assoluti (nonostante il calo dell’affluenza), è altrettanto degna di nota la tenuta del PD che lascia per strada quasi 50.000 voti, ma che nel complesso e anche a causa di una maggiore dispersione nel voto regionale, riesce a ritornare seconda forza dello spettro politico piemontese.
Tab. 1 – Risultati elettorali in Piemonte nelle recenti elezioni regionali, politiche ed europee[1]
In conclusione, come cinque anni orsono, le elezioni regionali piemontesi “soffrono” il clima del paese a livello nazionale e ancora una volta si assiste ad un cambio politico a Palazzo Lascaris (Volpi 2014). Quanto questo cambio sia stabile è difficile dirlo: tra cinque anni, a meno di elezioni anticipate, il Piemonte potrebbe trovarsi nella stessa situazione odierna, ossia quella di una regione che dipende dal clima nazionale e quindi dal voto delle Europee per decidere il proprio futuro.
Riferimenti bibliografici
Volpi, E. (2014), ‘Elezioni Regionali in Piemonte: vittoria del centrosinistra o disfatta del centrodestra?’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2014/05/28/elezioni-regionali-in-piemonte-vittoria-del-centrosinistra-o-disfatta-del-centrodestra/
[1] Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale (per le politiche 2018 sono riportati i voti espressamente assegnati ai partiti, prima dell’attribuzione dei voti al solo candidato di collegio sostenuto); nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari.
Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella categoria partiti di sinistra rientrano: PRC, PC, PCI, PAP, SEL, SI, MDP, LeU, RC, PCL. Nella categoria altri partiti di centrosinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA, Italia in Comune. Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT.
Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (uninominali), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013 e le regionali 2013, abbiamo considerato quali voti raccolti dai candidati quelli delle coalizioni (che sostenevano un candidato, premier o governatore). Sinistra alternativa al PD riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PRC, PCI, PC, MDP, LeU, SI, SEL, PCL, Insieme, PSI, +EU, CD, DemA, Verdi, IDV, Radicali – ma non dal PD. Il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD; il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI (ma né PD né FI/PDL). Il Centrodestra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI (o il PDL). La Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell, ITagliIT – ma non FI (o il PDL).
Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.
Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).