945 parlamentari erano troppi? 600 sono troppo pochi? Ed esiste un numero “ottimale” di parlamentari? Il problema non è nuovo nella scienza politica, e uno dei contributi più interessanti sul tema è arrivato anni fa da Rein Taagepera, forse uno dei più importanti politologi viventi, insignito nel 2008 dell’ambitissimo premio Skytte, la più prestigiosa onorificenza nell’ambito della scienza politica, equivalente di un premio Nobel per questa disciplina.
In una serie di articoli Taagepera (2002; 1972) si confrontò con il problema delle dimensioni ottimali di un’assemblea rappresentativa partendo da un punto di vista molto semplice. Il lavoro quotidiano dei parlamentari ruota essenzialmente intorno a due funzioni: rappresentare efficacemente le opinioni dei cittadini che li hanno eletti e dialogare tra loro, confrontando diversi punti di vista, per giungere a decisioni condivise. E questa natura duale è ben rappresentata dalla scansione tipica della settimana dei parlamentari nella maggior parte delle democrazie, che in genere si divide tra alcuni giorni dedicati al lavoro nella capitale (in genere quelli centrali della settimana) ed altri dedicati invece al lavoro sul campo nella circoscrizione che li ha eletti.
Ora: entrambi i compiti diventano problematici quando aumenta il numero di relazioni sociali da gestire. Rappresentare un collegio di 10.000 abitanti è più agevole rispetto a una circoscrizione di un milione di abitanti; in base a questo criterio quindi bisognerebbe avere un numero molto alto di parlamentari. Tuttavia, come sa chiunque abbia mai partecipato anche solo a un’assemblea di condominio, prendere decisioni in un comitato di 10 persone è senza dubbio più rapido ed efficiente che in un’assemblea di 80; in base a questo criterio quindi bisognerebbe avere un numero basso di parlamentari. Come quasi sempre in politica, ci sono quindi due esigenze confliggenti tra loro. Come conciliarle?
Taagepera a questo punto formula il problema in semplici termini matematici, alla ricerca – data una popolazione di dimensione X – di quale numero di parlamentari offra il rapporto ottimale, ovvero riesca a rendere il più piccolo possibile (e quindi il più facile possibile da gestire) il numero totale di relazioni sociali (con i propri elettori, e con i propri colleghi) che ogni parlamentare deve gestire.
La soluzione è quella che è conosciuta come la legge cubica della dimensione delle assemblee: ovvero, se una popolazione ha dimensione X, il numero di parlamentari ottimale corrisponde alla radice cubica di X.
La cosa affascinante è che questo risultato apparentemente astratto corrisponde in modo sorprendente (a meno di un ovvio margine di errore, dovuto alle particolarità di ogni paese) alle dimensioni effettive delle assemblee rappresentative nella maggior parte dei paesi del mondo. La figura 1 lo mostra bene: nel grafico si nota bene la corrispondenza tra la curva (la previsione teorica della “legge cubica”) e i punti che corrispondono alle effettive assemblee dei vari paesi.
Fig. 1 – La legge cubica del rapporto tra popolazione e rappresentanti: paesi europei, più Stati Uniti e Russia
A questo punto la curiosità ovvia riguarda l’Italia. 945 parlamentari erano troppi? 600 sono troppo pochi? Proviamo a vedere l’applicazione della legge cubica riguardo all’Italia. In questo caso la popolazione di riferimento corrisponde al numero di elettori, che per il nostro paese nelle elezioni politiche del 2018 era di 46.505.350 (sono esclusi gli under 18). Ebbene, la radice cubica di questo numero è circa 360.
Di conseguenza un’assemblea di questa dimensione offrirebbe, secondo la teoria, la combinazione ottimale tra possibilità del parlamentare di rappresentare i propri elettori e capacità di gestire l’assemblea in modo efficiente. Questo risultato quindi parrebbe suggerire che la riforma vada nella direzione giusta. Se si considera la sola Camera (come fa Taagepera nella sua analisi, considerando solo le “Camere basse”), infatti, il numero di 400 sarebbe addirittura superiore al 360 ottimale, suggerendo che la riforma sia andata nella direzione giusta.
Tuttavia c’è un però. Come abbiamo detto all’inizio, ogni paese ha le sue peculiarità storiche, geografiche e sociali, che portano alcuni paesi a deviare anche molto dalla “legge cubica”. Ebbene, in confronto ad altri paesi, l’Italia ha delle peculiarità che suggerirebbero una deviazione? Quella più importante che viene in mente è che l’Italia è sostanzialmente un paese eterogeneo: un paese di unificazione politica (ma anche linguistica) relativamente tarda, in cui permangono differenze ancora grandissime tra diverse regioni. Come si può incorporare questo dato nel nostro ragionamento teorico? Un modo rozzo, ma che ci può dare un suggerimento sulla direzione di analisi, può essere quello di considerarlo, ad esempio, non come un solo paese di 46 milioni di elettori, ma come due paesi di 23 milioni: un modo sbrigativo ma efficace per incorporare l’idea di un paese eterogeneo. Ora, la radice cubica di 23 milioni è 285. Il che significa che, se una “metà paese” di 23 milioni è rappresentata in modo ottimale da 285 parlamentari, l’intero paese (fatto di due metà molto diverse tra loro) sarebbe rappresentato in modo ottimale dal doppio, ovvero da 570 parlamentari. Senza prendere alla lettera questo risultato (per quanto eterogenea sia l’Italia, è assurdo sostenere che l’Italia sia composta di due paesi separati!), tuttavia si capisce come, in caso di un paese particolarmente eterogeneo, si possa considerare come il numero ottimale potrebbe essere superiore a quello previsto dalla teoria. E quindi la domanda vera non è se 400+200 siano troppi o siano pochi, ma invece: quanto è eterogenea l’Italia?
Riferimenti bibliografici
Taagepera, R. e Recchia, S.P. (2002). The size of second chambers and European assemblies, European Journal of Political Research, 41: 165–185
Taagepera, R. (1972). The size of national assemblies, Social Science Research, 1: 385-401