Testa e cuore, alto e basso, buongoverno e scontro politico. Mai come in questa elezione queste due dimensioni fondamentali della politica sono apparse distinte e al tempo stesso entrambe indispensabili per il successo elettorale.
La compresenza di due elementi appare in primo luogo dal risultato di Bonaccini. Anzitutto a partire dalla campagna elettorale: una campagna che si è snodata su due percorsi separati, che non si sono mai incontrati ma che, come diceva un tempo la sinistra, hanno “marciato divisi per colpire uniti”. Tutta improntata all’insegna (quasi tecnocratica) della rivendicazione apartisan di una buona amministrazione la campagna di Bonaccini; viceversa, all’insegna della rivendicazione dei valori della sinistra (e soprattutto contro Salvini) quella delle Sardine.
I dati ci dicono che nel successo di Bonaccini sono inscindibili entrambi gli elementi:
Buongoverno. Il “buongoverno” rivendicato da Bonaccini ha chiaramente contato. Non solo i dati aggregati ci dicono che Bonaccini ha portato un valore aggiunto significativo in termini di voto disgiunto e voti al solo presidente. Ma andando ad analizzare – mediante le prime analisi da un’indagine campionaria CISE su 1000 intervistati (CATI-CAMI) svolta poco prima del voto – emerge l’importanza del buongoverno per la vittoria di Bonaccini: le caratteristiche dei candidati, e l’approvazione per l’operato del governo regionale, hanno una capacità esplicativa rilevante per il voto a Bonaccini. Il buongoverno ha contato.
Politicizzazione. Tuttavia, la politicizzazione della campagna elettorale ha contato forse altrettanto. Vari dati puntano con grande chiarezza in questa direzione:
1. Anzitutto, la grande mobilitazione alla partecipazione, oltretutto asimmetrica: la partecipazione elettorale è cresciuta moltissimo rispetto alle precedenti regionali, tornando ai livelli delle regionali del 2010. Ma soprattutto emerge una relazione netta – e statisticamente significativa – tra forza elettorale di PD (e M5S) nelle elezioni più recenti e aumento della partecipazione. In altre parole, i comuni dove era più forte la sinistra hanno aumentato maggiormente la partecipazione, mentre quelli dove era più forte la Lega hanno visto l’effetto opposto. Aspetto che si è ulteriormente tradotto in un’aumento della polarizzazione tra città e piccoli centri. Non necessariamente in linea col passato (all’epoca della “subcultura rossa” città e campagna erano molto simili), ma senza dubbio all’insegna di una politicizzazione. Impossibile quindi pensare a un semplice effetto-buongoverno: appare chiaro che la politicizzazione dello scontro operata da Salvini (e che ha provocato la contro-politicizzazione delle Sardine) ha caricato il voto di significato politico, paradossalmente rimobilitando più la sinistra della destra. In una misura che probabilmente è stata il segreto del successo di Bonaccini, che forse non sarebbe riuscito ad affermarsi (e così nettamente) puntando soltanto sulla qualità dell’amministrazione.
2. In secondo luogo, una sorprendente e inattesa mobilitazione sociale, che testimonia il significato politico dello scontro. Dai dati dell’indagine esclusiva CISE emerge un’inedita polarizzazione: le tre categorie professionali più nettamente orientate verso Bonaccini sono studenti, operai e disoccupati; di contro le più orientate verso Borgonzoni sono imprenditori, liberi professionisti e casalinghe. Per certi versi una riedizione dei blocchi sociali che avevano caratterizzato centrosinistra e centrodestra nella Seconda Repubblica, a testimonianza della rivitalizzazione di un forte scontro politico.
3. Scontro infine testimoniato dall’esito forse più netto in termini di competizione: la nettissima bipolarizzazione dell’elezione, con il M5S ridotto sotto il 5%. Un M5S stretto non solo da un sistema elettorale maggioritario, destinato a falcidiare i terzi poli non competitivi, ma dalla forte politicizzazione dell’elezione in termini di scontro tra Salvini e Sardine.
Ma la divisione del voto in due facce riguarda anche Salvini e la sua strategia nazionale, con un dato importante che viene dalla Calabria. La poderosa espansione del Capitano nel Sud alle ultime Europee aveva destato l’impressione che la Lega potesse diventare il baricentro fondamentale della strategia del centrodestra in tutta Italia. In realtà la Calabria mostra che il successo al Sud del 2019 veniva da un elettorato (e da un ceto politico) di centrodestra orfano di riferimenti, e che si era rifugiato in Salvini: un anno dopo, sia i vari referenti politici locali che i loro voti si sono distribuiti tra i vari partiti di centrodestra, premiando anche l’iniziativa di Fratelli d’Italia e riportando addirittura Forza Italia come primo partito. A questo punto – soprattutto anche dopo la sconfitta in Emilia-Romagna, forse anche dovuta a qualche eccesso di Salvini – è la strategia del centrodestra a dover essere ridiscussa: la capacità del leader della Lega di parlare al cuore, al “basso” dell’elettorato di centrodestra non è sufficiente. Senza una componente più moderata e votata al governo (e al buongoverno) risulta difficile costruire un’offerta vincente.
Considerazioni, in definitiva, che ci suggeriscono un’interpretazione complessiva di questa elezione. Negli ultimi anni (probabilmente dal momento della cesura fondamentale del governo Monti – vedi Chiaramonte e De Sio 2019) si era consumata una rottura tra testa e cuore, tra alto e basso. Con i grandi partiti mainstream votati al solo orizzonte tecnocratico ed elitario della gestione, del buongoverno: venendo poi sfidati nelle piazze (e battuti nel voto) dai partiti “populisti” capaci invece di parlare al basso, al cuore (e alla pancia) degli elettori. Tuttavia gli anni successivi del governo gialloverde – e in ultimo il voto di ieri – ci mostrano come queste due componenti siano entrambe indispensabili. In particolare in Emilia-Romagna: Bonaccini riesce a vincere soltanto perché vede le sue capacità di governo sostenute (anche contro Salvini) da un’inaspettata (e non richiesta) mobilitazione popolare. Ma quanto ancora questi due elementi potranno camminare quasi ignorandosi reciprocamente? E’ questo probabilmente il senso della enorme sfida che attende il Pd (e specularmente il centrodestra): riuscire a costruire un nuovo progetto politico in grado di rimettere insieme testa e cuore, alto e basso. Ricetta (anche in relazione a come evolveranno le strategie del M5S) probabilmente indispensabile anche per la sopravvivenza e la riuscita del governo.