Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 12 Maggio
Non ho mai incontrato Giuseppe Conte. Forse ci siamo incrociati nei corridoi dell’Università di Firenze quando lui era professore nella Facoltà di Giurisprudenza e io ero a Scienze Politiche. L’ho visto da vicino (si fa per dire) una sola volta. È stato a Ottobre del 2019 alla Mostra d’Oltremare di Napoli. Ero a Napoli per altri motivi proprio il weekend in cui il M5s festeggiava il decennale dalla sua fondazione. Mi sono seduto sugli spalti insieme a migliaia di aderenti, come se fossi uno di loro. Prima ha parlato Di Maio. E successivamente è stata la volta di Conte.
Ero molto curioso di sentirlo parlare agli iscritti del Movimento. E la mia curiosità è stata subito ripagata appena l’ho sentito rivolgersi a loro con la seconda persona plurale. I vostri valori, il vostro progetto e così via. Era il presidente del consiglio che parlava, non il leader scelto dal Movimento per ricoprire quella carica prima con la Lega e poi con il Pd. Conte non si presentava come uno del Movimento. E la cosa è diventata ancora più chiara quando immediatamente dopo il suo discorso è stato intervistato sul palco insieme a Di Maio e a una precisa domanda del giornalista che gli chiedeva se si sarebbe mai iscritto a un meet-up la risposta è stata un chiaro e secco no. Eppure prima e dopo l’intervista lui, non Di Maio, è stato il leader più applaudito dai grillini assiepati sugli spalti. Ho pensato a una famosa frase di Churchill a proposito degli inglesi e l’Europa: sono con voi ma non sono uno di voi.
Questo è il rapporto che lega Conte al Movimento. E lui non ne ha mai fatto mistero. Eppure, la metà degli elettori pentastellati pensa che sia uno di loro (Figura 1), come risulta dal sondaggio Winpoll-Sole24Ore. Qualcuno pensa addirittura che sia più vicino al Pd e il 41% non lo considera vicino né al Movimento né al Pd. Già questo ci fa capire che siamo di fronte a un fenomeno peculiare. Tanto più che i nostri dati dicono che una fetta non irrilevante degli elettori del Pd, il 24%, pensa che sia più vicino al loro partito che al M5s.
Fig. 1 – La vicinanza politica di Giuseppe Conte. Fonte: Winpoll-Il Sole 24 Ore
Giuseppe Conte per sua stessa ammissione è un leader senza partito. Non esiste un caso simile in tutta Europa. Forse al mondo. E si badi bene non è un tecnico. Non si considera tale. E non è considerato tale. Non è paragonabile a Ciampi, Dini o a Monti. È un politico sui generis. È questo che rende la sua figura così anomala e allo stesso tempo così intrigante.
Per certi aspetti il Conte di oggi ricorda Romano Prodi. Anche lui professore, di economia nel suo caso, prestato alla politica e diventato due volte Presidente del Consiglio. Anche Prodi non aveva un partito alle spalle. La Dc da cui proveniva era sparita. Invece di farsi un partito si è inventato un progetto: l’Ulivo. Cosa era l’Ulivo? Era il tentativo di amalgamare due culture: quella cattolica progressista e quella ex comunista. Conte non ha un progetto simile. Naviga a vista. Prima è stato il mediatore tra Lega e M5s. Adesso svolge lo stesso ruolo tra Pd e M5s. Lo fa bene. Tanto bene da essere diventato indispensabile agli uni e agli altri. È difficile oggi immaginare un altro governo con questa maggioranza senza Conte. Con buona pace di Renzi e di quella parte della leadership del Movimento che non lo sopporta più. Domani non si sa.
Può essere che la crisi economica prenda una piega talmente catastrofica da non potere essere gestita da un governo con una maggioranza così fragile. In questo caso è difficile che Conte possa restare al suo posto. Ma del domani non c’è certezza. E allora si può continuare a ragionare sul possibile futuro del nostro anomalo presidente del consiglio. Se questo governo durerà, il confronto con Prodi diventerà più pregnante. Conte, come Prodi, potrebbe diventare il leader del polo di centro-sinistra in un sistema non più tripolare. Sarebbe l’artefice di un nuovo bipolarismo fondato sulla alleanza organica tra Pd e Movimento. Né più né meno di quello che Prodi fece con Ds e Margherita.
C’è chi inorridisce di fronte a questo scenario pensando alla natura del Movimento e alla sua inaffidabilità. È certamente opinione plausibile, ma intanto l’attuale esecutivo è fondato su questa alleanza che per molti sarà pure innaturale e temporanea, ma è quella che ci consente di avere al governo l’unico grande partito europeista in un momento in cui il rapporto con l’Europa per noi è decisivo. Non c’è dubbio che l’obiettivo di amalgamare Pd e M5s si presenta oggi di gran lunga più arduo del progetto ulivista. Più arduo ma non meno importante. Anzi. In gioco non c’è solo la creazione di un polo alternativo a quello della destra, ma il consolidamento definitivo della nostra appartenenza all’Unione. Prodi ci ha portato dentro l’Euro. Conte ci farebbe restare.
La differenza tra i due è che il progetto di Prodi è stato facilitato da due sistemi elettorali prevalentemente maggioritari che ‘costringevano’ i partiti ad allearsi prima del voto. Quello di Conte deve vedersela con un sistema elettorale prevalentemente proporzionale. Non è una differenza da poco. Tanto più che quello che oggi è ancora un sistema misto potrebbe domani diventare un sistema totalmente proporzionale. E allora sarebbe tutta una altra storia. Ma per ora c’è la pandemia, che rappresenta un rischio ma anche una grande opportunità. Se Conte riuscisse a gestire in maniera efficace l’emergenza economica con i soldi dell’Unione Europea quello che oggi sembra a molti un progetto irrealistico potrebbe non essere più tale.