Alla vigilia delle imminenti elezioni europee, nel dibattito pubblico sui media si vanno già formando delle aspettative sul risultato; e per ogni partito i commentatori vanno definendo delle “soglie” che ne determineranno il successo o l’insuccesso. Il tutto in un processo essenzialmente governato dall’attualità politica, e in cui si parte dal presupposto che le elezioni europee siano l’equivalente di un sondaggio sul voto politico. Tuttavia sappiamo (da analisi sistematiche sul voto europeo, su cui c’è ormai una letteratura consolidata) che le elezioni europee hanno caratteristiche particolari che ne distorcono un po’ il risultato. E quindi di queste caratteristiche dovremo tenere conto nell’interpretare il voto: al punto che per alcuni partiti un risultato in linea con le ultime politiche potrebbe essere un grande successo, mentre per altri potrebbe essere una cocente delusione. E perché? Andiamo a vederlo nel dettaglio.
Cosa dice la teoria: le europee come elezioni di ‘secondo ordine’ La principale teoria riguardante le elezioni europee, sviluppata da Karlheinz Reif e Hermann Schmitt (1980) all’indomani delle prime elezioni per il Parlamento Europeo nel 1979 (e corroborata da decine di analisi nei decenni successivi) considera il voto alle europee come ‘di secondo ordine’ (second-order) rispetto al voto per le elezioni politiche nazionali. Il punto centrale della teoria è che alle europee la posta in palio è inferiore (‘there is less at stake’, p. 9) perché, a differenza che alle elezioni politiche, non si compete per il governo nazionale. Questa generale percezione di minore importanza genera alcuni assunti chiave che si traducono empiricamente in aspettative circa i risultati finali dei partiti. Le principali aspettative sono le seguenti:
1.Minore partecipazione al voto. Diretta conseguenza della percezione delle europee come elezioni di ‘secondo ordine’ è un maggior tasso di astensione. I cittadini meno interessati alla politica – che magari alle elezioni politiche nazionali alla fine si convincono a votare vista l’importanza della posta in gioco – saranno più propensi a restare a casa, nel caso di queste elezioni di secondo ordine.
2.I partiti di governo perdono voti. Questo assunto dipende molto dal momento del ciclo elettorale in cui cadono le elezioni europee. In generale, il governo, passato l’idillio della luna di miele (primi 100 giorni) inizia a pagare il cosiddetto ‘cost of ruling’ (Paldam 1981) dovuto all’inevitabile gap temporale tra le promesse elettorali e i tempi necessari affinché la traduzione di queste ultime in politiche pubbliche dispieghi i suoi effetti. La teoria ci dice che circa a metà della legislatura il governo tocca il punto minimo di popolarità per poi risalire con la fine della legislatura e l’avvicinarsi della successiva campagna elettorale (Tufte 1975). Inoltre, a prescindere dal momento in cui cadono, le elezioni europee – proprio in quanto ‘second order’ – costituiscono un’occasione per gli elettori, anche per quelli filo-governativi, per dare un segnale al governo, facendo ‘voice’ (Hirschman 1970) ossia esprimendo il proprio possibile malcontento per le specifiche politiche del governo (e senza rischi di farlo cadere, visto che non è un’elezione politica). Questo comporta quindi un possibile passaggio di voti dal governo all’opposizione.
3.I grandi partiti perdono voti a vantaggio dei piccoli. Dal momento che la posta in palio è inferiore, il richiamo al voto strategico (o voto utile) non fa presa sull’elettorato. Mentre alle elezioni politiche l’elettore accantona spesso la propria prima preferenza per votare il suo ‘second best’ se quest’ultimo ha più chances di vincere e conquistare il governo (o semplicemente più chance di impedire la vittoria del partito più odiato), alle europee questi ‘effetti psicologici’ (Cox 1997) dei sistemi elettorali giocano un ruolo marginale: i piccoli partiti non saranno danneggiati dal ricatto del voto utile e (quasi) tutti gli attori in gioco saranno percepiti come alternative praticabili (viable).[1] Questo comporta quindi, rispetto alle elezioni politiche, maggiori chance per i partiti più piccoli.
Gli assunti delle elezioni di secondo ordine applicati all’Italia del 2024 La teoria di Reif e Schmitt (1980) ha dimostrato di funzionare molto bene e predire efficacemente le performance dei partiti alle elezioni europee, diventando un punto di riferimento essenziale per tutti coloro che studiano questo tipo di competizione (Reif, Schmitt e Norris 1997; Marsh 1998; Hix e Marsh 2011). Possiamo quindi cercare di capire come gli assunti di partenza della teoria si applicano al caso italiano e quali conseguenze – in termini di performance positive o negative – possiamo attenderci dal voto del 8 e 9 giugno prossimi. Cominciando dalla partecipazione, l’affluenza si abbasserà rispetto alle politiche (aspettativa 1). Questo è praticamente certo: ma di quanto? Difficile prevederlo con certezza, anche se abbiamo alcuni punti di riferimento. Sia nel 2014 (rispetto alle politiche 2013) che nel 2019 (rispetto alle politiche 2018) il gap di partecipazione politiche-europee fu di circa 16-17 punti. Dovesse mantenersi questo trend, dal 63,9% delle politiche scenderemmo al 47-48%, circa 8-9 punti in meno rispetto al 56,1% del 2019. Difficile dire se davvero l’affluenza scenderà tanto in basso o se invece ci avviamo a raggiungere una sorta di plateau, avendo magari già in larga parte scontato gli effetti di lungo periodo (es. il ricambio generazionale) che incidono sulla partecipazione. Di certo possiamo affermare che se davvero scenderemo sotto il 50% di votanti, quelle dell’8 e 9 giugno sarebbero le prime elezioni della storia della Repubblica in cui la maggioranza assoluta degli italiani decide di astenersi. In secondo luogo: come inciderà il calo dell’affluenza sul voto ai partiti? Qui possiamo fare alcune congetture, legate al fatto che in genere l’affluenza non diminuisce in modo omogeneo sul territorio. Il differenziale di affluenza fra politiche ed europee è maggiore al Sud: alle politiche del 2022 l’affluenza al Sud (dal Lazio in giù) è stata di circa 12 punti inferiore rispetto al Centro-Nord, mentre elle europee del 2019 la distanza tra le due aree del paese fu di circa 17,4 punti.[2] Si tratta di oltre 5 punti aggiuntivi di astensione che andranno a danneggiare i partiti che hanno nelle regioni meridionali la propria area di forza. Su tutti il Movimento Cinque Stelle (M5S) (25,3% al Sud nel 2022 contro l’8,9% al Centro-Nord) e, in misura inferiore, Forza Italia (10% al Sud nel 2022 contro il 6,7% al Centro-Nord). Al contrario, ad avvantaggiarsi da questa discesa asimmetrica dell’affluenza saranno tutti i partiti più radicati nel Nord: e in particolare la Lega, il Partito Democratico (PD), l’alleanza Verdi-Sinistra e le due liste di centro di Stati Uniti d’Europa (SUE) e Azione.[3] Passando all’aspettativa 2, se i partiti di governo perdono voti, ci aspettiamo che – a parità di ogni altra condizione – Fratelli d’Italia (FDI) vada peggio rispetto alle politiche. Questo perché si tratta del partito che esprime la Presidente del Consiglio e che quindi è il più esposto in una competizione che cade vicino alla metà del ciclo elettorale, ossia nel momento di maggior ribasso della popolarità del governo. Anche gli altri partner di governo, Lega e Forza Italia, potrebbero subire dinamiche simili ma con un’attenuante potenzialmente decisiva: a differenza di FDI non sono partiti ‘grandi’ (aspettativa 3) e non esprimono la Presidente del Consiglio, quindi sono meno esposti alla protesta anti-governativa e anzi potrebbero addirittura beneficiare del voto di elettori filo-governativi che vogliono dare un segnale al partito della premier. Riguardo all’opposizione, il generale beneficio del voto di secondo ordine va commisurato rispetto alla grandezza del partito (ancora una volta, la combinazione delle aspettative 2 e 3). La teoria ci dice infatti che i grandi partiti perdono voti a favore dei piccoli. Quindi il PD e il M5S dovrebbero, a parità di ogni altra condizione, perdere voti a favore dei loro competitor posizionati al centro (SUE e Azione) e a sinistra (Verdi-Sinistra, Pace, Terra, Dignità). Inoltre, come corollario alla teoria, giova ricordare che analisi più recenti (es. Schulte-Cloos 2018) mostrano che le elezioni europee favoriscono soprattutto il successo dei partiti challenger (es. Libertà di De Luca o Pace, Terra, Dignità di Santoro) e, in particolare, di quei partiti che enfatizzano nelle proprie campagne elettorali nazionali il tema dell’Europa, sia in senso positivo (es. SUE, Azione) sia negativo (es. Lega).[4]
Il risultato atteso dei partiti Possiamo a questo punto riassumere in una singola tabella le aspettative generate dalla teoria sulle performance attese dei partiti italiani: si tratta della Tabella 1. Limitandoci a valutare le conseguenze della teoria di Reif e Schmitt (1980) sui partiti italiani del 2024 – quindi senza tener conto degli effetti di breve periodo dovuti alla campagna elettorale, alla popolarità dei leader e alla qualità di candidati e programmi elettorali – siamo così in grado di definire la base strutturale del risultato, sulla quale poi valutare se i partiti, con i loro leader e le loro campagne, siano riusciti a fare meglio o peggio. Questa base strutturale risulta come segue. Anzitutto Fratelli d’Italia e M5S, per motivi diversi, dovrebbero peggiorare nettamente rispetto alle politiche del 2022. Al contrario, Lega, Verdi-Sinistra e i due partiti di centro (SUE e Azione) dovrebbero migliorare nettamente il proprio risultato. Infine, il PD dovrebbe migliorare leggermente, mentre Forza Italia dovrebbe registrare una lieve flessione. Tabella 1. Performance attesa dei partiti italiani alle europee 2024 rispetto alle politiche 2022 sulla base del modello. Sulla base di tali aspettative, potremo quindi valutare eventuali risultati devianti rispetto a questo modello come un successo o un insuccesso del partito in questione. Questo semplice strumento di analisi ci fornisce allora una guida utile per interpretare in modo relativamente più oggettivo il risultato del voto, tenendo conto dei vincoli strutturali che condizionano il risultato dei diversi partiti, a prescindere dalle loro performance di campagna. In un contesto, quello italiano, in cui – la notte elettorale e i giorni immediatamente successivi – tutti i partiti dichiarano, per un motivo o per un altro, di aver vinto (spesso usando lo strumento di comparazione più conveniente alla propria argomentazione: sondaggi della vigilia, aspettative pre-voto, confronto con le politiche, confronto con le europee, ecc.) ci sembra utile portare un contributo che permetta di separare diversi fattori. A questo punto non resta che attendere il risultato. Stiamo a vedere.
Bibliografia
Cataldi, M., Emanuele, V., & Maggini, N. (2024), ‘Territorio e voto in Italia alle elezioni politiche del 2022’, in A. Chiaramonte and L. De Sio (eds.), Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022, Bologna, Il Mulino, pp.177-216.
Chiaramonte, A., De Sio, L. & Emanuele, V. (2020), Salvini’s success and the collapse of the Five-star Movement: The European elections of 2019, Contemporary Italian Politics, 12(2), 140-154.
Hirschmann, A.O. (1970). Exit, Voice and Loyalty, Cambridge, Mass.: Harvard University Press.
Hix, S., & Marsh, M. (2011). Second-order effects plus pan-European political swings: An analysis of European Parliament elections across time. Electoral Studies, 30(1), 4-15.
Marsh, M. (1998). Testing the second-order election model after four European elections. British Journal of Political Science, 28(4), 591-607.
Paldam, M. (1981). An essay on the rationality of economic policy: The test-case of the electional cycle. Public Choice, 37(2), 287-305.
Reif, K., & Schmitt, H. (1980). Nine second‐order national elections–a conceptual framework for the analysis of European Election results. European Journal of Political Research, 8(1), 3-44.
Reif, K., Schmitt, H., & Norris, P. (1997). Second‐order elections. European Journal of Political Research, 31(1‐2), 109-124.
Schulte-Cloos, J. (2018). Do European Parliament elections foster challenger parties’ success on the national level? European Union Politics, 19(3), 408-426.
Tufte, E.R. (1975). Determinants of the outcomes of midterm Congressional elections. American Political Science Review, 69(3), 812-826.
[1] L’eccezione può essere rappresentata dalla presenza di alte soglie di sbarramento che possono far percepire come ‘sprecato’ il voto a formazioni minori che, secondo i sondaggi, sono date ampiamente sotto la soglia stessa (sul punto, vedi nota 4). Tuttavia, questo meccanismo si applica solo agli elettori più sofisticati che conoscono i sondaggi e i rapporti di forza tra i partiti.
[2] Ad acuire ancor di più la differenza Nord-Sud in termini di partecipazione rispetto alle politiche contribuisce la contemporanea presenza delle elezioni regionali in Piemonte. Inoltre, si voterà per le elezioni comunali in circa 3700 comuni. Nel 2019, fu proprio nel Sud che si registrarono i maggiori differenziali fra comuni in cui si votava solo per le europee e comuni in cui si votava anche per le comunali (+27,8 punti in questi ultimi a fronte di una media di +20,5 in Italia, vedi Chiaramonte, De Sio e Emanuele 2020). Eppure, anche in questo caso, la distribuzione territoriale dei comuni in cui si voterà anche per le elezioni comunali premia il Centro-Nord (solo il 26% di questi comuni si trova al Sud e vi risiede solo il 23% circa della popolazione chiamata alle urne per le elezioni comunali).
[3] Per approfondire, vedi Cataldi, Emanuele e Maggini (2024).
[4] La performance attesa di Verdi-Sinistra, SUE e Azione, però, potrebbe risentire negativamente della presenza della soglia di sbarramento nazionale al 4% prevista dalla legge elettorale. I sondaggi pubblicati prima del blackout (https://www.youtrend.it/2024/05/24/supermedia-youtrend-agi-sue-avs-e-azione-supereranno-lo-sbarramento-2/) davano questi partiti attorno alla soglia e questo elemento potrebbe scoraggiare alcuni elettori potenziali. A maggior ragione, i partiti challenger minori, come Libertà e Pace, Terra, Dignità, stimati ampiamente sotto la soglia, rischiano di essere abbandonati dagli elettori più strategici.