Autore: Federico De Lucia

  • Gli eletti del centrodestra: l’universo PDL e la Lega Nord

    di Federico De Lucia

    La coalizione di centrodestra si presentava a queste elezioni in formato molto esteso. Numerose erano le liste apparentate, la maggior parte delle quali senza possibilità di ottenere seggi. Alla fine, alla Camera, sono solo tre quelle che vi sono riuscite: il PDL e la Lega Nord come liste sopra soglia, e Fratelli d’Italia come ripescato. Il PDL ha ottenuto 98 deputati, la Lega 18, FDI 9. Al Senato invece, solo il PDL è riuscito a superare la soglia in tutte le regioni, come prevedibile, e ha ottenuto 98 eletti. La Lega è riuscita ad ottenere seggi in Piemonte, Lombardia e Veneto, oltre ad aggiudicarsi il ripescato in quota proporzionale in Trentino Alto Adige, per un totale di 18 senatori. Degli altri partiti, è riuscito ad ottenere un seggio in Calabria la lista Grande Sud. Nel complesso dunque il PDL ha ottenuto 196 seggi, la Lega 36, FDI 9 e GS 1.

    I parlamentari uscenti del PDL erano 302, ma ad essi si aggiungeva tutta una schiera di movimenti e piccoli partiti (fra i quali i più importanti erano Fratelli d’Italia e Grande Sud) che nel complesso facevano lievitare questa “Area PDL” ad un totale di 383 deputati  e senatori. Lo spazio a disposizione per questa galassia politica si è dunque quasi dimezzato per i berlusconiani: da 383 a 206 (i 196 eletti del PDL, 9 di FDI e l’eletto di GS). Vediamo che fine hanno fatto i parlamentari uscenti.

    Tab. 1  La sorte dei parlamentari uscenti dell’Area PDL

    Di questi 383 parlamentari complessivi, 128 (il 33,4%) non hanno trovato spazio in nessuna delle liste di centrodestra. Dei rimanenti, 154 (il 40,2%) sono stati rieletti, e 101 invece non vi sono riusciti. Di questi 154 rieletti, uno è uscito dall’Area PDL: si tratta di Tremonti, che è passato alla Lega. Dunque, ben 153 dei 206 nuovi eletti (il 74,3%) della cosiddetta “Area PDL” sono parlamentari uscenti: una percentulae più che doppia rispetto a quella della media complessiva del nuovo Parlamento. Questi 153 riconfermati si distinguono in 144 rieletti nelle liste del PDL, e in 9 rieletti in quelle di FDI.

    Anche nello schieramento di centrodestra ci sono stati dei plurieletti. In particolare ve ne sono stati 3 nel PDL (Berlusconi, Alfano, Barani), e 3 in FDI (La Russa, Meloni, Rampelli). Come noto, essi dovranno optare per una delle loro posizioni eleggibili e daranno così luogo ai ripescaggi. Poiché non è possibile ad oggi determinare quale sia la posizione che sceglieranno, siamo costretti ad ipotizzare come eletti tutti i possibili ripescati. Il numero complessivo di eletti che proponiamo in queste tabelle non è pertanto 196 per il PDL, ma 199, e non è 9 per FDI ma 12 (ci sono cioè 6 ripescati eccedenti, che però non possiamo identificare fra quelli possibili).

    Concentrandoci sugli eletti della lista PDL, essi sono quindi 199: fra costoro, come abbiamo detto, i parlamentari uscenti sono 144 (il 72,4%). Le donne sono in tutto 39, poco meno del 20%: una quota nettamente più bassa di quella media del nuovo Parlamento, ma che comunque è superiore del 16,5% del PDL uscente, cosa non scontata vista la contrazione della rappresentanza.

    Tab. 2 Eletti CDX: Rappresentanza femminile e presenza di parlamentari riconfermati nella lista PDL

    In FDI gli uscenti sono 9, e se le opzioni di Meloni, La Russa e Rampelli saranno fatte all’uopo, essi andranno a coprire tutte e 9 le caselle disponibili. La Meloni sarà certamente l’unica donna della delegazione. Maschio, e debuttante in Parlamento, è invece l’unico eletto di Grande Sud, il calabrese Giovanni Bilardi.

    Diamo ora una occhiata alla composizione politica dell’Area PDL per vedere quanto e in che direzione essa è cambiata rispetto al Parlamento uscente.

    Tab.3 Eletti CDX: appartenenza politica dei parlamentari dell’Area PDL, prima e dopo le elezioni 2013

    Iniziamo con il PDL inteso come partito. Dei 296 esponenti del PDL eletti in Italia (non considerando cioè i 6 eletti all’estero) che erano in carica fino alla settimana scorsa, 219 (il 74%) provenivano da Forza Italia, 55 (il 18,6) da AN, 11 dalle componenti neodemocristiane, 5 da altre microcomponenti e 6 erano personalità indipendenti. Oggi, su 188 esponenti del partito rieletti, la componente di Forza Italia è ulteriormente aumentata sotto il profilo percentuale, sino a diventare sostanzialmente egemone. Gli ex AN, già ridimensionati dall’addio di Fini, si sono divisi fra coloro che sono andati con Meloni e La Russa in FDI e coloro che (come Gasparri e Matteoli) hanno scelto di rimanere alla corte di Berlusconi. Resiste la componente democristiana, mentre fra le altre ottiene rappresentanza solo il Nuovo PSI di Caldoro (con Lucio Barani). Sono 5 infine gli indipendenti.

    Passando alla componente residuale dell’Area PDL, essa, come prevedibile, esce molto ridimensionata da questa consultazione. Da una settantina di esponenti a poco più di una ventina. Del resto, molti dei movimenti che la componevano coincidevano nella sostanza con i parlamentari che li avevano fondati, e dunque sono semplicemente scomparsi una volta che i loro fondatori hanno perso il posto in lista, o una volta che essi lo hanno trovato, ma in liste troppo piccole per ottenere seggi. A parte la componente ex AN che si è accasata in FDI e l’eletto di Grande Sud in Calabria, hanno ottenuto l’elezione solo 10 candidati di altre micro-formazioni, “imbucati” nelle liste del PDL: fra essi spiccano, è inutile dirlo, Antonio Razzi e Domenico Scilipoti.

    Infine, la Lega Nord, anch’essa uscita molto ridimensionata da queste elezioni, passa da 80 parlamentari a 36. Degli 80 uscenti, 30 non si sono ricandidati e 28 lo hanno fatto ma senza ottenere il seggio. Solo 22 (il 27,5%) hanno conquistato la riconferma, cui si aggiunge l’ex PDL Tremonti.

    Tab. 4 Eletti CDX: sorte dei parlamentari uscenti delle Lega Nord

    Sono pertanto 23 su 36 gli eletti leghisti che erano già presenti nelle camere uscenti: il 62,2%. Un tasso di ricambio basso in confronto a quello medio, ma che non è comunque bassissimo se si pensa al dimezzamento dei posti a disposizione.

    Tab. 5 Eletti CDX: Rappresentanza femminile e presenza di parlamentari riconfermati negli eletti della Lega Nord

    Solo 5, infine, le donne leghiste elette, tutte al Senato. Nessun escluso di grande rilievo: ottengono l’elezione alla Camera sia Bossi che Salvini, e l’elezione al Senato sia Calderoli che Tremonti.

  • Gli altri eletti di centrosinistra: SEL, Centro Democratico e SVP

    di Federico De Lucia

    Le liste che alla Camera correvano apparentate al PD erano 3: SEL, Centro Democratico, e la SVP (che correva solo nella regione Trentino Alto Adige). Tutte e tre hanno superato la soglia richiesta ed hanno ottenuto rappresentanza: SEL ha superato la soglia del 2%, CD è stato il primo ripescato sotto tale soglia, la SVP ha superato la soglia del 20% circoscrizionale prevista per i partiti rappresentativi della minoranze linguistiche. SEL ha ottenuto 37 seggi, CD ne ha ottenuti 6, la SVP 5 (il record storico per il partito altoatesino, avvantaggiato dalla pessima prestazione complessiva della coalizione di cui fa parte).

    Al Senato, le liste apparentate al PD nelle varie regioni erano un po’ più numerose: SEL è riuscita a superare la soglia del 3% in sole 6 regioni (Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna), ottenendo 7 seggi; la lista Megafono, legata a Crocetta, ha superato la soglia nell’unica regione in cui si era presentata, la Sicilia, ottenendo un seggio; Centro Democratico, così come le altre due liste presentate, quella del PSI e quella dei Moderati, non hanno superato la soglia in nessuna delle regioni in cui concorrevano. La SVP, infine, ha vinto come sempre a mani basse nei due collegi uninominali di Merano e Bressanone, in cui correva con un proprio candidato.

    Fra i 44 eletti di SEL, due hanno ottenuto più di una elezione: si tratta di Nichi Vendola e di Laura Boldrini. Come noto, essi dovranno optare per una delle loro posizioni eleggibili e daranno così luogo ai ripescaggi. Poiché non è possibile ad oggi determinare quale sia la posizione che sceglieranno, siamo costretti ad ipotizzare come eletti tutti i possibili ripescati. Il numero complessivo di eletti che proponiamo in queste tabelle non è pertanto 44, ma 46 (ci sono cioè 2 ripescati eccedenti, che però non possiamo identificare fra quelli possibili).

    Tab. 1 Eletti SEL: Rappresentanza femminile e presenza di parlamentari riconfermati negli eletti SEL

    Fra i 46 eletti di SEL, non vi è alcun deputato uscente, essendo il partito di Vendola nato nel corso della scorsa legislatura come reazione al fallimento della Sinistra Arcobaleno, che rimase fuori dal Parlamento nel 2008. Le donne elette sono 13, il 28,3%: una percentuale nettamente al di sotto delle attese, dovuta al fatto che le posizioni eleggibili si sono rivelate ben inferiori alle attese, sia alla Camera che soprattutto al Senato. Candidate che credevano di essere state collocate in alto in lista si sono scoperte collocate troppo in basso a scrutinio ultimato.

    SEL è un partito che deriva dalla fusione di più soggetti politici: lo spezzone vendoliano di Rifondazione comunista; la gran parte di Sinistra Democratica, ovvero la corrente di sinistra degli ex DS, contraria alla nascita del PD; la metà circa dei Verdi; una piccola corrente dei Comunisti Italiani. Può essere interessante dar conto della misura in cui tali provenienze politiche sono rappresentate nella nuova pattuglia parlamentare del partito di Vendola.

    Tab. 2 Eletti SEL: appartenenza politica del parlamentari SEL, prima e dopo le elezioni 2013

    Ebbene, su 46 eletti gli ex esponenti del PRC sono 19, gli ex esponenti di Sinistra democratica sono 16, mentre solo 3 sono gli ex Verdi. Sono 4 gli esponenti della società civile inseriti in lista da Vendola, lo stesso numero degli esponenti “nativi”, che si sono iscritti a SEL senza avere esperienze politiche precedenti. Dei 46 eletti, 14 provengono dal listino di nomi che non sono passati per le primarie, scelti direttamente dal segretario. Tale listino era stato composto da 14 esponenti dei vertici organizzativi del partito (Vendola incluso) e da 9 esponenti della società civile. È interessante però notare come la componente esterna sia stata penalizzata in modo molto maggiore di quella interna dal pessimo risultato elettorale, essendo stata collocata quasi completamente al Senato. Dei 14 “nominati interni” ne sono stati eletti 10; dei 9 “nominati esterni” ne sono stati eletti solo 4.

    Sugli altri eletti c’è poco da dire: Centro Democratico ha ottenuto 6 seggi, che sono andati a 4 uscenti ricandidati (Tabacci, Formisano, Pisicchio, Bruno) e a un nuovo eletto (Capelli in Sardegna). Il sesto componente lo sceglierà Tabacci, optando per una delle due posizioni in cui è risultato eletto: se sceglierà la Toscana sarà ripescato il parlamentare uscente ex MPA Carmelo Lo Monte, se opterà per la Sicilia sarà ripescata l’assessore toscana ex IDV Cristina Scaletti (che in quel caso, sarebbe l’unica donna del piccolo gruppo).

    L’eletto siciliano della lista Crocetta è il parlamentare uscente del PD Beppe Lumia, uno dei democratici con più di 15 anni di mandato parlamentare a cui la direzione del PD aveva concesso la “deroga” per la ricandidatura.

    La SVP infine, ha ottenuto 5 deputati e 2 senatori. Di questi, solo Zeller è un parlamentare uscente, mentre l’unica donna è Renate Gebhard. Nel gruppo è entrato anche un candidato del Partito Autonomista Trentino Tirolese, gemello trentino della SVP: si tratta di Mauro Ottobre. Tale partito, al Senato, ha presentato un altro candidato, Franco Panizza, che è risultato eletto nel collegio di Trento, con il sostegno sia del centrosinistra che dei montiani. (https://uniforumtz.com/)

  • Gli eletti PD: tasso di rielezione, donne e composizione politica

    di Federico De Lucia

    Il PD, beneficiando del premio di maggioranza alla Camera, ha ottenuto 297 deputati (292 eletti in Italia, più 5 eletti all’estero). Al Senato invece, dove ha vinto il premio di maggioranza in 10 regioni su 17, ha ottenuto 111 senatori (107[1] eletti in Italia, 4 eletti all’estero). La delegazione complessiva del PD a Roma è pertanto composta da 408 parlamentari. Quella uscente era composta da 290 esponenti del partito (non si considerano qui gli altri parlamentari uscenti ancora iscritti ai gruppi parlamentari PD al momento dello scioglimento, ovvero  i 9 radicali, gli 8 ex PD passati con Monti e Beppe Lumia che, pur essendo un democratico, si è candidato ed è stato eletto nella lista Megafono di Crocetta).

    Dei 290 parlamentari uscenti, 145 (la metà esatta) hanno rinunciato alla candidatura. Degli altri 145, 101 sono riusciti ad essere rieletti, e 44 non ci sono riusciti. Pertanto, i parlamentari uscenti rieletti saranno in questa legislatura 145 su 408: il 35,6%. Un dato in media con quello complessivo, e molto basso se si pensa che il partito ha incrementato in modo massiccio la propria rappresentanza e avrebbe pertanto potuto collocare in posizione eleggibile un numero di uscenti ben maggiore.

    Tab. 1 Eletti PD: sorte dei parlamentari uscenti del PD

    Sono quattro i candidati del PD che hanno ottenuto più di una elezione: si tratta di Bersani, Marino, Letta e Nardelli. Come noto, essi dovranno optare per una delle loro posizioni eleggibili e daranno così luogo ai ripescaggi. Poiché non è possibile ad oggi determinare quale sia la posizione che sceglieranno, siamo costretti ad ipotizzare come eletti tutti i possibili ripescati. Il numero complessivo di eletti che useremo in questa analisi non è pertanto 408, ma 412 (ci sono cioè 4 ripescati eccedenti, che però non possiamo identificare fra quelli possibili).

    Tab. 2 Eletti PD: Disaggregazione fra listino e primarie dei nuovi eletti del PD

    Come si ricorderà, il PD ha svolto delle primarie per determinare la composizione delle liste, anche se il segretario si è riservato la possibilità di scegliere direttamente alcuni candidati (124, per l’esattezza). Bene, dei 412 eletti PD, 290 sono stati selezionati dalle primarie, 113 dal listino (a questi si aggiungono i 9 eletti all’estero): ben il 72% degli eletti democratici in Italia ha quindi preso i voti direttamente sul territorio. Dei 290 provenienti dalle primarie, 96 (il 33,1%) sono parlamentari uscenti. Dei 113 scelti da Bersani, questi ultimi sono invece 44 (il 38,9%), senza considerare i 5 (su 9) riconfermati all’estero.

    Tab. 3 Eletti PD: Rappresentanza femminile e presenza di parlamentari riconfermati negli eletti PD, disaggregazione per listino e primarie

    *compresi i 9 eletti all’estero (5 uscenti, 1 donna)

    Su 412 eletti democratici, le donne sono 156: il 37,9%. Si tratta della percentuale più alta assieme a quella del Movimento 5 Stelle. Nel gruppo uscente esse erano il 29,6% (86 su 290): l’incremento è notevole, ed è un punto sul quale il partito si è speso molto. Esse sono il 43,8% fra i candidati provenienti dal territorio, e solo il 23,8% nel listino di Bersani (comprensivo anche dell’estero).

    Infine, cerchiamo di indagare quale sia la provenienza politica del nuovo drappello parlamentare democratico, per vedere se qualcosa è cambiato rispetto al recentissimo passato. Nell’insieme dei parlamentari uscenti, gli ex DS rappresentavano il 59% circa, gli ex Margherita il 36% circa. Vi erano poi una decina di indipendenti e qualche sparuto esponente di altri piccoli partiti. I cambiamenti che da questo punto di vista si intravedono nella nuova pattuglia democratica alla Camera sono di scarsa entità, ma comunque ci sono: gli ex diessini mantengono una posizione di assoluta preminenza, con il 56,6% dei componenti; restano quasi invariati numericamente, e dunque calano molto a livello percentuale, gli ex Margherita; sale sensibilmente la componente degli indipendenti, con cui Bersani ha riempito il listino, e fa il suo esordio la componente dei cosiddetti “nativi democratici”, composta da politici che non avevano esperienze precedenti nei due partiti fondatori, e che o provengono dal mondo delle liste civiche o, semplicemente, sono alla prima esperienza politica. I socialisti entrati in Parlamento sono infine 6 (anche se uno di essi è uno dei ripescabili a rischio).

    Tab.4 Eletti PD: appartenenza politica dei parlamentari PD, prima e dopo le elezioni 2013

    Il dato dei renziani, infine, è stato quello previsto: ne sono stati eletti 50 in tutto, di cui 14 inseriti nel listino e 36 provenienti dalle primarie.

    Per concludere, una notazione di colore: con l’esclusione a sorpresa di Franco Marini, sono solo 4 i parlamentari democratici che hanno alle spalle più di 15 anni di vita parlamentare. Si tratta di Finocchiaro, Bindi, Fioroni e Bressa. A questi si aggiunge Beppe Lumia, democratico di fatto ma eletto nella lista Crocetta.



    [1] In questo computo, non si considerano componenti del PD due degli eletti nei collegi senatoriali del Trentino Alto Adige, che il PD sosteneva in alleanza con i montiani: Vittorio Fravezzi e Franco Panizza, appartenenti a due partiti regionali vicini all’ex Presidente della Provincia di Trento, il montiano Dellai. Se il primo deve essere considerato certamente di area montiana, sul secondo si dovrà attendere la scelta del gruppo parlamentare per capirne la collocazione effettiva.

  • Il Parlamento 2013: nuovo e al femminile

    di Federico De Lucia

    Il Parlamento appena eletto è un Parlamento molto diverso da quello che lo ha preceduto. I dati dicono che non ve n’era uno così diverso dal precedente dalle elezioni del 1994. Allora, solo il 23,7% dei nuovi eletti era costituito da parlamentari uscenti. Era la fine della Prima Repubblica. Nelle quattro elezioni successive, la classe politica è andata strutturandosi abbastanza rapidamente, ed il tasso di rielezione è si è stabilizzato attorno al 50%. Oggi, il dato si è abbassato in modo molto evidente: solo il 35,6% dei nuovi eletti è composto da parlamentari uscenti.

    Fig. 1 Percentuale di parlamentari uscenti riconfermati sul totale degli eletti nella Seconda Repubblica

    A questo rinnovamento contribuiscono in modo molto massiccio i nuovi partiti, che nel Parlamento uscente non erano rappresentati: il Movimento 5 Stelle in gran parte, ma anche SEL. Non si deve dimenticare però che anche alcune delle forze politiche già rappresentate hanno contribuito in misura molto significativa a questo turn over: il PD, la forza politica parlamentare maggiore, ha un tasso di rielezione del 35,2%, e le matricole democratiche all’esordio a Montecitorio e a Palazzo Madama saranno addirittura un centinaio in più degli eletti totali grillini. Anche il polo montiano, infine, ha contribuito con una cinquantina di parlamentari esordienti. Chi invece non è riuscito ad andare molto avanti sul tema del rinnovamento della classe parlamentare sono i partiti che hanno subito il maggiore ridimensionamento dal punto di vista del numero dei rappresentanti: il 72,4% dei parlamentari del PDL è composto da uscenti rieletti, mentre per la Lega tale quota scende al 62,2%.

    Tab.1 Parlamento 2013: tasso di rielezione per i partiti parlamentari italiani

    *il numero di eletti è di 965, e non di 945, perché è ad oggi impossibile sapere dove opteranno i 20 plurieletti: è pertanto necessario ipotizzare un numero di ripescaggi eccedente rispetto a quello che avremo effettivamente (tale eccedenza è ovviamente pari al numero dei plurieletti)

     

    Dei 945 parlamentari uscenti dunque, solo 344 hanno ottenuto la riconferma (anche se per il numero definitivo dovremo aspettare le opzioni dei pluricandidati, che potrebbero modificarlo di qualche unità). Degli altri, 354 non si erano ripresentati: fra essi Castagnetti , D’Alema, Parisi, Veltroni, Bianco, Rutelli, Cosentino, Frattini, La Malfa, Scajola, Dell’Utri, Dini, Pera, Pisanu, Castelli e Maroni (in ben altro affaccendato). Sono invece 247 coloro che pur essendosi ricandidati non hanno ottenuto l’ambito scranno. Fra essi spiccano tre nomi di assoluto rilievo nazionale: il Presidente della Camera uscente, Gianfranco Fini, l’ex Presidente del Senato Franco Marini, e il leader dell’IDV Antonio di Pietro. Oltre a costoro, fra gli esclusi si contano Napoli, Paniz, Crosetto, Miccichè per il centrodestra, tutta FLI con l’eccezione di Della Vedova, esponenti importanti dell’UDC come Galletti, Poli, Rao, e l’ex PDL Cazzola per il polo montiano, l’ex dipietrista Donadi e l’attivista dei diritti civili Paola Concia per il centrosinistra.

    Tab.2 Parlamento 2013: sorte dei parlamentari uscenti disaggregati per forza politica




    L’altro aspetto di grande rilevanza, oltre al rinnovamento complessivo, è il notevolissimo aumento percentuale di donne elette. Furono 191 su 945 nel 2008, sono 291 oggi. Si passa dal 20,2% al 30,8%: si tratta del record storico, e di un grande balzo in avanti, più che doppio rispetto a quello che si era avuto fra il 2006 ed il 2008.

    Fig. 2 Percentuale di donne sul totale degli eletti nella Seconda Repubblica

    I partiti con la percentuale di donne più alta sono il PD e il M5S con il 38%, segue SEL con il 28%. Il PDL e i montiani si fermano di poco sotto il 20%, mentre la Lega è al 13,5%.

    Tab. 3 Parlamento 2013: rappresentanza femminile nei partiti parlamentari italiani

    *il numero di eletti è di 965, e non di 945, perché è ad oggi impossibile sapere dove opteranno i 20 plurieletti: è pertanto necessario ipotizzare un numero di ripescaggi eccedente rispetto a quello che avremo effettivamente (tale eccedenza è ovviamente pari al numero dei plurieletti)

    I candidati plurieletti sono in tutto 20. Si tratta di Bersani, Marino, Letta e Nardelli per il PD, Vendola e Boldrini per SEL, Tabacci per Centro Democratico, Alfano, Berlusconi e Barani per il PDL, Tremonti per la Lega, Meloni, La Russa e Rampelli per Fratelli d’Italia, Bombassei, Ichino, Casini, Cesa, Catania e D’Alia per il polo di Monti. Entro 8 giorni dalla proclamazione, tutti costoro dovranno optare per una delle posizioni risultate eleggibili, e dar vita così ai ripescaggi. Solo allora avremo i dati definitivi, che però non si discosteranno quasi affatto da quelli che abbiamo mostrato qui.

  • Sondaggio IPSOS-CISE, la capacità di governo di Bersani, Berlusconi e Monti: le opinioni dei vari elettorati.

    di Federico De Lucia

    Il sondaggio IPSOS-CISE ha chiesto ai propri intervistati di esprimere un parere su quale sia il governo più capace di affrontare alcune delle sfide considerate più importanti per il Paese. In questo articolo vedremo come essi hanno risposto a tali domande. Per ciascuna di esse distingueremo i rispondenti a seconda della coalizione per cui si dichiarano intenzionati a votare.

    Figura 1. “Chi sarebbe più capace di far ripartire l’economia?”. Le opinioni dei vari elettorati potenziali N=797


    Alla domanda “Chi sarebbe più capace di far ripartire l’economia?”, il campione sembra rispondere in modo abbastanza coerente alle proprie preferenze politiche. I vari elettorati potenziali si polarizzano molto in favore dei rispettivi candidati preferiti. In questo quadro generale, stupisce il fatto che ben un quarto dell’elettorato della coalizione di Bersani affermi di preferire, sui temi economici, l’ipotesi di un governo guidato da Mario Monti. Quasi la metà di coloro che si dichiara intenzionato a votare per il Movimento 5 Stelle afferma di avere totale sfiducia nelle capacità di rilancio economico di tutti e tre i possibili governi che abbiamo loro proposti.

    Figura 2. “Chi sarebbe più capace di combattere l’evasione fiscale?”. Le opinioni dei vari elettorati potenziali. N=797

     

    Alla domanda “Chi sarebbe più capace di combattere l’evasione fiscale?” l’elettorato sembra fornire risposte leggermente meno polarizzate. In particolare, è abbastanza diffusa la percezione che un governo guidato da Silvio Berlusconi non sarebbe in grado di affrontare in modo adeguato il problema dell’evasione: persino nel suo elettorato, il centrodestra non riesce ad arrivare ad una percentuale di preferenze pari alla metà. Al contrario, quasi un quinto dell’elettorato dei due poli maggiori e più di quarto dell’elettorato di Grillo (che su questo punto sembra mostrarsi meno scettico) indica un governo guidato da Monti come la soluzione preferita nella risoluzione di questo problema.

    Figura 3. “Chi sarebbe più capace di ridurre i costi della politica?”. Le opinioni dei vari elettorati potenziali. N=797


    Sul delicatissimo tema dei costi della politica la sfiducia degli intervistati è molto alta. Quasi il 30% del campione complessivo si dichiara convinto che nessuno sarebbe in grado di affrontare questo problema: tale quota sale fino a superare il 50% fra coloro che affermano di voler votare Grillo e raggiunge quasi il 25% nell’elettorato potenziale di Berlusconi. Coloro che si mostrano meno sfiduciati, sembrano però affidarsi in gran parte al proprio schieramento preferito: gli elettorali potenziali di Bersani, Berlusconi e Monti si mostrano fiduciosi nei confronti delle capacità dei propri leader di affrontare questa tematica, in una proporzione superiore alla metà. Interessante che quasi un quinto dell’elettorato grillino affermi di preferire, su questo tema, un governo guidato da Monti.

    Figura 4. “Chi sarebbe più capace di trattare in modo vantaggioso con gli altri partner europei?”. Le opinioni dei vari elettorati potenziali. N=797


    Altra tematica di grande importanza è quella dei rapporti con i partner europei. Su questo punto, stupisce il pessimo risultato di Bersani, che viene oscurato, anche all’interno del proprio elettorato, da Monti. Più della metà dell’elettorato potenziale della coalizione di centrosinistra afferma di preferire l’ipotesi di un governo Monti, mentre solo il 31% afferma di avere fiducia in Bersani sul tema dei rapporti con l’Europa. Oltre che ottenere preferenze quasi plebiscitarie all’interno del proprio elettorato potenziale di riferimento, Monti registra alti indici di gradimento anche fra i potenziali elettori del Movimento 5 Stelle, per il resto, come al solito, molto scettici. Berlusconi invece, che su questo tema tende ad assumere una posizione molto distinta rispetto a quella degli altri due principali candidati, ottiene la fiducia di oltre il 60% dei suoi potenziali elettori, ma anche, ed è indicativo, del 12% di quelli di Grillo.

    Figura 5. “Chi sarebbe più capace di rendere più efficiente la macchina statale?”. Le opinioni dei vari elettorati potenziali. N=797


    L’ultima tema sui cui abbiamo sollecitato i nostri intervistati è quello sull’esigenza di rendere maggiormente efficiente la macchina statale. Anche su questo punto la sfiducia è molta, e si concentra fra gli elettorati potenziali di Grillo e di Berlusconi. Coloro che non se ne fanno contagiare mantengono invece una certa coerenza, anche qui, con le proprie scelte elettorali di fondo. Di nuovo, l’elettorato di centrosinistra sembra attratto in misura rilevante dalle capacità di un governo guidato da Monti.  Interessante infine notare come sul tema dell’efficienza l’elettorato grillino si esprima, nella misura di un quinto, a favore dell’ipotesi di un governo Bersani.

    Nel complesso, si può dire che sui temi da noi sondati i vari elettorati esprimano preferenze sulle presunte capacità di governo coerenti a quelle che dichiarano essere le loro preferenze elettorali. Ciò non toglie che su alcuni temi, come quello dei costi della politica e quello dell’efficienza della macchina statale, la sfiducia rimanga molto rilevante: essa sembra concentrarsi maggiormente nell’elettorato potenziale del centrodestra ed in quello del Movimento 5 Stelle.  Quest’ultimo appare caratterizzato in modo evidente da una forte presenza di pareri negativi sulle capacità di governo delle tre principali prospettive di governo. L’elettorato potenziale di Berlusconi, pur attratto da questi sentimenti di sfiducia sistemica, sembra però al contrario mantenere nella sua componente maggioritaria una forte fiducia nelle capacità risolutive del proprio leader, specie sui temi tipici della cosiddetta “rivoluzione liberale” (rilancio dell’economia, efficienza della macchina statale) e su quelli della politica europea. Anche l’elettorato potenziale di Monti pare molto fiducioso nelle capacità governative del proprio schieramento di riferimento. Quello di Bersani, invece, pare molto attratto dall’ipotesi di un governo Monti, sia su temi economici che, addirittura in modo maggioritario, sui temi di politica estera.

  • Liste UDC e FLI: un esempio da manuale sull’utilizzo delle pluricandidature

    di Federico De Lucia

    In un precedente articolo, si è dato conto della composizione politica di due delle quattro liste montiane che i prossimi 24 e 25 febbraio si presenteranno agli elettori: in particolare abbiamo analizzato la lista Scelta Civica, presentata alla Camera dei Deputati come espressione esclusiva del mondo di associazioni  politiche e culturali extraparlamentari che ha scelto di supportare il Presidente del Consiglio uscente, e la lista unica che tali associazioni hanno presentato con UDC e FLI per il Senato della Repubblica. Ora che sono state rese note, possiamo dar conto anche della composizione delle altre due liste che la coalizione presenterà alla Camera: quelle, prettamente partitiche, di UDC e FLI.

    Come già si è detto altrove, la nostra simulazione ipotizza che lo schieramento centrista ottenga un cifra complessiva del 15%, suddiviso in un 10% alla lista civica e in un 5% complessivo alle due liste partitiche (i sondaggi parlano in particolare di un UDC al 3,5-4% e un FLI all’1-1,5%). Ricordiamo che alla Camera la soglia di sbarramento è del 2%, ma è prevista una deroga per la prima lista che, in ogni coalizione, si collochi al di sotto si tale quota di consenso: entrambe le liste in questione, dunque, otterranno l’accesso alla rappresentanza. In particolare, la nostra simulazione assegna all’UDC 16-18 deputati, e a FLI 5-7 deputati.

    Purtroppo, quando si scende a livelli di consenso così bassi, diviene abbastanza difficile sapere in anticipo dove scatteranno le posizioni eleggibili. Può essere interessante però far notare come anche i vertici dei partiti in questione siano immersi in questa situazione di incertezza. Questo appare evidente nell’uso che essi hanno fatto di uno degli strumenti più caratteristici, e più controversi, dell’attuale legge elettorale: le pluricandidature.

    La classe dirigente dei due partiti appare fortemente proiettata alla soddisfazione di un solo interesse: la propria rielezione. In un contesto in cui i posti in palio sono pochi, e in cui non si sa dove essi scatteranno, l’unico modo per avere la certezza ex ante dell’elezione è candidarsi in un numero maggiore di circoscrizioni. La misura d’uso delle pluricandidature è pertanto inversamente proporzionale alla misura di consenso prevista per un certo partito. Nella lista dell’UDC, 8 candidati occupano in tutto 26 posizioni eleggibili. Nelle lista di FLI le pluricandidature sono addirittura molteplici: Fini è capolista ovunque e sono ben 11 i parlamentari uscenti che hanno ottenuto almeno una doppia candidatura (Italo Bocchino e Roberto Menia ne hanno ottenute 5, Fabio Granata 3).

    Partiamo dall’UDC, sul quale è possibile fare previsioni leggermente più attendibili. Praticamente tutte le prime 18 posizioni eleggibili che noi prevediamo scattino per la lista UDC alla Camera sono occupate da soli 8 candidati: 2 esterni al Parlamento (il ministro Mario Catania e il consigliere del CNEL Natalino Guerrini) e 6 parlamentari uscenti (Rocco Buttiglione, Lorenzo Cesa, Ferdinando Adornato, Gian Luca Galletti, Paola Binetti e Gian Piero D’Alia). Per costoro, dunque, l’elezione è assicurata: saranno le loro opzioni incrociate (verosimilmente concordate) a decidere, mediante il meccanismo dei ripescaggi, gli altri 10 eletti centristi. L’impossibilità di sapere, oggi, quali saranno le opzioni di elezione di questi candidati, non ci consente di essere molto precisi sulla composizione della pattuglia casiniana che siederà in Parlamento nella prossima legislatura. Possiamo però dar conto di quale sia il prevedibile destino dei 42 (37 deputati e 5 senatori) parlamentari uscenti dell’UDC.

    Tabella 1. Liste Monti: la sorte dei parlamentari uscenti dell’UDC

     

    Nel complesso, sono in 24 i parlamentari UDC uscenti che hanno trovato spazio nelle liste. Fra i 18 esclusi si contano anche personalità di spicco del partito come Luca Volontè e Savino Pezzotta, parlamentari di lunghissimo corso come Mario Tassone e Teresio Delfino, e soprattutto alcuni ex PD che erano transitati nel partito di Casini nel corso della Legislatura (i teodem Renzo Lusetti ed Enzo Carra, oltreché i senatori Claudio Gustavino e Achille Serra). Dei 24 ricandidati, 11 sono stati inseriti in posizioni certamente eleggibili (i 6 pluricandidati che abbiamo citato sopra nella lista del partito alla Camera, più 5 candidati che hanno ottenuto una posizione alta nella lista unica per il Senato, fra i quali Casini). Oltre a questi 11 eletti sicuri, vi sono altri 9 parlamentari uscenti (2 nella lista unica per il Senato, e 7 in quella targata UDC alla Camera) che potrebbero essere ripescati a seguito delle opzioni dei plurieletti. Pertanto, sui circa 28 eletti UDC che prevediamo per la prossima legislatura (18 nella lista UDC alla Camera e 10 nella lista unica al Senato), i rieletti saranno dunque vicini ai 20. Fra essi, solo 2 donne: Paola Binetti (eletta certamente) e Gabriella Carlucci (possibile ripescata in Puglia).

    Passando a FLI, la situazione è molto più complessa: i sondaggi danno il partito a livelli di consenso molto bassi, ed è molto difficile immaginare come tale consenso si distribuirà sul territorio. È pertanto quasi impossibile prevedere dove scatteranno i 7 seggi che stimiamo possano al massimo andare al partito di Fini. Il Presidente della Camera, consapevole di questa situazione, si è presentato capolista in tutte le circoscrizioni, e pertanto risulterà eletto un numero di volte pari al numero di eletti che farà il suo partito. Optando, dopo le elezioni, per una delle sue elezioni, e manovrando le opzioni degli altri plurieletti collocati sotto di lui nelle varie liste, Fini potrà sostanzialmente decidere ex post quali saranno i suoi compagni di strada. E, a giudicare dal numero di pluricandidature, saranno quasi certamente tutti parlamentari uscenti. In corsa per questi 6 posti ci sono, nell’ordine di probabilità: Italo Bocchino, Roberto Menia, Fabio Granata, Flavia Perina, Chiara Moroni, Carmelo Briguglio, Deodato Scanderebech, Luigi Muro, Claudio Barbaro.  Al Senato invece, sono in buona posizione Benedetto Della Vedova, Giulia Bongiorno, Mario Baldassarri e Giuseppe Consolo. In tutto quindi, 11 parlamentari uscenti su 11 eletti complessivi di FLI, di cui 3 donne.

    Tabella 2. Liste Monti: la sorte dei parlamentari uscenti di FLI

  • La transizione leghista nelle liste elettorali

    di Federico De Lucia

    La  Lega Nord, alle elezioni del 2008, ebbe un grande successo elettorale: l’8,3% dei voti a livello nazionale, per un totale di 60 deputati e 25 senatori. Una consistenza parlamentare che i leghisti non vedevano dal 1996. Oggi, dopo cinque anni, il Carroccio si presenta agli elettori in formato molto rinnovato. Dopo una prima parte della legislatura addirittura esaltante, con i successi elettorali del 2009 e del 2010 e, dopo una breve fase di ripiegamento nel 2011, con sondaggi tornati molto favorevoli dopo la caduta del governo Berlusconi, i leghisti sono stati costretti ad affrontare una difficilissima fase della loro storia, a seguito delle inchieste giudiziarie rese pubbliche nel marzo 2012. Il polverone mediatico da esse suscitato ha reso necessario, dopo 20 anni dalla nascita della Lega Nord, e dopo più di 30 dalla nascita della Lega Lombarda, un avvicendamento al vertice, con Roberto Maroni a prendere il posto del leader storico Umberto Bossi.

    La tornata elettorale si presenta pertanto come decisiva per i leghisti. L’operazione di restaurazione dell’immagine leghista cui Maroni si è sforzato di dare corso ha portato frutti politici evidenti, anche e soprattutto per via delle contemporanee e ben maggiori difficoltà che ha vissuto il PDL. Oggi Maroni, pur essendo a capo di un partito che vale ancora la metà di quanto non valesse un anno fa, ha l’occasione storica che Bossi non ha mai avuto: diventare presidente della Lombardia, e colorare di verde l’intera Italia transpadana. La contropartita cui il nuovo segretario ha dovuto cedere è il ritorno nell’alveo del centrodestra anche per quanto riguarda il livello nazionale. Vedremo se e in che misura l’elettorato seguirà il partito su questa strada.

    Due le novità, per quanto riguarda le elezioni politiche: in primo luogo, la Lega Nord ha stretto un patto con il nuovo movimento di Giulio Tremonti (Lista Lavoro e Libertà), garantendo all’ex ministro dell’Economia un seggio sicuro al Senato; in secondo luogo, a differenza del 2008, il Carroccio ha scelto di presentare proprie liste anche nel Mezzogiorno del Paese. In questo articolo vedremo come la Lega ha deciso di comportarsi nella definizione delle liste di candidati alle elezioni politiche. Lo facciamo, basandoci sulla simulazione che abbiamo utilizzato per le altre liste di centrodestra, che assegna ai leghisti il 4,5% de voti e 44 parlamentari in tutto: 23 deputati e 21 senatori. Come si vede, uno scenario fortemente penalizzante rispetto al 2008 e che peraltro, ricordiamolo, ipotizza una vittoria del centrodestra al Senato in Lombardia e Veneto.

    Nella composizione delle liste, l’epurazione maroniana nei confronti dell’ala bossiana del partito si è fatta sentire: non solo sono stati accantonati gli ex capigruppo, componenti del cosiddetto “cerchio magico”, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo, ma anche personalità decisamente meno schierate come Manuela Dal Lago (che correrà per il Comune di Vicenza), Giampaolo Dozzo e lo storico senatore Roberto Castelli. Gli unici bossiani ad aver trovato posto, oltre al “Senatur” stesso, collocato come capolista alla Camera in Lombardia 2, sono il suo fido Giancarlo Giorgetti, che lo segue immediatamente in lista, e il sindaco di Cittadella, nonché fiero oppositore di Tosi, Massimo Bitonci, capolista al Senato in Veneto. Limitato è stato l’utilizzo delle pluricandidature: il Presidente del Piemonte Cota ha ottenuto di capeggiare la lista leghista in entrambe le circoscrizioni piemontesi della Camera, ma evidentemente rinuncerà all’elezione; Tremonti è invece candidato al Senato, come numero 2 in Lombardia e come capolista in tutte le altre regioni ad eccezione di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Calabria.

    Tabella 1. Liste Lega Nord: la sorte dei parlamentari leghisti uscenti


    Nel complesso pertanto, come mostra la Tabella 1, degli 80 parlamentari: 31 non hanno trovato posizione in lista, 24 l’hanno trovata ma in posizione non eleggibile, 25 saranno presumibilmente rieletti. Fra essi, esponenti storici come Umberto Bossi e Roberto Calderoli.

    Pertanto, come si vede nella Tabella 2, nella pattuglia parlamentare leghista che ci aspettiamo per la prossima legislatura, che sarà composta da 44 parlamentari, gli uscenti saranno in tutto 26: i 25 leghisti di cui si è appena dato conto più Giulio Tremonti. Il Carroccio registrerà pertanto un tasso di ricambio del 41%: non certo basso, se si pensa al contemporaneo dimezzamento della rappresentanza (il PDL, nelle stesse condizioni, presenterà un tasso di ricambio pari alla metà di quello leghista). Fra le 18 new entries, s trova un nome veramente di peso: il segretario della Lega Lombarda Matteo Salvini.

    Tabella 2. Liste Lega Nord: parlamentari uscenti ed altri candidati nelle posizioni eleggibili


    Sarà veramente bassissima invece, nei gruppi parlamentari leghisti, la rappresentanza femminile (Tabella 3). Su 44 eletti leghisti, si prevedono solo 6 donne (il 13,6%). Peraltro, 4 di esse, scatteranno solo nel caso il centrodestra vinca i premi di maggioranza regionali in Lombardia e Veneto al Senato. Fra gli 80 leghisti uscenti, le donne erano 15 (il 18,8%): su questo punto, Maroni ha rinnovato ben poco.

    Tabella 3. Liste Lega Nord: la rappresentanza di genere nelle posizioni eleggibili

  • L’universo PDL: liste, candidati, parlamentari uscenti e rappresentanza di genere

    di Federico De Lucia

    All’inizio della settimana, la questione della composizione delle liste del PDL ha occupato molto dello spazio comunicativo italiano. L’attenzione dei media si è concentrata in particolare sull’esclusione di alcuni esponenti di primo piano del partito di Berlusconi (Cosentino, Scajola, Dell’Utri). In questo articolo presentiamo invece una analisi più dettagliata della composizione delle liste berlusconiane.

    La coalizione di centrodestra che si presenterà alle elezioni che si terranno fra un mese sarà composta da molte liste: PDL, Lega Nord, la Destra, Fratelli d’Italia, Grande Sud, MIR, Pensionati, Intesa Popolare. Altri piccoli partiti locali, come MPA e PID, si presentano solo in alcune regioni al Senato, nella speranza di superare le soglie di sbarramento regionali. Ma, sebbene possa sembrare strano, queste sigle sono solo una parte del composito mondo del centrodestra italiano. Molti sono gli altri piccoli movimenti che sono nati nel corso dell’ultima legislatura attorno a Berlusconi. Alcuni forse non rappresentano nessuno, se non i parlamentari che li hanno fondati, ma è a tali parlamentari che sono state legate molte fasi dell’ultimo quinquennio politico del nostro paese.

    Ora che le liste sono state rese note, può essere interessante dar conto di quale collocazione abbiano trovato nelle liste di centrodestra, i parlamentari uscenti che afferiscono a tutto questo universo di movimenti, che potremmo definire, di “Area PDL”. Da esso escludiamo la Lega e la Destra, due partiti di portata nazionale e chiaramente autonomi dal punto di vista organizzativo. Nella Tabella 1 è presentato lo schema dettagliato delle ricandidature, e delle liste in cui esse si collocano.

    Tabella 1. Area PDL: ricandidature dei parlamentari uscenti (vedi Legenda in coda all’articolo per le sigle)


    L’area è composta nel complesso da 390 parlamentari, di cui 310 sono esponenti del PDL vero e proprio. Gli unici altri due gruppi di una dimensione apprezzabile sono Fratelli d’Italia, il movimento che raggruppa gli ex AN e La Russa e Meloni e gli ex forzisti delusi di Crosetto, e Grande Sud, il movimento meridionalista di Micciché e Poli Bortone. Gli altri sono microsoggetti, ognuno con suo percorso politico, spesso intrecciato alle vicende personali dei singoli esponenti.

    Gli esponenti del PDL che sono riusciti a ottenere una ricandidatura sono 194 su 310 (il 62,6%). Sono rimasti fuori, per scelta o meno, oltre ai noti casi di Cosentino, Dell’Utri, Scajola, Brancher, anche esponenti dal passato illustre come Lamberto Dini e Marcello Pera, ed uomini chiave del territorio come il piemontese Enzo Ghigo, l’emiliano Filippo Berselli o il siciliano Domenico Nania. Oltre che ai 194 ricandidati, le liste piddielline danno ospitalità anche a 3 parlamentari uscenti del PID di Saverio Romano, all’ex finiana Catia Polidori, ai 2 esponenti dell’MRN Scilipoti e Cesario, ai due esponenti di Noi Sud Milo e Razzi e all’ex PD Riccardo Villari. Nelle liste di Fratelli d’Italia hanno trovato posto 27 dei 29 parlamentari uscenti. In quelle di Grande Sud lo hanno trovato in 9 su 14. Dei 6 uscenti dell’MPA, 4 si sono ricandidati in Sicilia sotto le insegne del loro partito. I due esponenti uscenti del partito dei Pensionati si candidano tutti nelle proprie liste. Lo stesso fa Giampiero Catone, nelle liste di Intesa popolare. Tremonti, infine, si candida con la Lega.

    Sono rimasti fuori dalle liste invece gli ex finiani di Fare Italia (Ronchi, Urso), Paolo Guzzanti (Iniziativa liberale), gli esponenti campani di Autonomia Sud, e persino Francesco Pionati (ADC).

    Nel complesso dunque, su 390 parlamentari uscenti, hanno trovato posto in lista 247 esponenti dell’Area Pdl: il 63,3%. Ovviamente però, essere ricandidati non significa affatto avere concrete possibilità di rielezione. Per capire quanti di questi parlamentari potranno essere rieletti dobbiamo concentrarci sulle liste elettorali che in queste elezioni rappresentano l’Area PDL. In primo luogo, è bene dire che alcune di esse, come i Pensionati o Intesa Popolare, presenti solo a macchia di leopardo sul territorio nazionale, non hanno concrete possibilità di ottenere seggi. Partiti di dimensioni un po’ più grosse, come Fratelli d’Italia, Grande Sud, MIR, che sono presenti ovunque, hanno qualche possibilità in più ma rimangono in forte dubbio, per via della soglia del 2% e della incertezza su chi alla fine la raggiungerà, e su chi verrà ripescato come il più votato sotto tale soglia. L’incapacità dei sondaggi di misurare partiti di queste dimensioni, l’impossibilità di prevedere se essi raggiungeranno la soglia, le dimensioni comunque ridotte con cui essi, se vi accederanno, concorreranno alla distribuzione dei seggi, rende impossibile fare previsioni esatte sulle posizioni eleggibili di tali partiti. Questa stessa incertezza che impedisce a noi di dipingere scenari, ha portato i leader nazionali di questi soggetti (La Russa, Meloni, Crosetto, Micciché, Samorì) a prodursi in un intensissimo utilizzo dello strumento delle pluricandidature. Non sapendo dove scatteranno i seggi, cioè, coloro che vogliono essere riconfermati devono candidarsi ovunque. Ci sono poi alcune liste che hanno invece concrete possibilità di ottenere qualche seggio al Senato: in particolare Grande Sud (in Sicilia o in Puglia), MPA (in Sicilia), PID (in Sicilia). Ma in questa sede ci concentreremo sull’unica lista per cui è possibile fare delle previsioni precise: il PDL. Sulla Lega ci esprimeremo invece in un articolo seguente.

    La simulazione che abbiamo prodotto si basa su uno scenario che prevede, per le liste di centrodestra, le seguenti percentuali di consenso: PDL 18%, Lega Nord 4,5%, La Destra 2%, FDI 1,5%, Grande Sud 1%, Altri CDX 1,5%. Tali percentuali sono state articolate nelle varie circoscrizioni sulla base della distribuzione territoriale del voto che tali partiti (o, se essi non esistevano, partiti a loro assimilabili) avevano riportato nel 2008. In questa simulazione abbiamo assegnato al centrodestra il premio di maggioranza regionale al Senato, in tutte e 4 le regioni in bilico: Lombardia, Veneto, Sicilia, Campania. Tale simulazione assegna al PDL un totale di 173 parlamentari: 89 deputati e 84 senatori. Per individuare le persone fisiche in grado di occupare queste 173 posizioni eleggibili, abbiamo infine ripescato i primi esclusi nelle circoscrizioni in cui erano presenti delle pluricandidature in posizione eleggibile (Berlusconi è capolista in tutte e 18 le Regioni al Senato; Alfano è capolista in 4 circoscrizioni alla Camera; Barani è inserito in due posizioni eleggibili al Senato).

    Tabella 2. Lista PDL: parlamentari uscenti ed altri candidati nelle posizioni eleggibili

    Come mostra la Tabella 2, di questi 173 eleggibili, ben 133 (il 75,6%) sono parlamentari uscenti: 128 esponenti del PDL e 5 esponenti di piccoli partiti d’Area PDL che hanno trovato spazio nelle liste berlusconiane (si tratta dei 3 esponenti del PID, due candidati in Sicilia e uno in Campania, e di due altri campani, che entreranno entrambi al Senato se il centrodestra vincerà il premio regionale: l’esponente di Noi Sud Antonio Milo e dell’ex PD Riccardo Villari). Fra i parlamentari uscenti di peso collocati in posizioni a forte rischio di bocciatura ci sono esponenti come Baccini, Boniver, Napoli, Calderisi, oltreché, fra gli ospiti in lista, i due “famigerati” Razzi e Scilipoti. Dunque, come sintetizzato dalla Tabella 3, su 310 parlamentari uscenti del PDL, solo 128 (il 41,3%) saranno verosimilmente rieletti, ma, in un contesto in cui la rappresentanza parlamentare del partito di Berlusconi passerà da 310 a 168 (173 eletti delle liste PDL meno i 5 “imbucati”), essi rappresenteranno più del 75% dei nuovi eletti pidiellini. Sono solo 40 le new entries: fra esse anche personaggi di spicco, come Daniela Santanchè, Roberto Formigoni, Renata Polverini, Giancarlo Galan, Daniele Capezzone, Augusto Minzolini.

    Tabella 3. Lista PDL: la sorte dei 310 parlamentari uscenti del PDL

    Altro dato importante da segnalare è, come al solito, quello della rappresentanza di genere, che mostriamo nella Tabella 4. Dei 173 eletti prevedibili per la lista PDL, solo 36 (il 20,8%) saranno donne. Un dato certamente molto basso, e solo lievemente maggiore rispetto a quello che caratterizza l’insieme degli uscenti, che si attesta al 16,4%, ma che tuttavia poteva essere peggiore se si pensa alla contrazione numerica di rappresentanti cui il PDL va inevitabilmente incontro.

    Tabella 4. Lista PDL: la rappresentanza di genere nelle posizioni eleggibili


    Legenda dell’Area PDL:

    PDL: Popolo della Libertà

    FDI-CN: Fratelli d’Italia-Centrodestra Nazionale, fondato da Ignazio La Russa, Giorgia Meloni e Guido Crosetto

    MIR: Moderati in Rivoluzione, il movimento fondato da Giampiero Samorì

    GS: Grande Sud (nato dalla fusione di Forza del Sud di Gianfranco Miccichè e di Io Sud di Adriana Poli Bortone)

    MPA: Movimento per l’Autonomia (il movimento d Raffaele Lombardo)

    PID: Popolari d’Italia Domani (il movimento dell’ex UDC Saverio Romano)

    Noi Sud: ex esponenti campani dell’MPA, area di Enzo Scotti (deputati Milo e Razzi)

    Autonomia Sud: ex esponenti campani dell’MPA, contrari a Enzo Scotti (deputati Iannaccone, Belcastro, Porfidia)

    Ex finiani: ex finiani usciti da FLI nel dicembre 2010 (deputati Moffa, Siliquini, Polidori)

    Fare Italia: ex finiani usciti da FLI nel luglio 2011 (deputati Urso, Ronchi, Scalia, Buonfiglio, senatori Saia, Menardi)

    MRN: Movimento di Responsabilità Nazionale (di Domenico Scilipoti e Bruno Cesario)

    Iniziativa liberale: movimento di Paolo Guzzanti, cui ha aderito anche Maurizio Grassano

    Pensionati: partito fondato nel 1987 da Carlo Fatuzzo, con due parlamentari eletti nel PDL (Giacinto Boldrini e Lino Miserotti)

    ex PD: Riccardo Villari e Massimo Calearo

    Intesa popolare: movimento neodemocristiano fondato da Giampiero Catone

    ADC: Alleanza di Centro, movimento neodemocristiano fondato da Francesco Pionati

  • Liste Monti: l’affiliazione politica dei candidati nelle posizioni eleggibili

    di Federico De Lucia

    La coalizione capeggiata dal Presidente del Consiglio uscente, Mario Monti, ha reso noti i candidati di due delle proprie quattro liste. Come risaputo, lo schieramento centrista ha optato per una offerta politica differenziata per i due rami del Parlamento: al Senato, dove le soglie di sbarramento sono più alte (20% regionale per le coalizioni, 8% regionale per le liste non coalizzate), si presenta sotto forma di lista unica; alla Camera, dove le soglie di sbarramento sono più accessibili (10% nazionale per le coalizioni, 4% nazionale per le liste non coalizzate) si presenta sotto forma di coalizione fra le tre liste di Scelta Civica, UDC e FLI. Scelta civica è in realtà una lista molto composita: in essa trovano spazio esponenti scelti direttamente da Mario Monti, esponenti di Italia Futura, membri delle altre associazioni che hanno aderito al manifesto di Verso la Terza Repubblica, ed infine qualche ex esponente locale di Pd e Pdl. Al Senato, nella lista unica, a questi soggetti devono aggiungersi i candidati di UDC e FLI, che invece alla Camera corrono tutti nelle rispettive liste. Come annunciato da Monti, nessun parlamentare uscente è stato inserito nella lista civica che si presenta alla Camera, mentre alcuni hanno trovato posto in quella unica che si presenta al Senato.

    Come abbiamo fatto per il PD, ci concentreremo su coloro che in queste liste occupano le posizioni eleggibili. In questo caso, oltreché la rappresentanza di genere, ci interessa indagare la composizione delle liste dal punto di vista dell’affiliazione politico-associativa dei candidati. Come si è detto infatti, molte erano le istanze che il Presidente del Consiglio si è trovato a dover mediare nella composizione delle graduatorie, e può essere interessante dar conto di quale sia l’esito cui questa mediazione ha portato.

    Per stimare il numero di eleggibili è necessario, al solito, fare delle assunzioni preliminari: in primo luogo, ipotizziamo che il polo montiano abbia alla fine una forza elettorale pari al 15% dei voti su scala nazionale; in secondo luogo ipotizziamo che, alla Camera, i due terzi di tale bacino elettorale vadano alla lista civica montiana (dunque ipotizziamo un risultato del 10% per Scelta Civica, e del 5% per UDC e Fli messi insieme); in terzo luogo, immaginiamo che la distribuzione di tali voti sul territorio sia simile a quella che alle elezioni del 2008 aveva avuto l’UDC (ovvero il partito che allora rappresentava il “centro”). Date queste assunzioni, secondo le nostre simulazioni allo schieramento centrista dovrebbero andare 74 deputati (di cui 49 a Scelta Civica) e 35 senatori.

    In attesa di conoscere le liste per la Camera di FLI e UDC, per il momento ci limitiamo ad indagare le 49 posizioni eleggibili delle lista Scelta Civica e le 35 posizioni eleggibili della lista unica che si presenta per Palazzo Madama. Nella lista per la Camera ci sono solo due pluricandidature: quella di Alberto Bombassei (presente in Lombardia 2 e Veneto 2) e quella di Valentina Vezzali (presente nelle Marche e in Campania 1). Nella lista unica del Senato le pluricandidature sono invece 5: quattro di Pier Ferdinando Casini (presente in Lazio, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia) e una di Pietro Ichino (presente in Lombardia e Toscana). Le 49 posizioni eleggibili per la Camera sono quindi occupate da 47 persone fisiche, mentre le 35 posizioni eleggibili per il Senato sono occupate da 30 persone fisiche.

    Nella Tabella 1 è riepilogata la composizione politica delle posizioni eleggibili nelle liste montiane che pendiamo in considerazione.

    Tabella 1. Liste Monti: la composizione politica di Scelta civica alla Camera e della lista unica al Senato

    Partiamo da Scelta Civica. Delle 47 persone fisiche che in tale lista occupano posizioni eleggibili: 9 sono personalità direttamente indicate da Monti, nel mondo dell’imprenditoria, dell’Università o dell’associazionismo; 23 sono esponenti di Italia Futura, l’associazione politico-culturale presieduta da Luca di Montezemolo; 12 sono personalità singole o esponenti delle altre associazioni, per lo più cattoliche, che hanno aderito al manifesto Verso la Terza Repubblica (per capirsi: il mondo associativo di cui si è fatto rappresentante il ministro Riccardi); 3 sono esponenti locali (non parlamentari uscenti) del PDL, che hanno abbandonato il proprio partito per aderire al progetto montiano.

    Passando alla lista unica per il Senato, è evidente che qui il compito di mediazione era ancora più arduo: da una parte, i posti eleggibili a disposizione erano circa la metà; dall’altra, erano molti di più i soggetti politici che ambivano a spartirseli. Alle associazioni di cui si è appena detto vanno aggiunti in particolare due partiti organizzati (UDC e FLI), e le ansie di riconferma dei molti altri parlamentari uscenti che hanno aderito al progetto montiano pur non appartenendo né all’UDC né a FLI. Costoro (ve ne erano circa 35) non avevano alcuna speranza di essere collocati altrove, essendo le liste alla Camera o liste totalmente civiche o liste di partiti cui essi non erano iscritti. Ebbene, delle 30 persone che occupano posizioni eleggibili: 3 sono candidati scelti personalmente da Monti; 5 appartengono a Italia Futura; 5 sono riconducibili all’area cattolica di Riccardi; 7 sono esponenti dell’UDC (ma Casini, ove plurieletto, potrebbe farli lievitare sino a 9-10 optando per l’elezione in Sicilia o Basilicata); 3 sono esponenti di FLI; ben 7 sono ex esponenti di PD e PDL che hanno aderito al progetto montiano (fra essi si contano Albertini, Ichino, Mauro). Casini e Ichino dovrebbero ottenere l’elezione in più di una regione: in tal caso essi, optando, favoriranno il ripescaggio dei primi candidati in posizione non eleggibile. Saranno 5 i senatori che otterranno l’elezione in tal modo: di questi, è probabile che almeno 3 siano dell’UDC e almeno 1 sia di FLI. Molti, infine, sono stati i politici di rango che non si sono ricandidati (per propria scelta o meno): Franco Frattini, Giuseppe Pisanu, Giorgio La Malfa, Alfredo Mantovano, Giorgio Stracquadanio, Roberto Antonione, Mario Adinolfi, Nicola Rossi.

    I parlamentari uscenti sono 13 su 30, più 3-4 ripescabili in caso di plurielezioni. Ma per fornire un dato completo su questo punto attendiamo che siano rese note anche le liste di FLI e UDC per la Camera dei Deputati.

    Il dato sulla rappresentanza di genere, infine, è per entrambe le liste abbastanza scoraggiante: in Scelta civica, su 47 persone fisiche che occupano una posizione eleggibile, solo 10 sono donne (il 21,3%); nella lista unica per il Senato, in perfetta coerenza numerica, esse sono solo 6 su 30 (il 20%).

    Tabella 2. Liste Monti: uomini e donne nelle posizioni eleggibili

  • Bersani “fa girare la ruota”: metà dei parlamentari uscenti a casa e il 40% di donne nelle posizioni eleggibili

    di Federico De Lucia

    Ora che il PD ha reso noto le liste di candidati alla Camera e al Senato, ci è finalmente possibile fare una analisi precisa e puntuale sulla loro composizione effettiva (anche se ancora non completamente ufficializzata: c’è da risolvere ancora la grana del PSI). In precedenti articoli avevamo fatto delle previsioni basate sul regolamento approvato dal PD, o meglio sull’interpretazione che di esso ci appariva come la più ragionevole: ora finalmente sappiamo quale è stata l’interpretazione effettiva, e su di essa possiamo basarci interamente.

    Mentre in articoli precedenti abbiamo parlato di ciò che era emerso dal territorio con le primarie, oggi è in primo luogo possibile dare conto del “listino” scelto dal segretario. Come prevedibile, il listino di Bersani non è composto né da 92 nomi (il numero minimo che gli spettava), né da 136 (il numero massimo che poteva spettargli secondo una interpretazione estensiva del regolamento), ma da una cifra intermedia, più spostata verso il secondo di questi due estremi: 124 persone fisiche per 129 posizioni in lista (ci sono cioè cinque pluricandidature: due di Bersani, una di Ignazio Marino, una di Enrico Letta e una di Flavia Nardelli). La sorpresa sta nella composizione di questo listino: solo 49 di questi 124 prescelti sono parlamentari uscenti (il 39,5%); gli altri 75 sono o “esterni” o politici provenienti dal territorio (fra cui molti renziani), o socialisti (ma sugli 8 posti lasciati al PSI si è aperta una polemica fra i due partiti che ancora non è stata risolta).

    Tabella 1. Liste PD: la composizione del listino di Bersani

    A questo punto, è possibile fare una previsione molto più affidabile sulla composizione della prossima delegazione democratica al Parlamento nazionale. Per procedere alle necessarie simulazioni è necessario però fare delle ipotesi. In primo luogo continuiamo a ipotizzare che il centrosinistra ottenga il premio di maggioranza sia alla Camera che in tutte le regioni del Senato. Questo è solo uno degli esiti possibili, ma è quello che prendiamo in considerazione qui perché, essendo il più favorevole, ci consente di stimare, ceteris paribus, il numero massimo di candidati eleggibili. In secondo luogo, è necessario quantificare il rapporto di forze interno alla coalizione di centrosinistra. Per far capire quanto questo punto sia cruciale, facciamo notare che l’effetto combinato di variazioni percentuali anche minime del PD, da una parte, e dei suoi alleati (SEL, Centro Democratico, SVP, forse il PSI con liste autonome) dall’altra, può produrre una differenza di risultato per il PD superiore ai 50 seggi. Abbiamo scelto di presentare due scenari: nel primo, in cui ipotizziamo un rapporto di forza 80%-20% (quindi un PD attorno al 30-31% e i suoi alleati complessivamente attorno all’8-9%), al PD spettano 398 dei 512 seggi totali che vanno alla coalizione; nel secondo, in cui ipotizziamo un rapporto di forza 90%-10% (quindi un PD attorno al 34% e i suoi alleati complessivamente attorno al 5%), al PD spettano 461 di tali 512 seggi. Il primo scenario è abbastanza sfavorevole al PD, e pertanto, i candidati che vi risultano eletti possono considerarsi al sicuro. Chi, invece, risulta eletto solo nel secondo di tali scenari, occupa una posizione “marginale” in lista, ovvero non ha la certezza della elezione.

    Tabella 2. Liste PD: i due scenari che ipotizziamo a seconda delle percentuali ottenute dai partiti del CSX

     

    Il primo punto che ci interessa, è capire quanti degli eletti PD proverranno dalle primarie, e quanti proverranno dal listino. Nel primo scenario ipotizzato, su 398 posizioni eleggibili, 281 (70,6%) sono occupate da esponenti del partito provenienti dalle primarie, mentre 117 (29,4%) sono occupate da componenti il listino (entro tale numero entrano 5 socialisti e tutte le 5 pluricandidature). Nel secondo scenario ipotizzato, su 461 posizioni eleggibili, 339 (il 73,5%) sono occupate da esponenti del partito provenienti dalle primarie, mentre 122 (26,5%) sono occupate da componenti il listino (in questo caso vi sono 6 socialisti e ancora le 5 pluricandidature). Pertanto, come ragionevole attendersi, la quasi totalità del listino (in particolare, tutto salvo 7 casi, di cui 3 socialisti) è stata inserita in posizioni eleggibili. Comunque, una quota compresa fra i due terzi e i tre quarti dei prossimi eletti PD proverrà dalle primarie svoltesi sul territorio. Cifre che confermano le previsioni che in queste ore dichiara Bersani sui mezzi di comunicazione.

    Tabella 3. Liste PD: le posizioni eleggibili disaggregate fra componenti il listino e eletti dalle primarie

    Il secondo punto che ci interessa indagare è la composizione di genere della prossima pattuglia democratica a Roma. In precedenti articoli avevamo notato come fosse stata altissima la quota di donne arrivate ai primi posti nella competizione primaria sul territorio, e ci eravamo interrogati sulla misura in cui Bersani, nel suo listino, sarebbe riuscito a fare altrettanto. (hitechwork.com) Bene: nel primo scenario ipotizzato, su 388 persone fisiche che entreranno in parlamento (in questo caso dobbiamo escludere dal totale i 5 socialisti eleggibili, che ancora non hanno comunicato i nomi dei candidati, e le 5 pluricandidature, che non sappiamo dove saranno optate dopo l’elezione), 235 saranno gli uomini e 153 saranno le donne; nel secondo scenario ipotizzato, su 451 persone fisiche elette (ancora, non concorrono al totale i socialisti e le pluricandidature), 272 saranno gli uomini e 179 saranno le donne. Le donne saranno cioè, in entrambi le ipotesi, quasi il 40% degli eletti. Veramente un grande risultato! Ci pare però il caso di far notare che, disaggregando la distinzioni di genere nei due subtotali degli eletti provenienti dalle primarie e di quelli provenienti dal listino, ci rendiamo conto che Bersani, in realtà, non è affatto riuscito ad eguagliare le Unioni regionali del suo partito sulla rappresentanza di genere: in entrambi gli scenari, nella quota di eletti proveniente dal territorio, le donne sono circa il 44%; fra i nominati da Bersani esse scendono al 26% circa.

    Tabella 4. Liste PD: uomini e donne nelle posizioni eleggibili, disaggregati per listino e primarie


    L’ultimo punto che ci interessa indagare è infine la sorte che aspetta la pattuglia di parlamentari democratici uscenti. Le simulazioni che abbiamo fatto ci permettono di procedere ad una analisi molto dettagliata delle loro prospettive di rielezione, e dunque del rinnovamento che attende la classe dirigente del partito (inutile dire quanto questo tema sia all’ordine del giorno in questa campagna elettorale). Innanzi tutto, è preliminarmente necessario dar conto di quanti parlamentari saranno ricandidati. Dei 299 parlamentari democratici uscenti: solo 49 (il 16,4%) sono stati inseriti nel listino di Bersani; 150 (il 50,2%) hanno partecipato alle primarie locali; ben 100 (il 33,4%) si sono semplicemente ritirati.

    Tabella 5. Liste Pd: la sorte dei 299 parlamentari democratici uscenti

     

    Dei 150 che hanno concorso alla competizione sul territorio: 99 hanno conseguito un risultato che gli consente di occupare una posizioni certamente eleggibile (cioè eleggibile nel nostro primo scenario, quello più sfavorevole al PD); 14 hanno ottenuto un piazzamento in lista incerto (cioè eleggibile solo nel secondo dei nostri due scenari); 37 sono stati bocciati dal territorio e pertanto occupano posizioni in lista troppo basse per poter risultare eletti (di questi 37, 15 hanno addirittura rinunciato a candidarsi, vista l’impossibilità dell’elezione). Invece, dei 49 componenti il listino, 47 (la quasi totalità, come ovvio) sono stati inseriti in posizioni utili all’elezione, tutte già sicure nel primo scenario. Quindi, nel complesso ci attendiamo che i rieletti PD siano un numero compreso fra 146 (primo scenario) e 160 (secondo scenario). Si tratterebbe di una cifra compresa fra il 48,8% e il 53,5% dei 299 parlamentari democratici uscenti. E solo un terzo di tali eletti proverrà dal listino. Insomma, come direbbe Bersani: “la ruota gira”. Nell’ultima tabella possiamo dare una occhiata a quanto era successo nelle legislature precedenti.

    Tabella 6. Liste Pd: il tasso di rielezione da noi ipotizzato a confronto con quello del recente passato

    Qualora Il tasso di rielezione 2013 da noi ipotizzato si rivelasse giusto, esso sarebbe nettamente inferiore rispetto a quello delle elezioni del 2008: in quel caso esso era stato altissimo, ed in questo un ruolo importante l’aveva giocato la breve durata della legislatura che si chiudeva. La quota dei rieleggibili di oggi è invece molto simile alla percentuale di rieletti che si era registrata in occasione delle elezioni precedenti alle ultime, quelle del 2006. Ma attenzione: allora il numero di parlamentari democratici eletti rimase pressoché identico a quello dei parlamentari uscenti, anzi diminuì leggermente (erano 338 prima delle elezioni del 2006, furono 324 dopo tali elezioni); oggi, invece, nelle nostre simulazioni il PD incrementa la propria delegazione di almeno 100 unità (passa da 299 a minimo 398), e di posti eleggili in cui piazzare gli uscenti ne avrebbe avuti pertanto in grande quantità. Si è fatta una scelta politica diversa, ed è giusto mettere in evidenza che sono i numeri a dimostrarlo.