Autore: Matteo Cataldi

  • I flussi al Nord Est: elettori a 5 stelle fra astensione e leghismo di ritorno

    di Matteo Cataldi e Federico De Lucia

    In questa tornata elettorale amministrativa si è votato in tre comuni capoluogo della cosiddetta “ex zona bianca”: si tratta di Brescia, Vicenza e Treviso. In due di queste città, il sindaco uscente era di centrodestra: a Brescia il pdiellino Paroli, a Treviso il leghista Gobbo (in realtà “facente le veci” istituzionali del vicesindaco, lo storico “sceriffo” Gentilini). A Vicenza invece, il sindaco uscente era l’esponente democratico Variati. Sia Variati che Paroli hanno scelto di ricandidarsi: a Treviso invece è Gentilini ad aver scelto di tornare in campo in prima persona.

    I risultati sono stati abbastanza netti, e in tutti e tre i casi molto penalizzanti per il centrodestra. A Vicenza, l’uscente Variati è riuscito a riconfermarsi già al primo turno, con il 53,5% dei voti, mentre la sua sfidante, la leghista Dal Lago, è rimasta inchiodata ad un pessimo 26%. A Treviso è stato messo a serio repentaglio lo storico dominio del centrodestra: Gentilini non solo è sceso sotto il 50% ma è stato superato dal candidato di centrosinistra Manildo, che lo fronteggerà al ballottaggio partendo da un vantaggio di 8 punti percentuali (42,5%-34,8%). A Brescia invece è stato un vero e proprio testa a testa: Paroli e il suo sfidante, il democratico Del Bono sono appaiati al 38%, e si scontreranno fra due settimane per aggiudicarsi la carica di sindaco.

    Il pessimo risultato del centrodestra appare però mitigato se a parametro non prendiamo le prestazioni delle amministrative scorse ma quelle delle politiche di febbraio. Assumendo queste ultime a paragone, è al contrario il M5S che appare in grossa difficoltà, ed i due schieramenti tradizionali a trarne beneficio. Il Movimento di Grillo ha ottenuto nei tre casi in esame un consenso pari al 7% dei voti ai candidati sindaco.

    Dunque che fine hanno fatto i voti che il M5S raccolse non più tardi di tre mesi fa in occasione delle elezioni politiche? E come si spiega la ripresa della coalizione di centrosinistra? A queste e altre domande sui movimenti di voto intercorsi da febbraio ad oggi nei due capoluoghi veneti e in quello lombardo, proveremo a rispondere avvalendoci delle stime di flusso elaborate a partire dai dati di ciascuna sezione elettorale.

    Nelle tabelle dalla 1 alla 3 sono riportate le destinazioni dei voti espressi alle politiche per le tre città. Fatto 100 il totale dei voti alle coalizioni formatesi in occasione delle elezioni per la Camera, osserviamo come quei voti si sono distribuiti tra i vari candidati sindaco.

    Tabella 1 – flussi di voto a Brescia tra le elezioni politiche e le elezioni comunali: matrice delle destinazioni.

     

    Tabella 2 – flussi di voto a Vicenza tra le elezioni politiche e le elezioni comunali: matrice delle destinazioni.

     

    Tabella 3 – flussi di voto a Treviso tra le elezioni politiche e le elezioni comunali: matrice delle destinazioni.

     

    Cominciamo dal centrosinistra, che mostra un comportamento molto simile in tutti e tre i contesti in esame. I tre candidati di centrosinistra (Delbono, Variati e Manildo) riescono a trattenere una cifra di elettori superiore al 70% di coloro che alle politiche avevano votato centrosinistra. A Vicenza, dove Variati era il sindaco uscente ed è riuscito ad ottenere la riconferma già al primo turno, tale percentuale supera addirittura il 90%. Le perdite sono scarse ovunque: l’unico valore degno di interesse è la lieve perdita che si registra a Brescia verso l’uscente di centrodestra Paroli. Lievissime poi, a conferma del radicamento locale dell’elettorato di centrosinistra, le perdite verso il non voto, pur in un contesto di partecipazione in forte calo.

    Anche il centrodestra, in queste zone, riesce a tenere sufficientemente alto il livello di mobilitazione: le percentuali di conferma del proprio elettorato delle politiche sono del 60% a Treviso e del 70% a Brescia e Vicenza. Si tratta di un dato più basso di quello di centrosinistra ma non scontato. Con un calo così marcato della partecipazione, ci si sarebbe potuto aspettare una diserzione ben più massiccia. Del resto, i candidati in questione erano tutti di un certo peso: due sindaci uscenti, Paroli e Gentilini, e un esponente di primo livello della Lega Nord, Manuele Dal Lago. Le perdite verso il non voto, anche se meno corpose di quanto ci si potesse aspettare, ci sono state: soprattutto a Brescia, dove hanno raggiunto un quarto dei votanti centrodestra alle politiche. A Treviso si è registrato infine un flusso di una certa consistenza in uscita verso Zanetti, forte candidato del terzo polo ma ex esponente di Forza Italia.

    Passando al M5S giungiamo finalmente a spiegarci la causa del sensibile incremento dell’astensionismo. Dai dati che emergono dalle tabelle sorge una chiarissima direzione interpretativa. L’elettorato grillino delle politiche pare ben poco attratto dai candidati che il M5S ha proposto per le elezioni comunali. A Brescia, dove il M5S è passato dal 16,7% al 7,3%, solo poco meno di un quarto dei votanti Grillo alle politiche pare aver sostenuto la candidata grillina Gamba. E tale bassissima percentuale cala ancora in Veneto: a Treviso, Gnocchi è riuscito a ottenere il consenso di solo il 16% di coloro ch a febbraio avevano votato M5S, mentre addirittura a Vicenza la percentuale di coloro che hanno confermato il proprio voto a Zaltron è un infimo 5%. Sembra di assistere, per questo soggetto politico, ad un vero e proprio sciogliete le righe. Ma dove sono andati questi voti? Qui la questione si fa molto interessante perché fra le nostre tre città pare manifestarsi una distinzione abbastanza precisa. A Brescia e Vicenza, contesti urbani nei quali il conservatorismo proprio delle rispettive province si manifesta in modo tradizionalmente più attenuato, l’elettorato grillino è rimasto in massa a casa: in entrambi i casi, ben il 43% di coloro che avevano votato il M5S alle politiche si è oggi astenuto. A Vicenza pare che entrambi i candidati maggiori abbiano esercitato un certo appeal sull’elettorato grillino (in particolare il 22% di esso ha votato Variati, il 10% Dal Lago). Il caso deviante è rappresentato da Treviso, la patria del leghismo più puro: una roccaforte nella quale si è ricandidato un uomo ai vertici della città da 20 anni, in un contesto in cui il Carroccio è giunto a sfiorare il 50% dei consensi solo qualche anno fa. Qui, dove alle politiche la Lega ed il centrodestra avevano subito un tracollo vistoso, e dove il Movimento 5 stelle era schizzato a percentuali notevolissime, si assiste ad un chiarissimo rientro da parte dell’elettorato grillino. Tra coloro che a febbraio scelsero il movimento di Beppe Grillo, quasi uno su due sembra aver votato per Gentilini lo scorso fine settimana: il triplo di coloro che invece hanno confermato il proprio voto al M5S e quasi il doppio di chi si è astenuto.

    Infine, qualche parola sul comportamento dell’elettorato di Monti. Appare abbastanza chiaro come, in entrambe le città venete, quest’ultimo sia stato attratto in misura davvero massiccia (una quota vicino al 70%) dai candidati di centrosinistra. Addirittura, a Treviso, solo l’11% ha votato Zanetti, che pure era sostenuto esplicitamente da una lista con il simbolo di Scelta Civica. A Brescia invece, gli elettori montiani si sono ripartiti in tre sottoinsiemi di ampiezza più o meno identica: un terzo ha votato il candidato di centrosinistra, un terzo quello di centrodestra, e un terzo un candidato centrista di ispirazione cattolica (Onofri).

    Nella Tabella 4, mostriamo invece le provenienze del voto a queste elezioni comunali, partendo dai rapporti di forza delle politiche, in ciascuno dei tre casi in esame.

    Tabella 4 – Provenienze dei voti ai principali candidati sindaco per ciascuna città.

     

    In questo caso ci concentriamo sui due candidati principali. Nei  tre comuni oggetto della nostra attenzione/analisi, i candidati di centrosinistra hanno un elettorato che per la gran parte è composto da elettori che già a febbraio avevano votato la coalizione che sosteneva Bersani. In tutti e tre i casi è inoltre presente una componente ex montiana di una certa intensità (dal 14% di Brescia al 28% di Treviso). Scarsa, ovunque, è invece la quota dell’elettorato di centrosinistra che alle politiche aveva votato il M5S. Variati, tuttavia, in quanto sindaco uscente, è stato capace di catalizzare il consenso di diversi segmenti dell’elettorato, sia di centrodestra che pentastellato.

    Per i candidati di centrodestra va fatta una distinzione, perché tutti mostrano delle peculiarità. La candidata di Vicenza, la Dal Lago, è stata votata da un elettorato per la stragrande maggioranza appartenente al bacino di voti del centrodestra, anche se è presente un 10% che proviene dal M5S. Paroli, a Brescia, in quanto sindaco uscente è stato in grado di attrarre elettori sia progressisti che montiani. Gentilini invece, rappresenta al meglio ciò che è successo nell’elettorato leghista negli ultimi mesi: il 54% dei consensi dello “sceriffo” provengono dal centrodestra, mentre ben il 38% provengono dal M5S. Veri e propri leghisti rientrati alla base, a dimostrazione di quanto l’assenza di radicamento territoriale nello spiegare le performance grilline a queste elezioni comunali.

    Nel complesso possiamo dire che rispetto alle elezioni politiche i due schieramenti maggiori sono riusciti a reggere: il centrosinistra ha tenuto la gran parte del suo elettorato, subendo pochissime perdite; il centrodestra è stato, al solito, meno capace in questo, ma rispetto alle politiche ha registrato perdite verso l’astensione meno contenute di quanto si poteva pensare. A subire travasi, e in massa, verso l’astensione è stato invece il M5S, i cui candidati hanno perso una quota elevatissima del consenso che le liste grilline avevano ottenuto alle politiche. Tralasciando i flussi fra voto e non voto, e passando a flussi fra partiti, tre sono i fenomeni che meritano di essere segnalati: a) una certa capacità dei sindaci uscenti (Variati, Paroli) di attrarre consensi politicamente trasversali; b) la evidente tendenza dell’elettorato montiano a spostarsi verso i candidati di centrosinistra, specie in Veneto; c) l’interessantissimo caso trevigiano, in cui una porzione cospicua dell’elettorato che alle politiche aveva sostenuto Grillo, verosimilmente ex leghisti, è tornata a sostenere Gentilini alle comunali. Su quest’ultimo punto, sarà interessante capire come questi elettori si comporteranno al ballottaggio.


    Nota metodologica: tutte le analisi presentate sono state condotte con il modello di Goodman, corretto con algoritmo iterativo. Il valore redistribuito per le tre città è pari a 11.8 a Brescia, 3.1 a Vicenza e 8.5 a Treviso

  • Comunali 2013: il quadro delle alleanze nei comuni capoluogo

    Comunali 2013: il quadro delle alleanze nei comuni capoluogo

    di Matteo Cataldi

    Quello della prossima domenica, se si escludono le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia, rappresenta il primo vero test elettorale dopo il voto di febbraio e dall’inizio dell’esperienza del governo Letta. I comuni che dovranno rinnovare i propri organi sono complessivamente 592. Quelli superiori a 15.000 abitanti, per i quali la legge prevede un eventuale turno di ballottaggio tra i primi due candidati nel caso nessuno di essi abbia ottenuto il 50% dei consensi al primo turno, sono invece 92. Di questi, 16 sono capoluoghi di provincia: 6 del nord (esclusa l’Emilia Romagna), 4 della “zona rossa” e 6 al centro-sud. Nella maggior parte dei casi si era votato nel 2008 assieme alle elezioni politiche in cui il centrodestra guidato da Berlusconi ottenne una netta affermazione. Questa concomitanza contribuì alla crescita della partecipazione al primo turno delle elezioni rispetto alle comunali precedenti, ma naturalmente influenzò anche la configurazione delle alleanze nei test locali. (bottomlineequipment.com) Infatti nella maggior parte dei casi, l’offerta elettorale fu perlopiù la stessa delle politiche. Da una parte il Pdl in alleanza con la Lega fin dove quest’ultima si presentava, (a Brescia anche con l’Udc) e dall’altra il Pd assieme con l’Italia dei Valori praticamente ovunque nei 16 capoluoghi ad eccezione di Viterbo. Nella metà dei  casi tuttavia la coalizione di centrosinistra estendeva i propri confini anche ai partiti che si collocano a sinistra del Pd (Prc, Pdci e Verdi).

    Oggi l’offerta elettorale che si osserva è completamente cambiata rispetto a cinque anni fa. E non solo per l’ingresso di nuovi attori politici come Scelta Civica di Monti, Fratelli d’Italia (entrambi nati alla vigilia delle elezioni politiche) e soprattutto, il Movimento cinque stelle, ma anche per la scomparsa o il ridimensionamento di altri attori che proprio a partire dal 2008 avevano assunto un ruolo di primo piano: Antonio Di Pietro con l’Italia dei Valori ma anche Gianfranco Fini con Futuro e Libertà.

    In tabella 1 è mostrato il quadro, invero piuttosto frammentato, delle alleanze che si sono aggregate attorno al Pd in vista delle elezioni di domenica prossima. Il partito del neo segretario Epifani corre in solitaria a Imperia e Avellino, in altri due casi batte la strada di un alleanza al centro, ad Ancona con l’Udc e Scelta civica, a Vicenza con il partito di Casini; In cinque capoluoghi viene riproposta la stessa alleanza delle elezioni politiche (Pd, Sel e Centro Democratico) e in quasi altrettanti casi (Sondrio, Treviso, Massa e Lodi) il centrosinistra si presenta compatto dal Pd fino a Rifondazione. Infine in due casi, entrambi al centro-sud (Barletta e Iglesias), l’alleanza che si raccoglie attorno al Partito Democratico estende al massimo le sue propaggini includendo, sul versante di destra dello schieramento politico Scelta civica, e il partito di Ferrero su quello sinistro.

    Tabella 1 – Le alleanze del Pd nei 16 comuni capoluogo

    Dopo la batosta elettorale ricevuta in occasione delle elezioni comunali dello scorso anno, quando il Popolo delle Libertà si presentò da solo in ben 22 comuni capoluogo su 26 e in 13 dei 14 del centro-nord, stavolta il Pdl (dati in tabella 2), sembra aver fatto tesoro di quell’insegnamento. Così ha ricucito i rapporti con la Lega di Roberto Maroni assieme alle quale si presenta oggi in 6 capoluoghi. Tra questi Imperia dove il centrodestra compatto ingloba anche Udc e Scelta Civica. A Brescia, Isernia e Barletta tutto il centrodestra si presenta unito; in 4 casi l’alleato principale del partito di Berlusconi è Fratelli d’Italia, mentre solo a Sondrio ed Ancona corre da solo.

    Roma merita un discorso a parte: nella capitale si profila un testa a testa tra il sindaco uscente Alemanno che è riuscito a tenere unito il proprio schieramento, e il principale sfidante candidato di Pd e Sel, Ignazio Marino. Più defilato appare ai nastri di partenza il candidato grillino De Vito.

    Tabella 2 – Le alleanze del Pdl nei 16 comuni capoluogo

    A sfidare i due schieramenti che fanno perno su Pd e Pdl, ci pensano, un buon numero di candidati civici di varia natura e provenienza e il Movimento cinque stelle che candida un proprio esponente in quasi tutti i capoluoghi con l’eccezione di Iglesias e Isernia.

    E’ indubbio che molte delle sfide si decideranno solo tra quindici giorni dopo il turno di ballottaggio ma conoscere quali saranno i candidati che vi accederanno costituirà già un’informazione interessante.

    In quanti casi ad esempio il candidato del Movimento cinque stelle si troverà a fronteggiare quello degli altri schieramenti? In quali altri invece si consumerà la sfida dal sapore classico tra centrosinistra da una parte e centrodestra dall’altra? In quali ancora un candidato di centro o un outsider riuscirà ad accedere al secondo turno?

  • Le elezioni a Roma attraverso l’analisi dei flussi

    di Matteo Cataldi e Aldo Paparo

    In questo articolo esaminiamo i risultati delle elezioni politiche e regionali nella capitale, attraverso la lettura dei flussi elettorali. In particolare ci concentriamo sulla ricostruzione in termini di bacini 2008 dei risultati delle due concomitanti consultazioni e sui movimenti intercorsi fra queste. Ciò è di particolare interesse alla luce di quanto accaduto: i risultati delle politiche e delle regionali sono assai diversi fra loro, ed entrambi risultano piuttosto distanti da quelli del 2008.

    Cinque anni or sono, alle precedenti elezioni politiche, il centrosinistra di Veltroni aveva prevalso di circa di due punti sul centrodestra, in una competizione nettamente bipolare (43,7% contro il 41,4). Il Pd aveva il 39,2%, mentre l’alleata Idv il 4,6. La Sinistra arcobaleno aveva ottenuto il 3,4% con l’Udc al 4,3. L’affluenza era risultata pari all’80,4% in linea con la media nazionale.

    Oggi anche a Roma la competizione è multipolare: la coalizione di Bersani ha raccolto esattamente un terzo dei voti validi, confermandosi al primo posto. Il M5s si è attestato al 24,3%, Berlusconi al 23,4% e Monti si è fermato al 9,7%. L’astensione infine è aumentata, ma meno che nel resto d’Italia. Non sono andati a votare il 22,7% degli elettori romani, contro il 24,8% di tutto il paese. Forse decisivo nel determinare tale divergenza il traino delle elezioni regionali.

    Nella competizione maggioritaria fra i candidati alla presidenza della regione, quello del centrosinistra (Zingaretti) ha sfiorato la maggioranza assoluta con il 45,5%. Ha ottenuto oltre 170.000 voti in più di Bersani alla Camera. Anche Storace ha preso più voti di Berlusconi, ma meno di 20.000; percentualmente il suo risultato è pari al 24,9. Ad essere penalizzato è stato il candidato del M5s (Barillari), che si è fermato al 20,1%, smarrendo 120.000 preferenze rispetto alla Camera. Molto negativo anche il risultato della Bongiorno, che ha preso meno della metà dei 155.000 voti della coalizione di Monti alla Camera e si dovuta accontentare del 4,3%.

    Da un simile quadro appare evidente che molti elettori abbiano avuto comportamenti difformi nelle due elezioni. Alle regionali l’elezione diretta del Presidente e il conseguente premio di maggioranza in Consiglio ha favorito la bipolarizzazione della competizione, ovvero la concentrazione dei voti sui due candidati dei poli principali. La strategia del voto utile sembra avere favorito maggiormente il centrosinistra.

    Vediamo ora quali sono stati i movimenti di elettori che hanno determinato il risultato osservato. La tabella 1 mostra le destinazioni dei diversi elettorati del 2008. Il Pd ha confermato circa due terzi dei propri voti e presenta il massimo valore di fedeltà. Ha ceduto un elettore su dieci al M5s, qualcosa di più verso l’astensione e un 6% a Monti. Il Pdl è stato rivotato da circa la metà dei suoi elettori 2008, uno su cinque ha scelto invece il M5s, mentre uno su dieci ha votato Monti. Analoghe a quelle del Pd le cessioni all’astensione. Degli elettori Udc del 2008 solo un terzo ha votato Monti, un quarto si è invece astenuto. Il M5s è infine riuscito a rimobilitare una quota significativa di astenuti.

    Tab. 1 – Flussi elettorali a Roma: destinazioni 2013 degli elettorati 2008 dei vari partiti.

    La tabella 2 mostra invece la composizione degli elettorati 2013. Il M5s ha preso un terzo circa dei propri voti dal Pdl, un quarto dal centrosinistra e altrettanto dall’area del non voto. Anche Monti sembra aver pescato maggiormente dal centrodestra: proviene da qui la metà circa dei suoi voti, mentre solo un terzo da elettori di Veltroni.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Roma: provenienze 2018 degli elettorati 2013 dei vari partiti

    Passando alle analisi relative alle regionali (tab. 3), osserviamo che Zingaretti non ha perso praticamente nessuno dei voti di Bersani. L”ex Presidente della provincia ha poi preso oltre due quinti degli elettori di Monti e un quinto di quelli del M5s. Da questi due ingressi arrivano rispettivamente il 9 e il 13% dei suoi voti. Barillari ha comunque raccolto il consenso dei due terzi degli elettori del M5s alla Camera, mentre invece la Bongiorno meno di uno su tre, con un’ulteriore significativa defezione verso Storace (14%).

    Storace ha un tasso di conferma dei voti delle politiche piuttosto alto, ma comunque inferiore a quello del vincitore. Viene inoltre sconfitto ampiamente fra le fuoriuscite di tutti gli elettorati: in rapporto di 3 a 1 sia fra i montiani che fra i grillini. Anche fra gli elettori di partiti minori, sono il doppio quelli che hanno scelto Zingaretti.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Roma: destinazioni alle regionali degli elettorati dei vari partiti alla Camera

    L’ultima tabella che presentiamo (la 4) mostra la composizione 2008 degli elettorati delle regionali. Confrontando questa con la tabella 1, possiamo vedere cosa avevano votato nel 2008 coloro che hanno oggi scelto Monti e Grillo alla Camera, ma non il rispettivo candidato alle regionali. Inoltre possiamo osservare quali sono i bacini che hanno premiato maggiormente Zingaretti rispetto a Bersani.

    I traditori della Bongiorno sono piuttosto equamente distribuiti nei diversi bacini 2008: si sono sostanzialmente dimezzate tutte le entrate. Quanto al M5s, non vi sono significative differenze fra i coefficienti verso la lista alla Camera e Barillari per gli elettori 2008 di Pdl, Udc e Sa. Sono invece dimezzati quelli dal non voto e dal Pd. Anche gli elettori dell’Idv sono stati meno attratti da Grillo alle regionali: dieci punti in meno; la metà ha votato Zingaretti contro il terzo di Bersani. Il candidato presidente del centrosinistra è stato votato dal 10% in più degli elettori 2008 del Pd rispetto al segretario alla Camera.  Inoltre ha conquistato quote significative del centrodestra: un decimo del Pdl e un terzo dell’Udc. Infine è stato maggiormente premiato dai rimobilitati.

    Tab. 4 – Flussi elettorali a Roma: destinazioni alle regionali degli elettorati 2008 dei vari partiti.

    In conclusione osserviamo anche a Roma la capacità del M5s di pescare trasversalmente all’asse sinistra-destra del 2008. In questo caso la maggior parte dei suoi voti proviene dal bacino berlusconiano. In assenza della Lega, che al nord sembra essere stata la maggiore contributrice dell’avanzata grillina, registriamo uno spostamento consistente di elettori del Pdl. Questo fenomeno è analogo a quello osservato a Palermo.

    Infine abbiamo evidenziato delle chiare direttrici di voto utile in uscita dal M5s e dalla coalizione di Monti, che hanno avvantaggiato Zingaretti su Storace nella corsa alla presidenza della Regione.

     


    Nota metodologica: tutte le analisi presentate sono state condotte con il modello di Goodman, corretto dall’algoritmo Ras. Sono state effettuate separatamente per ciascuno dei 24 collegi uninominali romani delle legge Mattarella e poi aggregate in matrici cittadine.

  • Lo tsunami cambia la geografia e strappa 50 province a Pd e Pdl

    di Matteo Cataldi e Vincenzo Emanuele

    Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 27 febbraio 2013

    La principale novità emersa dalle elezioni di domenica e lunedì è sicuramente rappresentata dal boom di Grillo. Con 8 milioni e 689 mila voti (il 26,6%) il Movimento 5 Stelle è diventato il primo partito italiano, a spese di Pd e Pdl. Si tratta di un evento che non ha precedenti nella storia dell’Europa occidentale: non è mai accaduto, infatti, che in elezioni non fondative del regime democratico, un nuovo partito, alle sue prime elezioni nazionali, abbia ottenuto un successo così clamoroso. Per trovare un caso simile dovremmo risalire al successo di Forza Italia nel 1994, ma allora il partito di Berlusconi si fermò al 21%. Guardando all’intera storia della Repubblica, è importante rilevare come simili percentuali siano state ottenute solo dai due grandi partiti che caratterizzavano il sistema politico di quel momento: la Dc e il Pci nella Prima Repubblica, Forza Italia (poi il Pdl) e il Pd dopo il ‘92. Questo quadro dà l’idea del risultato epocale ottenuto dal Movimento 5 Stelle.

    A questo punto è interessante analizzare le caratteristiche territoriali del successo grillino. La mappa in pagina mostra come sono cambiati gli equilibri territoriali riportando la percentuale di voti del primo partito in ciascuna provincia italiana. Nelle recenti elezioni dominavano Pdl e Pd: nel 2008 il partito di Berlusconi aveva trionfato in 67 province, praticamente ovunque tranne che nella Zona rossa, dove invece prevaleva il Pd. Ebbene, oggi  il Movimento 5 Stelle è il partito che ha vinto più province (50) e la maggioranza delle regioni (11). (https://acatimes.com) Grillo ha trionfato in Sicilia, in cui è arrivato primo ovunque tranne che a Messina, raggiungendo il 40% a Trapani e il 39% a Ragusa. Ma l’onda grillina non si è fermata all’Isola in cui già alle regionali dello scorso ottobre aveva ottenuto la prima posizione con il 15%. Ha infatti vinto anche in molte altre aree del paese, strappando molte province sia del centrodestra (41) che del centrosinistra (9). Da un lato è giunto primo in alcuni roccaforti del forza-leghismo, come gran parte del Nord-est, Cuneo e la Liguria di Ponente; dall’altro ha tolto al Pd la leadership in tutte le province delle Marche, oltre che Torino e Genova.

    Il Partito democratico ha mantenuto le proprie roccaforti tradizionali nella Zona rossa, in cui vince con percentuali fra il 30 e il 44% in Emilia-Romagna, Umbria e Toscana (con l’eccezione di Lucca, ex enclave democristiana, oggi vinta da Grillo). In tutto il Centro-Sud il partito di Bersani ha invece la maggioranza relativa solo in 3 province. La vera novità, però, è rappresentata dalla Lombardia. Qui i democratici vincono quasi dappertutto, avvantaggiandosi probabilmente della decisività del premio regionale al Senato, della concomitanza delle elezioni regionali nonché dell’inedita struttura della competizione (la presenza di cinque partiti sopra il 10% che ha ridotto la quota del vincente abbondantemente sotto il 30%). Le eccezioni sono Sondrio (Lega) e Como (Pdl). Quest’ultima rappresenta l’unica provincia del Centro-Nord in cui Berlusconi ha la maggioranza relativa (cinque anni fa erano 22). Le restanti 16 in cui il Pdl detiene il primato si concentrano a sud di Roma: in particolare in Puglia e nelle province tirreniche di Lazio e Campania.

    Lo tsunami grillino ha travolto la storica stabilità della mappa elettorale italiana, in cui di elezione in elezione le diverse zone del paese riproducevano tendenze simili. Il tempo ci dirà se è un cambiamento transitorio o siamo di fronte all’emergere di una nuova geografia elettorale.

    Figura 1 Mappa del primo partito per provincia (e relativa percentuale di voti).

     

     

  • Sondaggio IPSOS-CISE, il voto alle coalizioni per alcuni segmenti sociali

    Sondaggio IPSOS-CISE, il voto alle coalizioni per alcuni segmenti sociali

    di Matteo Cataldi

     

    L’ultima rilevazione campionaria  Ipsos-Cise, condotta nei giorni immediatamente precedenti il blackout dei sondaggi imposto dalla normativa, consente, incrociando le intenzioni di voto alle coalizioni con alcune variabili socio-demografiche, di far luce sull’orientamento di voto di alcuni specifici segmenti sociali in vista del voto di domenica 24 e lunedì 25 febbraio.

    Tab. 1

    Iniziando dal genere dell’intervistato (tabella1 in alto) si può constatare come per tutte le coalizioni, ad eccezione dello schieramento guidato dal Presidente del Consiglio uscente, la componente maschile sopravanzi quella femminile. In particolare tra gli uomini, gli elettori del Movimento cinque stelle pesano quasi il doppio di quanto non pesino le donne sul totale dell’elettorato femminile (21 contro 11). (thetelegramnews.com) Come accennato, Monti sembra maggiormente in grado di ingraziarsi l’elettorato femminile: tra le donne è l’unica coalizione sovrarappresentata essendo indicata da 14 elettrici su 100 contro il 12% di cui gode nell’elettorato senza distinzione di genere

    Tra i nuovi elettori la coalizione di Bersani gode di un discreto appeal ed è accreditata al 36% contro il 33% del campione nel complesso. Sempre tra chi voterà alla Camera per la prima volta quest’anno, Berlusconi è particolarmente penalizzato e si attesta al 15% nelle intenzioni di voto, quasi dieci punti indietro rispetto al dato senza distinzione. La coalizione Pd-Sel è particolarmente apprezzata nelle classi di età più anziane, segnatamente tra coloro che hanno superato i 54 anni e il Movimento animato da Grillo riceve invece il massimo dei propri consensi nelle fasce d’età centrali (35-54 anni). E’ interessante notare come tra i 45-54enni, ovvero le coorti d’età tra le più colpite dalla riforma pensionistica varata dal governo Monti, l’ex commissario europeo ottenga la quota di consensi più esigua. Si osservi inoltre come indecisi e orientati all’astensione si concentrino in misura maggiore nelle prime due classi d’età.

    Le intenzioni di voto disaggregate per macroaree geopolitiche forniscono alcuni spunti interessanti. La sorpresa più grande ci giunge dal Movimento cinque stelle la cui presenza sul territorio, diversamente da quanto ricordavamo dall’esperienza delle elezioni comunali dell’aprile 2012, sembra oggi più sbilanciata a Sud che non a settentrione. Oggi Grillo pare essere in grado di replicare il successo ottenuto alle regionali siciliane di ottobre anche nel resto del Mezzogiorno.

    Vale la pena notare, come la distribuzione geografica della coalizione di centro che fa capo a Monti sia quasi perfettamente bilanciata, così come, in misura non eccessivamente minore, sembra esserlo la coalizione di Berlusconi, nonostante la rinnovata alleanza con il carroccio.

    Le regioni di antica tradizione socialista con ogni probabilità, costituiranno anche stavolta, la roccaforte dello schieramento di centrosinistra. Infine si ponga attenzione al fatto che gli indecisi si concentrano al nord più che nelle regioni meridionali.

    Tab. 2

    Relativamente alla professione (tabella 2), impiegati (particolarmente quelli che non lavorano per la pubblica amministrazione), studenti e pensionati sono i settori di forza del centrosinistra, che una volta di più, conferma le difficoltà che incontra a sfondare tra le categorie professionali che abbiamo racchiuso sotto l’etichetta “borghesia” (lavoratori autonomi, liberi professionisti, imprenditori e dirigenti). Pensionati, casalinghe, artigiani, imprenditori e professionisti sembrano costituire i bacini di voti più importanti per il centrodestra; di contro, la coalizione di Berlusconi, anche questo dato non rappresenta una novità, ottiene appena il 6% dei voti tra gli impiegati del settore pubblico e il 14% tra gli studenti. Il M5S è fortemente sovrarappresentato tra gli operai, gli impiegati del settore pubblico, i lavoratori autonomi, i professionisti e gli artigiani. Monti incontra il favore degli impiegati pubblici tra i quali ottiene il 23% delle preferenze ed è penalizzato tra gli operai, gli impiegati del settore privato e la borghesia.

    Tra i meno istruiti (coloro che hanno conseguito al più la licenza elementare) oltre 4 su 10 prediligono il centrosinistra, mentre Monti è ben rappresentato tra la popolazione laureata.

    I diplomati che costituiscono quasi il 40% del nostro campione, scelgono, in misura superiore alla media, le coalizioni di centrodestra e di centrosinistra, punendo oltremodo quella di centro.

    Infine le ultime due tabelle mettono in relazione l’importanza della dimensione religiosa nella vita dell’intervistato e la frequenza alla messa con le intenzioni di voto.

    La forte relazione inversa esistente tra la partecipazione alle funzioni religiose e il voto alla coalizione di centrosinistra è molto ben evidente nella tabella 3. La stessa relazione non sorprende che possiamo incontrarla anche tra l’importanza della sfera religiosa e chi è orientato a votare Bersani. Mano a mano che la pratica religiosa si fa più frequente, il peso dell’elettorato di Berlusconi si accresce ed è massimo tra chi va in chiesa tutte le domeniche. La coalizione di Monti, che ricordiamolo, comprende anche l’Udc di Casini e il mondo associativo cattolico di cui si è fatto rappresentante il ministro Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, è indubbiamente più presente tra i cattolici praticanti e chi è disposto a riconoscere un ruolo importante alla religione nella propria vita.

    Tab. 3

  • I flussi fra le intenzioni di voto: tra aprile e novembre metà elettori sono in movimento

    di Matteo Cataldi

     Dei 1.524 intervistati che sono entrati a far parte del panel elettorale CISE, siamo interessati a capire anzitutto, se c’è stato un cambiamento apprezzabile negli orientamenti di voto del nostro campione dalla scorsa primavera ad oggi ed eventualmente quali partiti sono stati premiati e quali puniti (per un analisi del cambiamento nelle intenzioni di voto vedi qui). Tuttavia l’analisi dei flussi che svolgiamo in questo articolo è in grado di dirci molto di più del semplice saldo (in passivo o in attivo rispetto alla precedente rilevazione) di ciascun partito. Siamo in grado di ricostruire le provenienze e le destinazioni degli intervistati che hanno mutato il proprio orientamento di voto .

    La tabella 1 (matrice delle destinazioni) mostra, fatte 100 le intenzioni di voto dichiarate per ciascun partito in primavera, quanti hanno riconfermato la propria scelta e quanti invece hanno preso una decisione diversa. I valori percentuali che incontriamo nella diagonale che taglia dalla sinistra in alto alla destra in basso la matrice, individuano coloro che confermano la scelta di un partito. E’ facile osservare come queste celle non contengano, con l’eccezione del PD, valori particolarmente elevati, segno che una quota cospicua degli intervistati sceglie oggi un partito diverso rispetto a sei mesi fa. Volendo quantificare la “mobilità” degli intervistati, su 1.524 ben 686 (pari al 45%) hanno cambiato idea.

    Tabella 1: matrice delle destinazioni

    Ma quali partiti hanno sofferto le maggiori defezioni e verso chi si sono diretti questi “elettori in fuga”? E’ bene precisare che non tutte le stime presentate in tabella hanno la stessa affidabilità: in linea generale è possibile affermare che solo quelle che si basano su un marginale (di riga o di colonna) superiore, grossomodo, a 30 intervistati possono essere prese in considerazione, mentre le restanti vanno guardate con sospetto. Per questa ragione, pur presentandoli, non commenteremo le colonne (leggi partiti) che non presentano i requisiti minimi esposti.

    L’Italia dei valori, come confermato da tutti i principali istituti di rilevazione dell’opinione pubblica, è precipitata nelle intenzioni di voto: appena un intervistato su cinque fra coloro che in primavera l’avrebbero scelta in caso di elezioni imminenti sarebbe oggi disposto a confermare quella volontà; quasi il 40% a novembre si rifugia nel bacino del non voto e un altro 15% è in transito verso il Movimento cinque stelle.

    Il Pd, assieme al Movimento animato da Beppe Grillo (che compie un vero e proprio balzo +5,3%), è quello che cresce di più dalla scorsa primavera (+2%). Ma è anche il partito che meglio di ogni altro è riuscito a serrare le proprie fila, mantenendo oltre il 70% dei potenziali elettori di aprile,166 intervistati su 232 confermano di prediligere il partito di Bersani. Le defezioni più significative, il Pd, le patisce verso il bacino del non voto e gli indecisi, dai quali tuttavia riceve in entrata (vedi la tabella 2 sulle provenienze), quasi un quarto dei voti potenziali dichiarati a novembre, chiudendo con un saldo attivo gli interscambi con quest’area.

    Tabella 2: matrice delle provenienze

    Erano 136 gli intervistati che sei mesi fa scelsero il “partito del predellino”, di questi 80 (pari al 60%), premiano ancora il PdL mentre 40 (circa il 30%), è tornato incerto sul quale partito scegliere o sembra intenzionato a non andare a votare. A differenza di quanto visto per il Pd, il saldo con l’area grigia, che assomma gli incerti e chi è orientato ad astenersi, è in passivo: vale a dire che quanto è perso in uscita non è compensato da quanto recuperato in entrata.

    L’ottimo risultato del Movimento cinque stelle relega il partito di Berlusconi in terza posizione nelle intenzioni di voto. Fatti 100 gli elettori del M5S a novembre, circa il 20% proviene da coloro che sei mesi prima scelsero un partito della coalizione che nel 2008 fu guidata da Veltroni (in massima parte dall’IdV); è interessante notare come, i potenziali elettori che Grillo cede a Bersani sono più di quelli che compiono il percorso inverso. Per il resto il M5S pesca tra gli astenuti di aprile il 30% della forza con cui oggi viene stimato.

    Appena un quarto di coloro che ad aprile premiava l’Udc ha nelle scorse settimane ribadito quella intenzione, oltre la metà oggi è indeciso oppure orientato ad astenersi, il restante 25% si disperde in numerosi altri rivoli, il più consistente dei quali muove in direzione del PD. Per quanto riguarda gli elettori in ingresso, il flusso più sostanzioso proviene da elettori democratici, a conferma della vivacità degli intercambi tra questi due partiti.

    Dalla lettura della cronaca politica degli ultimi giorni sembrerebbe che la strada verso lo scioglimento anticipato delle camere e il voto nei primissimi mesi del 2013 fosse spianata. Adesso che la campagna elettorale entrerà nel vivo sarà ancora più interessante monitorare come il campione entrato a far parte del panel muterà i propri orientamenti di voto man mano che anche l’offerta elettorale si delineerà in modo chiaro. E’ verosimile che l’effetto mobilitante indotto dalla campagna e il progressivo avvicinamento al voto possano mano a mano prosciugare il bacino degli incerti e intaccare in modo incisivo anche quello di coloro che oggi si asterrebbero. Chi meglio degli altri saprà intercettare questi elettori e chi sarà in grado di contendere direttamente quelli degli avversari? La prossima e terza ondata del nostro panel che si terrà a poche settimane dal voto potrebbe fornirci indicazioni preziose in questa direzione.

  • Impiegati privati e borghesia per Renzi, ma Bersani vince tra i giovani

    di Matteo Cataldi e Aldo Paparo

    Utilizzando i dati della seconda ondata del Panel Cise abbiamo incrociato alcune delle principali caratteristiche socio-demografiche degli intervistati (genere, professione, classe di età, macroarea di residenza, titolo di studio), con le intenzioni di voto ai candidati alle primarie che si terranno domenica prossima. I risultati sono presentati nelle tabelle in pagina e  prendono in considerazione tutti i candidati in campo. Tuttavia in questo articolo ci concentriamo esclusivamente sui tre candidati maggiori.

     Relativamente alla professione degli intervistati (tab. 1) Bersani sembra preferito a Renzi tra gli operai e gli studenti, in entrambi i casi con un vantaggio di circa 7 punti percentuali sullo sfidante fiorentino. Tra gli studenti, Vendola, pur non risultando competitivo, si avvantaggia di una quota di consensi più ampia di quella con cui è accreditato nelle intenzioni di voto complessive (14% contro l’8% del totale degli intervistati). Il segretario del Pd inoltre fa il pieno tra i pensionati distaccando Renzi di quasi 40 punti percentuali (59 a20) e risulta saldamente in testa tra le casalinghe attestandosi 11 punti percentuali davanti all’ex Presidente della Provincia di Firenze, sebbene la partita qui, diversamente che tra i pensionati, data la consistenza degli incerti, sia ancora aperta.

    Tra gli impiegati del settore privato è il sindaco di Firenze in netto vantaggio su Bersani (43 a 25) ma anche in questo caso occorre prestare attenzione a coloro che sono ancora indecisi su chi votare (quasi il 30%). La sorpresa giunge dagli impiegati del settore pubblico il 37% dei quali sceglierebbe Renzi contro il 25% di Bersani, che sembra patire il successo in questa categoria di Vendola (12%) e Puppato (9%). Imprenditori, liberi professionisti, dirigenti e lavoratori autonomi, nella misura di 4 su 10, sembrano orientarsi verso il sindaco del capoluogo toscano e un quinto soltanto sul favorito Bersani.

    Infine tra i disoccupati la metà non ha ancora deciso quale candidato scegliere, e l’altra metà si divide equamente tra i due principali competitori (con Renzi avanti qualche punto).

     Tabella 1

    Altri dati interessanti sono quelli che incrociano l’intenzione di voto alle primarie con la zona geopolitica di residenza dell’intervistato (tab. 2). Da essi si evince chiaramente come l’attuale sindaco di Firenze sia molto competitivo in tutto il nord del paese, soprattutto al nord-est[1], dove addirittura appare in leggerissimo vantaggio sull’ex Ministro dello Sviluppo Economico e invece in pesante deficit di voti nelle zone centro-meridionali del paese e nelle regioni, un tempo, di tradizione sub culturale socialista[2]. Il Presidente della regione Puglia è fortemente sovrarappresentato nel Mezzogiorno dove raggiunge il 14% dei consensi e all’opposto sottorappresentato in tutto il centro-nord.

     Solo 25 elettrici alle primarie su 100 scelgono Renzi a fronte di 36 elettori su 100 che compiono la stessa scelta. Renzi sembra dunque godere di un gradimento relativamente maggiore tra gli uomini che non tra le donne, dove Bersani distanzia il principale avversario di oltre 10 punti. Nell’elettorato femminile, dove il peso degli incerti è sensibilmente maggiore, Vendola coglie un risultato assai più lusinghiero che nella controparte maschile.

     Tabella 2 

    Scomponendo le intenzioni di voto ai candidati per le varie classi di età ci accorgiamo di una sorpresa e alcune conferme (tab. 3). La sorpresa è rappresentata dal fatto che tra i giovanissimi fino a 25 anni non è il sindaco rottamatore a far meglio ma è il segretario democratico a prevalere (40% Bersani, 25% Renzi). Le conferme giungono invece, per quanto riguarda Bersani, dalla straordinaria mole di consensi che gli ultra cinquantacinquenni sembrano tributargli e per quanto attiene a Renzi, la buona presenza di suoi sostenitori nelle fasce di età fino a 45 anni, in modo particolare i nati fra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70. Anche gli indecisi si concentrano nelle fasce di età più basse e quelle centrali mentre calano per quelle più alte, a conferma di una certa solidità del consenso di cui Bersani può disporre tra i cittadini più agée.

    Di un sostanziale equilibrio nelle dichiarazioni di voto a Bersani e a Renzi, si può parlare per gli elettori con un titolo di studio medio-alto (diploma di scuola media superiore e laurea), mentre tra quelli con titolo più basso, in special modo chi ha ottenuto, al più, la licenza elementare il peso di Bersani è soverchiante. Si tratta di un dato atteso dal momento che sono in grande maggioranza gli anziani (che abbiamo visto prediligono Bersani), ad avere un titolo di studio più basso.

     Tabella 3


    [1] che nel nostro caso comprende Lombardia, Veneto, Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia Giulia

    [2] Ovvero l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria e le Marche

  • Le caratteristiche socio-demografiche degli elettori italiani

    di Matteo Cataldi

    In questo articolo, basandoci sui dati delle tre rilevazioni dell’osservatorio politico – Cise condotte a partire dall’aprile del 2011, analizzeremo come gli intervistati orientano le proprie preferenze elettorali a seconda di tutta una serie di caratteristiche socio-demografiche: genere, classe di età, religiosità, livello di istruzione, zona geopolitica e ampiezza del comune di residenza dell’intervistato.  Prenderemo in considerazione solo i partiti che nelle intenzioni di voto sono stimati almeno al 3%, e nel commento alle tabelle focalizzeremo la nostra attenzione principalmente sui partiti maggiori.

    Prima di presentare i dati e valutare così la capacità di attrazione che i partiti hanno nei confronti di alcuni specifici segmenti sociali, è indispensabile chiarire che tutte le analisi che presenteremo sono basate sul quella quota di elettori che hanno dichiarato la propria intenzioni di voto in occasione di ciascuna intervista. Nel corso delle rilevazioni questa quota è andata assottigliandosi ed è passata dal 58% della primavera 2011 al 43% dell’aprile di quest’anno. Questa circostanza richiede che le analisi presentate siano interpretate con cautela essendo probabile che alcune caratteristiche socio-demografiche del segmento del campione che dichiara la propria intenzione di voto siano andate accentuandosi, o al contrario, sfumandosi di pari passo con la diminuzione della loro numerosità.

    La prima batteria di incroci è visibile nella tabella 1. Relativamente al Partito democratico, nel corso delle tre rilevazioni, il profilo di genere sembra accentuarsi. Se nelle prime due rilevazioni la composizione per genere di chi dichiara di votare Pd non si discostava da quella della popolazione nel suo complesso, ad aprile 2012 la sovra-rappresentazione della componente femminile diveniva apprezzabile.

    Nel corso dell’ultimo anno solare, il Pdl è complessivamente calato nelle intenzioni di voto degli italiani ma questo non ha comportato un riequilibro della presenza maschile nel suo elettorato, oggi 19 elettori su 100 votano Pdl a fronte di 25 elettrici su 100 che compiono la medesima scelta; un anno fa gli elettori risultavano il 28% del totale mentre le elettrici il 32%.

    Al di fuori dei due partiti maggiori, l’Udc mantiene nel corso del tempo una perfetta compresenza di entrambi i sessi. Tutto il contrario di quanto invece accade tra gli elettori del M5S, che di pari all’esplosione elettorale degli ultimi mesi, vede la componente maschile sopravanzare quella femminile: il peso dei “grillini” nell’elettorato maschile, ad aprile, è oltre il doppio di quello che possono vantare le elettrici del Movimento nell’elettorato femminile.

    La composizione per età dell’elettorato dei partiti italiani rivela una forte presenza del Partito democratico nelle fasce di età più anziane (a partire da 56 anni) fra le quali ottiene uno score maggiore di circa 10 punti percentuali rispetto al dato senza distinzione di età (40% contro il 30%). E’ nelle fasce di età centrali che il Pd mostra invece tutta la sua debolezza. In occasione dell’ultima rilevazione, tra i trentaseienni e i cinquantacinquenni si ferma a nove punti di distanza dalla media complessiva: è la stessa fascia d’età in cui si registra invece un’imponente crescita dei consensi per il Movimento cinque stelle.

    Relativamente al Pdl, la distribuzione per età dei propri voti appare meno squilibrata rispetto al principale rivale, sebbene come questo goda di una posizione di relativa forza nelle classi di età più avanzate.

    Infine il Movimento cinque stelle mostra una distribuzione dei consensi per classi di età del tutto disomogenea. Si osserva una forte sovra rappresentazione delle classi di età più giovani (anche se non giovanissime) e di quelle centrali, fino a 55 anni. Più oltre, in particolare tra gli ultra sessantenni, gli elettori del M5S quasi spariscono.

    Ci preme ancora una volta sottolineare come le eventuali discrepanza rispetto alla letteratura sull’argomento non debbano sorprendere più di tanto considerando che le analisi qui presentate si basano sulla quota minoritaria di elettori che al momento dell’intervista dichiarava il voto al partito.

    Inoltre, come mostrato in un precedente articolo, tra coloro che al momento dell’intervista non esprimevano la propria intenzione di voto, quanti hanno tra i 45 e 65 anni sono sovra rappresentati. E’ pertanto probabile che, nella verosimile ipotesi in cui, almeno una parte di chi non ha risposto al momento dell’intervista, voterà invece alla prossima occasione, alcuni squilibri potranno attenuarsi.

    Tabella 1. Incroci tra genere, età ed intenzioni di voto

     

    Per gli italiani la dimensione religiosa continua a rivestire un ruolo rilevante. Ad aprile 2012 per tre intervistati su quattro la religione occupa un posto importante nella propria vita, anche se un anno fa erano quasi l’82% e a novembre dello scorso anno il 77%. A conferma della religiosità degli italiani, i praticanti assidui (coloro che vanno in chiesa tutte le domeniche sono circa il 30% della popolazione e se ad essi aggiungiamo chi in chiesa va con appena meno continuità (2-3 volte al mese) raggiungiamo quasi la metà della popolazione. L’incrocio tra le intenzioni di voto e l’importanza che la religione riviste nella vita degli intervistati mostra come i partiti di centrosinistra, coerentemente a tutta una vasta mole di studi empirici, sono fortemente sovra rappresentati tra coloro per i quali la religione non assume alcuna rilevanza nella propria vita. Anche il Movimento cinque stelle mostra una forte relazione negativa tra l’importanza della religione e i propri consensi.

    Del tutto speculare appare invece la situazione del centrodestra dove l’Udc ma soprattutto il Pdl sono meno rappresentati tra chi non è disposto a  riconosce alcun  ruolo alla religione nella propria vita. Nel partito dell’ex premier al crescere dell’importanza della fattore religioso cresce il peso dei propri elettori. Questa relazione è molto ben visibile in tutte e tre le rilevazioni: ad aprile di quest’anno il Pdl raccoglieva il 10% circa dei propri voti nella prima categoria (per niente importante) e quasi il 37% nell’ultima (molto importante).

    Per quanto attiene invece alla frequenza dei cattolici alle funzioni religiose, tra i praticanti assidui (coloro che vanno a messa ogni domenica) e quelli un po’ più discontinui (2-3 volte al mese), Udc e Pdl risultano molto bene rappresentati. Per il Pdl, a fronte del 22% dei consensi attribuitogli complessivamente, ottiene il 28% tra chi va in chiesa tutte le domeniche (aprile 2012).

    I partiti del centrosinistra, e non diversamente il Movimento cinque stelle, sono sottorappresentati tra i praticanti più assidui e quelli un po’ meno costanti, risultando invece molto ben presenti tra chi a messa non va mai e chi ci va poche volte all’anno.

    Nella serie di analisi bivariate tra variabili socio demografiche ed intenzioni di voto, il livello di istruzione è l’ultimo incrocio visibile nella tabella 2. La relazione più netta e al tempo stesso lineare, come si può osservare dalla tabella, è quella che coinvolge il Popolo delle Libertà. Al crescere del livello di istruzione degli intervistati l’apprezzamento del partito di Alfano e Berlusconi scende sensibilmente: questa relazione inversa tra titolo di studio e voto al Pdl è rinvenibile in ciascuna delle rilevazioni effettuate a partire dalla scorsa primavera. Per il Partito democratico invece la relazione non è altrettanto netta e indubbiamente meno lineare: il Pd è sì sovrarappresentato tra la popolazione con il titolo di studio più alto ma lo è ancora di più tra chi non ha nessun titolo o solo quello elementare con una tendenza a crescere di questa sovra rappresentazione. Non possiamo sapere per il momento se questo secondo aspetto sia dovuto almeno in parte ad una distorsione della quota di elettori che oggi dichiarano la propria intenzione di voto (43%) rispetto al totale dei rispondenti all’intervista, ma sappiamo che tra coloro che si rifugiano nella cosiddetta “area grigia”[1], come mostra l’articolo citato in precedenza, chi ha un titolo di studio basso è fortemente sotto rappresentato. E’ pertanto probabile che questa presenza massiccia di elettori del Pd tra i meno istruiti si ridimensioni man a mano che gli incerti prenderanno posizione.

    Tabella 2. Religione ed intenzioni di voto 

    Una variabile classica dei modelli di studio del voto a livello individuale è la zona geopolitica di residenza. Commentiamo brevemente l’incrocio tra questa e l’intenzione di voto (tabella 3). Ne emerge piuttosto chiaramente la nota caratterizzazione territoriale di alcuni partiti come ad esempio la sovra rappresentazione del Partito democratico nelle quattro regioni che ancora identifichiamo con il termine zona rossa (Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Lazio), quella della Lega Nord nelle regioni settentrionali e la forza del Pdl nel Mezzogiorno. Nel corso dell’ultimo anno solare si sono tuttavia messe in luce alcune dinamiche piuttosto interessanti che hanno visto tra l’altro il partito di Bersani rafforzarsi nelle aree centrosettentrionali e al tempo stesso perdere terreno in quelle meridionali, nelle quali ottiene sette punti percentuali in meno della media nazionale (aprile 2012). Il Pdl nello stesso periodo di tempo precipita nelle intenzioni di voto degli italiani passando dal 30% dell’aprile 2011 al 21,8% dell’aprile di quest’anno. Ma come si può vedere in tabella, il declino del “partito del predellino” è tutt’altro che omogeneo nel Bel Paese: Ad un forte ridimensionamento in tutto il centro nord, dove si attesta al di sotto del 20%, fa da contro altare una discesa meno brusca al Sud dove si mantiene oltre il 30%.

    E’interessante notare come nel nord-est del paese che in questo caso comprende Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, al crollo verticale del carroccio (dal 23% dell’aprile 2011 al 6% dell’aprile di quest’anno) si sia opposta l’esplosione del Movimento cinque stelle che proprio in questa zona d’Italia raccoglie il massimo dei suoi consensi (20%).

    E’ bene ricordare che l’ultima indagine risale ai giorni precedenti le elezioni comunali della scorsa primavera e che l’esito di queste è probabile abbia contribuito all’ulteriore riposizionamento delle preferenze politiche degli italiani.

    Una seconda variabile molto importante nello studio del legame tra territorio e voto in Italia è storicamente quella legata alla dimensione demografica del comune di residenza. In letteratura è ben nota la relazione positiva tra il voto al Pci e successivamente ai partiti eredi della tradizione comunista e la grandezza del comune di residenza. In altre parole mano a mano che aumenta l’ampiezza demografica del comune crescono anche i consensi attribuiti a questi partiti. Il Partito democratico segue esattamente questo andamento come tutte e tre le indagini cross-sectional dimostrano. Una  relazione altrettanto forte tra la classe demografica del comune e il voto raccolto ha per oggettola Leganord anche se in questo caso il segno si inverte e il bacino di voti del carroccio è massimo nei centri più piccoli, quelli con meno di 5.000 abitanti. Quila Lega(aprile 2012) ottiene una percentuale di voto doppia rispetto alla media complessiva.

     Tabella 3. Geografia e intenzioni di voto


    [1] chi dichiara di volersi astenere o chi è  incerto se andare a votare o ancora chi probabilmente voterà ma non sa per quale partito

  • Bilancio degli elettori in movimento fra 2010 e 2012 attraverso l’analisi dei flussi elettorali

    di Matteo Cataldi

    In questo articolo proponiamo una sintesi dei flussi di voto intercorsi tra le elezioni regionali del 2010 e le comunali di quest’anno per i principali partiti del nostro sistema politico. Almeno fino ad oggi. Per la selezione dei partiti la scelta è ricaduta quindi sui quattro maggiori partiti del 2010, essendo il voto di quella tornata elettorale la nostra variabile indipendente. Abbiamo così tre partiti che in misura simile ma per ragioni diverse attraversano in questo momento una crisi di consenso (Pdl, Lega nord e Idv) e un partito che sembra aver meglio di altri resistito agli sconvolgimenti politici dei mesi scorsi, mostrando una buona capacità di tenuta (Pd). Nel nostro campione di comuni capoluogo, per ragioni diverse, non ultime quelle legate alla reperibilità dei dati a livello di sezione, sono entrati a far parte Alessandria, Genova, Monza, Parma, Piacenza, Verona e Pistoia. Praticamente le città al voto più popolose del centro-nord.

    Nelle figure 1-4 sono stati riportate le destinazioni di voto ai  quattro partiti  nelle diverse città. Ciascuna barra del grafico in corrispondenza di ogni capoluogo indica, fatto 100 il voto del 2010 ad un determinato partito, come i suoi elettori hanno votato in occasione delle comunali di quest’anno.

    Un breve confronto tra i quattro grafici è sufficiente per rendersi conto che in un solo caso, quello dei democratici, la direzione maggiore di consenso è quella della riconferma. Negli altri invece la situazione è più complessa e gli elettori dei rispettivi partiti tendono a disperdersi seguendo svariate direttrici. Nel caso dell’Italia dei Valori è possibile individuare un beneficiario principale del flusso in uscita dal partito di Di Pietro: il Movimento cinque stelle. A Parma in modo particolare, come documentato in un articolo precedente, la metà degli elettori dell’Idv ha votato Pizzarotti già al primo turno; ma il flusso è consistente anche a Genova (37%) e rappresenta un quarto degli elettori del 2010 sia a Piacenza che a Monza, dove tuttavia una quota altrettanto consistente non è tornata a votare. Altre destinazioni, ad eccezione di quella che va verso il sindaco di Verona Tosi, sono meno significative.

    La Leganord con l’importante eccezione del comune di Verona, subisce defezioni complessivamente più rilevanti e mostra evidenti segni di cedimento. Ad approfittarne anche in questo caso, sono stati i candidati del Movimento di Grillo, particolarmente nei comuni di Parma e di Alessandria dove un terzo dei voti che nel 2010 furono tributati al carroccio oggi premia i candidati di Grillo. Un flusso consistente si rileva a Piacenza in direzione di Paparo, candidato del Pdl, e verso l’astensione a Genova e a Monza (un quarto circa).

    Il Pdl non sembra godere di uno stato di salute migliore dell’ex alleato. Gli elettori del “partito del predellino” hanno optato per soluzioni diverse a seconda del diverso contesto locale: in direzione dei candidati di centro a Parma e a Genova, dove praticamente solo la metà ha scelto il candidato del partito Vinai e l’altra metà il candidato del terzo polo, Enrico Musso; verso candidati delle liste civiche ancora a Parma (30 elettori su 100), e soprattutto a Piacenza (45 su 100). A Monza soltanto, accade che una fetta importante di “pidiellini” scelga direttamente il candidato del centrosinistra Scanagatti (22 su 100). Infine una quota variabile opta per non tornare alle urne, quota, che raggiunge la doppia cifra a Piacenza, Parma e Monza spingendosi fino al 30% a Pistoia. A Verona gli elettori del Pdl del 2010 vengono attratti in massa da Tosi (71 su 100).

    Il Partito democratico ha tassi di riconferma piuttosto alti che, con l’eccezione veronese, si attestano oltre l’80% e si approssimano al 90% a Pistoia, Piacenza e Genova. Le perdite più pesanti sono tutte a favore dei candidati del Movimento cinque stelle che assumono proporzioni notevoli a Verona ed Alessandria (rispettivamente 12% e 17%). Limitate sono le perdite verso l’astensione, relativamente più abbondanti a Parma e nel capoluogo toscano.

    Abbiamo potuto apprezzare alcune linee di tendenza nei movimenti di voto che hanno percorso i quattro partiti oggetto di questo focus comuni fra le diverse realtà locali. Riassumendo notiamo lo sbandamento degli elettori del Pdl in rotta verso più direzioni; la fiducia confermata da parte degli elettori del Pd, che pure non sono del tutto indifferenti alle sirene grilline, al proprio partito ed una chiara crescita del voto di protesta, che si è espresso nella diserzione delle urne e nei voti confluiti ai candidati espressione del movimento animato da Grillo. Particolarmente significativi gli spostamenti dai voti che furono dell’Idv nel 2010 verso il Movimento cinque stelle, su cui si sono orientati anche una parte non meno consistente degli elettori leghisti di due anni fa.

    Fig. 1 –  Destinazioni alle comunali 2012 degli elettori dell’Italia dei Valori alle regionali 2010.

    Fig. 2 –  Destinazioni alle comunali 2012 degli elettori della Lega Nord alle regionali 2010.

    Fig. 3 –  Destinazioni alle comunali 2012 degli elettori del Pdl  alle regionali 2010. 

    Fig. 4 –  Destinazioni alle comunali 2012 degli elettori del Pd alle regionali 2010. 

  • Il voto di preferenza nei comuni capoluogo

    di Matteo Cataldi

    La legge elettorale con la quale si eleggono i rappresentanti in consiglio comunale e contestualmente il primo cittadino consente all’elettore di indicare il nome di un solo candidato consigliere all’interno della lista del partito votato.

    Storicamente gli italiani fanno un uso geograficamente molto differenziato di questa possibilità. Per ragioni storiche e culturali gli elettori del centro-nord sono più riluttanti ad esprimere una preferenza: più spesso assegnano il voto ad un partito senza indicare una preferenza per un candidato al Consiglio. Potremmo quindi ipotizzare che esprimono un voto più “politico” di apprezzamento dell’operato o del programma di una parte politica.

    Al contrario nel meridione il voto è maggiormente legato alla persona ed è più spesso espressione di un rapporto personale o di fiducia nei confronti di un candidato consigliere che può perfino prescindere dal partito. Al sud il ricorso all’utilizzo del voto di preferenza è da sempre molto più alto che nel resto del paese.[1]

    A questo divario la classe politica locale si è presto adattata adeguando l’offerta elettorale alla diversa propensione ad esprimere una preferenza da parte della popolazione meridionale. La scelta di mettere in campo molte liste (quando fanno parte di una coalizione), e di conseguenza moltissimi candidati consiglieri, corrisponde ad una precisa strategia per catturare il voto di chi, votando solo il candidato consigliere sceglie, di fatto, anche la coalizione e il candidato sindaco[2]

    Questo divario nell’utilizzo del voto di preferenza, come mostra la tabella 1 è anche oggi molto ben evidente. Ordinando i comuni capoluogo al voto la primavera scorsa per l’indice di preferenza[3] la graduatoria che ne risulta rispecchia fedelmente la direzione sud-nord con i capoluoghi del meridione invariabilmente davanti a quelli del centro-nord. Nei comuni del sud, in media, oltre il 90% degli elettori esprime una preferenza per un candidato consigliere: praticamente la totalità di chi si reca alle urne. Al centro nord meno di 6 elettori su 10 indicano un candidato consigliere in particolare. La media nasconde tuttavia una eterogeneità interna a questa zona notevole e maggiore di quella riscontrata nel Mezzogiorno: si va infatti dal 29% del tasso di preferenza di Genova al 73,6% di Cuneo, appena 10 punti percentuali dietro Palermo, la città del meridione con il valore dell’indice meno alto.

    Tabella 1. Indice di preferenza nei 26 comuni capoluogo: confronto con l’affluenza al primo turno e alla Camera 2008.

    La quarta colonna della tabella riporta l’affluenza al primo turno in ciascuno dei capoluoghi. La comparazione tra l’indice di preferenza e la partecipazione elettorale ci mostra l’esistenza di una forte correlazione tra i due fenomeni: maggiore il ricorso alla preferenza, più alta l’affluenza (e viceversa). Questa forte relazione positiva costituisce un indizio importante di come la partecipazione al voto sia, al sud, trainata verso l’alto dal voto personale al candidato consigliere.

    Se alla prima tabella affianchiamo il valore dell’affluenza fatto registrare alle politiche del 2008 (quinta colonna della tabella 1) il confronto è sorprendente: alle elezioni per la Camera, dove, è ben noto, le liste sono bloccate e l’elettore non ha la possibilità di esprimere una preferenza, l’affluenza nei comuni del sud è mediamente solo 3 punti e mezzo più alta, nonostante la posta in gioco (la scelta di chi guiderà il paese) sia massima. In alcuni casi addirittura, la partecipazione elettorale si è rivelata più alta che nel 2008 (Agrigento, Lecce, Catanzaro e Trani). Al contrario, nell’area centro-settentrionale del paese la differenza di partecipazione tra i due tipi di elezioni sfiora i 20 punti percentuale (19,8 la media).

    A riprova dell’importanza che la scelta del candidato consigliere riveste per gli elettori nel Mezzogiorno, la tabella 3 riporta i livelli di affluenza nei comuni capoluogo al primo e al secondo turno nonché la loro differenza. Ebbene, al sud, venuta meno la possibilità di votare i candidati consiglieri nel passaggio dal primo turno a quello di ballottaggio, l’affluenza cala di oltre 18 punti percentuali mentre al centro nord il calo si arresta a 13 punti.

    Tabella 2. Confronto tra affluenza al primo turno e al ballottaggio.

    In conclusione, un breve accenno al diverso utilizzo del voto di preferenza tra gli elettori delle varie liste. La tabella 4 mostra l’indice di preferenza (per macroarea) dei principali partiti. Il dato più evidente è indubbiamente il valore molto basso fatto registrare dal Movimento cinque stelle, chiaro segno del fatto che, chi sceglie il movimento animato da Beppe Grillo, compie una scelta fortemente caratterizzata in senso “politico” che prescinde dal profilo dei candidati di lista. Dei partiti presi in considerazione l’Udc di Casini è quello i cui elettori fanno maggiormente ricorso all’indicazione di una preferenza (85 su 100), seguiti dagli elettori “pidiellini” (76%) che si mantengono al di sopra del dato relativo a tutte le liste (67%); scende appena sotto tale soglia il partito di Bersani (63,5). E’ interessante notare che le differenze nei tassi di preferenza di ciascuna lista tra le due zone del paese sono più marcate per il Movimento cinque stelle (48 punti percentuali in più) che per gli altri partiti in particolare l’Udc e il Pdl che sembrano avere una distribuzione territoriale delle preferenze leggermente più omogenea rispetto agli altri partiti.

    Tabella 3. Indice di preferenza per i principali partiti nazionali


    [1] Per un approfondimento sul tema si vedano, tra gli altri, i lavori di Cazzola (1975), D’Amato (1976), Scaramozzino (1979), Fabrizio e Feltrin (2007).

    [2] In Sicilia, a  partire da quest’anno, il cosiddetto “effetto di trascinamento”, ovvero l’attribuzione automatica del voto espresso a favore di un partito (a prescindere o meno dall’indicazione di una preferenza) anche alla coalizione di cui questo fa parte (e al sindaco che essa sostiene) è stato eliminato.

    [3] L’indice di preferenza viene calcolato come rapporto tra i voti di preferenza espressi e quelli esprimibili, che essendo uno per ogni elettore nel caso italiano, corrispondono ai voti validi espressi a favore delle liste.