di Roberto D’Alimonte
In questo quadro confuso di fine legislatura una sola cosa è certa: il disorientamento di gran parte degli elettori. Nel sondaggio Cise-Il Sole 24 Ore diversi dati lo evidenziano. Uno è l’affluenza alle urne, un altro le intenzioni di voto. Nel 2008 hanno votato circa 38 milioni di elettori, l’80,5% degli aventi diritto; il 19,5% è rimasto a casa. Se si andasse alle urne domani resterebbe a casa il 35%: una cifra che potrebbe salire addirittura al 42% tenendo conto di quelli che sono incerti se votare o meno. Questo vuol dire che almeno 7 milioni e mezzo di italiani che nel 2008 votarono oggi si asterrebbero. Cifra che da sola dà la misura del distacco nei confronti della attuale classe politica.
Dodici mesi fa non era così: nell’aprile dello scorso anno nel primo dei sondaggi Cise-Il Sole 24 Ore gli astenuti erano il 18,6%. Oggi siamo potenzialmente al 42,1%: solo il 58% è certo di votare. E solo 4 elettori su dieci sanno per che partito votare.Ma fortunatamente non si voterà domani. Nella primavera del 2013 è certo che la partecipazione al voto sarà più alta di quella registrata dal nostro sondaggio. Quanto più alta? Impossibile prevederlo oggi. Dipenderà da molti fattori. In ogni caso sarà più bassa di quella del 2008. L’affluenza alle urne ha cominciato a diminuire dalla fine degli anni settanta a un ritmo medio di circa due punti percentuali ad ogni elezione. In teoria dovremmo quindi aspettarci una partecipazione intorno al 78 per cento. Non sarà così. Un dato del genere – con questa offerta politica – è del tutto irrealistico.
Per completare il quadro al dato sull’astensione va aggiunto quello sull’indecisione. Come si può vedere dal grafico in pagina, la percentuale di coloro che dichiarano di volere andare a votare ma che non sanno per chi votare è rimasta relativamente stabile negli ultimi 12 mesi. Gli indecisi sono il 19,8 per cento del campione contro il 18 per cento circa di dodici mesi fa. Sommando a questo dato quello sulla astensione il risultato è che meno di 4 elettori su 10 dichiarano oggi di voler andare a votare e per quale partito voterebbero. È su questo 40% dell’elettorato che sono calcolate le percentuali di voto ai partiti riportate in tabella. Si tratta di 18 milioni di elettori sui 36,5 milioni che hanno espresso un voto valido nel 2008. Ora se ipotizziamo che nel 2013 vada a votare il 72% degli elettori, cioè 34 milioni, la conclusione è che oggi ci sono circa 16 milioni di futuri voti in cerca di partito. È un calcolo approssimativo che non tiene conto né delle schede bianche e nulle (circa un milione e mezzo nel 2008) né di coloro che non ci dicono oggi per chi voterebbero pur sapendolo. Eppure anche tenendo conto di queste correzioni il numero di elettori che possiamo chiamare “disponibili” è impressionante e molto simile a quello del periodo finale della Prima Repubblica. Questo vuol dire che esistono oggi le condizioni per un profondo cambiamento del quadro politico, quello che gli esperti indicano con il termine “riallineamento”. Negli anni ’92-’94 furono Bossi e Berlusconi ad approfittarne. Furono loro a rispondere alla domanda di nuovo. Chi saranno oggi? Casini, Pisanu, Grillo, De Magistris ecc.?
È alla luce di questi dati che va interpretato un altro risultato sorprendente di questo sondaggio. Agli intervistati che hanno risposto di voler andare a votare (il 58 per cento del campione) sono state fatte due domande. Nella prima gli si è chiesto per quale fra i partiti esistenti avrebbero votato. Successivamente gli si è chiesto per quale partito voterebbero se “fosse presente anche una lista guidata da Mario Monti”. Il 29,6 per cento ha risposto che voterebbe per Monti. La presenza di questa lista ridurrebbe i consensi al Pd al 19,6 per cento e quelli al Pdl al 15,2 per cento. Il “partito di Monti” sarebbe di gran lunga il più grande partito italiano. Va da sé che si tratta di un risultato virtuale. Il dato è certamente sovrastimato. Inoltre è un dato fragile come lo sono in questa fase tutti gli altri dati relativi alle intenzioni di voto degli italiani. C’è troppa incertezza in giro per considerare affidabili oggi le percentuali di voto ai partiti. Ma è un dato che fa riflettere. Tanto più che da quanto emerge da altre domande la maggioranza degli intervistati (il 56 per cento) non dà più un giudizio positivo sull’operato dell’attuale governo e non vorrebbe che questa esperienza si ripetesse dopo le prossime elezioni politiche tra un anno. Eppure quasi un elettore su tre tra quelli che sono intenzionati a votare per un partito voterebbe oggi per quello guidato da Monti. A migrare verso questa lista sarebbero in misura quasi uguale gli elettori dei tre partiti che attualmente appoggiano il governo: il 21,7 per cento degli elettori del Pd, il 23,4 del Pdl e il 26,2% dell’Udc. Un sostegno trasversale ma friabile, molto legato al giudizio positivo che i potenziali sostenitori di questa lista danno dell’operato del governo. In ogni caso un sostegno che evidenzia inequivocabilmente la debolezza dei partiti visto che quasi un loro elettore su quattro è disponibile a defezionare.
Insomma il maggior partito italiano oggi è un partito che non c’è, e che probabilmente non ci sarà. Ma gli attuali partiti non possono consolarsi con l’idea che alle prossime elezioni non troveranno Monti come competitore. Anche senza Monti ci saranno delle novità perché un mercato elettorale aperto, con tanti elettori disponibili, alimenta appetiti e ambizioni che non si sono ancora chiaramente manifestati. In questi giorni stiamo assistendo alle prime manovre di riposizionamento sul fronte del centrodestra. È naturale che questo avvenga in questa area dello spazio politico perché è qui che troviamo la maggioranza degli elettori disorientati in cerca di un nuovo approdo. Come nel 1994. Il partito della nazione è al decollo. Il “nuovo Pdl” è stato invocato e ora è stato annunciato da Alfano. La scomposizione e ricomposizione del centrodestra è iniziata e potrebbe riservare delle sorprese. La più grossa sarebbe il ritorno di Berlusconi sotto diverse spoglie. In fondo il Cavaliere è quello che di mercati e di campagne pubblicitarie se ne intende più di tutti. Sarebbe incredibile che riuscisse a ripetere il “miracolo” del 1994 quando riunì sotto una unica bandiera tutti i pezzi della destra italiana. Incredibile ma non impossibile. Siamo sempre il paese del Gattopardo.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 21/4/2012