di Federico De Lucia
Sino ad ora le nostre analisi si sono concentrate sulle prestazioni delle coalizioni e su quelle delle liste di partito. Non ci siamo invece ancora occupati dei candidati sindaco. In particolare, per quanto riguarda i 26 comuni capoluogo al voto, può essere interessante notare a quali partiti appartengano, da una parte i Sindaci già eletti al primo turno, e dall’altra i candidati che si affronteranno ai prossimi ballottaggi.
I Sindaci già eletti dopo il primo turno dello scorso fine settimana sono solo 7. Di questi, 3 sono del Pd (Federici a La Spezia, Consales a Brindisi, Bertinelli a Pistoia), 3 sono del Pdl (Romoli a Gorizia, Abramo a Catanzaro, Perrone a Lecce) e 1 è un leghista (Tosi a Verona). Nelle altre 19 città si andrà al ballottaggio.
Come mostra la tabella, lo scontro più ricorrente, fra quelli cui assisteremo il prossimo fine settimana, è quello che vede contrapposti un candidato del Pd e un candidato del Pdl. Tuttavia, si tratta di una prevalenza piuttosto relativa: solo 6 casi su 19. Non mancano altri tipi di sfide: in due occasioni (L’Aquila e Lucca) i candidati del Pd affrontano uomini appartenenti a partiti del Terzo Polo. In un caso (Genova), è un candidato di area Sel ad affrontare un esponente del polo centrista. A Rieti si assiste ad uno scontro fra un uomo di Sel ed uno del Pdl. A Parma, infine, andrà in scena la sfida tanto attesa fra il candidato dei grillini Pizzarotti e quello del Pd locale.
In tutti gli altri casi (8 su 19), almeno uno dei due sfidanti non sarà un candidato propriamente di partito. Sarà al contrario un esponente della società civile o dell’associazionismo locale, o un candidato di una formazione di caratura territoriale modesta (come Maurici a Trapani, esponente del Grande Sud di Miccichè). Oppure, infine, un soggetto attualmente non inquadrabile in nessuna formazione politica: è il caso di Ferrandelli a Palermo. A Cuneo, addirittura, sia il candidato sostenuto dal centrosinistra che quello sostenuto dal Terzo Polo, sono esponenti del mondo civico.
Una riflessione a margine può essere fatta in merito all’unico fra gli schieramenti politici che abbia mantenuto un formato di tipo coalizionale in questo turno amministrativo: quello di centrosinistra. Spesso, quando si analizza l’offerta elettorale di questo blocco politico si fa riferimento alle difficoltà che presenta il Pd nella scelta dei candidati, specie in confronto ai suoi alleati più radicali. È vero che nelle due maggiori città al voto, Genova e Palermo, le primarie di coalizione hanno dato risultati negativi per il partito di Bersani, ed è vero che anche in contesti demograficamente meno rilevanti (Trani, Cuneo, Pistoia, Belluno)non sono mancate polemiche e controversie. Ma è altrettanto vero che, alla fine, come mostra la tabella seguente, le liste Pd hanno finito con il sostenere candidati targati Pd in ben 18 casi su 26. Solo in 3 (Genova, Rieti, Taranto) hanno sostenuto candidati di area Sel, e nei restanti 5 hanno sostenuto candidati della società civile o uomini comunque non appartenenti a nessun partito.
Nel complesso, non sembra che i candidati specificamente democratici siano andati peggio degli altri: anzi, in tutti e tre i casi in cui il centrosinistra ha già chiuso la partita, il candidato prescelto era un uomo del Pd. I tre esponenti di Sel sono invece andati tutti al ballottaggio, come 4 dei 5 esponenti a-partitici. Nelle 6 occasioni in cui le liste Pd sono state sconfitte, 5 vedevano in lizza candidati democratici, ed una la sindacalista agrigentina Lo Bello.
Dopo i ballottaggi, comunque, avremo un quadro più completo della situazione.