di Federico De Lucia
Ora che il PD ha reso noto le liste di candidati alla Camera e al Senato, ci è finalmente possibile fare una analisi precisa e puntuale sulla loro composizione effettiva (anche se ancora non completamente ufficializzata: c’è da risolvere ancora la grana del PSI). In precedenti articoli avevamo fatto delle previsioni basate sul regolamento approvato dal PD, o meglio sull’interpretazione che di esso ci appariva come la più ragionevole: ora finalmente sappiamo quale è stata l’interpretazione effettiva, e su di essa possiamo basarci interamente.
Mentre in articoli precedenti abbiamo parlato di ciò che era emerso dal territorio con le primarie, oggi è in primo luogo possibile dare conto del “listino” scelto dal segretario. Come prevedibile, il listino di Bersani non è composto né da 92 nomi (il numero minimo che gli spettava), né da 136 (il numero massimo che poteva spettargli secondo una interpretazione estensiva del regolamento), ma da una cifra intermedia, più spostata verso il secondo di questi due estremi: 124 persone fisiche per 129 posizioni in lista (ci sono cioè cinque pluricandidature: due di Bersani, una di Ignazio Marino, una di Enrico Letta e una di Flavia Nardelli). La sorpresa sta nella composizione di questo listino: solo 49 di questi 124 prescelti sono parlamentari uscenti (il 39,5%); gli altri 75 sono o “esterni” o politici provenienti dal territorio (fra cui molti renziani), o socialisti (ma sugli 8 posti lasciati al PSI si è aperta una polemica fra i due partiti che ancora non è stata risolta).
Tabella 1. Liste PD: la composizione del listino di Bersani
A questo punto, è possibile fare una previsione molto più affidabile sulla composizione della prossima delegazione democratica al Parlamento nazionale. Per procedere alle necessarie simulazioni è necessario però fare delle ipotesi. In primo luogo continuiamo a ipotizzare che il centrosinistra ottenga il premio di maggioranza sia alla Camera che in tutte le regioni del Senato. Questo è solo uno degli esiti possibili, ma è quello che prendiamo in considerazione qui perché, essendo il più favorevole, ci consente di stimare, ceteris paribus, il numero massimo di candidati eleggibili. In secondo luogo, è necessario quantificare il rapporto di forze interno alla coalizione di centrosinistra. Per far capire quanto questo punto sia cruciale, facciamo notare che l’effetto combinato di variazioni percentuali anche minime del PD, da una parte, e dei suoi alleati (SEL, Centro Democratico, SVP, forse il PSI con liste autonome) dall’altra, può produrre una differenza di risultato per il PD superiore ai 50 seggi. Abbiamo scelto di presentare due scenari: nel primo, in cui ipotizziamo un rapporto di forza 80%-20% (quindi un PD attorno al 30-31% e i suoi alleati complessivamente attorno all’8-9%), al PD spettano 398 dei 512 seggi totali che vanno alla coalizione; nel secondo, in cui ipotizziamo un rapporto di forza 90%-10% (quindi un PD attorno al 34% e i suoi alleati complessivamente attorno al 5%), al PD spettano 461 di tali 512 seggi. Il primo scenario è abbastanza sfavorevole al PD, e pertanto, i candidati che vi risultano eletti possono considerarsi al sicuro. Chi, invece, risulta eletto solo nel secondo di tali scenari, occupa una posizione “marginale” in lista, ovvero non ha la certezza della elezione.
Tabella 2. Liste PD: i due scenari che ipotizziamo a seconda delle percentuali ottenute dai partiti del CSX
Il primo punto che ci interessa, è capire quanti degli eletti PD proverranno dalle primarie, e quanti proverranno dal listino. Nel primo scenario ipotizzato, su 398 posizioni eleggibili, 281 (70,6%) sono occupate da esponenti del partito provenienti dalle primarie, mentre 117 (29,4%) sono occupate da componenti il listino (entro tale numero entrano 5 socialisti e tutte le 5 pluricandidature). Nel secondo scenario ipotizzato, su 461 posizioni eleggibili, 339 (il 73,5%) sono occupate da esponenti del partito provenienti dalle primarie, mentre 122 (26,5%) sono occupate da componenti il listino (in questo caso vi sono 6 socialisti e ancora le 5 pluricandidature). Pertanto, come ragionevole attendersi, la quasi totalità del listino (in particolare, tutto salvo 7 casi, di cui 3 socialisti) è stata inserita in posizioni eleggibili. Comunque, una quota compresa fra i due terzi e i tre quarti dei prossimi eletti PD proverrà dalle primarie svoltesi sul territorio. Cifre che confermano le previsioni che in queste ore dichiara Bersani sui mezzi di comunicazione.
Tabella 3. Liste PD: le posizioni eleggibili disaggregate fra componenti il listino e eletti dalle primarie
Il secondo punto che ci interessa indagare è la composizione di genere della prossima pattuglia democratica a Roma. In precedenti articoli avevamo notato come fosse stata altissima la quota di donne arrivate ai primi posti nella competizione primaria sul territorio, e ci eravamo interrogati sulla misura in cui Bersani, nel suo listino, sarebbe riuscito a fare altrettanto. Bene: nel primo scenario ipotizzato, su 388 persone fisiche che entreranno in parlamento (in questo caso dobbiamo escludere dal totale i 5 socialisti eleggibili, che ancora non hanno comunicato i nomi dei candidati, e le 5 pluricandidature, che non sappiamo dove saranno optate dopo l’elezione), 235 saranno gli uomini e 153 saranno le donne; nel secondo scenario ipotizzato, su 451 persone fisiche elette (ancora, non concorrono al totale i socialisti e le pluricandidature), 272 saranno gli uomini e 179 saranno le donne. Le donne saranno cioè, in entrambi le ipotesi, quasi il 40% degli eletti. Veramente un grande risultato! Ci pare però il caso di far notare che, disaggregando la distinzioni di genere nei due subtotali degli eletti provenienti dalle primarie e di quelli provenienti dal listino, ci rendiamo conto che Bersani, in realtà, non è affatto riuscito ad eguagliare le Unioni regionali del suo partito sulla rappresentanza di genere: in entrambi gli scenari, nella quota di eletti proveniente dal territorio, le donne sono circa il 44%; fra i nominati da Bersani esse scendono al 26% circa.
Tabella 4. Liste PD: uomini e donne nelle posizioni eleggibili, disaggregati per listino e primarie
L’ultimo punto che ci interessa indagare è infine la sorte che aspetta la pattuglia di parlamentari democratici uscenti. Le simulazioni che abbiamo fatto ci permettono di procedere ad una analisi molto dettagliata delle loro prospettive di rielezione, e dunque del rinnovamento che attende la classe dirigente del partito (inutile dire quanto questo tema sia all’ordine del giorno in questa campagna elettorale). Innanzi tutto, è preliminarmente necessario dar conto di quanti parlamentari saranno ricandidati. Dei 299 parlamentari democratici uscenti: solo 49 (il 16,4%) sono stati inseriti nel listino di Bersani; 150 (il 50,2%) hanno partecipato alle primarie locali; ben 100 (il 33,4%) si sono semplicemente ritirati.
Tabella 5. Liste Pd: la sorte dei 299 parlamentari democratici uscenti
Dei 150 che hanno concorso alla competizione sul territorio: 99 hanno conseguito un risultato che gli consente di occupare una posizioni certamente eleggibile (cioè eleggibile nel nostro primo scenario, quello più sfavorevole al PD); 14 hanno ottenuto un piazzamento in lista incerto (cioè eleggibile solo nel secondo dei nostri due scenari); 37 sono stati bocciati dal territorio e pertanto occupano posizioni in lista troppo basse per poter risultare eletti (di questi 37, 15 hanno addirittura rinunciato a candidarsi, vista l’impossibilità dell’elezione). Invece, dei 49 componenti il listino, 47 (la quasi totalità, come ovvio) sono stati inseriti in posizioni utili all’elezione, tutte già sicure nel primo scenario. Quindi, nel complesso ci attendiamo che i rieletti PD siano un numero compreso fra 146 (primo scenario) e 160 (secondo scenario). Si tratterebbe di una cifra compresa fra il 48,8% e il 53,5% dei 299 parlamentari democratici uscenti. E solo un terzo di tali eletti proverrà dal listino. Insomma, come direbbe Bersani: “la ruota gira”. Nell’ultima tabella possiamo dare una occhiata a quanto era successo nelle legislature precedenti.
Tabella 6. Liste Pd: il tasso di rielezione da noi ipotizzato a confronto con quello del recente passato
Qualora Il tasso di rielezione 2013 da noi ipotizzato si rivelasse giusto, esso sarebbe nettamente inferiore rispetto a quello delle elezioni del 2008: in quel caso esso era stato altissimo, ed in questo un ruolo importante l’aveva giocato la breve durata della legislatura che si chiudeva. La quota dei rieleggibili di oggi è invece molto simile alla percentuale di rieletti che si era registrata in occasione delle elezioni precedenti alle ultime, quelle del 2006. Ma attenzione: allora il numero di parlamentari democratici eletti rimase pressoché identico a quello dei parlamentari uscenti, anzi diminuì leggermente (erano 338 prima delle elezioni del 2006, furono 324 dopo tali elezioni); oggi, invece, nelle nostre simulazioni il PD incrementa la propria delegazione di almeno 100 unità (passa da 299 a minimo 398), e di posti eleggili in cui piazzare gli uscenti ne avrebbe avuti pertanto in grande quantità. Si è fatta una scelta politica diversa, ed è giusto mettere in evidenza che sono i numeri a dimostrarlo.