di Matteo Cataldi e Vincenzo Emanuele
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 27 febbraio 2013
La principale novità emersa dalle elezioni di domenica e lunedì è sicuramente rappresentata dal boom di Grillo. Con 8 milioni e 689 mila voti (il 26,6%) il Movimento 5 Stelle è diventato il primo partito italiano, a spese di Pd e Pdl. Si tratta di un evento che non ha precedenti nella storia dell’Europa occidentale: non è mai accaduto, infatti, che in elezioni non fondative del regime democratico, un nuovo partito, alle sue prime elezioni nazionali, abbia ottenuto un successo così clamoroso. Per trovare un caso simile dovremmo risalire al successo di Forza Italia nel 1994, ma allora il partito di Berlusconi si fermò al 21%. Guardando all’intera storia della Repubblica, è importante rilevare come simili percentuali siano state ottenute solo dai due grandi partiti che caratterizzavano il sistema politico di quel momento: la Dc e il Pci nella Prima Repubblica, Forza Italia (poi il Pdl) e il Pd dopo il ‘92. Questo quadro dà l’idea del risultato epocale ottenuto dal Movimento 5 Stelle.
A questo punto è interessante analizzare le caratteristiche territoriali del successo grillino. La mappa in pagina mostra come sono cambiati gli equilibri territoriali riportando la percentuale di voti del primo partito in ciascuna provincia italiana. Nelle recenti elezioni dominavano Pdl e Pd: nel 2008 il partito di Berlusconi aveva trionfato in 67 province, praticamente ovunque tranne che nella Zona rossa, dove invece prevaleva il Pd. Ebbene, oggi il Movimento 5 Stelle è il partito che ha vinto più province (50) e la maggioranza delle regioni (11). Grillo ha trionfato in Sicilia, in cui è arrivato primo ovunque tranne che a Messina, raggiungendo il 40% a Trapani e il 39% a Ragusa. Ma l’onda grillina non si è fermata all’Isola in cui già alle regionali dello scorso ottobre aveva ottenuto la prima posizione con il 15%. Ha infatti vinto anche in molte altre aree del paese, strappando molte province sia del centrodestra (41) che del centrosinistra (9). Da un lato è giunto primo in alcuni roccaforti del forza-leghismo, come gran parte del Nord-est, Cuneo e la Liguria di Ponente; dall’altro ha tolto al Pd la leadership in tutte le province delle Marche, oltre che Torino e Genova.
Il Partito democratico ha mantenuto le proprie roccaforti tradizionali nella Zona rossa, in cui vince con percentuali fra il 30 e il 44% in Emilia-Romagna, Umbria e Toscana (con l’eccezione di Lucca, ex enclave democristiana, oggi vinta da Grillo). In tutto il Centro-Sud il partito di Bersani ha invece la maggioranza relativa solo in 3 province. La vera novità, però, è rappresentata dalla Lombardia. Qui i democratici vincono quasi dappertutto, avvantaggiandosi probabilmente della decisività del premio regionale al Senato, della concomitanza delle elezioni regionali nonché dell’inedita struttura della competizione (la presenza di cinque partiti sopra il 10% che ha ridotto la quota del vincente abbondantemente sotto il 30%). Le eccezioni sono Sondrio (Lega) e Como (Pdl). Quest’ultima rappresenta l’unica provincia del Centro-Nord in cui Berlusconi ha la maggioranza relativa (cinque anni fa erano 22). Le restanti 16 in cui il Pdl detiene il primato si concentrano a sud di Roma: in particolare in Puglia e nelle province tirreniche di Lazio e Campania.
Lo tsunami grillino ha travolto la storica stabilità della mappa elettorale italiana, in cui di elezione in elezione le diverse zone del paese riproducevano tendenze simili. Il tempo ci dirà se è un cambiamento transitorio o siamo di fronte all’emergere di una nuova geografia elettorale.
Figura 1 Mappa del primo partito per provincia (e relativa percentuale di voti).