L’editoriale di El País, il più letto quotidiano spagnolo e con ben radicate simpatie verso il Partido Socialista Obrero Español (PSOE), ha definito la vittoria di Pedro Sánchez alle primarie del PSOE come una “brexit” spagnola, capace di far emergere il “momento populista” all’interno della compagine che più di altre nel corso degli ultimi trent’anni ha rappresentato la cosiddetta responsabilità di fronte a spinte conservatrici o, appunto, populiste. Una “brexit” a dire il vero piuttosto particolare dato che proprio Sánchez era il segretario uscente nonché candidato Primo Ministro alle due precedenti elezioni.
Attraverso un’analisi delle primarie spagnole si tenterà perciò di ripercorre le tappe più significative della recente storia del PSOE, focalizzandosi in particolare sugli eventi degli ultimi cinque anni.
Senza entrare troppo nel dettaglio, una delle principali caratteristiche del sistema politico spagnolo è certamente il suo decentramento amministrativo e la forza di (alcune) comunità autonome. Questo federalismo del tutto peculiare nel panorama europeo, tuttavia, non ha prodotto nel sistema partitico un uguale decentramento dei poteri, specialmente per i due principali partiti con proiezione sovra-regionale – non utilizzo il termine nazione per l’ambiguità concettuale attorno a tale termine in Spagna – ossia il PSOE e il Partito Popolare (PP). Se per ragioni storiche, il centralismo dei popolari è diretta conseguenza della struttura di Alleanza Popolare – il cui storico leader, Manuel Fraga, era stato ministro in epoca franchista – e della ideologia fortemente improntata al centralismo amministrativo, nel caso del PSOE la letteratura ha mostrato come accanto ad una struttura federale, in cui ad esempio il bilancio della federazione catalana viene tenuto distinto da quello del partito nazionale, si sia affiancata una forte centralizzazione dei poteri, in cui la leadership e il party in central office (PCO) hanno mantenuto un saldo controllo sul partito (Gillespie 1994, Hopkin 2001, Méndez e Orte 2005, Van Biezen 2003, Verge 2007). E questo nonostante i cosiddetti “barones” – gli uomini forti delle comunità spagnole siano essi segretari regionali o proprio i presidenti della comunità – abbiano saputo ritagliarsi uno spazio di manovra rilevante, specie negli ultimi anni, non casualmente quelli in cui i leader susseguitesi a Zapatero si sono dimostrati più deboli elettoralmente e all’interno del partito.
Nel PSOE, l’introduzione della selezione del candidato attraverso una procedura che si potrebbe definire di primarie chiuse (One Member One Vote, OMOV) – simili a quelle tenute on-line dal Movimento 5 Stelle – avviene già nel 1998. L’anno prima a seguito della sconfitta elettorale subita nel 1996 si era dimesso il leader storico del partito, nonché Primo Ministro dal 1982 al 1996, Felipe González. La scelta del 34° Congresso del 1997 ricadde su Joaquín Almunia, fidato alleato dello stesso González. Per dare più legittimità alla scelta di Almunia, il Comité Federal (l’organo esecutivo più importante dentro il partito) convocò le primarie per scegliere il futuro candidato per la carica di Primo Ministro. Come accaduto anche per le primarie di domenica, anche nel 1998 a prevalere tra gli iscritti fu il candidato al di fuori dell’establishment dei barones, José Borrell con 114.254 voti (55,0%); Almunia si attestò al 44,7%. Con una pesante incertezza organizzativa, a causa della quale si crearono due figure distinte di candidato Primo Ministro (Borell) e di Segretario del partito (Almunia), il risultato alle successive elezioni del 2000 per questo ed altri motivi di ordine politico si rivelò poi pesantemente negativo per i socialisti, che riuscirono ad ottenere la maggioranza solo nelle circoscrizioni di Huelva, Sevilla, Jaén, Granada, Tarragona e Barcellona.
Per le successive primarie si devono attendere ben sedici anni (2014). Dal XXXV al XXXVIII Congresso, la leadership del partito viene eletta con un selettorato più ristretto (i delegati) anche se proprio nel primo di questi, tenutosi a Madrid nel 2000, l’elezione di Zapatero giunse inaspettata con soli nove voti di scarto (415 a 406) dal candidato andaluso e vicino agli ex-uomini forti del partito González e Guerra, José Bono, giunto secondo, portando con sé peraltro una significativa evoluzione organizzativa (Méndez Lago 2006).
Il congresso straordinario del 2014, all’indomani della sconfitta alle europee e del sorprendente risultato di Podemos (7,98%) e della Sinistra Plurale (10,03%), ripropose le primarie chiuse tra iscritti e simpatizzanti[1]. Nonostante nelle prime battute di campagna elettorale per le primarie Eduardo Madina insidiasse, secondo alcuni sondaggi, la leadership di Pedro Sánchez, quest’ultimo prevalse con il 48,67% dei voti quindi senza la maggioranza assoluta, con Madina e Pérez Tapias rispettivamente al 36,25% e al 15,07%. Come per la precedente tornata, il distacco tra il primo e il secondo candidato (11 punti percentuali nel 1998 contro i 12 del 2014) evidenziarono sin da subito un partito spaccato, con gli uomini forti del bacino elettorale storico del PSOE, l’Andalusia, pronti a rivalersi su un leader instabile. A ciò si deve anche aggiungere una emorragia di iscritti (Figura 1) che non si è placata e che, prima delle elezioni primarie, registrava dati non realistici.
Le due elezioni legislative successive alle Europee, tenutesi a stretto giro di posta nel 2015 e nel 2016, d’altronde, hanno visto il PSOE in grande difficoltà elettorale e politica. Nel primo caso, la “tenaglia” rappresentata da Podemos e Ciudadanos ne ha ridotto gli spazi di manovra; soprattutto Podemos, come dimostrano i dati recentemente pubblicati da Agenda Pública (Bayon 2017a), ha eroso tutto il capitale di elettori auto-collocatosi a sinistra che prima della nascita del partito guidato da Iglesias votavano in massa per il PSOE. Nel secondo caso, il dibattito parlamentare per la fiducia al nuovo Primo Ministro (Mariano Rajoy) e le trattative non andate a buon fine tra Podemos e lo stesso PSOE per la creazione di una coalizione alternativa ai popolari hanno messo in grande difficoltà Sánchez, soprattutto di fronte alla federazione andalusa guidata dalla presidente Susana Díaz contraria a qualsiasi accordo con Podemos. La sfiducia a Sánchez, giunta al termine di un concitatissimo Comité Federal dai toni drammatici per il partito, ha portato alle dimissioni del segretario e l’affidamento alla cosiddetta gestora (la Commissione Politica del PSOE) della leadership proprio come accaduto all’indomani delle dimissioni di González nel 1997.
Arriviamo quindi al presente, ossia alle primarie tenutesi domenica. Lo scontro tra Sánchez, Díaz e Patxi López (basco, e a capo della Commissione Politica) ha consumato (nuovamente) il partito nelle terze primarie chiuse tenutesi in occasione del XXXIX Congresso del partito. E anche in questo caso, la candidata appoggiata più o meno direttamente dalla maggior parte dell’establishment del partito, Susana Díaz è uscita sconfitta contro una candidatura che paradossalmente è stata definita di rottura come quella di Sánchez. Paradossalmente perché Sánchez, contrario ad una aperta collaborazione con i popolari, ha promesso una mozione di sfiducia al governo in carica[2] che avrebbe i numeri per passare, in caso le opposizioni (anche senza l’appoggio di Ciudadanos) si presentassero unite e con un candidato Primo Ministro. Il gruppo parlamentare dei socialisti su questo punto è spaccato. Proprio Podemos che aveva annunciato – e fatto votare ai propri militanti in una consultazione interna – una mozione di sfiducia, si è detto disposto a ritirarla per appoggiare quella eventualmente proposta dalla nuova guida del PSOE. Dei circa 188.000 iscritti a votare 74.223 con il 99,23% dei voti scrutinati ha scelto Sánchez (50,2%), mentre 59.041 Díaz (39,9%) e 14.571 (9,9%) Patxi López. Come nelle precedenti primarie, il distacco tra primo e secondo candidato è di poco sopra i 10 punti percentuali, mentre ad esempio nel caso delle primarie “aperte” del Partito Democratico in Italia il distacco si è sempre rilevato molto più ampio.
Al di là dei numeri assoluti sulla partecipazione (Tabella 2), meno rilevanti rispetto ad una consultazione in cui il selettorato comprende potenzialmente tutto l’elettorato attivo (e anche una parte non attivo) come nel caso del Partito Democratico (PD) o delle Primaires citoyennes del Parti Socialiste (PS) francese, le primarie spagnole hanno dimostrato di essere fortemente competitive e capaci di portare a risultati in un certo qual modo “sorprendenti”. Tuttavia, hanno anche creato non pochi problemi organizzativi e di leadership in tutte e tre le tornate. Non solo, le primarie hanno anche fatto emergere una spaccatura regionale non legata alle irrisolte questioni indipendentiste, quanto semmai al nodo dell’Andalusia.
Il feudo del PSOE, da sempre il maggior bacino di voti per i socialisti, ha rappresentato da solo il 42,2% dell’elettorato di Susana Díaz (25.112 voti su 59.041 totali); qui Sánchez ha raccolto la metà dei voti della rivale, mentre ha prevalso in tutte le altre comunità autonome (eccetto i Paesi Baschi, dove ha vinto Patxi López) con una prevalenza enorme in due aree cruciali economicamente e politicamente per la Spagna, la Catalogna (8.302 a 1191) e la Comunità Valenciana (9.552 a 4.274)[3]. L’Andalusia, tuttavia, rappresenta solo il 18% della popolazione ed elegge 61 deputati (il 17,4%) al Congresso. Nonostante risulti la comunità autonoma più popolata, il peso specifico che ricopre e storicamente ha ricoperto nell’assegnare la leadership del partito socialista è sproporzionata rispetto alle altre comunità: detto della rilevanza della comunità per Díaz è interessante notare come in termini assoluti Sánchez in Andalusia ha preso più voti che in tutte le altre comunità.
In un paese in cui le spinte separatiste si fanno sempre più forti e dove il federalismo è un caposaldo del sistema politico spagnolo, la centralizzazione decisionale del partito socialista ha portato all’introduzione di primarie chiuse, nel tentativo di garantire agli iscritti la possibilità di scegliere il proprio leader. Tuttavia, le primarie fondate sul principio “una testa, un voto” offrono sì una democratizzazione del processo di selezione per gli iscritti, ma minano anche il concetto di rappresentatività concedendo alle federazioni più forti un peso sproporzionato rispetto ad altre aeree cruciali dal punto di vista elettorale, politico ed economico, rischiando quindi di marginalizzare il partito socialista in comunità dove la struttura è debole o dove le recenti elezioni hanno evidenziato un calo significativo (si veda Bayon 2017b per le performance del PSOE nelle varie comunità autonome). Una sorta di spirale che si autoalimenta e che, nonostante la vittoria di Sánchez, rischia di minare ulteriormente la già traballante organizzazione partitica.
Figura 1 Membri del PSOE. *Membri secondo le diverse varianti previste dallo statuto del partito. ** Somma di iscritti effettivi e simpatizzanti. *** Iscritti con diritto di voto alle primarie. Fonte: Vittori (forthcoming).
Tabella 1. Primarie del PSOE, risultati (1998, 2014, 2017).
References
Bayon, E. (2017a). Los Que Se Fueron del PSOE. Agenda Pública (on-line). 17 April 2017. Retrieved from http://agendapublica.elperiodico.com/los-se-fueron-del-psoe/ [last access 22 May 2017].
Bayon, E. (2017b). Los números de las primarias del PSOE. Agenda Pública (on-line). 17 April 2017. Retrieved from http://agendapublica.elperiodico.com/los-numeros-de-las-primarias-del-psoe/ [last access 22 May 2017].
Gillespie, R. (1994). ‘The Resurgence of Factionalism in the Spanish Socialist Workers’ Party’, in Bell, D. and E. Shaw (eds.) Conflict and Cohesion in Western European Social Democratic Parties, London: Pinter, pp. 50-69.
Hopkin, J. (2001). ‘Bringing the Members Back in? Democratizing Candidate Selection in Britain and Spain’. Party Politics. Vol.7(3): 343-361.
Méndez, M. and A. Orte (2005). ‘La organización de partidos en sistemas multinivel: el caso del PSOE’. Paper presented at the VII Congreso de la Asociación Española de Ciencia Política y Administración, September 21-24, Madrid.
Méndez Lago M. (2006). ‘Turning the Page: Crisis and Transformation of the Spanish Socialist Party’, South European Society and Politics. Vol. 11(3-4): 419-437.
Van Biezen, I. (2003). Political Parties in New Democracies: Party Organization in Party Organization in Southern and East-Central Europe, Basingstoke: Palgrave Macmillan.
Verge, T. (2007). Partidos y representación política: las dimensiones del cambio en los partidos políticos españoles, 1976–2006. Madrid: Centro de Investigaciones Sociológicas.
Vittori, D. (forthocoming). ‘Cartelization and Party Change in Social-Democracy: PS, PSOE and PD in a comparative perspective. An applied analysis of the cartel party theory’. Italian Political Science Review.
[1] Esistono tre tipi di affiliazione nel PSOE: il militante, l’affiliato diretto e il simpatizzante. Il simpatizzante non paga la quota di iscrizione, ma non può esercitare altri diritti se non il voto alle primarie. Il militante è iscritto alle strutture sub-nazionali del partito, mentre l’affiliato diretto risulta nei registri come iscritto alla struttura federale.
[2] In Spagna la mozione di sfiducia deve essere “costruttiva”, ossia è necessario presentare un candidato alternativo capace di raccogliere la maggioranza dei voti nel Parlamento per passare.
[3] I dati sono reperibili sul sito http://consultasg.psoe.es/