In alcune prime analisi dopo il voto referendario del 20 e 21 settembre è emerso un dato interessante. Sia l’Istituto Cattaneo che YouTrend hanno infatti messo in evidenza come i quartieri più agiati delle grandi città siano quelli dove il NO è risultato in vantaggio.
L’Istituto Cattaneo ha poi anche messo in relazione i risultati a livello sub-comunale con alcuni indicatori socio-economici, individuando come questo fenomeno “ZTL” sia più in generale corrispondente a specifiche caratteristiche socio-economiche. Il voto al No appare quindi maggiore nelle aree caratterizzate rispettivamente da:minore disagio socio-economico; maggiore percentuale di “borghesia”; tasso più alto di adulti con diploma e laurea; minor voto al M5S.
Ovviamente un’avvertenza è sempre necessaria. Essendo analisi svolte su aggregati (i quartieri) e non su individui, esiste sempre il rischio di “fallacia ecologica”. Ovvero, per assurdo, sarebbe compatibile con questi dati il fatto che a votare No non siano stati in realtà non questi ceti privilegiati, ma il loro personale di servizio (se residente con loro, o comunque nello stesso quartiere)! In altre parole, trarre conclusioni sugli individui da dati aggregati presenta sempre potenzialmente questo rischio.
E’ per questo che abbiamo quindi pensato di replicare questa analisi utilizzando i dati dei sondaggi preelettorali che abbiamo commissionato a WinPoll prima del voto, quindi stavolta con interviste a livello individuale. Va purtroppo detto che i sondaggi che abbiamo coprono solo le sei regioni al voto regionale, quindi non catturano bene le metropoli (di fatto c’è solo Napoli), e non catturano il Nord del paese; tuttavia i fenomeni suggeriti dalle analisi viste sopra sono di portata assolutamente generale, quindi dovrebbero comparire anche in città come Genova, Firenze, Bari, Ancona, Venezia, e più in generale anche nelle città più piccole. E in effetti – anticipiamo – è così; tuttavia con qualche dato più ricco e interessante.
Presentiamo qui anzitutto delle semplici analisi bivariate, che incrociano il voto referendario con alcune caratteristiche socio-demografiche (tuttavia controllate con analisi multivariate). I risultati sono semplici ma presentano spunti interessanti. La premessa è che, mettendo insieme le 6000 interviste condotte in sei regioni, il voto al Sì totalizzava circa il 61% degli intervistati (in un campione ponderato per sesso, età titolo di studio e voto alle europee 2019); abbiamo perciò proceduto a una riponderazione in modo da portare il risultato in linea con quello reale del 20 e 21 settembre (Sì al 70% nelle sei regioni coperte).
Sesso ed età: donne e anziani premiano il Sì
La Tabella 1 mostra anzitutto il voto al Sì per sesso e per classe di età. Un primo dato che appare chiaramente è la netta differenza (23 punti percentuali!) tra uomini e donne. La percentuale di sì, del 59% tra gli uomini, sale infatti all’82% tra le donne. E si tratta di un effetto che appare genuino e non spurio: questa differenza resiste come statisticamente significativa anche in un modello di analisi multivariata (qui non presentato in dettaglio) in cui si tiene conto di età, titolo di studio, interesse per la politica, professione e addirittura voto alle ultime Europee. Anche a parità di tutte queste caratteristiche, le donne continuano a preferire il Sì in modo sensibile rispetto agli uomini. Che comunque – va ricordato – sono in generale anche loro in maggioranza (59%) per il Sì.
E considerazioni simili valgono per le fasce di età. Qui abbiamo una prima categoria dove vince il No: sono i giovani tra i 18 e i 29 anni, dove il Sì si ferma al 43%. Salendo nelle classi di età il Sì cresce in modo uniforme, salendo rispettivamente al 58, al 76 e al 79%. Tuttavia va sottolineato che questi dati non ci autorizzano a parlare di una contrapposizione tra giovani e anziani, perché in realtà anche i più giovani sono quasi per la metà per il Sì. Sembra quindi più appropriato parlare di una netta maggioranza nelle ultime due classi di età (dai 45 in su) a fronte di uno scenario più equilibrato nelle prime due classi di età, che presentano distacchi simili, anche se di segno rovesciato. Anche in questo caso va sottolineato che queste differenze resistono anche al controllo statistico rispetto ad altre variabili: anche a parità delle caratteristiche viste prima, un’età maggiore continua ad essere associata a una maggiore probabilità di votare Sì.
Il livello di istruzione:
laureati divisi a metà, gli altri nettamente per il Sì
E veniamo a questo punto alla caratteristica su cui ovviamente si è concentrato molto interesse: il livello di istruzione. E’ vero che i più istruiti votano maggiormente per il No? Sì, è vero, anche se a rigor di logica (almeno nei nostri dati che si riferiscono alle sei regioni al voto) bisognerebbe dire piuttosto che “votano in misura minore per il Sì”, perché – e questa è una notizia interessante – anche tra i laureati in realtà esiste una situazione di parità: 49% per il Sì contro il 51% per il No (una differenza di due punti che non è statisticamente significativa, perché rientra abbondantemente nei margini di errore).
Di conseguenza questo è un aspetto interessante: anche qui, non esiste una presunta polarizzazione tra laureati massicciamente per il No e tutti gli altri massicciamente per il Sì. In realtà i laureati sono divisi quasi esattamente a metà tra Sì e No; mentre – ovviamente – il Sì prevale nettamente negli altri livelli di istruzione, con una prevalenza che aumenta al diminuire del livello di istruzione.
Dietro l’effetto dell’istruzione
c’è in realtà l’interesse per la politica
Essendo i nostri sondaggi basati su interviste molto brevi, queste includevano solo poche domande. Tra queste tuttavia abbiamo inserito l’interesse per la politica, che in questo caso è estremamente rilevante. Si vede infatti che è questo a produrre un effetto molto forte, decisamente più forte dell’istruzione. In particolare, è questa variabile a identificare una categoria che è fortemente per il No: sono i “molto interessati” alla politica (Sì appena al 36%), nettamente contrapposti alle altre categorie.
Ma non solo: l’effetto dell interesse per la politica getta anche una luce interessante sull’effetto dellistruzione che abbiamo visto poco fa. In un’analisi multivariata in cui le due variabili vengono considerate simultaneamente (e insieme ad altre) si vede infatti che l’inserimento dell’interesse per la politica diminuisce fortemente l’importanza dell’istruzione. Se nella tabella precedente abbiamo infatti visto che tra le due categorie estreme di istruzione (laureati vs. licenza elementare) c’è una differenza di 41 punti nel voto al Sì (49 contro 90), in un modello multivariato che comprende l’interesse per la politica la differenza tra queste due categorie si riduce a 16 punti. In altre parole, se analizzassimo separatemente i diversi livelli di interessati alla politica, all’interno di ciascun gruppo scopriremmo che i laureati sono maggiormente per il No, ma in misura non così forte. Di conseguenza questo ci dice che – se i laureati sono divisi a metà – questo è dovuto anche al fatto che al loro interno ci sono interessati e meno interessati alla politica, e questo conta (va infatti sottolineato che – nel campione generale – già tra gli “abbastanza interessati” il No vince con il 70%).
L’occupazione non ha effetti significativi
Tra i nostri dati c’era anche la condizione occupazionale, che presenta dati interessanti. In particolare l’interesse maggiore è nella discrasia tra i risultati dell’analisi bivariata e quelli dell’analisi multivariata. La prima ci dice che ci sono due categorie che, secondo i dati, hanno dato la maggioranza al No: liberi professionisti e impiegati. La seconda in realtà (dati qui non mostrati) ci dice che, quando teniamo conto delle altre variabili elencate precedentemente, le differenze dovute alla condizione occupazionale praticamente scompaiono. In altre parole, la peculiarità di studenti e liberi professionisti è tale in base ad altre caratteristiche (sesso, età, titolo di studio, interesse per la politica), e non in base ad aspetti specifici della loro condizione professionale.
Un referendum non così politicizzato: l’effetto del voto alle Europee 2019
Veniamo infine ad un dato che ha avuto molta importanza nel dibattito post-elettorale, ovvero la politicizzazione del voto. Il Sì si è orientato per linee partitiche? I dati ci dicono ancora una volta che sì, questo è vero, ma al tempo stesso l’effetto è più che altro relativo ai margini di prevalenza del Sì, non a una eventuale prevalenza del No in alcuni elettorati. Infatti gli unici due elettorati in cui avrebbe prevalso il No sono di partiti relativamente piccoli come La sinistra e +Europa; in tutti gli altri elettorati il Sì prevale con percentuali che non si allontanano così tanto dal 70% complessivo: i livelli più bassi sono infatti per PD e voti non validi alle Europee, ma sempre con il 59% per il Sì; gli elettori di FdI e Lega sono molto vicini (61%), così come quelli di Fi (65%). Quelli invece in cui c’è una prevalenza superiore alla media sono chi non aveva votato o non ricorda (78% e 92%) e ovviamente gli elettori M5S (89%). Tuttavia anche in questo caso non esiste una polarizzazione tra partiti massicciamente per il Sì e partiti massicciamente per il No. Infine, un aspetto interessante è che, diversamente dalla condizione occupazionale, gli effetti dell’orientamento politico (catturati dal voto alle Europee 2019) resistono nel modello multivariato: in altre parole questa caratteristica ha un ruolo esplicativo genuino, non dovuto all’effetto di altre variabili antecedenti.
Un voto non polarizzato
Se si può trarre una conclusione complessiva, questa è abbastanza semplice: non si è trattato di un voto polarizzato. Il risultato finale non è dovuto a categorie di elettori schierate massicciamente per il No e altre massicciamente per il sì, l’una contro l’altra armate; è invece sostanzialmente dovuto ad alcune categorie che si sono divise quasi a metà tra Sì e No, combinate con altre in cui c’è stata invece una nettissima prevalenza dei Sì. Questo vale in particolare per l’istruzione e per le appartenenze partitiche: dai dati non emergono laureati massicciamente per il No o elettori dei partiti “mainstream” massicciamente per il No, ma situazioni equilibrate. Di conseguenza la lezione che possiamo trarre è che questo risultato referendario non corrisponde a una divisione netta tra gruppi sociali (ben più enfatizzata sui media e nei social, rispetto ai dati), ma piuttosto – come spesso accaduto nella storia dei referendum – da un consenso trasversale all’opinione pubblica nel nostro paese.