Autore: Redazione CISE

  • Bulgaria: sostenere o non sostenere il governo in carica, questo è il dilemma

    Bulgaria: sostenere o non sostenere il governo in carica, questo è il dilemma

    di Sorina Soare

    Paese appartenente al blocco ex-comunista, la Bulgaria fa il suo ingresso nell’UE già nel 2007. Tuttavia, rispetto agli altri paesi del vecchio Patto di Varsavia, il suo processo di integrazione europea avviene con 3 anni di ritardo, in quanto considerata uno dei cosiddetti “scaldabanchi” del processo di democratizzazione dell’Europa post-comunista (Noutcheva e Bechev 2008), paesi con variegate debolezze a livello politico ed economico. Malgrado l’accelerazione delle riforme politiche ed economiche degli anni 2000, l’ingresso nell’UE è marcato dall’imposizione di clausole di salvaguardia, indicative della permanenza di debolezze strutturali (Bechev 2003). A distanza di 7 anni dall’ottenimento dello statuto di Stato membro, nelle terze elezioni europee organizzate in Bulgaria, 15 partiti, 6 coalizioni e 6 candidati indipendenti si sono iscritti alla competizione elettorale per i 17 seggi disponibili. Come in tutte le competizioni per il Parlamento europeo dal 2007 in poi e come anche alle elezioni anticipate del 2013 (Rashkova 2013), la sfida coinvolge principalmente due attori: da un lato, l’erede del partito comunista, il Partito socialista bulgaro (BSP) e dall’altro, il rappresentante del centro-destra, il partito dei Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria (GERB).

    Sorina Soare si è laureata in Scienze Politiche presso l’Università di Bucarest e ha conseguito un DEA e un dottorato in Scienze Politiche presso l’Université libre de Bruxelles. È ricercatrice presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Firenze, dove insegna Politica Comparata.

    Il risultato

    Come in tutti i paesi postcomunisti, lo spettro di un alto livello di astensione aleggiava sulle elezioni europarlamentari; l’adozione di un voto di preferenza aveva, infatti, come scopo un ravvicinamento maggiore degli elettori alla questione europea. Dall’inizio della campagna, l’esito del 2014 è stato predetto anche in riferimento alla capacità di mobilitazione del GERB, laddove il BSP sembrava essere favorito in caso di bassa partecipazione. Con un livello superiore alle stime iniziali, la partecipazione del 36,15% è tuttavia leggermente inferiore a quella del 2009 (-3,07%) e oltre 7 % rispetto alla media europea. La preferenza è stata espressa da circa il 25% degli elettori, non senza alcune confusioni come nel caso del BSP: parte dei suoi elettori hanno votato non soltanto la 15° lista corrispondente al partito, ma anche il candidato con la posizione n.15 nella lista, il giovane Momchil Nekov, il quale sembra aver scavalcato tutti i candidati precedenti, incluso il presidente del partito[1].

    In queste condizioni, il partito del centro-destra (GERB) si piazza al primo posto con oltre l’11% dei voti in più rispetto al principale partito di governo, il BSP. Al terzo posto si posiziona il consueto rappresentante della minoranza turca (DPS), la cui costanza elettorale è collegata essenzialmente al profilo etnico dei suoi elettori. Nella sorpresa generale, ad un partito di stampo populista – Bulgaria Senza Cesura (BBT) – creato un anno prima – riesce l’exploit di raccogliere oltre il 10% dei voti. L’ultimo mandato disponibile appartiene ad una coalizione di centro-destra creata anche essa in vicinanza delle elezioni – il Blocco Riformista (RB). In sintesi, i seggi dei 5 partiti rappresentati nel Parlamento europeo sono così divisi[2]: 6 eurodeputati GERB sul banco dei popolari europei (EPP), 4 BSP fra l’alleanza S&D, 4 (DPS) fra i liberali. I partiti e le coalizioni di recente creazione, RB (1 seggio) e la BBT (2) dovranno ancora definire le loro reti e alleanze.

     

    Tabella 1 – Risultati delle elezioni 2014 per il Parlamento Europeo – Bulgaria
    Partito

    Gruppo PE

    Voti (%)

    Seggi

    Voti (diff. sul 2009)

    Seggi (diff. sul 2009)

    Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria (GERB)

    EPP

    30,4

    6

    +6,0

    1

    Coalizione per Bulgaria (KB)

    S&D

    18,9

    4

    +0,4

    0

    Movimento per i diritti e le libertà (DSP)

    ALDE

    17,3

    4

    +3,1

    1

    Unione Nazionale Attacco (Ataka)

    NI

    3,0

    0

    -9,0

    -2

    Movimento nazionale per la stabilità e il progresso (NDSV)*

    ALDE

    0,9

    0

    -7,0

    -2

    Coalizione Blu (SK)

    EPP

    0,5

    0

    -7,5

    -1

    Blocco Riformista (RB)

    NI

    6,5

    1

    Coalizione di Bulgaria senza censura (BBT), Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone – Movimento nazionale bulgaro (VMRO-BND), Unione popolare agraria (ZNC)

    NI

    10,7

    2

    Alternativa per la rinascita bulgara (AVV)

    4,0

    0

    Altri

    7,9

    Totale

    100,0

    17

    * Nell’alleanza KOD (Coalizione dei democratici uniti)
    Affluenza al voto (%)

    36,2

    -2,8

    Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%) Soglia implicita – quota nazionale
    Note sul sistema elettorale Scrutinio proporzionale di lista, in una circoscrizione unica nazionale (Hare-Niemeyer); l’ordine dei candidati può essere modificato con l’attribuzione di 1 voto di preferenza.
    Abbreviazioni dei gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits.

     

    La campagna elettorale e i principali partiti

    Se guardiamo le tematiche della campagna elettorale, possiamo osservare che, oltre alla riproduzione sui cartelli elettorali degli slogan dalle varie famiglie politiche, il dibattito elettorale si è rapidamente impostato attorno alla performance del governo arcobaleno nato dalle elezioni anticipate del 2013: la Coalizione per la Bulgaria (KB) – coagulata attorno al BSP – e il partito della minoranza turca (DPS), con l’appoggio parlamentare del partito radicale nazionalista, Ataka. Subito dopo le elezioni, la coalizione deve affrontare le costanti manifestazioni di protesta che criticano non soltanto la sua agenda politica, ma anche l’incapacità di controllare la corruzione della politica e la diffusione della criminalità organizzata. In questo contesto, le elezioni europee sono apparse dall’inizio come un test per il governo. A tale proposito, il presidente dei socialisti dichiarava che se la coalizione di governo avesse preso meno voti rispetto all’opposizione, il governo si sarebbe dimesso e nuove elezioni sarebbero state organizzate entro la fine del 2014. La seconda posizione del BSP sembra aprire un nuovo periodo di instabilità, anche se secondo le ultime dichiarazioni del presidente del BSP non c’è alcuna intenzione di organizzare elezioni anticipate[3].

    Se nel 2007 e nel 2009 le dinamiche nazionali avevano plasmato i temi della competizione politica (Bechev 2013), anche nel 2014 il registro tematico è fortemente incentrato su argomenti domestici ricordando le osservazioni di Reif e Schmitt (1980) in riferimento ad elezioni nazionali di secondo ordine ovvero competizioni i cui risultati sono fortemente influenzati dalle dinamiche politiche nazionali, spesso percepite come un test per il governo e anche uno spazio privilegiato per nuovi e piccoli partiti, caratterizzate da un livello di partecipazione ridotto. Infatti, la chiave fondamentale di lettura della campagna elettorale, delle cause, ma anche delle conseguenze dell’esito delle elezioni del 25 maggio è la posizione dei vari partiti in riferimento alla polarizzazione di stampo economico che oppone il centro-destra (rappresentato in primis dal partito dell’ex-Primo ministro Bojko Borisov, il GERB) al centro sinistra (l’erede del Partito Comunista Bulgaro (BKP), l’attuale BSP). Per il PSB la competizione elettorale del 25 maggio 2014 rappresentava anche una sfida personale per il suo presidente – Sergey Stanishev – eletto nel 2012 alla carica di presidente del Partito Socialista Europeo (PSE). La partenza nella competizione elettorale è indebolita non soltanto dalla posizione centrale in un governo fortemente impopolare, ma anche dalla concorrenza subita dalla scissione nata attorno all’ex-Presidente socialista, Georgi Părvanov, l’Alternativa per la rinascita della Bulgaria (ABV). Le liste dell’ABV sono simbolicamente state affidate ad un ex-Ministro degli Affari Esteri della Bulgaria (2005 – 2009), nonché capo della delegazione socialista bulgara nel PE nel periodo 2009-2014, Ivaylo Kalfio. Quest’ultimo era stato un radicale critico dell’alleanza dei socialisti BSP con i nazionalisti radicali di Ataka per garantire la stabilità del governo nel 2013. Oltre a questa sfida interna, la posizione dei socialisti è debilitata dallo scandalo della compravendita di voti nella miniera Bobov Dol: voti in cambio di investimenti e di migliori condizioni di lavoro[4]. Pur avendo leggermente incrementato la percentuale dei voti e mantenuto stabile il numero dei rappresentanti, il secondo posto ad oltre il 10% di distanza dal vincitore è percepito come segno di una dura sconfitta. Il progetto dell’ABV fallisce nel tentativo di rappresentare un’alternativa al BSP e non riesce a superare la soglia elettorale implicita.

    Il vincitore indiscusso delle elezioni di domenica 25 maggio è, infatti, il GERB, già primo partito alle elezioni europee del 2007 e partito di governo dal 2009 al 2013. La sua legittimità è rafforzata anche dalle alte percentuali di consenso ottenute fra la diaspora. Forte dai suoi mandati, nella dichiarazione rilasciata dopo la pubblicazione dei primi risultati ufficiali, Borisov saluta la vittoria del GERB come quella di un partito eroico che ha duramente sconfitto non solo il principale competitor nazionale, il BSP, ma anche il suo omologo europeo, il PSE[5]. Oltre ai 6 mandati GERB, la delegazione bulgara nel gruppo dei popolari è completata dai mandati del Blocco riformista (RB). Benché inizialmente stimato all’8% dei voti, il Blocco riformista (RB) sembra essere stato penalizzato non soltanto dalla corsa testa a testa fra il BPS e il GERB, ma anche dalla scelta, come capolista, di Meglena Kuneva, donna politica con una carriera tortuosa[6]. In base ai risultati definitivi, il RB invierà nel nuovo Parlamento 1 solo rappresentante.

    Confermando la tendenza delle elezioni bulgare di promuovere partiti di recente creazione (Spirova e Rashkova 2012), oltre all’assemblaggio ibrido di nuovo e vecchio all’interno della RB, fra i nuovi volti delle elezioni europee si impone anche Bulgaria Senza Censura (BBT) – partito creato dal giornalista televisivo Nikolai Barekov la cui principale tribuna politica emerge dalle proteste contro le politiche del governo post-2013 con una retorica di stampo populista che mette assieme la critica dell’establishment e la lotta alla corruzione all’interno di “un capitalismo ed un’economia di mercato dal volto umano”[7]. Il BBT partecipa alle elezioni in alleanza con altri piccoli partiti. In queste condizioni il mercato elettorale dei partiti di stampo nazionalista risulta essere particolarmente competitivo e, vista la dispersione dei voti, il partito che ha una rappresentanza costante nel Parlamento europeo, Ataka, non ottiene alcun mandato, nonostante il coinvolgimento del suo leader – Volen Siderov come capolista ed un’incisiva campagna elettorale.

    La delegazione bulgara si completa con i rappresentanti della minoranza turca (DPS). Il successo del Movimento per i diritti e le libertà risiede anzitutto nelle caratteristiche del suo bacino elettorale, collegato alla minoranza etnico-religiosa turca.

    Alcune considerazioni conclusive

    In sintesi, in una campagna incentrata sulla sfida fra il BSP e il GERB e, in particolare, tra i loro leader, l’interesse degli elettori per la posta in gioco è relativamente basso. Malgrado l’introduzione della preferenza nel sistema elettorale allo scopo di avvicinare i cittadini al processo elettorale, la partecipazione elettorale rimane al di sotto della media europea e in leggero declino in rifermento alle elezioni del 2009. Il periodo oscuro della politica bulgara, l’instabilità e la polarizzazione (Rashkova 2013_b) aumentano anche lo spazio per imprenditori politici, con l’ultimo arrivato – Nikolai Barekov – che è stato in grado di assemblare un partito e, nel giro di qualche mese, inviarlo nell’arena di Strasburgo.

     

    Riferimenti bibliografici

    Bechev D. (2013) “The Travails of Europeanisation” in Baun M. & D. Marek (eds.), The New Member States and the European Union: Foreign Policy and Europeanization (Abingdon, New York: Routledge), 190-205.

    Noutcheva, G. & D. Bechev (2008) “The Successful Laggards: Bulgaria and Romania’s Accession to the EU” East European Politics and Societies 22 (1): 114 -138.

    Spirova, M. e Rashkova, E. (2012), “Party Regulation in Post-Communist Bulgaria”, Working Paper Series on the Legal Regulation of Political Parties, n. 21 (https://www.partylaw.leidenuniv.nl/uploads/wp2112.pdf)

    Rashkova, E. (2013_b) “In the midst of political crisis, Bulgarians are searching for accountability and justice from their government”, LSE EUROPP Blog (https://bit.ly/YzDDiB).

    Rashkova, E. R. (2013_a) “Governing Without an Opposition: The Aftermath of the Early Parliamentary Election in Bulgaria”, Political Reflections, CESRAN, UK, 4 (3): 14-16 (https://issuu.com/cesran/docs/pr_vol_4_no_3/16)

    Reif, K. & Schmitt, H. (1980) “Nine second-order national elections: A conceptual framework for the analysis of European election results”, European Journal of Political Research, 8 (1): 3–44

     

    Risorse internet

     

     

     


    [1] “25% of Bulgarian Voters Cast Preferential Ballot in the EU Elections”, Sofia News Agency, 27 Maggio 2014.

    [2] Central Election Commission: Final results of Bulgaria’s May 2014 European Parliament elections”, 28 Maggio 2014.

    [3] A. Bivol, “European elections 2014: Bulgarian socialists refuse to admit failure”, Sofia Globe, 26 Maggio 2014.

    [4] “Bulgaria’s Prosecution Launches Probe into Bobov Dol Vote Affair”, Sofia News Agency, 21 Maggio 2014.

    [5] “Bulgaria’s GERB to Request EPP Deputy Chair Seat – Boyko Borisov 26 Maggio 2014”.

    [6] Eletta nel 2001 al Parlamento di Sofia come esponente del Movimento Nazionale dell’ex-re Simeone II (NDSV) è incaricata con la gestione dei negoziati con l’UE, per ottenere successivamente la nomina di Ministro degli Affari Europei, posizione che mantiene anche nel governo post-2005, sotto la guida del socialista Sergey Stanishev, il quale la propone tuttavia come commissario europeo. Malgrado la sua posizione di capolista, la Kuneva sembra aver fallito in quanto, per il gioco delle preferenze, Svetoslav Malinov, il leader dei Democratici per una Bulgaria Forte, salirebbe al primo posto.

    [7] “A controversial newcomer could be kingmaker”, The Economist, 4 Marzo 2014.

  • Romania: un’anticamera delle presidenziali dell’autunno 2014?

    Romania: un’anticamera delle presidenziali dell’autunno 2014?

    di Sorina Soare

     

    Negli ultimi 25 anni, la Romania ha conosciuto un percorso di democratizzazione più lungo e tortuoso rispetto ad altri paesi della regione, con momenti di crisi e di ricaduta durante tutti gli anni ‘90 in un contesto di forte marasma economico, nazionalismo radicale e polarizzazione estrema (Bunce e Wolchick 2006; Soare 2011). Malgrado i successi collegati all’ingresso nella NATO nel 2004 e nell’UE nel 2007, la situazione politica rimane particolarmente instabile, con ricorrenti scontri istituzionali fra il Presidente, Primo ministro e il Parlamento (2007 e 2012) (Gherghina e Mişcoiu 2013) e, negli ultimi anni, una politica di austerità che ha alimentato tensioni sociali.

    Sorina Soare si è laureata in Scienze Politiche presso l’Università di Bucarest e ha conseguito un DEA e un dottorato in Scienze Politiche presso l’Université libre de Bruxelles. È ricercatrice presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Firenze, dove insegna Politica Comparata.

    I risultati[1]

    L’esito delle elezioni europee svoltesi in Romania conferma l’ondata ascendente del Partito social-democratico (PSD), visibile già nelle elezioni legislative del 2012. Con oltre il 37% dei voti, il PSD e i suoi due piccoli alleati ottengono la metà dei seggi disponibili per la delegazione rumena. Se il vincitore è indiscusso, altrettanto indiscussi sembrano essere i perdenti. Anzitutto, si registra l’uscita di scena dei partiti populisti: nelle precedenti elezioni europee il Partito della Grande Romania aveva avuto 3 seggi nella precedente legislatura. Dopo l’eclatante successo del Partito del Popolo-Dan Diaconescu (PP-DD) alle elezioni legislative del 2012 con il 14,65% dei voti al Senato ed il 13,99% alla Camera, le elezioni europee confermano il cono d’ombra del partito nato e tramontato assieme alla sua tribuna politica – la rete televisiva del suo fondatore (3,67%). Fra i perdenti, si ritrovano anche i due principali esponenti del centro-destra: il PD-L (12,23%) e il PNL (15%). Bisogna tuttavia osservare che dal punto di vista dei numeri, la delegazione liberale (PNL) a Bruxelles cresce (passa da 5 a 6), ma, nell’ottica della sfida diretta con il PSD in vista delle presidenziali della fine dell’anno 2014, un tale risultato è percepito come una sconfitta. Se il neonato Partito Movimento Popolare (PMP) riesce ad ottenere 2 mandati, anche in questo caso il successo è relativo in quanto, in base alle dichiarazioni pre-elettorali, si prevedeva un risultato a due cifre[2]. Infine, come nelle elezioni del 2007 quando il pastore László Tőkés viene eletto con 176.533 (3,44%) voti e nel 2009 la stessa figlia del Presidente Băsescu con 204.280 (4,22%), un altro candidato indipendente riesce ad ottenere dall’inizio della campagna l’attenzione dei media e, infine, anche un ampio appoggio elettorale. Mircea Diaconu, attore di teatro noto, nonché senatore e anche Ministro della Cultura per conto del PNL, si è ritrovato fuori dalle liste del suo partito in seguito a varie vicissitudini giudiziarie e ha deciso di candidarsi da solo. L’impresa della raccolta delle firme necessarie non garantiva affatto il successo senza il supporto economico e logistico del suo vecchio partito. In una campagna low cost, Diaconu ha ricevuto l’appoggio indiretto del Primo ministro e dei social-democratici, ma anche del gruppo Intact Media Group[3]. Privo di un vero programma, il suo discorso è stato incentrato sul contatto diretto con gli elettori e il ripristino del rapporto fra l’Europa e i rumeni, quest’ultimi “visti, ingiustamente, come cittadini di seconda mano”. Lo slogan della sua campagna è stato: “Dico la verità sul nostro Paese!”.

    Tabella 1 – Risultati delle elezioni 2014 per il Parlamento Europeo – Romania
    Partito

    Gruppo PE

    Voti (%)

    Seggi

    Voti (diff. sul 2009)

    Seggi (diff. sul 2009)

    Alleanza elettorale Partito Social-democratico + Unione Nazionale per il Progresso della Romania+ Partito conservatore (PSD+UNPR + PC) *

    S&D

    37,6

    16

    6,5

    5

    Partito Democratico Liberale (PD-L)

    EPP

    12,2

    5

    -17,5

    -5

    Partito Nazionale Liberale (PNL)**

    ALDE (EPP)

    15,0

    6

    0,5

    1

    Alleanza Democratica dei Magiari della Romania (UDMR)

    EPP

    6,3

    2

    -2,6

    -1

    Partito Grande Romania (PRM)

    NI

    2,7

    0

    -6,0

    -3

    Mircea Diaconu (cand. indip.)

    NI

    6,8

    1

    Partito del Popolo Dan Diaconescu (PP-DD)***

    NI

    3,7

    0

    Partito Movimento Popolare (PMP)****

    EPP

    6,2

    2

    Altri

    9,5

    Totale

    100,0

    32

    -1

    Affluenza al voto (%)

    32,4

    4,8

    Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%)

    5%

    Nota sul sistema elettorale: Scrutinio proporzionale a liste chiuse, in circonscrizione unica (d’Hondt). Per legge, il numero dei candidati presenti su ciascuna lista può essere di massimo 10 nomi in più rispetto al numero di mandati a disposizione della delegazione rumena nel PE. Soglia di sbarramento per i candidati indipendenti: un numero di voti validi almeno pari al quoziente elettorale nazionale (rapporto tra il totale dei voti espressi e il numero di mandati parlamentari europei disponibili)
    Abbreviazioni dei gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy;NI= Non-Inscrits.
    Note
    * l’UNPR non faceva parte dell’alleanza del 2009, è stato creato nel Marzo 2010
    ** Secondo le dichiarazioni della direzione PNL e del Presidente del PPE si sono aperte le procedure per l’ingresso nell’EPP.
    *** Fondato nel 2011
    **** Fondato nel 2014

     

    La campagna elettorale e i principali attori

    In un paesaggio politico in ebollizione, nel maggio 2014, per la terza volta, gli elettori rumeni sono chiamati a votare per il Parlamento europeo. In vista dello scrutinio, si sono registrati 15 partiti ed alleanze elettorali e 8 candidati indipendenti[4]. Se nei manifesti elettorali o nei programmi ufficiali l’Europa è stata un riferimento costante, nei dibattiti la dimensione interna è invece prevalsa. La competizione elettorale è stata marcata, fin dai primi giorni, dalla polarizzazione attorno alla personalità del Presidente in carica, T. Băsescu. Da un lato, si ritrovano i due partiti direttamente collegabili alla carriera politica dell’attuale Presidente della Romania: il Partito Democratico Liberale (PD-L), partito di cui questi era leader prima della sua elezione, e il neonato Partito del Movimento popolare (PMP). Dall’altra parte, ritroviamo il gruppo dei partiti vincitori delle elezioni legislative del 2012, fino a poco tempo fa colleghi di governo: il Partito Social Democratico (PSD), lo storico Partito Nazionale Liberale (PNL), il Partito Conservatore (PC) e l’Unione Nazionale per il Progresso della Romania (UNPR). In una posizione intermedia si ritrova il rappresentante della minoranza magiara della Romania (UDMR), instabile nelle sue alleanze fra i due poli.

    Nel contesto delle elezioni europee del 2014, il punto nevralgico di questa polarizzazione sui generis riguarda l’atteggiamento del Presidente T. Băsescu nei confronti del nuovo partito PMP, al quale aderiscono numerosi membri dimissionari del PD-L e il cui capolista è un ex-europarlamentare dello stesso PD-L. Sfruttando l’ampia diffusione di immagini del Presidente fotografato sulle spiagge del Mar Nero con addosso una maglietta elettorale del PMP, la campagna elettorale si trasforma in uno“scontro” arbitrato dalla Corte Costituzionale. Nella richiesta del Primo ministro (PSD) per la messa in stato di accusa del Presidente si menzionava il mancato rispetto della codificazione costituzionale del ruolo del Presidente come mediatore super partes e, in particolare, di quanto previsto dall’articolo 84 che specifica che durante il mandato il Presidente non può essere membro di partito e non può compiere nessun’altra funzione pubblica o privata[5]. Quattro giorni prima del giorno delle elezioni, la Corte costituzionale ha tuttavia ha comunicato che non ha accolto le accuse di parzialità politica formulate dal Primo Ministro.

    In parallelo, la campagna elettorale per le europarlamentari si prefigura dall’inizio come una prova in vista delle elezioni presidenziali previste a novembre 2014. In quest’ottica, un altro attore importante è il PNL. Uscito all’improvviso dalla coalizione di governo nel febbraio 2014, il PNL si discosta dal suo ex-partner, il PSD, e la sua campagna elettorale appare anzitutto come l’anticamera di una campagna di più ampio respiro per la candidatura del suo leader alle presidenziali, Crin Antonescu. Tuttavia il fallimento registrato alle elezioni, così come la mossa dello spostamento della delegazione dei liberali dal gruppo ALDE a quello dell’EPP sono interpretate come il preambolo di un avvicinamento al PD-L all’interno di un’unione per la maggioranza presidenziale sul modello francese.

    In questo paesaggio elettorale delineato da vari scontri fra persone, emerge anche l’opposizione fondatrice della vita politica postcomunista rumena: ex-comunisti vs anti-comunisti. Quest’ultimo filone è stato utilizzato spesso dal PMP e dal PD-L per distinguersi dal PSD. Significative sono le esortazioni di una delle più note rappresentanti della delegazione rumena al PE, Monica Macovei (PD-L). Per motivare un voto a favore del PD-L, l’eurodeputata critica il tradimento degli interessi dell’Est Europa da parte del social-democratico Martin Schultz – candidato alla Presidenza della Commissione europea – e, più in generale, da parte dei socialisti europei (PSE). Schulz è criticato non soltanto per i sui tentativi di diminuire le tensioni con la Federazione russa, ma anche per aver bloccato inchieste penali di traffico di influenza che pendevano su un eurodeputato, Ovidiu Silaghi (allora PNL, oggi PSD). In base ad un sillogismo abbastanza rudimentale ma simbolico per la retorica anticomunista, votare per le liste PSD equivale a votare contro gli interessi della Romania nella stabilità regionale e a favore di un Presidente della Commissione europea filo-russo[6].

    In una posizione relativamente distaccata da quanto detto sopra, ritroviamo il rappresentante della minoranza magiara, la cui costante elettorale è ricollegabile alle caratteristiche del voto etnico. Anche in questo caso, la portata del dibattito elettorale ha, tuttavia, una connotazione domestica. In apertura della campagna elettorale, il presidente UDMR dichiarava simbolicamente che il voto del 25 maggio avrebbe contribuito all’obiettivo di “portare il Südtirol e la Catalogna in Transilvania”[7] ovvero ad un sostegno implicito alle proposte dell’UDMR a favore di autonomia regionale. Aggiungeva, inoltre, “i nostri interessi non possono essere rappresentati che dai magiari (…). Se noi non ci arriviamo (n.a. – nel PE), il nostro posto sarà preso dai Parlamentari rumeni. Si tratta del nostro futuro!”[8]. Ritornano, in coerenza con queste prese di posizione, argomenti europei quali il multilinguismo o il decentramento, ma la portata del discorso è per lo più domestica.

    Nella competizione elettorale partecipano anche rappresentanti della famiglia nazional-populista: il Partito Grande Romania (PRM) e il Partito del Popolo – Dan Diaconescu (PP-DD). Piuttosto periferici nel dibattito pubblico, entrambi i partiti promuovono un discorso incentrato sull’unità e la dignità nazionale, la critica dell’establishment e la lotta alla corruzione. Simbolici sono gli slogan del PRM: Votate con i patrioti, non con i mafiosi! Oppure, I patrioti votano PRM!. oppure ancora quello del PP-DD: Il 25 maggio, vota con anima di rumeno!. I risultati elettorali piazzano entrambi i partiti al di sotto della soglia elettorale.

    Una visione conclusiva

    In sintesi, più che una campagna di idee, più che un confronto su visioni distinte dell’Europa, la campagna elettorale del 2014 si presenta come uno scontro fra persone in vista delle elezioni presidenziali del Novembre 2014. Simbolici sono da questo punto di vista i vari poster con i presidenziabili dei vari partiti, anche se non erano candidati alle elezioni europee. Ritroviamo allora una certa sensazione di déjà vu: elezioni europee poco partecipate ma fortemente influenzate dalle dinamiche politiche nazionali. Tenuto conto della portata per lo più “nazionale” dei dibattiti, i risultati elettorali possono essere interpretati come un voto di fiducia per l’attuale coalizione di governo e una penalizzazione dei due principali esponenti del centro-destra, il PD-L e il PNL. L’onda d’urto dei risultati, infatti, si è fatta sentire immediatamente: la direzione del PNL si è dimessa ed un congresso straordinario è previsto alla fine del mese di giugno. Privo dell’appoggio diretto del Presidente Băsescu, il PD-L dimezza i suoi mandati (5), anche se molto probabilmente il numero complessivo del gruppo rumeno nell’EPP sarà rafforzato anche dai 2 eletti del PMP e dalla manovra del PNL di abbandono di ALDE a favore dei popolari europei. Il successo del PSD, con i suoi due piccoli alleati, riguarda non soltanto il fatto che ottiene la metà dei mandati disponibili, ma anche il fatto che diventa così la più forte delegazione proveniente da un paese postcomunista.

    Ricordiamo che la partecipazione alle elezioni è stata in leggero aumento rispetto al 2009 (+ 4,77), ma rimane più bassa rispetto alla media Europea (oltre 10%). Stato Membro dell’UE da ormai 7 anni, la Romania sembra aver interiorizzato ab origine il mancato interesse per le elezioni europee sia a livello della società, sia a livello della classe politica.

     

    Riferimenti bibliografici

    Bunce V. & Wolchick S.L. (2006) “Favorable Conditions and Electoral Revolutions”, Journal of Democracy, 17(4): 5-18

    Soare, S. (2011), “Bulgaria e Romania, vent’anni dopo: il peso del passato, le sfide del presente”, in Pietro Grilli di Cortona e Orazio Lanza (eds.), Tra vecchio e nuovo regime. Il peso del passato nella costruzione della democrazia, Il Mulino, Bologna, 2011, pp. 203-233.

    Reif, K. & Schmitt, H. (1980) “Nine second-order national elections: A conceptual framework for the analysis of European election results”, European Journal of Political Research, 8 (1): 3–44

    Gherghina, S. & Miscoiu, S. (2013) “The Failure of Cohabitation: The Institutional Crises in Romania”, East European Politics and Societies, 27 (4): 668-684

    Roth F., F. Nowak-Lehmann D. & T. Otter (2013) “Crisis and Trust in National and European Union Institutions. Panel Evidence for the EU, 1999 to 2012”, RSCAS 2013/31 (Robert Schuman Centre for Advanced Studies, European Union Democracy Observatory), 2013, https://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/26975/RSCAS_2013_31.pdf?sequence=1

     

    Risorse internet

    • Risultati definitivi, Biroul Electoral Central (https://www.bec2014.ro/?page_id=2000).
    • “Ce vrea Macovei de la Schulz privind anchetarea lui Silaghi”, HotnewsRo, 22 Maggio 2014 (https://www.hotnews.ro/stiri-europarlamentare_2014-17326854-vrea-macovei-schulz-privind-anchetarea-lui-silaghi.htm?ref=newswire.ro)
    • “Comunicat 17 mai 2014”, www.presidency.ro/?_RID=det&tb=date&id=15029&_PRID=lazi
    • “Monica Macovei: Suntem sub amenintarea Federatiei Ruse; europarlamentarii polonezi si cei din tarile baltice vorbesc despre pregatiri pentru aparare in caz de razboi”, 12 Aprile 2014, Ziarul de Iaşi (https://www.ziaruldeiasi.ro/stiri/monica-macovei-suntem-sub-amenintarea-federatiei-ruse-europarlamentarii-polonezi-si-cei-din-tarile-baltice-vorbesc-despre-pregatiri-pentru-aparare-in-caz-de-razboi–46449.html)
    • “Proces verbal privind rimanerii definitive a candidaturilor la alegerile pentru membrii din Romania in Parlamentul european din anul 2014” (https://www.bec2014.ro/)
    • Bird M. e S. Candea “Romanian renegate bids for EP seat”, EuObserver, 19 Maggio 2014 ( https://euobserver.com/eu-elections/124174).
    • “PSD e la scor maxim. PMP nu e in situatia de a impune prezidentiabilul dreptei. Interviu cu Cristian Preda”, 27 Maggio 2014, www.ziare.com https://www.ziare.com/cristian-preda/europarlamentar/psd-e-la-scor-maxim-pmp-nu-e-in-situatia-de-a-impune-prezidentiabilul-dreptei-interviu-cu-cristian-preda-1301119.
    • “Sa aducem Catalonia in Ardeal”, Mediafax, 29 marzo 2014 (https://stirileprotv.ro/stiri/politic/udmr-si-a-lansat-candidatii-pentru-europarlamentare-kelemen-hunor-cere-ca-ardealul-sa-devina-noua-catalonie.html)

     


    [1] Disponibili sul sito della Commissione elettorale (Biroul electoral central)

    [2] “PSD e la scor maxim. PMP nu e in situatia de a impune prezidentiabilul dreptei. Interviu cu Cristian Preda”, 27 Maggio 2014, www.ziare.com

    [3] Per una visione più dettagliata si veda l’articolo di M. Bird e S. Candea “Romanian renegate bids for EP seat”, EuObserver, 19 Maggio 2014.

    [4] “Proces verbal privind rimanerii definitive a candidaturilor la alegerile pentru membrii din Romania in Parlamentul european din anul 2014”.

    [5] Oltre alle fotografie sopracitate è stata indicata anche la dichiarazione del Presidente Băsescu invitato ai dibatti organizzati dalla Fondazione Movimento popolare: “Sappiate che ho una soluzione molto semplice. Votate PMP, perché questo partito nuovo si è proposto di raccogliere il 30% dei voti alle elezioni legislative del 2016. Di sicuro, questo partito è stato nato prima del termine. Come ho già detto, i miei piani e quelli del Prof. Preda erano di creare un partito dopo la fine del mio mandato”. Il testo dell’intervento è disponibile sul sito della presidenza rumena: “Comunicat 17 mai 2014”, www.presidency.ro/?_RID=det&tb=date&id=15029&_PRID=lazi

    [6] “Monica Macovei: Suntem sub amenintarea Federatiei Ruse; europarlamentarii polonezi si cei din tarile baltice vorbesc despre pregatiri pentru aparare in caz de razboi”, 12 Aprile 2014, Ziarul de Iaşi o “Ce vrea Macovei de la Schulz privind anchetarea lui Silaghi”, HotnewsRo, 22 Maggio 2014.

    [7] UDMR si-a lansat candidatii pentru europarlamentare. Kelemen Hunor: “Sa aducem Catalonia in Ardeal”, Mediafax, 29 marzo 2014.

    [8] Ibid.

  • Portogallo: apatia e crisi dei partiti moderati

    Portogallo: apatia e crisi dei partiti moderati

    di Marco Lisi

    Il Portogallo sta attraversando una profonda crisi economica e sociale che finora non è stata accompagnata da rilevanti cambiamenti del sistema politico come avvenuto in Grecia o in Italia. Il default dello stato portoghese ha obbligato i tre principali partiti – il Partito Socialista (PS), il Partito Social-Democratico (PSD) e il Centro Democratico e Sociale-Partito Popolare (CDS-PP) – a sottoscrivere, nell’aprile 2011, un piano triennale di aiuti con tre creditori internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e Banca Centrale Europea, la cosiddetta “troika”). L’accordo (“memorandum”) prevedeva un prestito di 78 miliardi di euro in cambio di severi tagli alle spese e di un programma di riforme “strutturali” di chiara impostazione neo-liberale (Moury e Freire 2013). Il programma di “assistenza finanziaria” è terminato proprio all’indomani dell’inizio della campagna elettorale (4 maggio) ed ha inevitabilmente influenzato non solo le proposte dei partiti, ma anche i temi della competizione e del dibattito politico. Le elezioni europee sono state quindi l’occasione per valutare le politiche di austerità implementate dal governo di centrodestra (PSD e CDS-PP) guidato da Pedro Passos Coelho (in carica dal giugno 2011).

    La campagna elettorale

    La campagna elettorale è iniziata con il dibattito riguardo alle prospettive “post-troika”, ossia se il Portogallo avrebbe scelto un’“uscita pulita” (come l’Irlanda) o se ci sarebbe stato bisogno di una garanzia supplementare. Mentre il governo annunciava la decisione di fare a meno della “linea di credito precauzionale” messa a disposizione dalle istituzioni europee, la disputa elettorale si spostava sulle responsabilità dei due principali partiti nell’aver causato l’intervento esterno ed il pesante piano di aiuti ad esso associato (su questo punto si veda Magalhães 2014). Il PS ha cercato di fare delle elezioni europee un referendum contro il governo, attribuendo alla coalizione di centrodestra la responsabilità per il peggioramento della situazione economica e sociale. D’altra parte, il governo di Passos Coelho ha approfittato la fine del memorandum per ricordare agli elettori l’eccessivo lassismo del governo socialista anteriore, il quale sarebbe stato l’unico vero responsabile per aver condotto il paese a contrarre il prestito internazionale. I toni della campagna si sono progressivamente deteriorati con accuse reciproche e soprattutto con una personalizzazione in torno alla figura dell’ex-premier socialista José Sócrates (in carica dal 2005 al 2011), considerato dai partiti di destra l’unico vero responsabile per la situazione economica e finanziaria del paese.

    Gli unici partiti a discutere temi europei sono stati i due partiti della sinistra radicale, il Partito Comunista Portoghese (Partido Comunista Português, PCP) e il Blocco di Sinistra (Bloco de Esquerda, BE). Il primo è uno dei partiti comunisti più ortodossi dell’Unione Europea (March 2011) ed ha da sempre presentato una posizione euroscettica, fortemente critica riguardo al processo di integrazione europea, sia a livello politico che economico (Lobo e Magalhães 2011). Nella campagna per le elezioni europee, questa critica ha assunto chiaramente delle connotazioni nazionaliste e patriottiche in seguito all’intervento esterno della troika. Inoltre, il messaggio del PCP si è centrato sulla “troika domestica”, ossia i tre partiti (PS, PSD e CDS-PP) che si sono alternati al governo durante i quaranta anni di regime democratico. Il BE, d’altra parte, ha presentato un discorso leggermente entusiasta nei confronti dell’integrazione politica all’interno dell’UE, anche se fortemente critico rispetto alle dimensioni economiche e sociali (Fernandes e Pereira 2014).

    Marco Lisi è professore di scienza politica presso il Dipartimento di Studi Politici dell’Università Nuova di Lisbona. Si occupa principalmente di partiti politici, comportamento politico, campagne elettorali e opinione pubblica.

    Mentre i partiti di governo si sono presentati alle urne con una lista unica denominata Aliança Portugal (Alleanza Portogallo), a sinistra vi è stata una notevole frammentazione. Dal BE sono emerse due nuove forze politiche, il MAS (Movimento Alternativa Socialista) e il LIVRE, guidato dall’ex eurodeputato del Blocco Rui Tavares. Mentre il primo è un partito euroscettico ed estremista, il secondo si caratterizza per una posizione ambigua nei confronti dell’integrazione europea ed una maggiore disponibilità a un dialogo con i socialisti.Gli unici partiti a discutere temi europei sono stati i due partiti della sinistra radicale, il Partito Comunista Portoghese (Partido Comunista Português, PCP) e il Blocco di Sinistra (Bloco de Esquerda, BE). Il primo è uno dei partiti comunisti più ortodossi dell’Unione Europea (March 2011) ed ha da sempre presentato una posizione euroscettica, fortemente critica riguardo al processo di integrazione europea, sia a livello politico che economico (Lobo e Magalhães 2011). Nella campagna per le elezioni europee, questa critica ha assunto chiaramente delle connotazioni nazionaliste e patriottiche in seguito all’intervento esterno della troika. Inoltre, il messaggio del PCP si è centrato sulla “troika domestica”, ossia i tre partiti (PS, PSD e CDS-PP) che si sono alternati al governo durante i quaranta anni di regime democratico. Il BE, d’altra parte, ha presentato un discorso leggermente entusiasta nei confronti dell’integrazione politica all’interno dell’UE, anche se fortemente critico rispetto alle dimensioni economiche e sociali (Fernandes e Pereira 2014).

    I risultati: una vittoria amara o una dolce sconfitta?

    Secondo il nuovo trattato, il Portogallo ha diritto di eleggere 21 rappresentanti nel Parlamento europeo, uno in meno rispetto alle elezioni anteriori. Il sistema elettorale utilizzato per le europee è un proporzionale basato su un’unica circoscrizione nazionale a lista chiusa.

    Il primo dato importante da evidenziare è l’aumento dell’astensione che in queste elezioni ha raggiunto un record storico pari al 66.1%, quasi tre punti percentuali rispetto al valore del 2009 (63.2%). Il tasso di partecipazione per le europee non ha mai smesso di diminuire nel corso degli anni (era 72.4% nel 1987), ma in queste elezioni il numero di astensionisti è stato sostanzialmente più elevato rispetto a quello registrato nelle elezioni legislative o presidenziali.

    Il secondo aspetto interessante è la fragile vittoria del principale partito di opposizione. Rispetto alle aspettative della leadership socialista, il 31.5% ottenuto dal PS è un risultato dal sapore amaro, soprattutto considerando la presenza di condizioni ideali per affermarsi definitivamente come alternativa di governo. Il fatto di trovarsi di fronte il governo forse più impopolare della democrazia portoghese, un premier poco carismatico, livelli di disoccupazione ancora altissimi (al di sopra del 15%) e una prospettiva di crescita ancora lontana erano tutti fattori che avrebbero dovuto giocare a favore del PS.

    In effetti la “tempesta perfetta” per il governo di centrodestra c’è stata, e lo dimostra il risultato ottenuto dalla coalizione: 27.7% dei voti e l’elezione di appena 7 deputati (meno 3 rispetto alle elezioni del 2009), un risultato che si colloca al di sotto delle peggiori previsioni formulate all’inizio della campagna elettorale. I due partiti di destra hanno perso consensi un po’ dovunque, anche se le maggiori perdite si sono registrate nel centro-nord, ovvero la zona tradizionalmente più favorevole al centrodestra.

     

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni 2014 per il Parlamento Europeo – Portogallo
    Partito

    Gruppo PE

    Voti (%)

    Seggi

     

    Voti (diff. sul 2009)

    Seggi (diff. sul 2009)

    Partito Socialista (PS)

    S&D

    31.1

    8

    +5.0

    +1

    Alleanza Portogallo (AP)

    EPP

    27.7

    7

    -12.4

    -3

    Coalizione Democratica Unitaria (CDU)

    GUE-NGL

    12.7

    3

    +2.1

    +1

    Partiito della Terra (MPT)

    NI

    7.1

    2

    +6.4

    +2

    Blocco di Sinistra (BE)

    GUE-NGL

    4.6

    1

    -6.1

    -2

    Altri

    9.3

    0

    Voti in bianco

    4.4

    Invalidi

    3.1

    Totale

    100

    21

    Affluenza al voto (%)

    33,9

    -2,9

    Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%)

    nessuna

    La differenza dei voti e dei seggi ottenuti dall’Alleanza Portogallo (AP) è stata calcolata considerando la somma dei voti e dei seggi ottenuti dai due partiti (PSD e CDS-PP) nelle elezioni del 2009. 

    Abbreviazioni dei gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European People’s Party; S&D=ProgressiveAllianceof Socialists and Democrats; ALDE=Allianceof Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europeof Freedom and Democracy;NI=Non-Inscrits.

    Nonostante la débâcle del governo, il PS non è riuscito a trarre benefici dall’insoddisfazione degli elettori nei confronti delle politiche di austerità. Chi è stato allora il vincitore di queste elezioni? I risultati suggeriscono due candidati. Il primo è il PCP che ha aumentato il numero di euro-deputati eletti (da 2 a3) ed ha inoltre incrementato il numero di voti rispetto alle elezioni del 2009, sia in percentuale che in valore assoluto[1].

    Il secondo vincitore delle elezioni è il Partito della Terra (MPT) che costituisce la vera sorpresa di queste votazioni. Il MPT è una formazione ecologista che ha sempre riportato risultati marginali sia alle elezioni europee che alle legislative, sempre al di sotto dell’1%. In queste elezioni il MPT ha ottenuto il 7.1% dei consensi ed ha eletto due deputati al PE. Il merito di questo successo si deve, in primo luogo, al capolista Marinho Pinto, un ex-giornalista e avvocato ben noto all’opinione pubblica. In secondo luogo, il risultato si deve al messaggio “anti-establishment” del partito: non solo si è battuto per la “rigenerazione” della classe politica, ma anche contro la tecnocrazia di Bruxelles, la sua eccessiva burocrazia e la mancanza di legittimità della classe politica. Un discorso quindi vagamente “populista”, anche se privo della componente partecipativa e diretta tipica di queste forze politiche. Nonostante ciò, il discorso del MPT non è euroscettico come quello del PCP (o anche del BE) e si mantiene volutamente ambiguo. La geografia del voto suggerisce una distribuzione abbastanza omogenea, che riflette il flusso di voti proveniente essenzialmente dal bacino elettorale dei due principali partiti. Il MPT ottiene una votazione più alta rispetto alla media in alcune circoscrizioni del nord del paese e del litorale (Porto, Aveiro, Viana do Castelo, Coimbra), mentre nel centro-sud in generale il numero di voti è più basso rispetto alla media nazionale.

    Per chiudere l’analisi dei risultati, è necessario evidenziare la sconfitta del BE (fermo al 4.6%) e il deludente risultato del LIVRE (2.2%). Il voto di protesta nei confronti delle politiche di austerità è confluito nei voti invalidi o in bianco, che hanno raggiunto un valore per niente trascurabile (3.1% e 4.4%, rispettivamente).

    Conclusioni

    I risultati per le europee avranno senz’altro un peso decisivo per le prossime elezioni legislative previste nel corso del prossimo anno. Tra i socialisti delusi c’è già chi ha colto l’occasione di questa amara vittoria per contestare il leader del partito ed aprire di nuovo la competizione per la leadership. Si profila infatti uno scontro al vertice tra l’attuale leader, António José Seguro, e il sindaco di Lisbona, António Costa, ritenuto più efficace e più popolare rispetto al primo. Il risultato della coalizione di centrodestra, seppur negativo, sembra lasciare qualche speranza per le prossime elezioni politiche, soprattutto se si tiene in considerazione che le previsioni per l’economia sono sostanzialmente buone. In ogni caso rimane l’incognita se i due partiti presenteranno liste separate oppure decideranno di mantenere l’alleanza pre-elettorale formata in occasione delle europee. Si prevedono inoltre cambiamenti per l’estrema sinistra, soprattutto per il BE e il LIVRE, alla ricerca di una strategia di alleanze che possa consolidare i loro consensi e competere più efficacemente nei confronti del PCP.

    L’aspetto di fondo che queste elezioni europee mettono in evidenza è l’affanno dei principali partiti moderati a mantenere il proprio elettorato di riferimento, mentre cresce a dismisura l’appello contro la classe politica esistente. La grande sfiducia nei confronti dei partiti, la mancanza di programmi veramente alternativi e la distanza che separa gli elettori dai partiti sono alcuni dei problemi che le forze politiche tradizionali dovranno risolvere per evitare un futuro terremoto politico. Il sistema semipresidenziale, l’enorme impatto dei leader sulle scelte elettorali e la forte personalizzazione dei mass media sono elementi che possono contribuire a causare sorprese all’egemonia dei principali partiti di governo. Gli elettori portoghesi hanno già manifestato la loro disponibilità per nuove soluzioni e nuove alternative. Bisogna vedere se i partiti tradizionali impareranno la lezione o se invece continueranno a far finta di niente ed ignorare i segnali di cambiamento provenienti dalla società.

    Riferimenti bibliografici

    Fernandes, J. M. e Pereira, J. S. (2014), Os programas eleitorais das europeias de 2014: uma análise preliminar das principais dimensões de competição, “Relações Internacionais”, vol. 41, pp. 81-95.

    Lobo, M. C. e Magalhães P. C. (2011), Room for Manoeuvre: Euroscepticism in the Portuguese Parties and Electorate in  “South European Society and Politics”, vol. 16(1), pp. 81-104.

    Magalhães, P. C. (2014), The Elections of the Great Recession in Portugal: Performance Voting under a Blurred Responsibility for the Economy, in “Journal of Elections, Public Opinion and Parties” vol. 24 (2), pp. 180-202.

    March, L. (2011), Radical Left Parties in Europe, London, Routledge.

    Moury, C. e Freire, A. (2013), Austerity Policies and Politics: the case of Portugal, in “Pôle Sud – Revue de Science Politique”, vol. 39 (2), pp. 35-56.

     


    [1] Dal 1987 il PCP si è presentato alle elezioni attraverso l’alleanza formale con i Verdi denominata CDU (Coalizione Democratica Unitaria).

  • Spagna: l’inizio della fine del bipartitismo?

    di Enrique Hernández e Marta Fraile

    Una volta di più e come d’abitudine oramai in Spagna (si veda ad esempio Font e Torcal, 2012) i principali messaggi e discorsi della campagna elettorale per le europee sono stati fatti seguendo un’ottica nazionale e non europea. Le elezioni sono cadute in un momento in cui il partito al governo (il Partito Popolare, PP, di ideologia conservatrice) si trova oltre la metà del mandato e dopo una serie di decisioni politiche conflittuali e in un clima di stanchezza e disillusione verso i partiti politici tradizionali senza precedenti in Spagna[1].

    La campagna

    Il tema più rilevante della campagna elettorale (di nuovo in chiave nazionale e non europea) è stato la fine del bipartitismo. Il livello di disaffezione e stanchezza dei cittadini verso i partiti tradizionali ha raggiunto livelli record in Spagna. Specialmente dopo un lungo periodo di proteste e di mobilitazione dei cittadini che a partire dalla comparsa nel 2011 del movimento del 15M (gli Indignados) non ha smesso di favorire iniziative di protesta per tutta la durata della legislatura del PP. Le elezioni europee sono il contesto ideale per i piccoli partiti per raggiungere una maggiore rappresentanza in quanto la circoscrizione unica nazionale favorisce una maggiore proporzionalità nella ripartizione dei seggi e fa sì che non si sprechino i voti. Nonostante che la critica del bipartitismo sia stata uno dei messaggi più incisivi della maggioranza dei partiti in competizione nell’arena elettorale, né il partito al governo, ossia il PP né il principale partito di opposizione, il Partito Socialista dei Lavoratori Spagnolo (PSOE, socialdemocratico), hanno voluto tenerne conto. Prova di ciò è il fatto che il dibattito televisivo si è realizzato solamente fra i capolista del PP e del PSOE. Un dibattito, tra l’altro, ancora una volta incentrato sulla discussione di chi è responsabile (se il precedente governo del PSOE o l’attuale governo del PP) della crisi economica in Spagna e delle sue conseguenze, ma senza una discussione rilevante circa la possibilità di un progetto credibile per il futuro della Spagna in Europa. Un altro argomento discusso abbastanza durante tutta la campagna elettorale è stato quello relativo all’indipendenza della Catalogna e alle possibili conseguenze derivanti dall’inclusione di un’ipotetica Catalogna indipendente nell’Unione Europea.

    Enrique Hernández è un dottorando presso il dipartimento SPS all’EUI. Il suo progetto di ricerca riguarda gli orientamenti cognitivi verso la democrazia e il loro rapporto con il sostegno politico. Enrique ha conseguito una laurea magistrale all’Università Pompeu Fabra di Barcellona e una laurea magistrale presso l’Università di Costanza. I suoi interessi di ricerca includono lo studio degli atteggiamenti politici, della sofisticazione politica, del comportamento elettorale e dei sistemi di partito.
    Marta Fraile è Permanent Research Fellow presso il CSIC spagnolo (IPP) e Senior Research Fellow presso l’EUI (EUDO, RSCAS). Ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienze Politiche e Sociali presso l’Istituto universitario europeo (EUI). In precedenza ha insegnato presso i dipartimenti di Scienze Politiche dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona (2000-2004), dell’Università Autonoma di Madrid (2004-2008) e dell’Istituto Juan March per gli Studi Avanzati nelle Scienze Sociali (2002-2008). I suoi interessi comprendono lo studio dell’opinione pubblica, degli effetti dei media e della partecipazione politica in Europa.

    I risultati

    Le previsioni circa l’affluenza alle urne alle europee del 2014 avevano diffuso il timore che sarebbero diventate le elezioni europee con meno partecipazione nella storia, dato il livello di disaffezione così alto tra i cittadini spagnoli. Da ciò deriva il fatto che tutti i partiti hanno fatto appello alla mobilitazione per portare le persone alle urne durante la campagna elettorale. Alla fine, l’affluenza alle urne è rimasta a livelli simili alle precedenti elezioni. In particolare, la partecipazione alle europee in Spagna è diminuita durante il periodo 1986-2002, e da allora si è stabilizzata intorno al 45% (Figura 1). Anche se il livello di partecipazione è rimasto stabile rispetto alle ultime tre elezioni europee, tuttavia continua ad essere notevolmente inferiore rispetto alle elezioni politiche. Rispetto al 69% dei cittadini che hanno votato nelle elezioni politiche generali del 2011, solo il 46% ha votato alle europee. Questo dato suggerisce che, nonostante i messaggi lanciati durante la campagna elettorale circa l’importanza del Parlamento europeo e la necessità di partecipare al voto, gli spagnoli considerano ancora queste elezioni come “elezioni di secondo ordine” (Reif e Schmitt 1980).

     

    Fig. 1 – Affluenza (in %) alle elezioni europee e politiche in Spagna (1986-2014)

    Fonte: Elaborazione propria a partire dai dati del Ministero dell’Interno

     

    Per ciò che concerne i risultati, la Figura 2 mostra la perdita di consenso subita dai due principali partiti: il PP e il PSOE. In termini assoluti, entrambi hanno perso circa 2,5 milioni di voti, il che significa un calo di un 15% del totale dei voti. Questo è stato il peggior risultato ottenuto dal PSOE in delle elezioni europee dal 1986. Tutto ciò, insieme al fatto che i socialisti avevano trasformato le elezioni europee in un referendum sul governo e sul loro operato come partito principale dell’opposizione, ha comportato l’annuncio delle dimissioni del direttivo socialista il giorno dopo le elezioni. Invece, il PP ha interpretato positivamente il risultato, dal momento che i suoi dirigenti sostengono che il PP ha vinto il maggior numero di voti e seggi, essendo uno dei pochi partiti europei (insieme con la CDU in Germania e il PD in Italia) che pur guidando il governo del proprio paese ha vinto le elezioni.

     

    Fig. 2 – Il voto ai principali partiti (in %) alle elezioni europee in Spagna nel corso del tempo (1986-2014)

    Fonte: Elaborazione propria a partire dai dati del Ministero dell’Interno

     

    In totale, le opzioni politiche di sinistra hanno ottenuto una percentuale maggiore di consenso. Se sommiamo i voti di PSOE, Izquierda Unida/Iniziativa per la Catalogna (IU/ICV), Podemos, Los Pueblos Deciden (LPD) e Primavera, si nota che fino al 50% dei voti è andato a liste di sinistra. Da segnalare anche il risultato di L’Esquerra pel Dret a Decidir (EPDD), che con il 4% del voto totale rappresenta la vittoria di ERC su Convergenza i Unio (CiU) in Catalogna.

    Se gli sconfitti di queste elezioni sono stati i due grandi partiti tradizionali, i vincitori sono stati i partiti minori (alcuni tradizionali, ma altri di recente formazione). Da un lato, l’opzione tradizionale a sinistra del PSOE: IU/ICV, che ha triplicato la sua percentuale di voti. Dall’altro, partiti relativamente giovani come UPyD hanno raddoppiato i loro consensi. Mentre partiti nati recentemente come Ciudadanos (C’s), o Podemos hanno ottenuto un consenso tra i cittadini di oltre il 3%. La sorpresa più inaspettata è stato il caso di Podemos (quasi l’8% dei voti), un nuovo partito nato da poco (da soli quattro mesi) e che ha fatto una campagna elettorale basata su un semplice discorso di critica al sistema politico e ai suoi principali partiti e istituzioni, stigmatizzando la corruzione, la mancanza di democrazia interna, la mancanza di legami con l’uomo della strada. In breve, uno slogan che si potrebbe definire come il distacco dalla vecchia maniera di fare politica e l’illusione di proporre un altro modo di fare politica che si riconnette con la società. Podemos aspirava ad essere la scelta elettorale non solo di coloro che volevano punire i partiti della sinistra tradizionale come il PSOE o IU, ma anche di coloro che si erano astenuti per anni e che ora, come risultato del processo di politicizzazione sperimentato negli anni recenti di aumento della protesta in Spagna, hanno voluto ritornare alle urne.

    Un’altra peculiarità del caso spagnolo è che, nonostante l’aumento del consenso per i partiti fino ad ora minoritari, nessuno di loro si presenta come apertamente anti-europeo, come succede in altri paesi europei come il Regno Unito (UKIP), la Francia (FN) o la Germania (AfD).

     

    Tabella 1 – Risultati delle elezioni 2014 per il Parlamento Europeo – Spagna
    Partito

    Gruppo PE

    Voti (%)

    Seggi

    Voti (diff. sul 2009)

    Seggi (diff. sul 2009)

    Partito Popolare (PP)

    EPP

    26.1

    16

    -16.1

    -8

    Partito Socialista (PSOE)

    S&D

    23.0

    14

    -15.8

    -9

    Sinistra Unita (IU/ICV)

    GUE-NGL & G-EFA

    10.0

    6

    +6.3

    +4

    Possiamo (PODEMOS)

    GUE-NGL

    8.0

    5

    +8.0

    +5

    Unione per il Progresso e la Democrazia (UPyD)

    ALDE

    6.5

    4

    +3.7

    +3

    Coalizione per l’Europa (CEU)

    ALDE

    5.4

    3

    +0.3

    +0

    Sinistra per il Diritto di Decidere (EPDD)

    G-EFA

    4.0

    2

    +1.5

    +1

    Cittadini (C’s)

    NI

    3.2

    2

    +3.2

    +2

    Il Popolo Decide (LPD)

    G-EFA

    2.1

    1

    +1.0

    +1

    Primavera Europea

    G-EFA

    1.9

    1

    +1.9

    +1

    Totale

    90.1

    54

    35

    Affluenza al voto (%)

    45.8

    Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%)

    nessuna

    Nota: PODEMOS, C’s e Primavera Europea non correvano alle precedenti europee. LPD non aveva ottenuto seggi alle precedenti europee.
    Abbreviazioni dei gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits.

    Conclusioni

    In definitiva, l’insieme dei partiti minori non tradizionali (Podemos, Ciudadanos, UPyD, Primavera) hanno conseguito fino al 20% dei voti (vedi Figura 3), mentre i partiti minori tradizionali (IU/CV, CEU, EPDD) hanno ricevuto circa la stessa percentuale di voti. Tutto ciò, unito al fatto che per la prima volta nella storia della democrazia spagnola i due maggiori partiti hanno ricevuto meno del 50% dei voti, ha indotto alcuni commentatori politici e leader di formazioni minoritarie ad annunciare la fine del bipartitismo. Non possiamo sapere cosa accadrà alle prossime elezioni. Tuttavia, conviene ricordare che le elezioni europee sono peculiari per due motivi. Il primo è il carattere “secondario” o di minor importanza delle elezioni europee. Fattore che può aumentare la probabilità che i cittadini votino per nuove formazioni politiche con a priori meno probabilità di ottenere seggi come Primavera, Ciudadanos o Podemos. Il secondo motivo è che la circoscrizione unica alle europee favorisce una maggiore proporzionalità nel riparto dei seggi. Questo potrebbe indurre alcuni elettori che non vivono nelle province densamente popolate di optare per questi partiti nelle elezioni europee, e al contrario a votare in maniera strategica per i partiti di dimensioni maggiori e con più probabilità di ottenere seggi nelle elezioni nazionali.

    È presto per pronosticare il crollo del bipartitismo in Spagna. Tuttavia, la capacità dei nuovi partiti di avvicinare la politica alla società rappresenta una sfida importante e i partiti tradizionali cominciano a prenderne atto. Non sorprendentemente i candidati del PSOE hanno già espresso il loro desiderio di promuovere il rinnovamento totale del partito attraverso un processo trasparente di primarie aperte a tutti i cittadini interessati a partecipare. In questo senso i risultati delle europee hanno rivelato il malcontento dei cittadini per quanto riguarda la crisi economica, la recessione, la disoccupazione, gli sfratti e soprattutto per ciò che concerne il modo tradizionale di fare politica. E, ciò che è più importante, hanno aperto una nuova fase nella politica spagnola.

    Figura 3 – Evoluzione del sostegno ai partiti maggiori e minori alle elezioni europee in Spagna (1986-2014)

    Fonte: Elaborazione propria a partire dai dati del Ministero dell’Interno

     

     

    Riferimenti bibliografici

     

    Font, J. e Torcal, M. (a cura di) (2012), Las Elecciones Europeas de 2009, Madrid, CIS.

     

    Reif, K. e Schmitt, H. (1980), Nine Second-Order National Elections – a Conceptual Framework for the Analysis of European Election Results, in “European Journal of Political Research”, vol. 8(1), pp. 3–44.

     

     


    [1] Secondo i dati dell’ultimo European Social Survey in una scala da 0 a 10 dove 0 significa la mancanza di fiducia assoluta, il livello medio di fiducia verso i partiti politici in Spagna è solo di 1,87.

  • Belgio: Elezioni di terz’ordine

    Belgio: Elezioni di terz’ordine

    di Tom Verthé

    Finora le elezioni europee in Belgio si sono sempre tenute contemporaneamente a quelle regionali. Questa calendarizzazione ha contribuito a determinare una percezione delle elezioni europee come elezioni di secondo ordine (Reif & Schmitt, 1980; Van Aelst & Lefevere, 2012). A partire alla divisione del sistema dei partiti negli anni ’70 le elezioni regionali in Belgio sono da considerarsi chiaramente elezioni first-order poiché non c’è praticamente alcuna differenza rispetto alle elezioni federali rispetto per quanto riguarda numero di elettori e offerta elettorale (Russo & Deschouwer, 2014).

    In effetti si può affermare che a livello istituzionale e organizzativo le elezioni federali (e anche quelle europee) in Belgio sono praticamente elezioni regionali (per una descrizione più dettagliata del sistema elettorale utilizzato per le elezioni europee si veda la Tabella 1) .

     

    La campagna

    L’elemento di novità della tornata elettorale 2014 consiste nel fatto che il 25 maggio si sono tenute contemporaneamente tre consultazioni elettorali invece che due. Infatti conseguentemente alla sesta riforma dell’ordine statale varata dall’uscente governo Di Rupo le elezioni regionali, federali ed europee saranno d’ora in poi sempre calendarizzate lo stesso giorno. Per andare di pari passo al ciclo elettorale europeo la durata del mandato di governo federale è stata prolungata da quattro a cinque anni. Nel caso in cui un governo cada prima della scadenza naturale del suo mandato è possibile indire nuove elezioni, ma il nuovo governo può rimanere in carica solo fino alle seguenti elezioni europee.

    Tom Verthé sta completando il dottorato di ricerca presso la Vrije Universiteit Brussel.  Attualmente è ricercatore e research manager nell’ambito del progetto PartiRep. Il suo lavoro riguarda principalmente il comportamento strategico di partiti ed elettori, ed in particolare la formazione di alleanze pre-elettorali e il voto strategico. 

    Il 25 maggio 2014 gli elettori belgi hanno quindi votato non solo per le elezioni europee e regionali, ma anche per le elezioni federali. Questo è da considerarsi un elemento rilevante, specialmente alla luce del fatto che le precedenti elezioni federali sono state indette in conseguenza della caduta del governo nel 2010 e che le negoziazioni per la formazione del nuovo governo si sono prolungate per 541 giorni – un record mondiale.

    Alle elezioni amministrative del 2012 i nazionalisti fiamminghi della Nuova Alleanza Fiamminga (N-VA) hanno ottenuto un ottimo risultato nelle Fiandre (la regione settentrionale di lingua neerlandese) e nel 2014 i sondaggi pre-elettorali avevano stimato che questo partito non solo aveva ancora margini di crescita e che sarebbe probabilmente diventato il partito più grande delle Fiandre, ma che era molto probabile che in futuro avrebbe continuato a crescere. L’incredibile crescita di questo partito potrebbe giocare un ruolo importante nelle negoziazioni per il futuro governo federale. L’intera campagna elettorale è stata quindi completamente incentrata sulle elezioni federali e sui possibili scenari per la formazione di una coalizione di governo, lasciando fuori dal dibattito perfino le elezioni regionali. Le elezioni europee sono state decisamente declassate in terza posizione, ben distanziate dalle altre due. Affermare che le elezioni europee sono state trattate come elezioni di terz’ordine non è sicuramente un’esagerazione (Irwin, 1995). Fatta eccezione per l’obbligatorio dibattito in televisione il tema dell’Europa è stato completamente assente dalla campagna elettorale.

    Tutto ciò potrebbe sembrare strano per un paese che può vantare di essere tra i membri fondatori ed ospita la Commissione ed il Parlamento europei (quando non sono a Strasburgo). Il Belgio esprime anche il Presidente del Consiglio d’Europa, Herman Van Rompuy, e contrariamente alla maggior parte degli altri stati membri candidava uno dei suoi concittadini alla presidenza della Commissione: l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt , candidato per l’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa.

    Ciò nonostante il tema dell’Europa non è mai stato rilevante nella campagna elettorale. I mass-media si sono concentrati su argomenti di rilevanza nazionale e gli unici accenni all’Europa hanno riguardato le chances di Guy Verhofstadt di diventare presidente della Commissione.

    I temi europei non hanno giocato un ruolo nella campagna elettorale anche a causa dalla quasi assenza di partiti euroscettici. L’unico partito anti-europeo che ha conquistato un seggio è il partito di estrema destra Interesse Fiammingo (Vlaams Belang) che contesta l’Unione Europea perché interferisce con il diritto dei singoli stati di regolare (cioè rendere più restrittiva) l’immigrazione e gestire i confini. Questo partito promuove un’idea alternativa di Europa, che piuttosto che una federazione dovrebbe invece essere una confederazione di stati nazionali. Nel 2009 un altro partito euroscettico, la Lista Dedecker (LDD), aveva ottenuto un seggio al Parlamento Europeo, ma la sua popolarità ebbe durata breve e già dall’inizio della scorsa campagna elettorale i sondaggi avevano stimato che difficilmente questo partito avrebbe conquistato un seggio nel parlamento federale o in quello fiammingo. Il presidente del partito ha quindi deciso che la scelta strategicamente migliore era quella di presentarsi in una sola provincia nell’ambito delle elezioni federali rinunciando in partenza alla riconquista del seggio al Parlamento Europeo. In realtà questa scelta non ha avvantaggiato gli altri partiti poiché il Belgio (e più specificamente il collegio di lingua fiamminga) ha subito la decurtazione di un seggio in ragione della ridistribuzione dei seggi dovuta all’espansione dell’Unione Europea e della determinazione del nuovo numero (massimo) dei suoi parlamentari.

     

    I risultati

    Un rapido sguardo alla Tabella 1 è sufficiente per capire chi è il vero vincitore di queste elezioni. Rispetto al 2009 il partito della Nuova Alleanza Fiamminga (N_VA) è aumentato di 17 punti percentuale e ha conquistato un terzo dei seggi del collegio riservato alla comunità di lingua fiamminga. Questo risultato è un riflesso del successo ottenuto a livello regionale e federale. L’N-VA non ha una posizione chiara rispetto all’Europa: se da un lato rimette in discussione le competenze che dovrebbero spettare all’Europa, dall’altro afferma che l’indipendenza delle Fiandre (il tema che lo caratterizza maggiormente) è possibile solo nel contesto di un’Unione Europea più forte. L’Europa è quindi solo (marginalmente) funzionale alla sua agenda nazionalista e non costituisce un tema a parte, né è motivo del suo successo elettorale. Durante la campagna l’N-VA ha precisato che è intenzionata a lasciare il gruppo Verdi – Alleanza Libera Europea, ma ha rifiutato di rilasciare una dichiarazione in merito a quale altro gruppo intende congiungersi.

     

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo 2014 – Belgio
    Partito

    Gruppo PE

    Voti (%)

    Seggi

    Voti (diff. sul 2009)

    Seggi (diff. sul 2009)

    Collegio elettorale fiammingo
    Liberali e Democratici Fiamminghi (OPEN VLD)

    ALDE

    20.4

    3

    -0.2

    =

    Nuova Alleanza Fiamminga (N-VA)

    G-EFA

    26.7

    4

    16.8

    +3

    Cristiano-democratici fiamminghi (CD&V)

    EPP

    20.0

    2

    -3.3

    -1

    Verdi (GROEN)

    G-EFA

    10.6

    1

    2.7

    =

    Partito Socialista Differente (SP.A)

    S&D

    13.2

    1

    -0.1

    -1

    Interesse Fiammingo (VLAAMS BELANG)

    NI

    6.8

    1

    -9.1

    -1

    Partito Laburista (PVDA+)

    2.4

    0

    1.4

    =

    Lista Dedecker (LDD)

    ECR

    0

    -7.3

    -1

    Colegio elettorale francese
    Partito Socialista (PS)

    S&D

    29.3

    3

    0.2

    =

    Movimento Riformatore (MR)

    ALDE

    27.1

    3

    1.1

    +1

    Ecologisti (ECOLO)

    G-EFA

    11.7

    1

    -11.2

    -1

    Cristiano-democratici e Umanisti (CDH)

    EPP

    11.4

    1

    -2.0

    =

    Partito Popolare (PP)

    6.0

    0

    6.0

    =

    Partito dei Lavoratori Belgi (PTB-GO!)

    5.5

    0

    4.3

    =

    Altri

    9.1

    0

    Collegio elettorale tedesco
    Partito Cristiano-sociale (CSP)

    EPP

    30.4

    1

    -1.9

    =

    Ecologisti (ECOLO)

    G-EFA

    16.7

    0

    1.1

    =

    Partito per la Libertà e la Prosperità (PFF)

    ALDE

    16.1

    0

    -4.3

    =

    Partito socialista (SP)

    S&D

    15.1

    0

    0.5

    =

    Pro Comunità Tedesca (PRO DG)

    13.2

    0

    3.2

    =

    Altri

    8.6

    0

    Totale

    100

    21

    -1

    Affluenza al voto (%)

    89.7

    0.7

    Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%)

    nessuna

    Nota: I 21 parlamentari europei del Belgio sono eletti in tre college elettorali separati: il collegio elettorale fiammingo (12), quello francese (8) e quello tedesco (1). Questi collegi rappresentano le tre comunità linguistiche e hanno collegi elettorali geograficamente distinti. Solo a Bruxelles gli elettori hanno la possibilità di votare in qualità di membro della comunità fiamminga o francese. Ciascun elettore può votare per un solo collegio elettorale. Per questo motivo, riportare il totale nazionale del Belgio potrebbe essere abbastanza fuorviante, dal momento che il numero di seggi per ciascuna comunità è distribuito all’interno di ciascun collegio elettorale. Un partito totalizza così il 100% dei propri voti per ciascun collegio elettorale.
    Abbreviazioni per i gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits. 

     

    I partiti storici belgi che fanno parte del governo uscente (social-democratici, cristiano-democratici e liberali) hanno grossomodo mantenuto il loro consenso – un risultato notevole nell’attuale clima politico. Il partito Cristiano-Democratico fiammingo (CD&V) ha subito una perdita contenuta, mentre il partito di estrema destra Vlaams Belang ha subito (e pagato in termini di voto) la concorrenza dell’N-VA. La sera delle elezioni, a spoglio iniziato, non era assolutamente scontato che Vlaams Belang avrebbe raggiunto un risultato tale da garantirgli di essere rappresentato al Parlamento Europeo. Alla fine, per poco, ha guadagnato un seggio.

     

    Un altro clamoroso insuccesso è quello del partito vallone ecologista (Ecolo), specialmente considerando che il suo gemello fiammingo ha invece migliorato il risultato delle europee del 2009 di circa 3 punti percentuale (incremento che però non si è tradotto nella conquista di un ulteriore seggio). Anche questo trend rispecchia fedelmente quello delle elezioni regionali e federali. Riguardo le perdite di Ecolo alcuni commentatori hanno fatto notare che un partito ecologista che alle elezioni del 2009 aveva totalizzato più del 22% non poteva che vedere diminuito il suo consenso. Le ragioni di questo insuccesso potrebbero essere probabilmente legate al buon risultato ottenuto dal partito comunista (PTB-GO!) in Wallonia e nella regione di Bruxelles. Sebbene le dinamiche di flussi di voto siano da verificare, quel che è certo è che sono completamente slegate da logiche connesse alle elezioni europee.

     

    Infine, il seggio spettante alla comunità di lingua tedesca (che ha una popolazione di circa 77.000 abitanti) è andato al partito Cristiano-Sociale (CSP), che lo detiene senza interruzione dal 1994.

     

    Considerazioni finali

     

    Rispetto al 2009 in Belgio si è assistito a diversi cambiamenti a livello del risultato elettorale. I partiti storici che costituivano il governo uscente sono riusciti a rimanere più o meno sui livelli di consenso precedenti. I cambiamenti di portata maggiore sono avvenuti piuttosto alla destra e alla sinistra del continuum ideologico. Diversamente da quanto accaduto in altri paesi europei sarebbe certamente un errore interpretare questi risultati alla luce di sentimenti anti o pro europei. In Belgio le elezioni per il Parlamento Europeo non sono mai state parte della campagna elettorale e non sono mai state al centro di alcun dibattito promosso a livello mediatico. La ragione di questa assenza è dovuta al fatto che è stata data precedenza alle elezioni federali e regionali rispetto a quelle europee – fatto che non deve stupire considerata la storia recente del Belgio. Le cause che hanno determinato gli spostamenti di voto tra partiti andranno chiaramente studiate utilizzando i dati elettorali, i sondaggi, ecc., ed è possibile che una parte della popolazione abbia espresso il suo voto per il Parlamento Europeo in base a delle motivazioni di natura europea. Ma le interpretazioni del voto e delle sue cause non possono trovare una risposta utilizzando logiche legate a considerazioni di respiro europeo. E se da adesso in poi le elezioni regionali, federali ed europee saranno sempre tenute lo stesso giorno come stabilito, è estremamente probabile che quelle europee rimarranno elezioni di terz’ordine.

     

    Riferimenti bibliografici

    Irwin, G. (1995), Second-order or third-rate? Issues in the campaign for the elections for the European parliament 1994, in “Electoral Studies” 14 (2): 183-199

    Reif, K., e Schmitt, H. (1980), Nine 2nd-Order National Elections – a Conceptual Framework for the Analysis of European Election Results, in “European Journal of Political Research”, vol. 8 (1), pp. 3-44.

    Russo, L. e Deschouwer, K. (2014), Electoral nationalization in a denationalized party syste: the case(s) of Belgium, Paper presented at the 3rd European Conference on Comparative Electoral Research.

    Schakel, A. H. e Jeffery, C. (2013), Are regional elections really ‘second-order’ elections?,Regional Studies”, vol. 47 (3), pp. 323-341

    Van Aelst, P. e Lefevere, J. (2012), Has Europe got anything to do with the European elections? A study on split-ticket voting in the Belgian regional and European elections of 2009, in “European Union Politics” vol. 13 (1), pp. 3-25.

  • Ungheria: la stabilità del predominio di Fidesz

    Ungheria: la stabilità del predominio di Fidesz

    di Federico Vegetti

    Il risultato delle elezioni europee del 2014 in Ungheria è tutto fuorché sorprendente. Il partito del primo ministro Viktor Orbán si aggiudica la maggioranza assoluta dei voti, la sinistra si dimostra sempre più divisa, mentre la destra estrema rimane stabile, lontana dai picchi raggiunti in altri paesi europei. Tuttavia, questa calma apparente cela un clima poco incoraggiante, sia dal punto di vista della politica interna che da una più ampia prospettiva europea. L’affluenza cala di 7 punti dal 2009, fermandosi al 28.9%, meno della metà rispetto alle elezioni parlamentari di un mese fa. La campagna elettorale è stata condotta in modo piuttosto distaccato, a causa più dell’accesso difficoltoso dell’opposizione ai media che all’assenza di conflitto. Inoltre, nonostante i pochi seggi ottenuti dalla destra euroscettica “ufficiale”, come prontamente riportato dall’Economist[1], il voto al partito di Orbán non è certo da considerarsi come una scelta “euroentusiasta”.

    Il contesto politico

    L’Ungheria ha votato Domenica 25 Maggio per eleggere i suoi 21 rappresentanti al Parlamento Europeo. Tuttavia, il momento clou del 2014 per la politica ungherese sono state le elezioni parlamentari del 6 Aprile. La vicinanza con l’appuntamento nazionale ha ulteriormente accentuato il carattere di “secondo ordine” delle elezioni europee, dove temi prettamente europei hanno un ruolo relativamente limitato rispetto a temi di politica interna (vedi Reif e Schmitt 1980). Questi ultimi hanno incluso diversi attacchi tra esponenti di partiti diversi, senza un particolare confronto tra visioni politiche alternative. Nonostante l’uso di concetti come “destra” e “sinistra” sia molto frequente nella politica ungherese (Todosijevic 2004), questi termini vengono utilizzati il più delle volte per indicare gruppi politici in conflitto tra loro, piuttosto che reali alternative di policy (Palonen 2009). In tale contesto, molto incentrato sugli attori e poco sui temi, la lunga campagna per le due elezioni del 2014 non è stata un’eccezione.

    Federico Vegetti è ricercatore post-doc alla Central European University, a Budapest. Ha ottenuto un dottorato in scienze politiche all’Università di Mannheim (Germania) nel 2013. I suoi interessi di ricerca includono psicologia politica, comportamento di voto e metodologia della ricerca sociale.

    Dopo la vittoria schiacciante del 2010, il partito di destra Fidesz – nato come movimento studentesco libertario alla fine degli anni ’80 e trasformatosi nel corso del tempo in un partito conservatore nazionalista – ha ottenuto il controllo di due terzi del parlamento ungherese[2]. Questo risultato ha dato al gruppo politico guidato da Viktor Orbán il potere di modificare la Costituzione e, negli ultimi 4 anni, ridisegnare le regole del gioco a proprio favore[3]. Come conseguenza, la nuova inevitabile vittoria di Orbán alle elezioni di Aprile ha portato Fidesz a ottenere per la seconda volta il controllo di due terzi del parlamento (vedi anche Toka 2014).

    Nello stesso periodo, lo scenario politico a sinistra ha subito importanti cambiamenti all’insegna della frammentazione. La clamorosa sconfitta del Partito Socialista Ungherese (MSZP) nel 2010 ha portato alla formazione di altri due partiti di centro-sinistra, entrambi composti da ex-membri dell’MSZP. Il primo, Coalizione Democratica (DK), è guidato dall’ex primo ministro socialista Ferenc Gyurcsány, a capo del governo dal 2004 al 2009. Il secondo, Együtt-PM, è guidato da Gordon Bajnai, primo ministro nominato dopo le dimissioni di Gyurcsány durante l’ultimo anno di governo dell’MSZP, dal 2009 al 2010. Entrambi i partiti si sono riuniti all’MSZP in una coalizione guidata dal suo leader Attila Mesterházy per le elezioni parlamentari di Aprile, incentivati in larga parte da una legge elettorale fortemente maggioritaria, ma si sono presentati con liste separate alle elezioni Europee di Maggio – che si sono svolte con sistema proporzionale a sbarramento al 5%. Altro partito significativo dell’area di centro-sinistra è LMP, maggiormente incentrato su temi ecologisti. Nonostante le dimensioni relativamente ridotte, il partito è riuscito a mantenersi sopra la soglia necessaria per ottenere seggi sia nel parlamento nazionale che in quello Europeo.

    Ultimo soggetto politico importante nello scenario politico Ungherese è Jobbik, partito di estrema destra fortemente nazionalista i cui membri non nascondono sentimenti anti-semitici e autoritari. Il primo risultato importante di Jobbik fu proprio alle elezioni Europee del 2009, dove il partito ottenne più del 14% dei voti validi, seguito da un 16% alle elezioni parlamentari del 2010 e da uno strabiliante 20% alle elezioni dello scorso Aprile. (Carisoprodol) Tuttavia, a metà Maggio, il partito è rimasto coinvolto in uno scandalo dopo che uno dei suoi Europarlamentari e candidato numero 3 nella lista per il parlamento Europeo, Béla Kovács, è stato accusato di essere una spia Russa. Nonostante il candidato e il partito abbiano respinto le accuse, la notizia è stata riportata da diversi media, e può avere avuto un certo peso sul risultato ottenuto da Jobbik il 25 Maggio. Tra tutti i partiti Ungheresi, Jobbik è l’unico a prendere una posizione chiaramente euroscettica.

    La campagna

    La campagna per le elezioni Europee in Ungheria si è mossa per inerzia, spinta dagli eventi politici nazionali di poche settimane prima. Fidesz e MSZP non hanno nemmeno pubblicato un programma elettorale, a indicare lo scarso interesse dei due partiti per un reale dibattito dopo l’appuntamento di Aprile. Il vero protagonista della campagna è stato però il governo di Viktor Orbán, a ovvio beneficio del suo partito Fidesz. Questo protagonismo è in gran parte dovuto alle stringenti regole messe in atto dalla nuova legge sulle procedure elettorali, che limita fortemente l’accesso ai media per tutti i partiti, ma non per il governo[4].

    La strategia comunicativa di Orbán durante la campagna europea ha puntato a dare un’immagine del governo come difensore degli interessi degli ungheresi di fronte a un’Europa incapace di comprendere e venire incontro ai bisogni della nazione. In questo modo, dalla sua posizione di controllo del governo e del parlamento, Fidesz ha cercato di fare breccia nell’elettorato euroscettico, entrando in diretta competizione con Jobbik.

    Due temi sui quali Orbán ha seguito questa strategia sono il taglio ai costi di gas e altre utenze per le famiglie[5], e il giro di vite sul controllo dei terreni ungheresi da parte di imprenditori stranieri, provenienti in particolare dalla vicina Austria[6]. Entrambi i temi sono a tutti gli effetti un’“eco” della campagna nazionale, dove sono stati discussi sostenendo, tra le altre cose, che l’Europa si opporrà certamente agli sforzi del governo di fare gli interessi dei suoi cittadini[7].

    Dopo aver “neutralizzato” la sinistra alle elezioni di Aprile, Orbán ha concentrato i suoi attacchi sulla destra euroscettica di Jobbik, capitalizzando sui sospetti di spionaggio riguardanti Béla Kovács e parlando di “attività proditorie” portate avanti da “un partito che si considera nazionalista”[8]. Questo può in parte spiegare il relativo ridimensionamento di Jobbik rispetto al risultato di Aprile, e il successo di Fidesz in un’elezione dove i partiti euroscettici hanno ottenuto risultati importanti in molti altri paesi Europei.

    I risultati: stabilità a destra, frammentazione a sinistra

    La campagna di Viktor Orbán si è rivelata efficace. Fidesz si conferma primo partito con il 51.5% dei voti, circa 5 punti percentuali in meno rispetto al 2009 ma ben 7 punti in più rispetto alle elezioni parlamentari. Questo avviene principalmente a scapito di Jobbik, che dal 20.5% ottenuto in Aprile perde quasi 6 punti percentuali e si ferma al 14.7%, un risultato molto simile a quello ottenuto cinque anni fa.

    La sinistra ottiene un risultato di poco migliore rispetto alle elezioni parlamentari, confermando il sospetto che l’unione forzata non ha giovato ai figli della diaspora dell’MSZP. I tre partiti ex-membri della coalizione guidata da Attila Mesterházy – ovvero MSZP, DK ed Együtt-PM – ottengono complessivamente 27.9% dei voti espressi, contro il 26% ottenuto in Aprile dalla coalizione (inclusiva del Partito Liberale Ungherese, MLP, che non si è presentato all’appuntamento Europeo). Ciò che è più interessante notare, guardando la distribuzione dei voti tra i tre partiti, è il sostanziale bilanciamento che ne emerge: l’MSZP rimane il partito più forte del gruppo con il 10.9% dei voti, un crollo notevole rispetto al 17.4% del 2009. Tuttavia è un solo punto percentuale in più rispetto a quanto fatto dal secondo partito, DK, che si ferma al 9.8%. Infine, Együtt-PM ottiene il 7.2% dei voti, un risultato più modesto rispetto agli ex-partner di coalizione, ma che indica comunque che il partito non è un semplice satellite. Questo risultato suggerisce che la sinistra post-MSZP è attualmente in una fase di transizione, caratterizzata da una riorganizzazione dell’offerta politica il cui esito al momento non è chiaro. Certamente, la nuova legge elettorale nazionale, fortemente maggioritaria, è stata concepita dal partito di governo proprio per capitalizzare su questa frammentazione, al limite costringendo i tre partiti a scomode alleanze. Tuttavia, l’elezione Europea di Maggio può avere aiutato i due partiti più nuovi, DK ed Együtt-PM, mostrando il loro potenziale rispetto a un MSZP sempre più in declino. Un caso a parte nel gruppo di centro-sinistra è rappresentato dall’LMP, che si limita a svolgere i compiti a casa passando per un pelo la soglia del 5% e mandando un parlamentare a Bruxelles. Nonostante gli sforzi del partito a proporsi come alternativa alla “vecchia politica”, incarnata probabilmente dall’MSZP, gli elettori di sinistra non sembrano pienamente convinti del suo potenziale.

    Tabella 1 – Risultati delle elezioni 2014 per il Parlamento Europeo – Ungheria
    Partito

    Gruppo PE

    Voti (%)

    Seggi

    Voti (diff. sul 2009)

    Seggi (diff. sul 2009)

    Fidesz – Unione Civica Ungherese / Partito del Popolo Cristiano Democratico (KDNP)

    EPP

    51.5

    12

    -4.9

    -2

    Movimento per una Ungheria Migliore (Jobbik)

    NI

    14.7

    3

    -0.1

    +0

    Partito Socialista Ungherese (MSZP)

    S&D

    10.9

    2

    -6.5

    -2

    Coalizione Democratica (DK)

    S&D

    9.8

    2

    +9.8

    +2

    Insieme / Dialogo per l’Ungheria (Együtt-PM)

    G-EFA

    7.2

    1

    +7.2

    +1

    La politica può essere diversa (LMP)

    G-EFA

    5.0

    1

    +2.4

    +1

    Altri partiti

    0.9

    0

    Totale

    100.0

    21

    Affluenza al voto (%)

    28.9

    -7.4

    Soglia di sbarramento per ottenere seggi (%)

    5.0%

    Abbreviazioni dei gruppi al Parlamento Europeo: EPP=European Peoplès Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy;NI=Non-Inscrits.

    Un’ultima considerazione riguarda l’affluenza, che cala di 7 punti rispetto al 2009, attestandosi al minimo storico del 28.9%. Questo può essere in parte dovuto alla campagna ridondante e sottotono, o al disinteresse degli elettori ungheresi ad esprimersi nuovamente così presto dopo un risultato chiaro come quello di aprile. Tuttavia, un’affluenza così bassa può anche riflettere l’allontanamento di un elettorato insoddisfatto dall’attuale offerta politica, in un clima politico che promette di vedere Fidesz al potere per lungo tempo.

    Referenze

    Palonen, E. (2009). Political Polarisation and Populism in Contemporary Hungary. Parliamentary Affairs, 62(2), 318–334.

    Reif, K., & Schmitt, H. (1980). Nine Second‐Order National Elections – A Conceptual Framework for the Analysis of European Election Results. European Journal of Political Research, 8(1), 3–44.

    Todosijević, B. (2004). The Hungarian Voter: Left–Right Dimension as a Clue to Policy Preferences. International Political Science Review, 25(4), 411–433.

    Toka, G. (2014). Constitutional Principles and Electoral Democracy in Hungary. In E. Bos & K. Pócza (Eds.), Constitution Building in Consolidated Democracies: A New Beginning or Decay of a Political System? Baden-Baden: Nomos Verlag.

     


    [2] Dal 1998, Fidesz partecipa a ogni competizione elettorale in coalizione con il partito cristiano-conservatore KDNP. Cosi’ e’ stato anche per le elezioni parlamentari e quelle Europee del 2014. Tuttavia, data la scarsa rilevanza del KDNP all’interno della coalizione, in questo articolo seguiro’ la convenzione abbastanza comune di riferirmi ai due partiti menzionando unicamente Fidesz.

    [3] Per una spiegazione dettagliata delle nuove regole, e di come esse abbiano giocato a favore di Fidesz alle elezioni parlamentari di Aprile, vedi l’articolo di Kim Lane Scheppele pubblicato in 5 parti sul blog di Paul Krugman sulla pagina del New York Times: https://krugman.blogs.nytimes.com/2014/02/28/hungary-an-election-in-question-part-1/ (link per la prima parte)

  • Il Partito Socialista Europeo: stabilità senza successo

    Il Partito Socialista Europeo: stabilità senza successo

    di Luca Carrieri

    Nelle ultime elezioni europee l’alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) ha conseguito un esiguo incremento di seggi (+7 rispetto al 2009) ed è rimasto stabile al 25% dei suffragi all’interno dell’eurozona. Le distanze rispetto ai rivali storici del PPE si sono notevolmente accorciate. Infatti, se nel 2009 i popolari potevano contare su 265 eletti contro i 184 dei socialisti (una differenza di circa 80 seggi), nel 2014 i rapporti di forza si sono riequilibrati e la forbice tra i due principali euro-partiti è scesa a 23 seggi, sempre in favore dei popolari. La percentuale in termini dei seggi dei socialisti e progressisti è passata dal 25% al 25,4%.

    Fig. 1 – Percentuale di seggi dei S&D alle elezioni europee del 2009 e del 2014.

     

     Nonostante la tendenziale stabilizzazione del voto socialista in Europa e le consistenti perdite dei popolari, non si può parlare di un successo elettorale per il PSE. La candidatura del tedesco Martin Schulz (Spd), ex presidente del Pe, alla presidenza della Commissione europea (Ce), sostenuta da tutti i partiti dell’alleanza socialista e progressista, che mirava a strappare ai popolari la guida dell’esecutivo dell’Unione attraverso delle proposte moderatamente anti-austerity, non ha avuto un effetto trascinante. Evidentemente anche gli esponenti del PSE si sono configurati come veri e propri incumbents, alla stregua dei rivali popolari. Infatti, anche i socialisti detengono delle importanti posizioni di potere e responsabilità all’interno della Ce e la linea di confine politica rispetto al PPE è apparsa spesso opaca. Non sorprende quindi che l’ondata anti-europeista abbia travolto anche i socialisti, ritenuti, a torto o a ragione, come un pezzo dell’establishment dell’UE. E’ probabile che nell’immediato futuro si assisterà alla formazione di una grande coalizione PPE-PSE, con un esponente popolare alla guida della Ce.

     Tab. 1 – Risultati elettorali (% di voti e seggi) dei S&D nei paesi membri e differenze con il 2009.

    In quattro paesi i partiti del S&D hanno registrato un significativo avanzamento, sia in termini di voti sia in termini di seggi. In primo luogo, in Italia il Pd guidato dal premier italiano Matteo Renzi, ha ottenuto 31 seggi (+10 rispetto al 2009) e costituirà la delegazione numericamente più ampia nel campo del S&D nel prossimo europarlamento. Il Pd ha senz’altro ottenuto un risultato storico e sorprendente. Pur non essendo direttamente eletto, il premier in carica ha potuto contare su un capitale di popolarità molto elevato, quasi si trattasse di una vera e propria “luna di miele” con l’elettorato italiano. Anche l’Spd ha registrato un forte incremento rispetto alle scorse europee (+4 seggi), probabilmente massimizzando elettoralmente la campagna incentrata sulla candidatura di Schulz alla presidenza del Ce. Nel Regno Unito, i laburisti sono avanzati di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2009, ottenendo 20 seggi (+7 seggi rispetto al 2009). Sia i laburisti inglesi sia i socialdemocratici tedeschi sono rimasti, però, il secondo partito nel loro ambito nazionale. Un altro dato confortante per S&D è il il risultato della Romania, in cui una coalizione (un po’ eterogenea) di partiti costituita attorno al partito socialdemocratico rumeno, ha ottenuto il 37,6% e 16 seggi (+5 seggi). La delegazione rumena nel S&D sarà più ampia di quella francese e spagnola, paesi con un peso demografico ben superiore a quello della Romania. In generale, le elezioni in Romania rappresentano un segnale positivo per i socialisti e i progressisti, che sfondano in un paese dell’Europa dell’Est, in cui hanno sempre avuto una notevole difficoltà. Attualmente, i socialisti e i progressisti concentrano 94 seggi in questi quattro paesi, una quota imponente (48%) dei propri rappresentanti.

    In Portogallo, Austria, Svezia i S&D portano a casa un rappresentante in più rispetto alla passata legislatura. Notevole il risultato portoghese, in cui il partito socialista, all’opposizione, ha conquistato il primo posto nella graduatoria dei partiti nazionali, portando a Bruxelles 8 rappresentanti. In Svezia e Austria il risultato è stato meno spettacolare. Pur incrementando i seggi, i socialdemocratici svedesi sono rimasti stabili rispetto alla scorsa legislatura (i seggi assegnati alla Svezia sono passati da 18 a 20). L’Spo austriaco ha vissuto un lieve incremento, ma rimanendo il secondo partito a livello nazionale dopo l’Ovp.

    I partiti socialisti e progressisti sono rimasti stabili in 9 paesi: Bulgaria, Cipro, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Ungheria. Tale stabilità non deve però essere scambiata per un dato incoraggiante. Infatti, tra i paesi in esame, solo a Malta i laburisti sono stati il primo partito e in Bulgaria il secondo. In tutti gli altri stati i risultati dei partiti afferenti ai S&D sono stati molto più modesti e nessuno di questi partiti ha superato il 20% dei voti validi. In Lussemburgo, Finlandia ed Estonia i partiti di questo schieramento sono giunti al quarto posto e nei Paesi Bassi addirittura al quinto. In Ungheria e a Cipro si presentavano due partiti appartenenti ai S&D giunti rispettivamente terzo e quarto posto. Si può notare, come in questi contesti nazionali i partiti in esame siano in una condizione di forte debolezza politica ed elettorale.

    Nei restanti paesi, i partiti del PSE hanno vissuto delle perdite in termini di seggi. Nonostante la spettacolare debàcle dei socialisti in Francia rispetto alle politiche, che sono crollati al 14% dei voti validi, la portata di questa sconfitta deve essere ridimensionata. Infatti, il Ps ha perso solamente un seggio rispetto alle europee 2009. Il presidente in carica Francois Hollande è stato travolto dalla crisi economica ed ha affrontato una difficile mid-term-election. Deve essere però ricordato che quella delle europee non è stata storicamente un’arena molto congeniale per i due principali partiti francesi, che difficilmente riescono a replicare il consenso delle elezioni politiche. Il vero sconfitto nella casa dei socialisti e dei progressisti è stato il Psoe spagnolo, crollato  al 23% (-15 punti percentuali  rispetto al 2009)  e che ha riconfermato solo 14 dei 21 eletti nel 2009. I sette seggi in meno del Psoe potrebbero pesare molto sugli equilibri politici all’interno dell’Unione. Anche il risultato dei partiti che fanno riferimento al PSE in Grecia è stato abbastanza disastroso rispetto al 2009. Il Pasok-Elia e il Fiume (To Potami) hanno ottenuto nel complesso 4 seggi e la delegazione dei socialisti greci si è dimezzata. I laburisti irlandesi, che nel 2009 avevano 3 rappresentanti, sono completamente spariti dal Pe. In Polonia, il sesto paese europeo in termini di peso demografico (che esprime ben 51 seggi), i socialisti sono sotto la soglia del 10% dei voti e perdono ben 2 seggi. Il dato polacco è esemplare della debolezza dell’alleanza socialista e progressista in molte realtà dell’Est Europa.

    In Belgio, Croazia, Danimarca, Lituania, Repubblica Ceca e Croazia, i socialisti esprimevano il presidente o il primo ministro. In tutte queste realtà nazionali l’esito delle elezioni europee sembra avere punito i governi in carica. In Belgio le europee si sono tenute contemporaneamente alle elezioni per il rinnovo del Parlamento nazionale e la coalizione di governo, sostenuta dai due partiti socialisti belga (Psb e Spa), è stata sconfitta. In Danimarca i socialdemocratici hanno perso 1 seggio, apparendo profondamente destabilizzati dall’imponente crescita del partito del popolo danese. Anche nella Repubblica Ceca e in Slovacchia le perdite sono state massicce. Nella Repubblica Ceca il partito del primo ministro Botoska ha subito una vera sconfitta, perdendo 8 punti percentuali, 3 seggi e diventando il terzo partito nazionale. In Slovacchia le perdite sono state forti (-7,9 punti rispetto al 2009), anche se i socialdemocratici sono rimasti il partito di maggioranza relativa.

    Complessivamente i partiti del PSE, pur dimostrando una dinamica moderatamente positiva in termini di seggi, hanno confermato quella stessa debolezza registrata alle elezioni europee del 2009. Senza dubbio, l’ottimo esito elettorale dei partiti socialisti e progressisti all’interno di alcuni paesi di grandi e medie dimensioni (Italia, Germania, Regno Unito e Romania) ha conferito una grande dote di seggi all’intero eurogruppo, consentendogli di replicare e

    superare il voto del 2009. Non bisogna però dimenticare che solo in 6 paesi su 28 (Italia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia e Svezia) un partito afferente al PSE è stato il primo partito nazionale. Inoltre, laddove questi hanno espresso un Presidente o un primo ministro (con l’eccezione di Italia e Malta), sono andati incontro a perdite generalizzate. Il caso della Romania appare di particolare importanza, perché un partito dell’ex blocco comunista è diventato la quarta delegazione all’interno dei S&D. La stabilità del PSE non si può però configurare come un vero e proprio successo elettorale. Tuttavia, dato il pesante arretramento dei popolari, i socialisti potrebbero aumentare il loro peso politico e negoziale, anche senza riuscire ad imporre un proprio esponente alla guida della commissione.

  • La sinistra radicale cresce, ma solo nel Sud Europa

    La sinistra radicale cresce, ma solo nel Sud Europa

    di Michail Schwartz

    Le elezioni europee del 22 – 25 Maggio si preannunciavano come elezioni di rottura e di cambiamento, specialmente per quei partiti che all’interno della propria piattaforma programmatica criticavano profondamente l’idea di Europa portata avanti fino a questo momento dalle principali famiglie politiche europee.

     Il Partito della Sinistra Europea (GUE-NGL) era uno di questi. Capeggiato dal greco Alexis Tsipras, tuttavia la formazione più a sinistra all’interno dell’emiciclo di Strasburgo, a differenza delle formazioni euroscettiche, non rifiutava la moneta unica ed il progetto di integrazione europea, ma proponeva una visione completamente alternativa a quella neoliberale e predominante, accusata non solo di essere la causa della forte crisi economico-finanziaria che ha investito l’Unione, ma allo stesso tempo di costituire una risposta ad essa totalmente insufficiente. Sulla base di queste premesse in molti prevedevano un risultato positivo da parte del GUE-NGL, un risultato che avrebbe potuto invertire la tendenza decrescente che ormai investiva la sinistra radicale in Europa[1].

     Fig. 1 –  Percentuale di voto tra il 2009 ed il 2014.

    Fonte: www.risultati-elezioni2014.eu/it

    Da un primo sguardo al risultato aggregato (Figura 1) si può notare subito come questa inversione di tendenza si sia effettivamente avverata. GUE-NGL infatti è passato dal 4.6% del 2009 al 6% del 2014, un balzo in avanti di 1,4 punti. Un risultato questo che porta GUE-NGL certo non ai livelli delle prime elezioni europee, quando il gruppo della sinistra radicale era composto principalmente da partiti comunisti, ma comunque sempre più vicino al risultato ottenuto alle elezioni del 1999, quando la lista raggiunse il 6.7% dei consensi.

    Fig. 2 – Numero di seggi ottenuti tra il 2009 ed il 2014.

    Fonte: www.risultati-elezioni2014.eu/it

    A questo risultato ha fatto seguito anche ad un incremento della presenza di GUE NGL all’interno del Parlamento Europeo (Figura 2), passando dai 35 seggi del 2009 ai 45 seggi del 2014, ovvero un incremento di 10 seggi.

    Tab.1 – Risultato elettorale di GUE-NGL nel 2009 e 2014, scorporato per paese.

    Paese

    voti 2009

    voti 2014

    seggi 2009

    seggi 2014

    Austria

    0.66

    /

    0

    0

    Belgio

    /

    /

    0

    0

    Bulgaria

    /

    /

    0

    0

    Cipro

    34.8

    26.9

    2

    2

    Croazia

    5.8*

    /

    0

    /

    Danimarca

    7.0

    8.0

    1

    1

    Estonia

    0.8

    /

    0

    0

    Finlandia

    5.9

    9.3

    0

    1

    Francia

    6.0

    6.3

    5

    4

    Germania

    7.5

    7.4

    8

    7

    Grecia

    13.0

    32.6

    3

    8

    Irlanda

    2.8

    17.0

    1

    3

    Italia

    7.0

    4.3

    0

    3

    Lettonia

    19.6

    /

    1

    0

    Lituania

    /

    /

    0

    0

    Lussemburgo

    3.4

    5.7

    0

    0

    Malta

    /

    /

    0

    0

    Paesi Bassi

    7.1

    9.6

    2

    2

    Polonia

    0.7

    /

    0

    0

    Portogallo

    21.3

    17.2

    5

    4

    Regno Unito

    0.6

    0.6

    1

    1

    Repubblica Ceca

    14.2

    11

    4

    3

    Romania

    /

    /

    0

    0

    Slovacchia

    1.7

    /

    0

    0

    Slovenia

    /

    /

    0

    0

    Spagna

    3.8

    10.0

    1

    5

    Svezia

    5.7

    5.7

    1

    1

    Ungheria

    1.0

    /

    0

    0

    Totale

    4.6

    6.0

    35

    45

    *Elezioni tenutesi il 14 Aprile 2013

    Fonte: www.risultati-elezioni2014.eu/it

    Osservando il risultato disaggregato per paese (tab.1), in primo luogo possiamo evidenziare come, rispetto alle elezioni del 2009, il numero di paesi nei quali GUE-NGL non ha ottenuto alcun risultato elettorale (o comunque così basso da risultare insignificante) sia aumentato di sei (Austria, Estonia, Lettonia, Polonia, Slovacchia e Ungheria) passando da 6 paesi a 12. Il caso (l’unico tuttavia) più significativo è quello lettone, dove la disgregazione della coalizione “Saskaņas Centrs”, che raggiunse il 19.6% guadagnando così un seggio, ha fatto si che nessun partito rappresentasse GUE-NGL in questa tornata elettorale. Questo segnale, seppur relativamente influente ai fini del risultato aggregato, mostra comunque una perdita di rappresentanza da parte del GUE-NGL all’interno dei paesi membri dell’Unione.

    Tornando però immediatamente al punto centrale del risultato di GUE-NGL a queste elezioni, diviene fondamentale capire da dove proviene la suddetta inversione di tendenza. Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare i risultati ottenuti dai partiti provenienti dai paesi mediterranei dell’Unione, con l’aggiunta di qualche paese nordico, nei quali le liste di sinistra radicale hanno notevolmente incrementato il proprio risultato rispetto alle elezioni passate (in particolare l’Irlanda, che si inserisce in ogni caso all’interno dei paesi che più di altri hanno subito l’intervento di Bruxelles nella propria economia interna).

    I risultati maggiormente positivi GUE-NGL li ha ottenuti sicuramente nei tre paesi più colpiti dalla recente crisi economica, nonché maggiormente coinvolti dalle politiche di austerità imposte dalla troika composta da FMI, Commissione Europea e Banca Centrale Europea: Grecia, Italia e Spagna. A questi tre paesi vanno aggiunte altre due nazioni meridionali, come Portogallo e Cipro, dove, nonostante una flessione rispetto alle scorse elezioni, i partiti legati alla sinistra radicale hanno saputo mantenere un livello di consensi particolarmente elevato rispetto alla media degli stati dell’Unione (nel primo la  “Coligação Democrática Unitária” ha ottenuto il 17.2% e 4 seggi, uno in meno rispetto al 2009, mentre nel secondo il “Partito Progressista dei Lavoratori ha ottenuto il 26.9% e 2 seggi, numero invariato rispetto al 2009).

    In Grecia, il risultato di GUE-NGL era sicuramente il più atteso. La nazionalità greca del leader Tsipras e le politiche di austerità particolarmente dure imposte alla popolazione avevano fatto crescere a dismisura il consenso verso quei partiti che fortemente si opponevano a questa linea, Syriza (partito affiliato a GUE-NGL) in testa. In terra ellenica l’aumento di consensi rispetto alle elezioni del 2009 per la sinistra radicale è stato notevole, di gran lunga il maggiore tra i paesi europei. Con un incremento dei consensi del 19.6% Syriza si è imposto come primo partito in Grecia, ottenendo più un voto su tre (il 32.6%) da parte degli elettori greci. Questo risultato ha incrementato conseguentemente il numero di europarlamentari all’interno della pattuglia greca a Strasburgo, passando dai 3 del 2009 agli 8 della nuova legislatura.

    Anche in Spagna GUE-NGL, per la precisione la coalizione “Izquierda Plural” (al netto della lista  “Iniciativa per Catalunya Verds”, confluita nel gruppo dei Verdi) ha ottenuto un ottimo risultato, conquistando il 10% dei voti, il 6.23% in più rispetto al 3.77% del 2009. Questo ha fatto si che il numero di europarlamentari iberici affiliati a GUE-NGL sia cresciuto di ben quattro unità, passando da uno a cinque membri.

    Caso particolare è stato quello dell’Italia, dove, nonostante il livello percentuale di consenso sia calato di ben tre punti percentuali, GUE-NGL ha guadagnato tre europarlamentari in più rispetto alle precedenti elezioni, in cui la sinistra radicale italiana non era riuscita ad eleggere nemmeno un rappresentante. La spiegazione sta nella presenza in Italia di una soglia di sbarramento abbastanza alta (4%). Questo ha fatto si che nel 2009, i due partiti afferenti a GUE-NGL (la lista comprendente, tra gli altri il Partito della Rifondazione Comunista e il Partito dei Comunisti Italiani e la lista “Sinistra e Libertà”) rimasero entrambi al di sotto della suddetta soglia (la prima fermandosi al 3.38% e la seconda al 3.12%) e non eleggendo dunque alcun europarlamentare. In questa tornata, la sinistra radicale si è coalizzata all’interno della lista “Un’altra Europa con Tsipras” riuscendo a raggiungere la soglia di sbarramento (arrivando al 4.3%) e dunque ad eleggere tre europarlamentari.

    Un caso simile a quello italiano è quello della Croazia. Alle elezioni tenutesi il 14 Aprile 2013 infatti, le due liste legate a GUE-NGL raggiunsero rispettivamente il 3.5% ed il 2.4%, non riuscendo così a oltrepassare la soglia di sbarramento del 5% necessaria per accedere alla ripartizione dei seggi.

    E’ utile notare anche la crescita che hanno fatto registrare i partiti legati a GUE-NGL in alcuni stati dell’Europa centro-settentrionale, come i Paesi Bassi, dove il “Socialistische Partij” ha ottenuto il 9.6% dei voti, il 2,5% in più rispetto al 2009, mantenendo tuttavia lo stesso numero di eurodeputati eletti. Un incremento è registrabile anche nel piccolo Lussemburgo, dove “Déi Lénk” arriva a 5.8% dei consensi, crescendo del 2.3%, senza però riuscire ad ottenere alcun seggio. Tuttavia, tra i paesi settentrionali che registrano un incremento, si distingue senza dubbio l’Irlanda, anch’essa duramente colpita dalla crisi economico-finanziaria e dalle misure della troika. (Adipex) Qui “Sinn Féin” raggiunge il 17% dei consensi, ben il 14.2% in più rispetto al 2009, ottenendo così tre eurodeputati, due in più rispetto alla precedente tornata elettorale. Inoltre anche in Danimarca ed in Finlandia i rispettivi partiti legati a GUE-NGL hanno registrato un aumento. In particolar modo nel secondo paese, dove l’ “Alleanza di Sinistra” ha incrementato il suo risultato del 3.4%.

    Stabile infine è stata la performance dei partiti affiliati a GUE-NGL in Francia, Germania, mentre in Repubblica Ceca, similmente al Cipro e al Portogallo, vi è stato si un calo (di più di 4 punti percentuali), ma il consenso ed il numero di parlamentari conseguente è rimasto comunque alto (11% e 3 europarlamentari)

    Cercando di dare un’interpretazione al risultato appena analizzato, si può senza dubbio affermare che GUE-NGL abbia nettamente beneficiato dal clima di forte protesta verso le politiche di austerità che hanno colpito diversi paesi dell’Unione. Non a caso i successi più evidenti in termini percentuali (e in diversi casi anche in termini di seggi) provengono dai paesi che più hanno sofferto i tagli imposti da Bruxelles (Grecia, Spagna e Irlanda su tutti, ma anche Portogallo e Italia). Tuttavia l’impressione è che la crescita dei partiti di estrema sinistra non sia stata generalizzata come per i partiti populisti ed euroscettici (solo otto paesi su ventotto hanno registrato un aumento della percentuale di consensi). Se a questo dato aggiungiamo quanto già detto inizialmente riguardo la perdurante scarsa rappresentanza di GUE-NGL in Europa (solo sedici paesi su ventotto hanno presentato una lista legata a GUE-NGL) ed il problema delle soglie di sbarramento (che a ben vedere è più un problema di dispersione del voto, come si è osservato per l’Italia nel 2009 e per la Croazia nel 2013) il risultato, comunque al di sotto di molte aspettative, comincia ad acquisire una logica compiuta.

    In ogni caso è giusto sottolineare ancora l’importanza per GUE-NGL di un’inversione di tendenza rispetto alle ultime elezioni, inversione di tendenza che tuttavia dovrà nel corso di questa legislatura consolidarsi e strutturarsi attorno ad una piattaforma programmatica ben definita, in grado di dare al progetto delle solide basi da cui ripartire verso il 2019. Buona parte dell’incremento registrato infatti può essere identificato all’interno di quel sentimento di protesta verso lo status quo attuale dell’Unione su cui molti hanno lavorato per guadagnare consenso. Tra cinque anni potrebbe essere molto più difficile la riproposizione di determinate caratteristiche di contesto. Urge dunque un rafforzamento del partito a livello europeo e della sua rete di partiti nei vari paesi membri. Solo in questo modo sarà possibile dare un senso ed un futuro alla sinistra radicale in Europa.

     


    [1] A questo proposito si veda l’articolo apparso su questo sito “Dal PCI a Tsipras, il cammino della sinistra radicale in Europa”.

  • Finland and Denmark: Unprecedented win for the far-right in Denmark, while Finland rewards established parties from the centre

    Finland and Denmark: Unprecedented win for the far-right in Denmark, while Finland rewards established parties from the centre

    Nina Liljeqvist and Kristian Voss

    Finland

    Populist and EU-critical Finns Party (PS) were expected to pose a serious challenge to the established parties in the Finnish election to the European Parliament last Sunday. Having achieved tremendous success in the national elections in 2011, and continuing to ride high on the Euroskeptic sentiments this spring, the PS aimed to increase their number of seats in the European Parliament from one to three, with polls having predicted that the party would receive as much as 21% of the votes. However, the Euroskeptic sensation never happened in Finland. This may be partly explained by the fact that the party did not have a prominent top-candidate, or rather, by the fact that this top-candidate was not charismatic party leader Timo Soini who has decided to focus on domestic politics instead. PS did increase their support compared with the 2009 election, scoring 12.9% and consequently gaining one seat, but this result is obviously far from what they were hoping for. Instead, the Finnish electorate favoured established parties in this year’s European election. The liberal conservative National Coalition Party (KOK), which is the party of current Prime Minister Jyrki Katainen, kept its grip on the electorate with 22.6% of the votes, thereby securing the three seats it currently has in the parliament. One explanation for this success is the vote magnet Alexander Stubb, current minister for European affairs and foreign trade, who single-handedly got the party 8.6% of the vote share. While Finnish elections to the European Parliament do tend to become candidate centred due to the use of open party lists, Stubb’s achievement is nonetheless remarkable. As a former MEP with a PhD in international politics and a previous career as a EU civil servant, KOK top-candidate Stubb has added expertise and know-how to the campaign without making the party overly pro-European. Vis-à-vis European equivalents on the centre-right, the KOK is rather less pro-Europe, including preferring a freer internal market from bureaucratic red tape, and opposing debt sharing and the transformation of the EU into a military alliance.

    Nina Liljeqvist is a PhD researcher in political science at the European University Institute, Florence, and a research fellow at the Swedish parliament for the parliamentary session 2014/15. Her research interests lie in the area of comparative politics, and more specifically in representative democracy, European integration, and Nordic politics.
    Kristian Voss has a PhD in political science from the European University Institute, Florence. His main research interests are generally comparative party politics, political ideology, and American politics, and specifically contemporary and interwar far right political parties and ideology, political ecology and environmentalism, patronage and clientelism, and the United States Congress.

    The four coalition partners of KOK had less of a successful election. The biggest disappointment might be the Social Democrats (SDP), having failed terribly at mobilising its voters, despite taking a pragmatic position insisting on improvements to the EU, including the continuation of free and fair trade and opposing joint liability of cross-country debts, in addition to typical social democratic positions. Expecting to increase its share of votes thanks to a revamped party leadership, the SDP instead lost over five percentage points to garner only 12.3%. A disappointing result for a party that averaged 20% of the votes in the 1990s. In spite of this, the party managed to secure two seats in parliament. The other coalition party that self-reportedly sits on the centre of the political spectrum, the Green League, also lost several percentage points since 2009, and now enjoys only 9% of the vote share, thereby losing one of its two seats. The situation looks better for the liberal-centrist coalition partner the Swedish People’s Party, which is intensely pro-Europe. In spite of low polls this spring, the party managed to hold on to their one seat in the Parliament by securing just under 7% of the votes. The other coalition partner on the right, the Christian Democrats, suffered a bittersweet election as it lost its one seat in the parliament despite increasing its vote share by one percentage point to 5.2%.

    The situation is not bleak for all parties of the political centre. Opposition party the Centre (KESK) had an impressive election as it received 19.7% of the votes, thereby easily surpassing both the PS and the SDP. Suffering from internal divisions on the issues of European integration, the party offers voters a homespun mix of pro- and anti-Europe policies. On the one hand, it favours a more practical and pragmatic cooperation with subsidiarity as an important principle, especially for the issue of agriculture. At the other hand, KESK advocates returning the EU to more of its supposed original role as promoting free trade and peace, which is also the rhetoric of many parties expressing elements of Euro-skepticism. With this combination of messages, KESK managed to keep up the positive wave the party has been riding lately, as it came fourth in the 2011 general election, third in the recent local election, and now emerges as the second largest Finnish party represented in the European Parliament. Also, the Left Alliance (V), which left the ‘six-pack’ cabinet in March, had a remarkable election as it won back votes lost in the 2009 election. With an increase by three percentage points, the party now enjoys over 9% of the vote share and one seat in the Parliament. While V leader Merja Kyllönen regrets that the success of the left has happened at the expense of the SDP, as was indeed the case in large parts of Europe, she is satisfied about the party’s comeback in the political arena in Finland, as in Europe at large.

    Table 1 – Results of the 2014 European Parliament elections – FINLAND
    Party

    EP Group

    Votes (%)

    Seats

    Votes (change from 2009)

    Seats (change from 2009 post-Lisbon)

    Röster 2009

    Platser

    National Coalition Party (KOK)

    EPP

    22.6

    3

    -0.6

    +0

    23.2

    3

    Centre Party (KESK)

    ALDE

    19.7

    3

    +0.7

    +0

    19

    3

    Finns Party (PS)

    EFD

    12.9

    2

    +3.1

    +1

    9.8

    1

    Social Democratic Party (SDP)

    S&P

    12.3

    2

    -5.2

    +0

    17.5

    2

    Green League (VIHR)

    G-EFA

    9.3

    1

    -3.1

    -1

    12.4

    2

    Left Alliance (V)

    GUE-NGL

    9.3

    1

    +3.4

    +1

    5.9

    0

    Swedish People’s Party (SFP)

    ALDE

    6.7

    1

    +0.6

    +0

    6.1

    1

    Christian Democrats (KD)

    EPP

    5.2

    0

    +1.0

    -1

    4.2

    1

    Other

    n/a

    2

    0

    +0.1

    +0

    1.9

    0

    Total

    98.0

    13

    100

    Turnout (%)

    40.9

    +0.6

    Legal threshold for obtaining MEPs (%)

    none

    Note: The 13 seats are distributed in proportional elections, using the open list d’Hondt method, where voters vote for an individual, but the individual’s vote is counted primarily for the party and secondarily for the candidate. The entire country is a single electoral constituency without legal threshold.
    EP group abbreviations: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits

    Cannibalism on the left flank aside, it may be said that the Finnish election contains few political sensations. Despite an absolute loss of votes, the five-party cabinet is performing surprisingly well in a context where the political elite has received a severe bashing from the public. In neighbouring EU-member states Sweden and Denmark, government parties performed much worse. And, while the left camp in Finland did not do as well as its Swedish colleagues, the real underperformer was the nationalist PS. It is underperforming as three major tendencies in Finnish politics theoretically should have worked in its favour. First of all, there is a strong Euroskeptic trend in Europe, as indeed in Finland. With six extra-parliamentary parties fighting for seats in the European Parliament on the basis of EU-critiques, several flavours of Euroskepticism were on the menu. Secondly, compared to PS’s previous election results in the national election in 2011 in which the party experienced a significant success, many expected the PS to maintain this momentum. With national elections usually focused on national issues and not the EU, it did not appear far-fetched to expect the PS to improve in this arena. Also, the PS campaign has been absent of any overt blunders. Thirdly, the presence of the Euro(crisis) should play in their hands. One might therefore think that it would be in Finland that the far-right will advance and not in the Nordic neighbours in the west. Instead, Finnish voters defied this trend and rewarded parties on the centre-right and far-left.

    Denmark

    This stands in particular stark contrast to the election results in Denmark, where the far-right Danish People’s Party (DF) undoubtedly secured an overwhelming victory to almost double it’s vote share. With 26.6% of the votes, and four of Denmark’s 13 seats, DF emerges as the largest Danish party in the European Parliament. Morten Messerschmidt, DF’s top-candidate and the Danish politician to receive the most personal votes in history, interpreted the victory as: “I see it as a clear indication that the Danes want the EU back on track… Around Europe we are some democratic, civilised but EU critical parties … who now try to steer back the EU to what it is all about.” For the DF, as for the Swedish Sweden Democrats, the EU is all about the inner market, which they both favour and wish to have full access to. But, the European project becomes uncomfortable when it starts regulating issues that they see as national. Hence, the anti-immigration and pro-law and order DF laments the decline of Danish sovereignty, or the increase in the power of the EU regarding foreign policy, social welfare, or immigration, and particularly views open borders as having led to a significant increase in crime committed by EU citizens from Central and Eastern Europe.

    The second largest party is the Social democrats, party of prime minister Helle Thorning Schmidt, and comparably received 19.1% of the votes and three seats, which is a decrease by 2%. This is a disappointing result, but not as disappointing as that of the Liberals, the party of government from 2001 to 2011 that suffered a relatively humiliating decline to 16.7% of the votes and two seats, prompting a lot of soul searching. The Conservative People’s Party and Socialist People’s Party both presumably lost votes to the DF, respectively declining in support to 11% and 9.1% of the votes and one seat each. The only other successful parties included the left-of-centre and government party the Social Liberals and right-of-centre Liberal Alliance, as both increased their vote shares by over 2%. Yet this was only enough for the former to re-enter the European Parliament for the first time since the 2004 election. Finally, cross-political People’s Movement against the EU managed to maintain its support of over 8% and one seat, although this result pales in comparison to the great successes achieved in elections in the 1980s, as the far right has taken control of Euroskepticism.

    In other words, while established parties are overrun by the far right in relatively well-off Denmark, we see a different picture in Euro-crisis stricken Finland. With a closer look at these cases, however, it is not very surprising. In Denmark, as in probably most European countries, the socio-economic left-right dimension is increasingly overshadowed by a different dimension, namely that of the international versus the national. Either you consider Europe as a possibility, or you consider it as a threat. Danish People’s Party masters the art of capitalizing on this development, whereas traditional parties do not. To this, there is a related evolution regarding how parties cater to voters’ Euroskeptic sentiments. There is considerable movement across the left-right spectrum here. In the 1970s, 80s, and even 90s, it was the left, or centre-left, in Denmark that provided voters with an EU critical alternative to the pro-European centre and centre-right. The first MEP of the Progress Party, which the Danish People’s Party split from in 1995, was Mogens Camre, who was a MP for the Social democrats in the early 1970s and voted against EC-membership along with several other social democrats. As the European project shifted, however, bringing about change that appealed to the left camp, the opposition against the EU shifted. And voters, and indeed partisans as Camre, followed it over there. With the decline of cross-party People’s Movement against the EU, which cooperates with any party on the left-right apart from the far-right, the DF is consequently the most easily perceived alternative for Euro-skeptics. But (and that is a big but), here Euroskepticism is nested in a far-right ideology.

     

    Table 2 – Results of the 2014 European Parliament elections – Denmark
    Party

    EP Group

    Votes (%)

    Seats

    Votes (change from 2009)

    Seats (change from 2009)

    Danish People’s Party (DF)

    EFD

    26.6

    4

    +11.3

    +2

    Social Democrats (S)

    S&D

    19.1

    3

    -2.4

    -1

    Liberals (V)

    ALDE

    16.7

    2

    -3.5

    -1

    Socialist People’s Party (SF)

    G-EFA

    11

    1

    -4.9

    -1

    Conservative People’s Party (K)

    EPP

    9.1

    1

    -3.6

    +0

    People’s Movement against the EU (N)

    GUE-NGL

    8.1

    1

    +0.9

    +0

    Radical Liberals (RV)

    ALDE

    6.5

    1

    +2.2

    +1

    Liberal Alliance (LA)

    NI

    2.9

    0

    +2.3

    +0

    Total

    100

    13

    Turnout (%)

    56.4

    -1.3

    Legal threshold for obtaining MEPs (%)

    none

    Note: The d’Hondt method of proportional representation is used. The country is one single constituency.
    EP group abbreviations: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits.

    Conclusion

    The comparison of the Danish and Finnish cases tells us that the success of the far-right may be explained by economic factors, non-economic Euroskepticism, how well the far-right party campaigns, as well as the response of other parties to their presence. Essentially, how mainstream parties answer to the challenge of the far-right plays an important role. In Denmark, other parties have not effectively replied sufficiently to the Euroskeptic views of voters, neither by offering policy options nor by addressing the debate, so the DF remains as either the more genuine or the more distinct regarding Euroskepticism. In Finland, a quite different development has taken place over the last few years. Cognisant of the appeal of the PS and Euroskepticism, the Finnish government has hardened their stance on EU negotiations, such as demanding unanimity for decision-making of the European Stability Mechanism, and blocking the entry of Rumania and Bulgaria into the Schengen area. That is, as voters’ Euroskepticism became clear for any one to see due to the success of the PS in 2011 national election, the government parties have shifted their stance in national EU policies. It is too early to say if this marks the beginning of a fundamental change in Finnish integration policy, but at least it seems as if this shift towards the EU has absorbed some of the Euroskeptic sentiments, which only three years ago seemed so profuse. Again, this goes to show that the success of Euroskepticism and far-right parties is partially explained by the nature and degree to which the established parties on the centre-left and centre-right respond. Traditionally thought of as a very homogenous group of countries, this story also indicate how different the political landscapes are in the Nordic corner(s) of Europe actually are.

    References

    Green-Pedersen, C (2012) A Giant fast Asleep? : Party Incentives and Politicization of European Integration. Political Studies, Vol. 60, p. 115-130.

    Raunio, T & Wiberg, M (2008) Too little, too late? : Comparing the Engagement of Nordic Parliaments in European Union Matters. In Barrett, G., ed. National Parliaments and the European Union: the Constitutional Challenge for the Oireachtas and Other Member State Legislatures. Dublin: Clarus Press.

     

     

  • Belgium: far beyond second-order.

    Belgium: far beyond second-order.

    Tom Verthé

    In Belgium the elections for the European Parliament have in the past always been held together with the regional elections. Because of this particularity the European elections have long since been considered second-order elections in Belgium (Reif & Schmitt, 1980; Van Aelst & Lefevere, 2012). Because of the split in the party system since the 70s, the regional elections in Belgium are clearly a first-order election since, for the larger part, there is no difference in terms of voting population and party offer between the regional and federal elections (Russo & Deschouwer, 2014). Federal (and even European) elections in Belgium are – at least from an institutional and organizational perspective – almost entirely regional (see the additional note under Table 1 for a more detailed description of the electoral system utilized for the European election). Another reason for its first-order character is the absence of a link between the regional elections and the federal government formation (Schakel & Jeffery, 2013).

    The campaign

    All of this holds for the period up to 2014. On 25th May, however, Belgium went to the polls for three elections instead of two. As a result of the 6th state reform by the Di Rupo government, the federal, regional and European elections will from now on always be held on the same day. For this reason the federal elections will be held every five years, instead of every four, to match the European election cycle. In case the federal government is prematurely toppled new national elections can be held, but the resulting government can only stay on until the next European election and will then automatically have to resign.

    Tom Verthé is pursuing a PhD in Political Sciences at the Vrije Universiteit Brussel. He is a researcher and research manager for the PartiRep project. His work focuses mainly on the strategic behaviour of parties and voters, and in particular on pre-electoral coalition formation and strategic and coalition voting.

    Belgians thus not only voted for the European and regional parliaments, but also for the federal one. This is an extremely important difference knowing that the last federal elections took place when the government fell in 2010 and the resulting coalition negotiations took no less than 541 days, an absolute world record.

    In the 2012 municipal elections the Flemish nationalists of the New-Flemish Alliance (N-VA) scored big in Flanders (the northern, Dutch-speaking part) and the pre-election polls showed they would easily become the biggest party in Flanders this time around as well and even continue to grow bigger. The incredible rise of N-VA has raised serious concerns for the feasibility of the next federal coalition formation. It was feared that their continued success would test the limits of the Belgian federal construction. The entire campaign was thus dominated by the federal election and what would happen with the post-election coalition negotiations, overshadowing even the regional elections. The European one came third in line, and at quite a distance. Stating that the European election served as a third-rate election (Irwin, 1995) is not an exaggeration. Europe was almost completely absent from the run-up to the elections. Apart from the obligatory television debate, Europe was not an issue in the campaign.

    This might sound strange for a country that was a founding member of the EU and is the host of the Commission and the European Parliament (for three quarters of the time at least). Belgium also provides the President of the European Council, Herman Van Rompuy, and unlike the vast majority of the EU member states it also had one of the official candidates for the Commission presidency: former Belgian Prime Minister Guy Verhofstadt of the Alliance of Liberals and Democrats for Europe.

    Yet, despite all that, Europe never surfaced as a full-fledged campaign item. Media mostly focused on the national issues and when they did turn their eyes to the EU it was mostly to assess the chances of Guy Verhofstadt becoming President of the Commission.

    An additional reason for the absence of the EU in the electoral campaign can be found in the lack of anti-European parties. The only anti-European party that cleared the threshold is the extreme-right Flemish Interest (Vlaams Belang). They want to get rid of the EU because it infringes upon the right of individual countries to regulate (i. (https://loscoches.com/) e. restrict) immigration and uphold their borders. They promote the idea of a confederation of nation-states as an alternative for the EU, rather than moulding the EU into a more federal framework. In 2009 there was another Belgian Eurosceptic party that got into the EP, List Dedecker (LDD). The party was only popular for a short while and the polls showed they would have great difficulty conquering a single seat in the federal or Flemish parliament this time around. The party president thus decided to stand in just one province for the federal election, which was regarded as the best strategic choice. Its EP seat was thus vacated before the elections even took place. None of the other parties could profit from this though, since Belgium (and more specifically the Dutch-speaking electoral college) lost one seat by default in the reshuffling due to the EU-expansion and the new cap on the number of MEPs.

    The results

    As you can see from the results there was one very clear winner. The New-Flemish Alliance gained almost 17 percentage points and conquered one third of the seats in the Dutch-speaking electoral college. This is completely thanks to its success at the federal and regional level. N-VA’s views on Europe are quite blurry. On the one hand they question whether the EU should keep all of the competences it currently owns, but on the other hand they claim that Flemish independence – their core issue – will only be possible within the context of a stronger EU. The EU thus only served (marginally) as a support for its nationalist agenda and not as a separate campaign item. It suffices to say that rallying voters around a European theme does not drive their current success. During the campaign they also made it clear they want to leave the Greens – European Free Alliance party group, but refused to say which other party group they would be joining after the election.

     

    Table 1 – Results of the 2014 European Parliament elections – BELGIUM
    Party

    EP Group

    Votes (%)

    Seats

    Votes (change from 2009)

    Seats (change from 2009)

    Dutch-speaking electoral college
    Open Flemish Liberals & Democrats (OPEN VLD)

    ALDE

    20.4

    3

    -0.2

    =

    New-Flemish Alliance (N-VA)

    G-EFA

    26.7

    4

    +16.8

    +3

    Flemish Christian Democrats (CD&V)

    EPP

    20.0

    2

    -3.3

    -1

    Greens (GROEN)

    G-EFA

    10.6

    1

    +2.7

    =

    Socialist Party Different (SP.A)

    S&D

    13.2

    1

    -0.1

    -1

    Flemish Interest (VLAAMS BELANG)

    NI

    6.8

    1

    -9.1

    -1

    Labour Party (PVDA+)

    2.4

    0

    1.4

    =

    List Dedecker (LDD)

    ECR

    0

    -7.3

    -1

    French-speaking electoral college
    Socialist Party (PS)

    S&D

    29.3

    3

    +0.2

    =

    Reform Movement (MR)

    ALDE

    27.1

    3

    +1.1

    +1

    Ecologists (ECOLO)

    G-EFA

    11.7

    1

    -11.2

    -1

    Christian Democrats & Humanists (CDH)

    EPP

    11.4

    1

    -2.0

    =

    Popular Party (PP)

    6.0

    0

    +6.0

    =

    Belgian Workers’ Party (PTB-GO!)

    5.5

    0

    +4.3

    =

    Other

    9.1

    0

    German-speaking electoral college
    Christian Social Party (CSP)

    EPP

    30.4

    1

    -1.9

    =

    Ecologists (ECOLO)

    G-EFA

    16.7

    0

    +1.1

    =

    Party for Freedom & Prosperity (PFF)

    ALDE

    16.1

    0

    -4.3

    =

    Socialist Party (SP)

    S&D

    15.1

    0

    +0.5

    =

    Pro German-speaking Community (PRO DG)

    13.2

    0

    +3.2

    =

    Other

    8.6

    0

    Total

    100

    21

    -1

    Turnout (%)

    89.7

    -0.7

    Legal threshold for obtaining MEPs (%)

    none

    Note: The 21 Belgian MEPs are elected in three separate electoral colleges: the Dutch-speaking (12), French-speaking (8) and German-speaking (1) electoral college. These colleges represent the three language communities and they have geographically distinct electorates. Only in Brussels voters have the option to vote as a member of the Dutch- or French-speaking community. It is impossible for any voter to vote as a member of more than 1 electoral college. Because of this, it would be quite confusing to report the election outcome for the country as a whole, since the fixed number of seats per community is distributed within each electoral college. The party scores thus total 100% for each electoral college separately.
    EP group abbreviations: EPP=European People’s Party; S&D=Progressive Alliance of Socialists and Democrats; ALDE=Alliance of Liberals and Democrats for Europe; G-EFA=The Greens–European Free Alliance; ECR=European Conservatives and Reformists; GUE-NGL=European United Left–Nordic Green Left; EFD=Europe of Freedom and Democracy; NI=Non-Inscrits.

     

    The traditional parties that made up the outgoing federal government – social democrats, Christian democrats and liberals – largely managed to stand their ground, which is quite remarkable in the current political climate. Apart from a small loss for the Flemish Christian democrats (CD&V), it seems it was mostly the extreme-right Flemish Interest (Vlaams Belang) that paid for the victory of N-VA. On election night it was even unclear for a while whether they would still be represented in the EP at all. In the end it turns out they will, but it was a close call.

    Another remarkable decline is that of the French-speaking ecologists (ECOLO), especially when compared to the fact that their Dutch-speaking sister party gained almost 3 percentage points (even though this did not result in an extra seat). These results also mimic the federal and regional ones. Some have stated that a green party that scored over 22% in the 2009 EP elections had no way to go but down. A probable explanation could also be found in the fact that they – at least in part – paid for the rise of the communist left (PTB-GO!) in Wallonia and Brussels. These allegations will have to be verified by other means, but it is quite clear that the answers should not be sought at the European level.

    The single EP seat in the German-speaking electoral college (with a population of roughly 77.000) has been held by the Christian Social Party (CSP) since 1994 and remains quite firmly in their possession.

    Conclusion

    There have been quite some shifts at the last European elections in Belgium. The traditional parties making up the outgoing federal government managed to hold more or less steady. The bigger shifts can be found a bit more left and right on the ideological spectrum. Unlike for other European countries it would, however, be a mistake to interpret this in the light of some anti- or pro-European sentiments. In Belgium the elections for the European parliament were never part of parties’ campaigns, nor were they a hot topic during any of the debates in any of the media. The most important cause of this is probably the coincidence of federal, regional and European elections. The federal and regional elections took precedence over the European one, which comes at no surprise given the recent Belgian political history. The question as to what caused these vote fluctuations obviously needs to be further investigated on the basis of election data, voter surveys, etc. and it is possible that some part of the population did indeed cast its vote for the EP with European motives in mind. But most of the answers will for sure not have to be sought at the European level. And if from now on the regional, federal and European elections will be held on the same day – as has been agreed upon – chances are the European parliament election will have a very hard time moving up from its third-rate status in Belgium.

     

    References

    Irwin, G. (1995) Second-order or third-rate? Issues in the campaign for the elections for the European parliament 1994. Electoral Studies 14 (2): 183-199

    Reif, K., and H. Schmitt (1980) Nine 2nd-Order National Elections – a Conceptual Framework for the Analysis of European Election Results. European Journal of Political Research 8 (1): 3-44.

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