Autore: Aldo Paparo

  • Flussi fra Camera e Senato: fra i giovani crollo del Pd e successo del M5s

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    Abbiamo già osservato come i risultati elettorali fra Camera e Senato presentino alcune rilevanti differenze. In particolare ricordiamo che le coalizioni guidate da Berlusconi e Bersani sono andate meglio nella corsa per Palazzo Madama: circa un punto e mezzo meglio la prima, oltre due la seconda. A farne le spese i due nuovi poli: il M5s ha preso il 25,6% alla Camera e il 23,8 al Senato; anche Monti scende dal 10,6 al 9,2%.

    Naturalmente sappiamo che la diversità dei sistemi elettorali per le due assemblee può avere determinato effetti opposti. Al Senato, specie nelle regioni decisive per la vittoria dell’uno o dell’altro schieramento, l’incentivo al voto strategico era maggiore che non alla Camera, dove la vittoria del centrosinistra appariva scontata, lasciando maggior spazio per l’espressione di un voto di tipo sincero o di protesta. Un altra potenziale fonte di divaricazione fra i risultati dei due rami del Parlamento risiede nel diverso elettorato. I cittadini maggiorenni che non abbiano ancora compiuto il venticinquesimo anno votano solo alla Camera: sono oltre quattro milioni e mezzo, il 10% degli elettori totali per Montecitorio.

    Avendo a disposizione i risultati a livello di sezione, è possibile isolare il comportamento elettorale dei giovani fra i 18 e i 24 anni, attraverso l’analisi dei flussi. L’elemento fondamentale è che la differenza fra gli elettorati di Camera e Senato è costituita esattamente da tale segmento della popolazione. Abbiamo scelto 5 capoluoghi di regione, variamente distribuiti in quanto a zona geografica: Torino, Milano, Firenze, Roma e Palermo. La tabella 1 riporta, per ciascuna delle città in questione, la distribuzione dei giovani fra le diverse scelte di voto, a confronto con l’elettorato della città in questione nel suo complesso.

    Tab.1 – Distribuzione percentuale degli elettori con età compresa fra i 18 e 24 anni compiuti. Confronto con gli elettori totali.

    Gli elementi più evidenti sono la sovrarappresentazione del M5s fra i giovani, cui fanno da contraltare le sottorappresentazioni del Pd. Ciò accade in tutti e 5 i casi che abbiamo analizzato, in misura variabile, ma mai marginale. Fra i giovani vota il Pd una quota appena superiore ad un terzo di quella degli elettori totali sia a Palermo che a Torino: la flessione registrata è quindi superiore al 60%; negli altri tre casi la contrazione varia fra il 30 e il 40%. Il M5s cresce fra i giovani del 20-25% a Firenze e Milano, attorno al 40% nei capoluoghi meridionali e addirittura del 70% a Torino.

    Così, se nel risultato complessivo il movimento guidato da Beppe Grillo è al secondo posto, dietro al Pd, in tutti le grandi città considerate; fra i giovani, solo a Firenze il partito di Bersani riesce a mantenere il primato. Negli altri casi è il M5s il primo partito nel bacino di elettori fra i 18 e i 24 anni. A Palermo raccoglie addirittura la maggioranza assoluta dei voti validi di questi; a Roma e Torino lo hanno votato due giovani su cinque.

    Interessante il comportamento di Sel. Il partito di Vendola registra di un buon risultato tra i giovani. Fra questi, a Firenze, è addirittura il terzo partito con una quota di voti pari a circa il doppio di quella che ottiene complessivamente. Anche a Torino Sel si conferma significativamente sovrarappresentata; a Roma e Milano lo è ma in maniera meno rilevante. E’ noto come i giovani tendano a votare partiti più estremi dell’elettore medio, in questo senso il Pd può aver pagato una concorrenza alla sua sinistra di un alleato di coalizione. In ogni caso, sembra essere stata  proprio l’alleanza con Sel ad avere mantenuto Bersani in linea di galleggiamento fra i giovani. Fa eccezione Palermo dove la coalizione nel suo complesso supera a malapena il 10% dei voti validi.

    Come il Pd, anche l’altro ex grande partito, il Pdl, non va bene nel bacino costituito dagli elettori fra i 18 e i 24 anni compiuti. Non solo non è mai sovrarappresentato ma Palermo, Roma e Milano è significativamente meno votato dai giovani. Nè si registrano, fra questi, risultati migliori per i suoi alleati.

    Per la coalizione di Monti non ci sono evidenze univoche. A Palermo ha raccolto poco meno del 5% sia fra i giovani che fra gli elettori totali; a Milano e Firenze risulta sovrarappresentata fra i giovani; a Torino e Roma, al contrario, è penalizzata fra questi, seppur in misura marginale.

    Veniamo infine all’astensione, l’ultima possibile scelta di voto su cui dobbiamo confrontare giovani e elettori complessivi. Con l’eccezione di Torino, emerge che i neoelettori sono stati più propensi all’astensione. In misura marginale nella capitale, più significativa a Milano e Firenze e ancor più spiccata a Palermo. Nel capoluogo siciliano, quasi la metà dei cittadini fra i 18 e 24 anni ha deciso di astenersi.

     


    Nota metodologica: tutte le analisi presentate sono state condotte con il modello di Goodman, corretto dall’algoritmo Ras. A Roma, Milano, Torino e Palermo sono state effettuate separatamente in ciascuno dei collegi uninominali per la Camera delle legge Mattarella e poi aggregate in matrici cittadine. A Firenze, invece, sono stati generati direttamente i coefficienti cittadini.

  • Le elezioni in Lombardia

    di Aldo Paparo e Nicola Maggini

    La locomotiva d’Italia è ancora la roccaforte del centrodestra berlusconiano. La coalizione di Pdl e Lega Nord ha vinto alla Camera, al Senato e anche alle regionali. Ed è una notizia. Certo, considerando la storia elettorale lombarda della Seconda Repubblica, un simile risultato potrebbe apparire scontato e facilmente pronosticabile alla vigilia. Ma tale non era, per diverse ragioni. La vittoria di Pisapia alle comunali milanesi del maggio 2011 aveva segnato una prima, allora davvero inattesa, vittoria del centrosinistra. L’anno successivo lo stesso era accaduto a Monza, il capoluogo della provincia cui appartiene Arcore.  Poi le inchieste della magistratura che nell’ultimo anno hanno coinvolto figure di spicco del centrodestra lombardo, a cominciare dal Presidente Formigoni nel suo quarto mandato consecutivo. Infine, la crisi politica interna alla maggioranza del Pirellone che aveva portato alle elezioni regionali anticipate, prima della frettolosa ricomposizione dell’alleanza fra Berlusconi e Maroni, con quest’ultimo candidato alla Presidenza. Tutto questo lasciava intendere che fosse possibile un ribaltamento degli storici rapporti di forza.

    Così non è stato. Oggi i partiti della coalizione guidata da Berlusconi hanno ottenuto poco più di 2 milioni di voti, pari al 35,7% dei validi totali. Cinque anni fa avevano invece la maggioranza assoluta con oltre 3,3 milioni di voti: il calo è di 1,3 milioni di voti. Di questi solo 200.000 ascrivibili al calo regionale dell’affluenza. Pdl e Lega hanno entrambi perso fra il 43 e il 45% dei voti ottenuti nel 2008.

    Il centrosinistra ha fallito l’occasione di avanzare sfruttando le momentanee debolezze del tradizionale avversario. Ha subito anch’esso un arretramento, seppur più contenuto rispetto a quello del centrodestra. Veltroni aveva raccolto quasi un terzo dei voti, mentre oggi Bersani si è fermato il 28,2%, con una flessione di quasi 4 punti percentuali. In termini assoluti i voti in meno sfiorano i 360.000. In particolare il Pd ha perso quasi il 15% dei voti del 2008. Come magra consolazione è il primo partito in tutte e tre le arene.

    Tab. 1 – Risultati elettorali in Lombardia: Camera, Senato, Regionali. Confronto con il passato.

    La coalizione di Monti ha registrato un risultato migliore che nel resto del paese: il 12,1%. I 3 partiti hanno preso in totale quasi 700.000 voti, aumentando di oltre una volta e mezzo i voti dell’Udc del 2008. Tale crescita è oltre il doppio di quella dell’Italia nel suo complesso.

    Anche in Lombardia comunque, il vero trionfatore è il Movimento 5 stelle, seppur con il risultato percentuale più basso fra tutte le regioni italiane (eccezion fatta per il Trentino-AA e la Val d’Aosta). Si è infatti fermato poco sotto il 20% dei voti, 6 punti percentuali in meno della sua media nazionale. In particolare due fattori possono avere giocato a sfavore di Grillo in Lombardia: la acclarata decisività del premio regionale al Senato, potrebbe avere indotto alcuni suoi potenziali elettori a fare voto utile in favore di uno dei due front-runner e poi confermare tale scelta alla Camera. A conferma di questo possiamo leggere il più marcato calo, rispetto alla media nazionale, registrato dal M5s al Senato.

    Il secondo fattore sono le elezioni regionali, in particolare l’elezione diretta e in un turno unico del Presidente che ottiene in dote la maggioranza assoluta del Consiglio. La candidata del M5s alla regione ha preso 6 punti percentuali meno rispetto alla Camera, smarrendo quasi un terzo dei voti. Di nuovo è possibile che qualche elettore incerto sul voto al Movimento abbia deciso di votare Ambrosoli o Maroni alle regionali e poi sia stato coerente alla politiche.

    Ambrosoli ha sfiorato il 40% dei voti maggioritari ed è riuscito a prendere oltre mezzo milione in più rispetto a Bersani e addirittura 200.000 voti in più di Veltroni nel 2008, quando i votanti erano stati molti di più. Anche Maroni va molto meglio della coalizione alla Camera, quasi 400.000 voti in più. Non riesce però del tutto ad arginare la generale flessione del centrodestra. Ha raccolto infatti 300.000 voti in meno di quelli di Formigoni nel 2010, quando i votanti furono un milione di meno. La flessione sfiora i 15 punti percentuali.

    Oggi la Lombardia appare una regione competitiva. Dovremo aspettare le future elezioni per capire se il centrodestra saprà riconquistare i suoi consueti livelli di consenso o se invece siamo all’inizio di un riallineamento elettorale.

  • Analisi dei flussi a Monza, Pavia e Varese

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    Presentiamo qui le matrici dei flussi elettorali fra politiche 2008 e 2013 in tre importanti città lombarde: Monza, Pavia e Varese. A cinque anni di distanza il centrodestra si è confermato prima coalizione in questi tre capoluoghi, seppur in forte calo: da circa la metà a circa un terzo dei voti validi. Percentualmente si tratta di contrazioni fra i 17 e i 21 punti. In particolare il Pdl ha perso 15 punti percentuali in tutti e tre i casi, mentre le perdite della Lega si sono mantenute fra i 6 e gli 8 punti. Lo stesso è accaduto nella regione nel suo complesso. L’anno scorso però le comunali di Monza avevano visto una clamorosa vittoria del centrosinistra contro un centrodestra diviso: il candidato berlusconiano era rimasto al di sotto del 40% al ballottaggio mentre il sindaco leghista uscente Mariani aveva raccolto appena il 10% al primo turno.

    Come il centrodestra, anche la coalizione guidata da Bersani ha subito un arretramento rispetto ai risultati ottenuti cinque anni fa, ma più contenuto: tra i 4 e i 5 punti. Tale risultato è in linea con il resto della regione. Monti ha aumentato i voti dell’Udc 2008 fra i 9 e i 10 punti percentuali, facendo di poco meglio rispetto a quanto registrato in tutta la Lombardia. Completa il quadro  M5s che ha raccolto fra il 16,2 e il 18,7% dei voti, con una leggera flessione rispetto al risultato regionale.

    Le tabelle 1, 2 e 3 riportano le matrici di flussi fra 2008 e 2013 per le città analizzate. Il Pd presenta i valori di fedeltà più elevati, sempre abbondantemente al di sopra del 50%. Dobbiamo però segnalare come una frazione mai inferiore al 10% si sia astenuta. Per il resto non si segnala alcun altro rilevante movimento in uscita dal bacino 2008, con l’eccezione di quello a favore del M5s a Pavia (22%).

    Il Pdl non subisce defezioni verso il M5s ma cede circa un quinto degli elettori 2008 alla coalizione di Monti. Inoltre vi sono perdite altrettanto significative verso il non voto, seppur maggiormente diversificate nei tre casi. Non viene stimato passaggio diretto a vantaggio di Bersani. I tassi di riconferma del Pdl sono quindi compresi tra il 41 e il 54%. La Lega presenta tassi di riconferma caratterizzati da una maggiore variabilità, fra un terzo e i tre quinti degli elettori 2008. Contrariamente al principale alleato, perde (e molto) verso il M5s  ma non verso l’astensione. Questa permeabilità dell’elettorato del Carroccio alla penetrazione grillina conferma quanto già emerso in occasione delle elezioni comunali dello scorso anno.

    I tre quarti degli elettori Udc 2008 non hanno votato la coalizione di Monti, solo a Varese la porzione che ha scelto il premier uscente è stata un po’ più grande, ma comunque inferiore ai due quinti. Le fuoriuscite risultano piuttosto diverse di città in città: in massa verso l’astensione a Monza, a metà fra Bersani e Berlusconi a Pavia e principalmente verso il M5s a Varese.

    L’elettorato 2008 che presenta le maggiori defezioni verso il M5s è quello della Sinistra Arcobaleno: la metà circa in tutti e tre le città.

    Tab. 1 – Flussi elettorali a Monza: destinazioni 2013 degli elettorati 2008 dei vari partiti

    Tab.  2 – Flussi elettorali a Pavia: destinazioni 2013 degli elettorati 2008 dei vari partiti.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Varese: destinazioni 2013 degli elettorati 2008 dei vari partiti.

    Una delle domande più interessanti cui è possibile rispondere attraverso la lettura dei flussi è cosa avessero votato nel 2008 coloro che oggi hanno scelto il M5s. La tabella 4 riporta la composizione percentuale dell’elettorato grillino nei nostri tre casi. Come si può osservare, le quote più rilevanti provengono da ex-elettori della Lega nord. Fa eccezione Pavia dove quasi la metà aveva scelto Veltroni cinque anni fa. A Monza e Varese i voti in entrata dal Pd valgono invece solo il 12% e  il 23% dell’elettorato grillino totale.

    Dalla Sinistra arcobaleno proviene una quota fra il 7 e il 10%. Come già visto, il Pdl si è rivelato il partito più capace di resistere all’avanzata del M5S: solo a Varese una piccola frazione dei movimentisti proviene da qui (uno su venti).

    Guardando complessivamente alla composizione dell’elettorato del M5s, sono in maggioranza ex elettori di centrosinistra i grillini di Pavia, più ex berlusconiani (leghisti) quelli di Monza, in parti uguali fra le due coalizioni a Varese.

    Infine, il bacino del M5s si alimenta di una quota consistente di rimobilitati, cioè coloro che in occasione delle precedenti politiche si erano astenuti: da questi arriva fra l’8 e il 14% dei suoi voti.

    Tab. 4 – Provenienze 2008 degli elettori 2013 del M5s nei capoluoghi analizzati.

    Riassumendo, sottolineiamo la maggior tenuta del Pd: nei tre casi analizzati, il suo tasso di fedeltà è superiore al massimo dei due principali partiti del centrodestra. Inoltre abbiamo osservato due distinte tendenze all’interno della coalizione berlusconiana. Il Pdl ha ceduto verso Monti quote rilevanti, mentre i suoi delusi più periferici hanno preferito astenersi. Al contrario i leghisti, scontenti dell’alleanza col Pdl o delusi generici, hanno preferito votare per il M5s. Completano il successo grillino i voti ottenuti dal centrosinistra, bacino che invece si è dimostrato refrattario alla proposta di Monti.

  • I dati geografici sull’affluenza sembrano favorevoli al centrosinistra

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    In attesa che si chiudano le urne e inizi lo spoglio, presentiamo un’analisi sulla partecipazione elettorale che può forse farci intuire come andranno le cose.

    Abbiamo correlato la variazione rispetto alle precedenti politiche nell’affluenza registrata ieri sera alle 22 nelle diverse province, con i risultati delle due coalizioni (e dei rispettivi principali partiti) alle politiche del 2008. Nel centrosinistra sono sommati il Pd, l’Idv, il Ps e la Sa. Il centrodestra è costituito da Pdl, Lega, Mpa e Destra. La tabella 1 riassume i risultati di tali correlazioni, presentando anche il relativo livello di significatività.

    Tab. 1 – Correlazioni fra la variazione dell’affluenza (2013-2008) delle ore 22 e i risultati delle politiche 2008.

    Come si può osservare, tutte le correlazioni effettuate risultano alte ed estremamente significative. Ad esempio, la varianza nella dell’affluenza spiegata dalla differenza nel 2008 tra centrosinistra e centrodestra sfiora il 17%. In generale si nota come la forza elettorale nel 2008 del centrosinistra e del Pd sia correlata positivamente all’aumento dell’affluenza. Al contrario, la correlazione è negativa fra i voti 2008 del centrodestra e del Pdl e la crescita della partecipazione. Ciò significa che il calo dell’affluenza è stato particolarmente marcato nelle aree in in cinque anni fa il centrodestra andò meglio e invece più contenuto laddove il centrosinistra si era difeso. Non possiamo concludere che siano stati proprio gli elettori di centrodestra a disertare maggiormente le urne, ma sulla base di queste analisi si può comunque ipotizzare che vi possa essere stato un’astensionismo asimmetrico che potrebbe avvantaggiare Bersani.

    Fig. 1 – Relazione fra variazione dell’affluenza (2013-2008) delle ore 22 e vantaggio del centrosinistra sul centrodestra nel 2008.

  • Gli scenari possibili nella lotteria del Senato 2013

    di Aldo Paparo

    A pochi giorni dal voto è ormai chiaro come la partita decisiva si giochi al Senato, ed in particolare in alcune regioni chiave la cui vittoria può spostare molti seggi, risultando determinante per il conseguimento o meno di una maggioranza e quindi per la formazione del prossimo governo. Cerchiamo qui di riassumere quali sono gli scenari cui ci potremo trovare di fronte lunedì sera.
    Presentiamo innanzitutto le composizioni del Senato derivanti da simulazioni che si diversificano per il risultato di tre grandi regioni incerte: Lombardia, Veneto e Sicilia. Per queste analisi i dati di base sono quelli degli ultimi sondaggi regionali pubblicati prima del divieto imposto dalla legge. Rispetto a tali dati abbiamo ritoccato verso l’alto le percentuali del M5s, coerentemente con le ipotesi di una sua sottostima nelle rilevazioni campionarie e di una possibile crescita nelle ultime due settimane prima del voto. Inoltre abbiamo attribuito i seggi non assegnati con il premio (Valle d’Aosta, Trentino, Molise ed estero) secondo nostre valutazioni. Abbiamo poi nelle successive simulazioni ipotizzato le minime variazioni dei dati originari necessarie ad ottenere il risultato desiderato.

    Tab. 1 – Distribuzione dei seggi al Senato nelle diverse possibili combinazioni di vincitori nelle regioni più incerte.

    Come si vede il centrosinistra può ottenere un massimo teorico di 178 seggi, nel caso di vittoria in tutte le 17 regioni col premio, e mantiene una buona maggioranza perdendo una fra Sicilia e Veneto. La maggioranza diventa risicata nel caso invece di sconfitta in Lombardia o contemporaneamente in Sicilia e Veneto. Perdendo almeno un’altra regione oltre la Lombardia, Bersani non potrebbe più fare a meno del sostegno dell’attuale premier: la somma dei seggi del centrosinistra e di Monti garantirebbe una maggioranza di 175 senatori anche nel caso di vittorie altrui nelle tre regioni considerate. Abbiamo anche ipotizzato una flessione della lista di Monti, che ne precluda il raggiungimento dell’8% in alcune regioni. Nella parte centrale della tabella, tali debaclè avvengono nelle 5 regioni in cui i sondaggi prima del blackout mostravano la sua maggiore debolezza. La perdita è di 6 seggi in tutto, 4 vengono conquistati dal centrodestra e 2 dal M5s. Nessuno dal centrosinistra che in tali regioni ottiene comunque i seggi del premio. Nella parte di destra della tabella abbiamo aggiunto alle regioni in cui Monti non supera la soglia anche la Lombardia. In questo caso verrebbero pesi ben 5 seggi in un sol colpo: 2 sarebbero ottenuti dal M5s, 3 dal perdente fra centrodestra e centrosinistra  delle diverse ipotesi.
    In realtà anche il Friuli è incerto. Non lo abbiamo incluso come variabile nella tabella perché l’avrebbe resa eccessivamente pesante e per via dello scarso peso della regione. Comunque, per ciascuna riga, per ottenere il risultato nel caso di vittoria del centrodestra in Friuli, è sufficiente sottrarre 3 seggi al centrosinistra e aggiungerli al centrodestra.
    Come abbiamo visto la prima riga della precedente tabella mostra il miglior esito possibile per il centrosinistra e da lì incastra le diverse possibili sconfitte. Mostriamo ora il limite estremo dall’altro versante: come finirebbe nel caso di uno straordinario successo del centrodestra, il massimo che ci sembri realizzabile. In queste simulazioni Bersani vincerebbe solo nelle quattro regioni della zona rossa e in Liguria, Lazio, Sardegna e Basilicata. Berlusconi conquisterebbe invece in premio nella maggioranza delle regioni, le restanti 9. Come di distribuirebbero i seggi in tale eventualità è riportato nella tabella 2.

    Tab. 2 – Composizione del Senato nel miglior caso pronosticabile per il centrodestra.

    Anche in questo caso abbiamo ipotizzato, rispetto allo scenario di base, un crollo della lista montiana. Sempre nel tentativo di delineare il miglior scenario possibile per il Cavaliere, abbiamo concentrato i risultati sottosoglia nelle regioni attribuite al centrosinistra, in maniera da massimizzare la conquista da parte del centrodestra dei seggi persi da Monti: prima nelle sole 4 regioni della zona rossa e poi in tutte e 8 quelle di Bersani. Possiamo osservare come il centrodestra non possa conquistare la maggioranza assoluta dei seggi al Senato. Anche nella migliore delle ipotesi ne mancherebbero una ventina alla fatidica quota 158. Non basterebbe neppure vincere a sorpresa in Lazio, Liguria e Sardegna, ipotizzando quindi per Bersani le stesse sole cinque vittorie di Veltroni nel 2008. Il massimo risultato conseguibile dalla coalizione guidata da Berlusconi sembra essere quello di rendere impossibile la formazione di alcun governo, se non uno sostenuto da una improbabile riedizione della grande coalizione.

  • I flussi fra ricordo del voto 2008 e intenzione di voto per le coalizioni nel sondaggio IPSOS-CISE

    di Aldo Paparo

    Presentiamo in questo articolo i dati della distribuzione bivariata delle risposte alle domande “alle prossime elezioni Lei pensa che voterebbe per…” e “Lei si ricorda per quale partito ha votato in occasione delle elezioni politiche del 2008?” Attraverso la lettura di questi dati possiamo comprendere come siano intenzioni a votare i diversi bacini elettorali del 2008 e in che proporzioni i diversi elettorati di oggi siano composti da elettori che avevano compiuto scelte differenti cinque anni or sono.

    Cominciamo con il primo dei due temi: la tabella 1 mostra come si dividano percentualmente fra le diverse opzioni di voto possibili i prossimi 24 e 25 febbraio gli elettorati dei partiti del 2008. Notiamo innanzitutto un elemento di novità registrato in questo sondaggio: il rientro dell’astensione e dell’incertezza dichiarate. Fra quanti dichiarano il partito votato alle precedenti elezioni politiche, praticamente nessuno si dichiara intenzionato ad astenersi. Anche quanti non rispondono sono percentuali marginali, appena un po’ più alte per l’elettorato 2008 di Berlusconi, ma comunque attorno al  5%. Fra i neomaggiorenni e quanti si sono astenuti o comunque non dichiarano il partito votato nel 2008 c’è ancora una porzione di incerti pari circa al 25%, ma anche qui l’astensione dichiarata è davvero bassa. Sembra quasi che con l’approssimarsi delle elezioni gli intervistati siano in imbarazzo a dirsi privi di una intenzione o astenuti, come di solito si registra nei sondaggi post-elettorali.

    Tab. 1 – Matrice di flussi fra ricordo del voto 2008 e intenzione di voto 2013, destinazioni (N=797).


    Gli elettori maggiormente fedeli si dimostrano quelli del Pd e del Ps: oltre tre su quattro dichiarano di voler votare il candidato della coalizione di cui fa parte oggi il proprio partito del 2008. Fra quanti invece volteranno le spalle a Bersani, la maggior parte sceglie il M5s (l’8% del totale), il 6,6% Monti ed appena un elettore su 30 del 2008 è stato attratto da Ingroia. Bersani va molto bene anche fra gli elettori 2008 degli altri partiti di sinistra, che oggi sono confluiti in Rivoluzione Civile (con la rilevante eccezione di Sel): lo voterebbe il 57%.

    Oltre il 70% degli elettori 2008 dell’Udc sono intenzionati a seguire il proprio partito nel polo montiano. Quasi uno su cinque dichiara però di voler votare per Bersani. Non si registrano altre significative fuoriuscite, a parte un 5% verso il M5s. Appena uno su 50 è stato conquistato da Berlusconi.

    Sono invece meno di tre su cinque quanti cinque anni fa votarono i partiti di destra che sono pronti a rivotare Berlusconi. Quasi uno su sei si dichiara intenzionato a votare per il M5s, mentre un 10% scarso è stato strappato da Monti. Addirittura il 5% voterebbe per Bersani. Fra questi elettori si registra anche il massimo di non risposte, quasi il 7%.

    Gli elettori meno fedeli sono quelli leghisti. Appena due su cinque degli elettori dell’ultimo Bossi sono intenzionati a dare il voto all’alleanza guidata dal Cavaliere. Non sorprende che questo sia l’elettorato nel quale si registra la massima defezione verso il M5s (il 28,5%, al pari con quello di Sa e Idv). Meraviglia invece che sempre i leghisti 2008 siano quelli che più di tutti perdono verso Monti ( il 12%) e che quasi uno su dieci si dichiari intenzionato a votare Bersani.

    Passiamo ora alle provenienze in termini di voto nel 2008 degli elettorati attuali delle diverse coalizioni (tabella 2). Il dato certamente più interessante è quello relativo alla composizione del M5s guidato da Beppe Grillo. Secondo i nostri dati un quarto circa dei suoi voti proverrebbe dall’area del centrosinistra (Pd, Ps, Idv o Sa), mentre oltre il 40% da elettori di centrodestra (Pdl, Lega, Mpa o La destra). Un ulteriore quarto scarso proviene da quanti dichiarano di essersi astenuti o non dichiarano il voto. Quasi nulla proviene dall’Udc, mentre un 5% arriva dai neomaggiorenni che voteranno per la prima volta alle politiche.

    Tab. 2 – Matrice di flussi fra ricordo del voto 2008 e intenzione di voto 2013, provenienze (N=797).

    Venendo alle coalizioni di più liste, Berlusconi è quello che meno si dimostra capace di pescare al di fuori degli elettorati 2008 dei partiti che oggi lo sostengono: da lì proviene quasi il 90% di quanti sono intenzionati a votarlo. Si difende comunque nel bacino dei nuovi elettori, da cui pesca una percentuale del propri voti pari a quella del M5s, il 5,2%.

    Bersani ottiene dagli elettorati 2008 di Pd e Ps il 63% dei suoi voti attuali. Un 11% arriva dai partiti oggi alla sua sinistra. E’ il candidato che vede provenire la percentuale più alta dei propri elettori (quasi il 6%) da quanti nel 2008 non si erano recati alle urne perché ancora minorenni. Un 7% arriva da chi nel 2008 aveva votato a destra e uno ogni 50 dall’Udc.

    Come già osservato per il M5s, anche la composizione dell’elettorato della coalizione di Monti è piuttosto variopinta. Un quarto proviene dall’Udc, l’unico partito presente nel 2008 ad appoggiare oggi il premier uscente. Il 17,8% proviene dai partiti di centrosinistra nel loro complesso, mentre il 30,8% da quanti nel 2008 avevano votato partiti che oggi fanno parte della coalizione berlusconiana. Un quinto abbondante di quanti dichiarano l’intenzione di votare Monti non dichiara il partito del 2008 o dichiara apertamente di essersi astenuto. Questa è infine la coalizione la cui porzione di elettori proveniente dal voto giovanile  è più bassa (meno del 4%); d’altronde appena il 7% dei nuovi elettori dichiara l’intenzione di votare per il Senatore a vita.

  • La straordinaria mobilità nell’identificazione di partito

    di Aldo Paparo

    Una delle domande che abbiamo somministrato ai nostri intervistati sia in primavera che in autunno chiede loro se abbiano un partito cui si sentono più vicini. A quanti rispondono affermativamente si chiede quale sia questo partito, oltre che il grado di identificazione. La tabella 1 presenta gli incroci fra le risposte della primavera e dell’autunno alla domanda se ci sia un partito per il quale sentono una maggiore vicinanza rispetto agli altri.

    Se guardiamo ai marginali, osserviamo una notevole stabilità. In entrambe le rilevazioni, una metà scarsa dei rispondenti si è dichiarata identificata con un partito: erano 696 in primavera e sono oggi 728. Si registra quindi una crescita di 32 unità degli identificati: si tratta di un numero di casi che vale appena il 2% del campione. Però se ci concentriamo sugli incroci, scopriamo che la stabilità è solo apparente: sono infatti circa 200 sia gli intervistati che hanno perso la loro identificazione negli ultimi sei mesi, sia quanti ne hanno invece acquisito una.

    Tab.1. Incrocio delle risposte primaverile e autunnale alla domanda: “c’è un partito politico al quale Lei si sente più vicino rispetto agli altri? “

    E il semplice incrocio delle risposta SI/NO circa l’avere una vicinanza a un partito non ci permette di individuare quei casi che si sono dichiarati in entrambe le occasioni identificati, ma hanno cambiato il partito. Sono anche questi un gruppo sostanzioso: 144 unità, poco meno del 10% del totale. La tabella 2 riepiloga il quadro dell’identificazione dei nostri 1524 reintervistati fra primavera ed autunno. Il gruppo più numeroso è costituito da quanti non hanno indicato alcun partito sia in primavera che in autunno: chiamiamo questi casi non identificati stabili. Rientrano in questa categoria 602 intervistati, quasi il 40% del totale. In 358 casi si è registrata la ripetizione del partito di identificazione nelle due rilevazioni: sono questi gli identificati stabili, che non pesano neppure un quarto dei 1524. Insieme quindi le due categorie stabili per identificazione contano 960 casi, poco più del 60% del totale. Vi è dunque un 40% scarso di rispondenti la cui identificazione è cambiata: oltre a chi ha cambiato il partito,  ci sono 226 rispondenti che non hanno indicato un partito in primavera ma lo indicano oggi (neoidentificati) e 194 che sono invece passati dalla dichiarazione del partito di identificazione a non indicare alcun partito (deidentificati).

    Tab.2. Categorie di identificazione di partito fra primavera e autunno per i nostri 1524 reintervistati.

    Un simile quadro non sembra coerente con la definizione di identificazione partitica come una connotazione stabile dell’elettore, in grado di anticiparne e guidarne il voto elezione dopo elezione. Non può che essere il segno della destrutturazione del sistema partitico della Seconda Repubblica, peraltro mai davvero ancoratosi su partiti quanto piuttosto su coalizioni.

    A questo punto è molto interessante analizzare quale sia la composizione per partito delle varie categorie che abbiamo fin qui presentato, per comprendere quali spostamenti siano avvenuti in questi sei mesi. La tabella 3 presenta questi dati, a partire dai gruppi degli identificati totali di primavera e autunno. Da queste prime due colonne possiamo intanto evincere il quadro generale dell’identificazione di partito. Notiamo innanzitutto come in entrambe le rilevazioni il gruppo più numeroso, con un terzo degli identificati totali, sia costituito da quanti si identificano con il Partito Democratico. Erano 235 e sono oggi 262, con quindi una leggera crescita, inferiore ai due punti percentuali del totale. Stabile anche il Pdl, con in entrambi i casi un quinto circa degli identificati: 132 in primavera e 145 oggi. Le variazioni più rilevanti sono quelle dell’Idv in negativo e del M5s in positivo. Il partito di Di Pietro contava in primavera 101 identificati, il 14,5% del totale. Sei mesi dopo sono meno di un terzo, 31 in tutto. Il Movimento guidato da Beppe Grillo ha invece visto più che raddoppiare, da 44 a 107, il numero di quanti lo hanno indicato come il partito a loro più vicino. Si registrano poi lievi flessioni delle identificazioni con Udc e Lega nord, mentre crescono, anche qui in misura marginale, quelle con Sel.

    Tab.3. Distribuzione per partito delle diverse categorie di identificati fra primavera e autunno.

    Passiamo quindi all’analisi della parte centrale della tabella, che presenta la ripartizione percentuale per partito delle categorie degli identificati stabili, dei neoidentificati e dei deidentificati. Balza subito all’occhio che quasi la metà di quanti hanno mantenuto la propria identificazione con un partito si identifichi con il Pd: si tratta di 169 unità. Poco più di un quinto ha come partito più vicino il Pdl: sono 77 i rispondenti di questo gruppo. Assai più esigui i gruppi degli stabilmente identificati con altri partiti: 24 con il M5s, 17 con l’Idv, 14 con Fds, Sel e Udc.

    Venendo alla categoria di rispondenti che non dichiarava il partito di identificazione in primavera ma lo dichiara in autunno, possiamo anche qui notare come la maggior parte (il 30%) abbia risposto il Pd: sono 68 rispondenti. Seguono, con un quinto circa dei neoidentificati totali, il M5s (49 intervistati) e il Pdl (46). Nessun altro partito è riuscito ad avvicinarsi, dal bacino dei non identificati della primavera, almeno 15 unità, ovvero l’1% del campione totale. L’ultima colonna della sezione centrale riporta il partito di identificazione in primavera di quanti oggi non hanno più dichiarato il partito cui si sentono più vicini. Oltre un quarto di questi (54 intervistati) si identificavano con l’Idv. Sono 48 quelli che si dichiaravano prossimi al Pd, 29 al Pdl e 19 alla Lega nord. Sono comunque 14 coloro che hanno smarrito l’identificazione con il M5s, pur nei sei mesi della sua esplosione elettorale.

    Le ultime due colonne della tabella 3 riportano le risposte di quanti hanno cambiato il partito cui si sentono più vicini nelle due rilevazioni. Possiamo vedere così quali partiti siano stati maggiormente abbandonati e quali invece abbiano acquisito più identificati dagli altri partiti. Anche qui si evidenzia innanzitutto il forte arretramento dell’Idv: 29, oltre un quinto dei 144 casi totali, vi si identificava in primavera e non più oggi; appena 7, meno di uno su venti, non vi identificava in primavera ma oggi invece si: il saldo netto è pari a -22 identificati. Di contrasto si registra ancora una volta la crescita del M5s che cede 6 identificati della primavera verso altri partiti, ma ne recupera 35, con un saldo attivo di 29 unità. In attivo anche il Pd che ne smarrisce 18 ma ne attrae 26, così come Sel (11 in uscita e 13 in entrata). Negativi i saldi per tutti i partiti di centrodestra: -5 identificati per il Pdl (21-26); -3 per la Lega (5-8); -7 per l’Udc (8-15) e -8 per la Destra (3-11).

    Abbiamo in un altro articolo presentato l’andamento dell’intenzione di voto nel nostro panel. E’ molto interessante confrontare la composizione per partito degli intenzionati a votare con quella degli identificati. Infatti, contrariamente a quanto avviene di solito, i due gruppi hanno sostanzialmente la stessa numerosità: il 45% circa del campione dei 1524. Di fronte a un simile dato e in presenza di una profonda transizione è ragionevole il dubbio su quale dei gruppi sia più vicino per composizione a quello dei futuri elettori alle politiche. Per adesso ci limitiamo a sottolineare alcune divergenze. Il Pdl è passato da una lieve sovrarappresentazione negli intenzionati al voto rispetto agli identificati in primavera (19,6 contro 19%) ad una più cospicua sovrappresentazione negli identificati (20 contro 17,6%). La Lega è ancora meno rappresentata fra gli intenzionati a votare, ma meno che in primavera (da 6,6-4,3% a 4,8-3,6%). Il Pd mantiene una esigua sovrarappresentazione negli identificati; l’Udc l’esatto contrario. L’Idv, che in primavera era sovrarappresentata fra gli identificati di 5 punti percentuali (14,5 contro 9,4%), risulta oggi maggiormente pesante fra gli intenzionati a recarsi alle urne (4,8 contro 4,3%). Il M5s ha registrato una convergenza del suo peso nei due gruppi: in primavera la sua percentuale fra gli identificati era la metà di quella fra gli intenzionati a votare (il 6,3 contro il 12,6%); oggi la seconda è ancora maggiore, ma in misura minore (17,9 contro 14,7%).

    Il quadro completo dell’evoluzione dell’identificazione di partito fra primavera e autunno per i nostri 1524 reintervistati è riassunto dalla tabella 4. Essa mostra come si sono divisi oggi, nell’identificazione fra i vari partiti, i diversi gruppi di identificati della primavera. Ciò che emerge con maggiore chiarezza è la straordinaria instabilità dell’identificazione di partito che abbiamo registrato fra i 1524 rispondenti che abbiamo intervistato due volte.

    Tab.4. Matrice di flusso nelle identificazioni di partito fra primavera e autunno. Destinazioni.

    Innanzitutto notiamo come il valore più alto di fedeltà all’identificazione primaverile si registri per i non identificati: il 73%. Quindi, anche fra questi, oltre un quarto ha cambiato e oggi si identifica con un partito. L’unico partito a registrare una percentuale di fedeltà comparabile è il Pd, che comunque a ceduto alla non identificazione un quinto dei suoi identificati di primavera. Pdl e M5s confermano entrambi poco meno di 3 identificati su 5: anche per questi gruppi l’unico flusso significativo è quello verso la non identificazione. Ancora maggiori le defezioni fra i leghisti: più di 2 identificati primaverili su 5 si trovano oggi nella non identificazione, analoga quota ha invece mantenuto la sua identificazione. La minore fedeltà si registra fra quanti in primavera si erano identificati con l’Idv: più della metà non ha oggi alcuna identificazione, mentre appena uno su sei l’ha confermata per il partito di Di Pietro.

  • Bersani trionfa tra gli elettori Pd ma Renzi tiene tra elettori periferici e tradizionalisti

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    Nella seconda rilevazione del panel Cise si è registrato uno straordinario interesse verso le elezioni primarie per la selezione del candidato premier del centrosinistra. Quasi il 40% degli elettori non esclude di partecipare al voto. In questo articolo analizziamo come questi intervistati si distribuiscano riguardo diversi aspetti della politica, quali opinioni su specifiche questioni e atteggiamenti verso gli oggetti politici. Presentiamo quindi gli incroci fra le intenzioni di voto per tale consultazione e le risposte alle domande piu strettamente politiche contenute nel nostro sondaggio.

    La tabella 1 riporta le domande relative agli atteggiamenti verso la politica. Renzi si dimostra assai più competitivo fra gli elettori distanti dalla politica. Infatti è il preferito fra coloro che vi si interessano poco o per niente: lo votano il 31% contro il 29 di Bersani. Inoltre riduce significativamente il suo svantaggio generale (da 8,4 a 4,9 punti percentuali) fra quanti hanno risposto esattamente a non più di una delle tre domande di conoscenza fattuale somministrate. Bersani è invece il candidato di chi si interessa di politica: lo vota quasi il 50%. Bisogna anche considerare che poco meno del 30% degli elettori periferici non ha ancora deciso per quale candidato votare: qui potrebbe certamente cercare di attingere Renzi per colmare in queste ultime battute il divario dal segretario nella corsa alla premiership di coalizione.

    Tab. 1. Incroci fra intenzioni di voto alle primarie e atteggiamenti verso la politica.

    Passando alle opinioni circa il governo Monti, Renzi è sottorapresentato fra chi ne valuta negativamente l’operato fin qui o un’eventuale riproposizione dopo le prossime elezioni. Soprattutto quest’ultimo dato non è di facile interpretazione alla luce della vocazione maggioritaria di cui il sindaco di Firenze sta sforzandosi di colorare la propria candidatura. Fra questi elettori sono leggermente sovrappresentati quanti scelgono Vendola o Puppato ma soprattutto coloro che non hanno ancora scelto il candidato per cui votare. Bersani è sovrarappresentato fra i favorevoli a Monti e sottorapresentato fra i suoi oppositori, come Renzi ma con minore intensità. Il segretario del Pd raccoglie il 45% delle preferenze di chi pensa che le coalizioni di governo debbano essere formate in Parlamento dopo le elezioni, che però sono un’esigua minoranza. Analogo successo nell’altrettanto ristretto gruppo di quanti si dichiarano soddisfatti di come funziona oggi la democrazia italiana.

    Veniamo ora alle domande relative ad alcune specifiche questioni al centro del dibattito pubblico negli ultimi mesi. La tabella 2 presenta tali dati. Si ravvisa in generale una maggiore competitività di Renzi presso gli elettori più conservatori sui temi etici[1]. Infatti è il candidato preferito (seppur di pochissimo) tra quanti non ritengono giusto che alle coppie di fatto omosessuali siano garantiti gli stessi diritti di quelle eterosessuali, così come (stavolta nettamente in vantaggio) tra chi non vuole un riconoscimento giuridico delle coppie di fatto o la cittadinanza automatica per i figli degli immigrati nati in Italia. E questo nonostante nel suo programma siano invece inserite entrambe. Renzi è sovrarappresentato rispetto al totale degli elettori potenziali delle primarie anche fra chi pensa che la legge dovrebbe obbligare la nutrizione artificiale per i malati terminali, categoria nella quale è quasi pari a Bersani; in altre parole, nell’elettorato più tradizionalista sui temi etici.

    Tab. 2. Incroci fra intenzioni di voto alle primarie e posizioni sulle issues.

    Inoltre si osserva una particolare forza di Bersani fra gli europeisti più convinti. Infatti il segretario è oltre il 40% sia fra chi non vuole uscire dall’euro sia fra chi considera un bene l’adesione del nostro paese all’Unione Europea.

    Per quanto riguarda i temi economici, Renzi è il più votato fra chi pensa che le imprese debbano essere libere di delocalizzare ma è sorprendentemente sottorappresentato fra chi vorrebbe ridurre i servizi sociali per abbassare le tasse. Non si registrano invece particolari scostamenti rispetto alla popolazione di riferimento per quanto riguarda la patrimoniale e il federalismo fiscale.

    Veniamo infine agli orientamenti partitici dei bacini elettorali dei diversi candidati delle primarie. La tabella 3 riporta le risposte alle domande relative all’identificazione di partito e all’intenzione di voto in caso di immediate elezioni politiche. Notiamo innanzitutto come circa un terzo dei potenziali elettori di queste primarie si identificano con il Pd o sono elettori dello stesso partito. Fra questi, il segretario Bersani raccoglie una maggioranza schiacciante: oltre il 60%, mentre lo sfidante interno Renzi si ferma poco sopra il 20%. Vendola è largamente sottorappresentato con un 7-8% ancora incerti.

    Tab. 3. Incroci fra intenzioni di voto alle primarie e orientamenti partitici.

    Il gruppo più numeroso è però quello di chi non si identifica con alcun partito e, quanto al voto, o si astiene o è incerto. Fra questi elettori periferici si registra una situazione nettamente più equilibrata tra Bersani e Renzi (che prevale tra chi non si identifica in nessun partito), ma soprattutto una grande incertezza, con oltre il 30% di indecisi sul candidato.

    Infine, una piccola quota proviene da elettori dei partiti minori del centrosinistra: in questo bacino Vendola è, come preventivabile, largamente sovrappresentato mentre Renzi non raccoglie praticamente nulla. Frazioni poco inferiori al 10% del totale sono intervistati che dichiarano che voterebbero il M5s o i partiti del centrodestra. In questi due gruppi, anche qui come da pronostico, Renzi è di gran lunga il candidato più votato. Interessante comunque come il vantaggio di Renzi su Bersani sia molto maggiore fra gli elettori di Grillo che non fra quelli dei partiti di centrodestra.


    [1] Le domande relative ai temi etici sono state sottoposte ai medesimi intervistati nel sondaggio primaverile. Le possiamo incrociare con le intenzioni di voto alle primarie sotto l’ipotesi che su tali questioni le opinioni difficilmente mutino nell’arco di sei mesi.

  • I flussi elettorali in Sicilia: il Pdl diserta le urne e Grillo pesca dal centrosinistra

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    Le elezioni siciliane hanno visto la vittoria di Crocetta e l’affermazione del Movimento 5 stelle in una tornata caratterizzata da una partecipazione straordinariamente bassa. Ci proponiamo qui, attraverso l’analisi dei flussi elettorali di comprendere quali elettori abbiano deciso di non votare, se siano distribuiti uniformemente lungo gli elettorati di tutti i partiti o se invece si sia registrato un astensionismo asimmetrico che abbia colpito maggiormente una parte.

    Meno di sei mesi or sono, in occasione delle comunali, il movimento guidato da Beppe Grillo sembrava piuttosto indietro nell’isola a confronto con i successi registrati nel resto del paese. Nel caso più importante, le elezioni a Palermo, non era riuscito ad entrare in Consiglio, rimanendo con il 4,2% al di sotto della soglia di sbarramento del 5, mentre il candidato sindaco Nuti aveva raccolto il 4,9% dei voti maggioritari. Oggi nel comune capoluogo il  M5s è di gran lunga il primo partito avendo superato il 20% e Cancelleri è stato il candidato più votato. Seppur in presenza di un calo di quasi 20 punti percentuali dell’affluenza (dal 63,2 al 44,2%), la lista ha quadruplicato i propri voti in valori assoluti e il candidato li ha addirittura quintuplicati.

    Bisogna a questo punto constatare la prorompenza della crescita elettorale del M5s, che si avvantaggia del fatto di venire  percepito dagli elettori come un reale competitore dopo il successo di Parma, oltre che delle agguerrite campagne del suo leader. Attraverso l’analisi dei flussi possiamo capire chi siano, cosa abbiano votato nelle recenti tornate elettorali, quegli elettori che domenica hanno scelto Cancelleri. Abbiamo già osservato come la loro maggiore concentrazione nei capoluoghi di provincia lasci pensare che si tratti di ex-elettori di sinistra: grazie ai flussi potremo verificare questa ipotesi.

    Purtroppo non sono disponibili i necessari dati a livello di sezione per tutta l’isola, per cui ci concentriamo su alcune città particolarmente rilevanti; a cominciare da Palermo che, oltre a contare il maggior numero di elettori, è particolarmente interessante proprio per il recente test elettorale comunale.  A maggio l’Idv si era  potuta avvalere della popolarità del candidato sindaco Orlando e si era affermata come il primo partito del capoluogo anche se con appena il 10,3% dei voti validi. Pd, Pdl e Udc avevano conseguito risultati piuttosto simili, compresi fra l’8,3 e il 7,7%. La tabella 1 mostra le matrici di flusso da comunali a regionali. Il gruppo più numeroso, ovvero quanti avevano votato il partito di Di Pietro, si sono divisi più meno a metà fra Marano e Crocetta (20 contro 21%) anche se la maggior parte non si è recata a votare (38%). Gli elettori dell’Udc sembrano essere rimasti delusi dall’alleanza con il Pd come dimostra il fatto che facciano registrare il coefficiente più alto verso l’astensione: il 43%; mentre meno di uno su cinque ha votato Crocetta. Altrettanto alto il tasso di non voto anche per l’Mpa, che evidentemente ha pagato il passo indietro del suo leader Lombardo e il non esprimere il candidato Presidente, ma anche per il suo alleato Grande Sud che invece aveva il suo leader come candidato di coalizione a Palazzo d’Orleans.

    Tab. 1: Flussi elettorali a Palermo da comunali 2012 (liste) a regionali 2012 (candidati). Destinazioni e provenienze.

    Il Pdl, già a maggio assai ristretto rispetto ai suoi standard palermitani, ha ceduto all’astensione un ulteriore 15%, ma comunque ha confermato oltre la metà dei suoi elettori delle comunali su Musumeci, senza che Miccichè abbia sottratto alcunchè. Il Pd ha pagato meno di tutti all’astensione, ma fra i suoi elettori delle comunali più di uno su quattro ha votato Cancelleri. Questi infatti ottiene appena il 15% dei suoi voti dal bacino del M5S alle comunali, pur avendo il maggior tasso di conferma (71%). Per il resto strappa consensi alle liste del centrosinistra: proviene da quelle di Orlando e Ferrandelli quasi il 40%  dei suoi voti. E’ anche il più più votato, al pari di Crocetta, fra quanti sei mesi fa avevano votato solo il sindaco: si tratta per la stragrande maggioranza di elettori di Orlando, che dunque si sono divisi a metà fra Crocetta e Cancelleri. Quasi niente arriva da Pdl, Udc, Grande Sud e Mpa, mentre lo hanno scelto 4 elettori di Fli su 10, che pesano il 12% del suo totale di voti.

    Miccichè è stato il più bravo nel rimobilitare elettori che alla comunali si erano astenuti, di questi lo ha votato il 3%, oltre il 20% dei suoi voti totali. Anche Musumeci ha fatto segnare un recupero, seppur più contenuto: il 2% degli astenuti delle comunali, da cui proviene uno su dieci dei suoi voti.

    Per approfondire la nostra analisi circa la provenienza politica degli elettori del Movimento 5 stelle appare indicato verificare come essi si siano comportati in occasione delle ultime elezioni politiche, quelle del 2008 caratterizzate dalla sfida fra Berlusconi e Veltroni. Sembra un secolo fa e in effetti da allora il nostro sistema politico è profondamente cambiato, ma rappresentano comunque il miglior test per fornire una connotazione di colore politico agli elettori. Per le prossime analisi abbiamo potuto considerare oltre a Palermo anche Catania e Messina: sono i tre comuni più popolosi dell’isola, insieme superano il milione di elettori e in queste elezioni regionali hanno pesato per il 22% sul totale  dei voti validi.

    Ricordiamo brevemente come andarono le cose in tale occasione in Sicilia: il Pdl la fece da padrone con il 46,6%, poco di più nel capoluogo di regione e superò addirittura quota 50% nei comuni di Catania e Messina; il Pd aveva comunque raccolto oltre un quarto dei voti validi; l’Udc correndo da solo era al 9,6% mentre l’Mpa, in coalizione col Pdl, al 7,7% e l’Idv, col in Pd, aveva il 3,4%. La tabelle 2, 3 e 4 mostrano le matrici di flusso da politiche 2008 a regionali 2012, con riferimento ai candidati presidente, nei casi considerati. Il dato più eclatante è quello relativo al Pdl: i due terzi dei suoi elettori 2008 hanno scelto di astenersi a Catania e Palermo. A Messina sono un po’ meno (il 45%) ma si registra un significativo flusso verso Crocetta: sul totale degli elettori messinesi, compresi anche gli astenuti, più di uno su venti aveva votato il Pdl nel 2008 e il candidato di Pd e Udc domenica. Solo una quota fra il 25 e il 30% si è divisa fra i due candidati  riconducibili al Pdl 2008, Miccichè e Musumeci, con quest’ultimo sempre avanti al rivale. Venendo al secondo protagonista del 2008, il Pd, ha confermato anch’esso una quota minoritaria dei suoi elettori (28-35-40%, rispettivamente a Palermo, Catania e Messina) sul proprio candidato. I suoi elettori si dimostrano meno propensi di quelli del Pdl all’astensione e una quota significativa ha scelto di votare per Cancelleri: tra un quarto e un quinto nei casi orientali, addirittura un terzo a Palermo. Una metà circa dei voti al candidato del M5S proviene da questo bacino (43-51-56%); molti meno dal pur più numeroso elettorato 2008 del Pdl (11-11-18%). Anche gli altri partiti di sinistra (Idv e Sinistra Arcobaleno) hanno ceduto quote significative dei propri elettori a Cancelleri: il totale dei suoi voti provenienti dal centrosinistra è del 63% a Catania, del 70% a Palermo e Messina. Quanti nel 2008 votarono l’Udc sembrano avere reagito all’alleanza col Pd in maniera differenziata nei tre casi: a Palermo meno del 30% ha votato Crocetta che è stato comunque il candidato preferito, analogamente a quanto accaduto fra chi aveva votato il partito di Casini alle comunali; a Messina quasi la metà ha seguito il partito votando Crocetta, mentre a Catania il 54% ha votato Musumeci (verso cui si registrano flussi significativi anche negli altri casi). Miccichè è l’unico candidato che sia riuscito a riportare alle urne astenuti del 2008 (2-3-4%) e vi ha tratto fra l’11 e il 19% dei suoi voti.

    Tab. 2: Flussi elettorali a Palermo da politiche 2008 a regionali 2012 (candidati). Destinazioni e provenienze.

    Tab. 3: Flussi elettorali a Catania da politiche 2008 a regionali 2012 (candidati). Destinazioni e provenienze.

    Tab. 4: Flussi elettorali a Messina da politiche 2008 a regionali 2012 (candidati). Destinazioni e provenienze.

    Un”ulteriore interessante analisi che è possibile svolgere con i dati disponibili è quella da liste a candidati delle regionali: si può così valutare la dimensione del voto disgiunto fra le due arene e la capacità dei candidati di mantenere i voti proporzionali delle proprie liste e di strappare voti dalle liste altrui. Le tabelle 5, 6 e 7 riportano queste matrici di flusso nei tre capoluoghi oggetto del nostro studio. In generale osserviamo coefficienti piuttosto alti sulle diagonali di conferma fra proporzionale e maggioritario: c’è stato quindi uno scarso ricorso al voto disgiunto. Nonostante l’elezione diretta e con turno unico del Presidente gli elettori non hanno adottato la strategia del voto utile, forse anche per l’incertezza su chi fossero i veri front-runner o per la quasi certezza che nessuno avrebbe comunque ottenuto una maggioranza all’Ars e che quindi tutti i voti fossero egualmente utili, purchè dati a liste sopra il 5%. Venendo alle performance dei diversi candidati, Cancelleri si dimostra in tutti e tre i casi il più premiato fra quanti non votano alcuna lista, oltre che presentare i massimi tassi di riconferma dei propri elettori proporzionali.  Non riesce a sfondare fra quanti ancora oggi votano un partito, ma comunque sembra pescare qualcosa a tutti: infatti è il candidato che trae dalle proprie liste la quota più bassa dei suoi voti maggioritari (67-71-72%; per gli altri siamo fra ’80 e il 90%). Bene Crocetta che non smarrisce quasi niente da Pd e Udc ed è scelto da un 16-20-27% dei solo presidente; anche per Musumeci alte riconferme e buon risultato nella parte orientale dell’isola tra chi ha votato solo per il maggioritario (secondo dietro Cancelleri). La Marano e Miccichè sono quelli che hanno patito più defezioni dal proporzionale, ma comunque in ragione di un quinto circa dei voti delle liste a sostegno. Ad avvantaggiarsene soprattutto Cancelleri, ma anche i candidati maggiori di area, rispettivamente Crocetta e Musumeci.

    Tab. 5: Flussi elettorali da liste a candidati nelle regionali 2012 a Palermo. Destinazioni e provenienze.

     

    Tab. 6: Flussi elettorali da liste a candidati nelle regionali 2012 a Catania. Destinazioni e provenienze.

     

    Tab. 7: Flussi elettorali da liste a candidati nelle regionali 2012 a Messina. Destinazioni e provenienze.

     

    NOTA: Le matrici di flusso presentate sono state ottenute attraverso l’applicazione del modello di Goodman. A Palermo le sezioni sono state divise in 4 zone politicamente omogenee, su ciascuna delle quali è stata effettuata un’analisi separata, poi ricomposte in una matrice valida per l’intera città. A Catania e Messina la numerosità delle sezioni rapportata al numero di coefficienti da stimare non consentiva analoga procedura. In tutte le analisi il valore del VR è comunque inferiore alla soglia critica dei 15 punti. 

  • La bozza Malan: alla ricerca della maggioranza impossibile

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    La Commissione Affari Costituzionali al Senato ha licenziato il testo base per la riforma della legge elettorale. Hanno approvato la proposta presentata dall’on. Malan il Pdl, la Lega Nord e l’Udc, mentre hanno votato contro Pd e Idv. Il testo prevede, per la Camera, l’assegnazione su base nazionale con la formula proporzionale del divisore d’Hondt di 541 seggi e l’attribuzione di un premio di 76 seggi alla lista o coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Inoltre prevede che alla ripartizione dei seggi accedano solo le liste che abbiano superato il 5% del totale dei voti validi nazionali, o almeno il 7% in circoscrizioni comprendenti almeno un quinto della popolazione nazionale. In realtà, per come è formulato il testo approvato, per evitare lo sbarramento basterà il 4% nazionale e la presentazione di una lista gemella con cui fare “coalizione”. Tale livello rappresenta comunque un ostacolo rilevante e forse insormontabile per un cospicuo gruppo di partiti: Fli, Fds, Mpa, Api, Psi, La destra, Radicali e altri ancora più piccoli. Queste liste, per accedere alla rappresentanza, dovranno  formare liste unitarie con i loro alleati coalizionali, o formare dei cartelli con altre piccole liste per cercare di superare la soglia.

    Tralasciamo le ulteriori specifiche della riforma proposta, relative ad esempio alla selezione degli eletti per i due terzi attraverso il meccanismo delle preferenze, e ci concentriamo sul verificare a quali condizioni le norme in esame possano consentire ad una coalizione di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi della Camera (316). La prima tabella confronta il numero di seggi spettanti alla coalizione vincente con un proporzionale puro e con il meccanismo premiale previsto nella bozza Malan.

    Come si osserva, senza il premio sarebbe necessario avere conseguito  una percentuale del 52% sul totale dei voti validi per superare quota 315 deputati e non dovere contare su qualche eletto nella circoscrizione estero per avere la maggioranza di Montecitorio. In virtù del premio di 76 seggi si abbassa la quota di voti che è necessario raggiungere per ottenere la maggioranza, ma comunque non scende sotto il 45%. Come mai un premio pari al 12,5% dei seggi dell’Assemblea non permette ad una coalizione del 40% di ottenere la maggioranza? Il fatto è che se il premio non ci fosse e anche i 76 seggi in questione fossero assegnati proporzionalmente, alla nostra coalizione del 40% ne andrebbero comunque 30. L’entità effettiva del premio deve essere calcolata come differenza fra i seggi ottenuti con l’applicazione del premio e quelli conquistati se esso non ci fosse e si distribuissero proporzionalmente tutti e 617 i seggi della Camera (ad esclusione di quelli della circoscrizione estero e di quello valdostano). Questo è il dato presentato nella colonna 3 (valori assoluti e poi percentuale sul totale dei seggi dell’Assemblea): come si vede non raggiunge il 9% neppure se la coalizione rimane sotto il 30%.

    Esiste però un secondo meccanismo contenuto nella bozza Malan che potenzialmente potrebbe avere effetti disproporzionali ed abbassare ulteriormente la quota di voti necessari per ottenere una maggioranza alla Camera: si tratta dello sbarramento. Se infatti una quota significativa di voti si disperde su liste che non superano le soglie, pur non aumentando i propri voti una coalizione vede crescere i propri seggi. Se nessun voto viene sprecato, il 40% dei voti validi vale il 40% dei voti utili per l’assegnazione dei seggi. Ma se ci sono liste che non superano lo sbarramento, i cui voti non contano ai fini della distribuzione dei seggi, lo stesso numero di voti può  valere più del 40%: sarà il 40 su 100 meno i voti sprecati (ovvero la somma dei risultati percentuali delle liste sotto soglia).

    La tabella 2 mostra i possibili effetti distorsivi dello sbarramento, se non ci fosse il premio. Come si vede, al crescere dei voti sprecati aumentano i seggi ottenuti dalla coalizione vincente. Se il 12% dei voti totali fosse ottenuto da liste che non superano lo sbarramento, si otterrebbe una maggioranza col il 45% dei voti. Se addirittura il 22% degli elettori scegliesse liste piccole, basterebbe il 40% dei voti validi nazionali per superare quota 315 seggi.

    La tabella 3 aggiunge il premio previsto dalla bozza Malan, consentendoci di vedere i suoi effetti al netto della disproporzionalità dovuta allo sbarramento. Sono evidenziati  i casi in cui il premio consente ad una coalizione altrimenti minoritaria di superare la soglia dei 315 seggi conquistando la maggioranza a Montecitorio. Nelle celle al di sotto della zona evidenziata, il premio allarga una maggioranza presente anche in caso di proporzionale puro.

    Per una coalizione del 40% occorre che vi sia una porzione di voti dispersi pari al 10% del totale per avere la maggioranza. Se un voto su cinque fosse per liste sotto soglia, alla coalizione vincente occorrerebbe appena il 36% dei voti per avere la maggioranza. Ma una simile eventualità non sembra realistica: probabilmente alle prossime elezioni politiche la quota di voti dispersi non sarà superiore al 6-8%. Anche perchè, una volta approvata tale legge, scatterebbero delle strategie di accorpamento per cercare di evitare la mannaia dello sbarramento e di sprecare i propri voti. E in tal caso non basterà alla coalizione vincente  il 40% dei voti per conseguire una maggioranza. Allo stato attuale, non pare che vi sia alcuna possibile coalizione preelettorale in grado di superare quota 40, per cui questo testo di riforma pare in realtà uno strumento adattissimo per quanti desiderano una grande coalizione postelettorale come soluzione di governo per la prossima legislatura.

    La prossime due tabelle mostrano il valore effettivo del premio, in valore assoluto di seggi e in percentuale sul totale dell’assemblea di Montecitorio, sono evidenziati i casi in cui è il premio a formare la maggioranza assoluta alla Camera per la coalizione vincente.

    Possiamo notare come esso sia più cospicuo per coalizioni piccole, che comunque non ci fanno la maggioranza. L’entità dei premi majority making (in evidenza nelle tabelle) varia fra i 42 e i 37 seggi, circa il 6% del totale. Ancora inferiori sono i premi effettivi che rinforzano maggioranze comunque esistenti. Il premio sembra concepito più che per consentire alla coalizione vincente di governare, per rendere pressoché impossibile la formazione di una maggioranza che non la comprenda.

    Abbiamo simulato la composizione della Camera applicando le norme della bozza Malan alla media dei sondaggi delle ultime settimane in diversi scenari coalizionali: se ciascun partito corresse da solo; un’alleanza Pd-Sel contro un eventuale ricostituito blocco Pdl-Lega; il centrosinistra di Vasto contro una coalizione comprendente tutti i moderati tranne la Lega. Le percentuali delle coalizioni sono ricavate attraverso la somma dei risultati stimati per i partiti: si tratta certo di un’assunzione piuttosto forte e  poco realistica. Sarebbe preferibile chiedere agli intervistati direttamente quale coalizione voterebbero; ma in realtà variazioni anche abbastanza marcate da queste percentuali non cambiano la sostanza: non si ottiene mai una maggioranza assoluta. Sottolineiamo che in tali simulazioni le lista sopra soglia hanno ottenuto il 92% dei voti totali, con una porzione di voti sprecati pari all’8%.