Autore: Davide Angelucci

  • Gli effetti della televisione. Ma ancora dopo trent’anni?…

    Gli effetti della televisione. Ma ancora dopo trent’anni?…

    Lorenzo De Sio e Davide Angelucci hanno recentemente pubblicato una ricerca – The Cultural (Even More Than Political) Legacy of Entertainment TV – in cui indagano gli effetti di lungo termine dell’esposizione precoce alla televisione di intrattenimento (in particolare Mediaset) sui valori dei cittadini. Qui una breve intervista di Matteo Boldrini ai due autori.

    Gli effetti della televisione sulle opinioni, in particolare politiche, e quindi sul voto. Fu un argomento molto discusso negli anni Novanta, all’indomani della discesa in campo di Berlusconi, ma oggi diciamo che non sembra un argomento molto attuale. Da dove è nata l’idea dell’articolo?

    Lorenzo De Sio: Beh, in effetti è vero… l’idea ci è venuta qualche anno fa, dopo aver letto uno studio sul tema di alcuni ricercatori della Bocconi [Durante, Pinotti e Tesei, ndr]. Loro avevano raccolto dei dati interessantissimi sulla potenza delle antenne Mediaset (all’epoca Fininvest) nei primi anni Ottanta, e li avevano combinati con dati sui rilievi montuosi di tutta Italia, ricostruendo in quali comuni italiani le reti di Berlusconi (all’inizio solo Canale 5) si vedevano già dal 1979, e in quali invece arrivarono solo anni più tardi. Incrociando questi dati con dati di sondaggio raccolti vari anni dopo, hanno testato se nei comuni che avevano ricevuto Mediaset per più anni c’erano differenze nelle opinioni delle persone, rispetto agli altri comuni. E hanno scoperto che effettivamente c’era una maggiore tendenza (anche se lieve) ad avere opinioni più “populiste”, a votare Forza Italia, o addirittura a votare il Movimento 5 Stelle nel 2013, trent’anni dopo…

    Ricordo questo studio uscito anni fa. Ma fu molto controverso; suscitò un dibattito in cui prese posizione anche il giornalista Enrico Mentana in termini molto critici…

    Infatti. I dati erano effettivamente solidi (anche se con effetti non molto forti), ma la polemica è nata perché gli autori sostenevano che uno degli effetti di Mediaset fosse l’abbassamento dei livelli cognitivi dovuto a una programmazione di bassa qualità, che quindi avrebbe predisposto le persone verso atteggiamenti populisti; e questo scatenò un acceso dibattito. Siamo partiti da questo punto perché i dati erano interessanti e i risultati solidi, ma c’era qualcosa che non ci convinceva nel meccanismo esplicativo.

    Che cosa esattamente non condividevate della spiegazione offerta dagli studiosi della Bocconi?

    Davide Angelucci: Secondo noi, la vera causa non era l’abbassamento del livello cognitivo. Da tante ricerche elettorali sappiamo con chiarezza che Forza Italia nel corso dei decenni è stata in grado di mobilitare gli elettori su temi specifici, come ad esempio precise preferenze economiche (ad esempio la tutela dei lavoratori autonomi e delle imprese), anche tra classi sociali diverse, e ovviamente non solo tra le persone meno istruite o politicamente disimpegnate. Quindi secondo noi il meccanismo dietro all’effetto dell’esposizione mediatica a Mediaset doveva essere un po’ diverso. In quel periodo, i primi anni ’80, Mediaset tra l’altro presentava contenuti esclusivamente di intrattenimento. Il punto però è che questi programmi promuovevano specifici stili di vita e un sistema di valori che era molto diverso da quello promosso dalla Rai, che anche nell’intrattenimento aveva un’impostazione molto più pedagogica, e legata ad altri valori.

    LDS (interrompe): … io c’ero e me li ricordo bene: le prime serie come Dallas [che peraltro iniziò con pochi episodi in Rai, ma fu subito cancellata e passò su Canale 5 che la trasmise con grande successo per molti anni, ndr] e Dynasty, con stili di vita individualisti, lussuosi e moralmente molto disinvolti… programmi come OK il prezzo è giusto, che inneggiavano al consumismo; varietà come Drive In… tutte cose che sulla Rai non si sarebbero mai viste, tanto che uno dei più celebri programmi di Mediaset (anche se qualche anno più tardi) si chiamerà proprio Non è la Rai

    DA: Ecco: l’idea è che anche i programmi di intrattenimento veicolano degli stili di vita e quindi dei valori; e quindi che l’esposizione a questi programmi possa avere un impatto sui cittadini e sui loro valori. Da questo punto di vista, abbiamo costruito la nostra argomentazione basandoci su un’ampia letteratura scientifica che mostra come gli individui differiscano tra loro su un’ampia gamma di valori, che influenzano anche la politica e le scelte di voto. In questo senso, quindi, la nostra idea ruota attorno al fatto che l’impatto di una maggiore esposizione a Mediaset non è legato a un abbassamento delle capacità cognitive dei cittadini, ma piuttosto alla sua capacità di influenzare i valori di riferimento di molti di questi cittadini.

    Voi parlate di effetti sui valori. Ma come si possono misurare i diversi valori in cui credono le persone?

    LDS: La vera sfida è proprio questa. Ma su questo c’è stata tanta ricerca, soprattutto in psicologia: la ricerca sui valori delle persone ha sviluppato scale di misurazione che vengono somministrate in numerose indagini. Un contributo particolarmente affascinante viene dallo psicologo israeliano Shalom Schwartz, che negli anni Novanta ha proposto una serie di domande per valutare l’orientamento degli individui verso dieci diversi valori fondamentali. Ad esempio, questi valori includono l’importanza dell’edonismo, del raggiungimento del potere, del successo, del conformismo, dell’espressione della benevolenza verso gli altri, eccetera. E, per l’appunto, ci ricordavamo che queste domande erano state inserite in un’indagine del gruppo di ricerca ITANES [cui partecipano anche studiosi CISE, ndr] su un campione di italiani, svolta nel 2006. A quel punto abbiamo incrociato i dati ITANES sui valori dei cittadini con i dati sulle antenne di Mediaset dei primi anni ’80, raccolti dai ricercatori della Bocconi. Abbiamo quindi identificato quali intervistati vivevano in comuni che avevano ricevuto Mediaset per anche cinque o sei anni in più, all’inizio degli anni ’80, per scoprire se – a distanza di vent’anni – le loro opinioni effettivamente erano un po’ diverse da quelle degli altri. In sostanza, abbiamo replicato l’analisi condotta dai nostri colleghi, ma esaminando in particolare l’impatto sui valori. Con l’idea di fondo che, anche se magari quegli intervistati non avevano personalmente guardato le reti Mediaset (magari anche perché erano troppo piccoli), questo era accaduto alle loro famiglie, ai loro vicini, ai loro compagni di scuola o colleghi di lavoro, quindi di fatto potendo influire sugli orientamenti di valore di intere comunità.

    E quindi, quali sono stati i risultati?

    DA: I risultati sono estremamente interessanti. Abbiamo scoperto che l’esposizione a Mediaset, in particolare quella a lungo termine, ha avuto un impatto sensibilmente più ampio, e statisticamente più solido, sui valori dei cittadini rispetto a quanto trovato dai nostri colleghi relativamente al populismo: questi intervistati sono risultati più individualisti e più conservatori rispetto agli altri. Questo sembra sostenere la nostra tesi che l’eredità culturale della televisione di intrattenimento sembra più forte delle sue implicazioni politiche, e probabilmente le precede. Questo non vuol dire che non abbia anche implicazioni politiche, ma ha anche implicazioni più ampie per le trasformazioni culturali e i valori. Vale la pena notare che nel periodo – cruciale per la nostra analisi – in cui si vedeva solo in alcune città (i primi anni ’80), Mediaset si concentrava esclusivamente sulla programmazione di intrattenimento, senza alcun contenuto politico o di cronaca. Questo ci porta a riflettere sull’importanza, in un sistema democratico, di garantire una pluralità di visioni del mondo, anche nei contenuti non direttamente politici.

    Ma oggi, soprattutto i giovani, non usano così tanto la TV. La vostra ricerca ha ancora implicazioni rilevanti?

    LDS: Questo è un punto importante. In realtà, sappiamo: 1) che la TV continua a rimanere estremamente rilevante per vari segmenti della popolazione; ma soprattutto 2) che i contenuti televisivi sono ormai diffusi in molti modi diversi, ad esempio attraverso lo streaming anche in mobilità, e per questo continuano ad essere molto popolari e importanti. Ad esempio, una serie molto seguita tra i più giovani, come “Mare Fuori”, ha paradossalmente avuto più successo in streaming che sulla TV via etere. E spesso molti contenuti televisivi circolano molto anche attraverso i social media; ecco quindi che la TV riveste ancora una grande importanza. Ma soprattutto va sottolineata l’importanza dei programmi non politici nell’influenzare i valori. Visto che abbiamo trovato effetti significativi a distanza di vent’anni, la domanda è: quali valori vengono trasmessi da tutti i contenuti mediatici in cui siamo immersi? E che impatto hanno sui nostri valori? Anche gli spettacoli comici come LOL e le serie disponibili su Netflix, che impatto hanno sui nostri valori? Perché un impatto evidentemente ce l’hanno. Tra l’altro noi stiamo anche lavorando a un ampio progetto di ricerca con altre tre università italiane [il progetto POSTGEN, ndr] in cui vogliamo analizzare il possibile impatto sulla politica degli influencer sui social media (anche e soprattutto non politici, come ad esempio Chiara Ferragni). Più in generale, questo deve farci riflettere sulla questione del pluralismo, ovvero sulla rappresentazione di diversi valori, anche nei programmi di intrattenimento e anche sui social. Quindi, un’agenda di ricerca per il futuro è quella di esaminare i tipi di valori associati ai contenuti più diffusi, per capire se stiamo subendo una forte influenza in una certa direzione e non ne siamo ancora consapevoli.

  • Tiene la correlazione Reddito di Cittadinanza-voto al M5S

    Tiene la correlazione Reddito di Cittadinanza-voto al M5S

    Figura 1. Correlazione a livello provinciale tra percentuale di percettori del reddito di cittadinanza e voto di lista al M5S alla Camera dei Deputati

    Si è tanto discusso, nel dibattito politico e oltre, del potenziale effetto del reddito di cittadinanza sulle performance elettorali dei partiti alle Politiche 2022: in particolare del principale promotore di questa misura, il Movimento 5 Stelle, soprattutto in quei contesti in cui ve n’è stata maggiore richiesta.

    Abbiamo quindi analizzato la correlazione tra il reddito di cittadinanza e il voto di lista al M5S alla Camera dei Deputati. La Figura 1 riporta proprio questo dato a livello provinciale, con la percentuale di elettori che percepiscono il reddito di cittadinanza su tutto l’elettorato per provincia riportata sull’asse delle ascisse e la percentuale di voto di lista ottenuta dal M5S per provincia riportata sull’asse delle ordinate.

    Come premessa, è evidente anzitutto che la categoria modale a livello di percentuale di elettori percettori del reddito di cittadinanza è per distacco compresa tra lo 0 e il 5%, con poco meno di una ventina di province incluse nella fascia 5%-10%, nove tra il 10% e il 15%, e tre casi relativamente outlier sopra al 15% (Napoli, Palermo e Crotone). Nei dati, peraltro, anche la nota correlazione territoriale tra questa misura e zona geopolitica: ovvero, più ci si sposta verso sud, e più aumentano i tassi di percezione del reddito di cittadinanza, e viceversa.

    Per quanto riguarda, invece, il voto al M5S, la nostra analisi dettagliata del voto di lista alla Camera pubblicata ieri ha già mostrato e l’ampia variazione territoriale del supporto elettorale per il partito di Conte – qui tra circa il 5% e oltre il 40% a livello provinciale -, e come questo si confermi il primo partito al Sud.

    Ebbene, quel che emerge dalla nostra analisi in Figura 1 è un’evidente, forte correlazione positiva tra tasso di percezione del reddito di cittadinanza nell’elettorato e voto di lista alla Camera per il M5S a livello provinciale. Ciò sembrerebbe confermare le posizioni prevalenti nel dibattito pubblico e le precedenti analisi del CISE su questo tema.

    Tuttavia, occorre fare attenzione a non dare un’interpretazione sbagliata di questa correlazione. Anzitutto, c’è un rischio di fallacia ecologica: ovvero, i dati qui presentati sono aggregati a livello provinciale e sarebbe dunque sbagliato trarne implicazioni relative al comportamento elettorale a livello individuale. Quindi, qui, più che un’associazione tra il reddito di cittadinanza in sé e il voto, quello che mostriamo è più generalmente un’associazione tra disagio economico e voto al M5S, che pare importante nelle sue proporzioni e, quindi, nelle sue implicazioni politiche.

    Peraltro, questo tipo di associazione è robusto anche alla specificazione di zona geopolitica. Ovvero, la correlazione qui riportata tra tasso di percezione del reddito di cittadinanza e voto al M5S è presente non soltanto al Sud, dove il partito di Conte va meglio, ma anche al Nord e nella Zona Rossa. Sembra, quindi, che al netto dell’area del Paese, laddove ci sia stata una maggiore richiesta di reddito di cittadinanza il voto al M5S sia stato più alto.

  • L’identikit degli elettori italiani 2022: i principali partiti a confronto

    L’identikit degli elettori italiani 2022: i principali partiti a confronto

    Con le urne ormai chiuse ed il quadro di vincitori e perdenti definitivamente delineato, è possibile investigare in maggiore dettaglio il profilo degli elettori dei principali partiti italiani. Utilizzando dati di sondaggio raccolti poco prima delle elezioni del 25 settembre, abbiamo analizzato la propensione a votare per i principali partiti italiani in diverse categorie sociodemografiche (età, genere, istruzione e classe sociale).

    Il primo dato interessante riguarda ovviamente il vincitore indiscusso di queste elezioni, Fratelli d’Italia (Figura 1). Considerata la leadership femminile del partito, avremmo potuto forse attenderci un’associazione tra il genere degli elettori ed il voto a Fratelli d’Italia. In realtà i dati mostrano che Meloni avrebbe ottenuto voti in egual modo da uomini e donne, senza esercitare un’attrazione specifica sull’elettorato femminile. Allo stesso modo, FdI ottiene voti trasversalmente da tutte le fasce di età, sebbene con qualche (non significativo) vantaggio tra i più adulti. Se genere ed età non sembrano avere una robusta associazione con il voto a Fratelli d’Italia, ben diverso è il discorso per quanto riguarda istruzione e classe sociale. Da questo punto di vista l’elettorato di FdI appare ben caratterizzato come un classico elettorato conservatore: da un lato, sono gli elettori meno istruiti ad aver votato significativamente di più per il partito di Giorgia Meloni; dall’altro, invece, osserviamo che il core dell’elettorato di Meloni si identifica come classe media. Quest’ultimo dato è particolarmente interessante, soprattutto se si considera il fatto che FdI abbia cercato più volte in passato di collocarsi nel solco della destra sociale, attenta alle istanze dei ceti popolari.

    Figura 1 – Profilo degli elettori di FdI

    Nota: Elaborazione dati su sondaggio CISE-Politiche 22. I risultati derivano da modelli multivariati stimati su un campione di 861 osservazioni.

    La Lega, diventata junior partner della coalizione di centrodestra, presenta un profilo dei propri elettori molto simile a quello di Fratelli d’Italia (Figura 2). Non ci sono particolari differenze per quanto riguarda il genere, l’appeal è maggiormente diffuso nella classe media e tra la popolazione con un livello di istruzione più basso. Come nel caso di Fratelli d’Italia, sono gli elettori con livelli di istruzione più bassi ad avere consegnato al partito di Matteo Salvini i maggiori consensi. Questo dato mostra come l’elettorato dei due partiti sia molto simile e ciò è alla base dei flussi elettorali partiti dalla Lega verso Fratelli d’Italia, come mostrato da Mannoni e Angelucci.

    Figura 2 – Profilo degli elettori della Lega

    Nota: Elaborazione dati su sondaggio CISE-Politiche 22. I risultati derivano da modelli multivariati stimati su un campione di 861 osservazioni.

    Contrariamente a Fratelli d’Italia e Lega, Forza Italia presenta una particolarità, divergendo dai suoi partner coalizionali. Il partito di Silvio Berlusconi è infatti in linea con il dato del partito di Meloni e Salvini per quanto riguarda la classe d’istruzione, cioè acquista maggiori consensi tra le fasce di popolazione con livello di istruzione più basso, tuttavia presenta una maggiore propensione al voto nelle classi alte. Questo aspetto, come abbiamo visto, non caratterizza il profilo degli elettori di Fdi e Lega. L’altro dato interessante – e sorprendente – è il supporto registrato da Forza Italia tra i giovani, anche se la propensione al voto in questa classe d’età rispetto alle altre non è statisticamente significativa.

    Figura 3 – Profilo degli elettori di Forza Italia

    Nota: Elaborazione dati su sondaggio CISE-Politiche 22. I risultati derivano da modelli multivariati stimati su un campione di 861 osservazioni.

    Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle, il profilo degli elettori conferma il tradizionale trasversalismo pentastellato (Figura 4). Questo dato è sorprendente se consideriamo la natura della campagna elettorale portata avanti da Giuseppe Conte, improntata maggiormente verso un elettorato di tipo progressista e che quindi poteva ragionevolmente perdere una parte di elettorato maggiormente conservatore. La differenza principale che notiamo riguarda la classe di età. Registriamo infatti una propensione al voto per il M5S maggiore tra classe giovanile (18-29) soprattutto se confrontata con la popolazione più anziana. Sotto questo aspetto, il M5S si conferma come forza politica con forte appeal tra i giovani.

    Figura 4 – Profilo degli elettori M5S

    Nota: Elaborazione dati su sondaggio CISE-Politiche 22. I risultati derivano da modelli multivariati stimati su un campione di 861 osservazioni.

    Infine il PD (Figura 5), partito che esce decisamente sconfitto da questa tornata elettorale. Come già in passato, il Partito Democratico ottiene il maggiore supporto tra i più giovani e, soprattutto, tra gli elettori al di sopra dei 65 anni, faticando ad ottenere maggiori consensi nelle fasce d’età intermedie. In continuità con il passato è anche il profilo socio-economico dell’elettorato dem: il principale sostegno arriva infatti dalle fasce più istruite della popolazione e da classi sociali relativamente più agiate, come mostrato da De Sio. Come per gli altri partiti analizzati, non si riscontrano differenze per quanto riguarda il genere.

    Figura 5 – Profilo degli elettori del PD

  • Testa a testa nei 142 comuni superiori, Sud e Zona rossa al centrosinistra

    Testa a testa nei 142 comuni superiori, Sud e Zona rossa al centrosinistra

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 28 giugno

    Con il secondo turno di domenica 26 giugno si chiude questa tornata di elezioni comunali. Le urne hanno consegnato la vittoria al centrosinistra, che riesce non solo a ribaltare l’esito del primo turno, ma anche a migliorare rispetto a 5 anni fa. Due settimane fa, 79 comuni sui 142 sopra i 15.000 abitanti avevano assegnato il sindaco con un bilancio parziale a favore del centrodestra. Considerando anche le coalizioni di destra (quelle che escludono FI), il centrodestra aveva conquistato 34 comuni (la gran parte al Nord) contro i 30 di centrosinistra e sinistra insieme. Il primo turno aveva inoltre decretato la scomparsa del M5S e la timida ricomparsa del Centro (con vittorie in 3 comuni superiori).

    Nei 63 comuni andati al ballottaggio, il centrosinistra ribalta l’esito del primo turno, superando il centrodestra in tutte le zone del paese, incluso il Nord dove si registrano vittorie importanti come a Verona (Tabella 1). Il centrosinistra conquista 23 comuni (24 considerando anche la sinistra alternativa al PD e 25 se si considera l’unico comune conquistato dal M5S, Mottola). Il bilancio non cambia se si considerano nell’ambito del centrodestra anche le vittorie ottenute da candidati di destra non sostenuti da FI. Nei 35 ballottaggi in cui era in gara, il centrodestra vince in 12 comuni (19 su 47 includendo anche la destra). Se da un lato il centrodestra sembra aver pagato le divisioni interne (vedi Verona), dall’altro il dato sembra confermare una strutturale debolezza dei candidati conservatori quando viene meno il traino del voto di lista come succede al ballottaggio.

    Tabella 1 – Chi ha vinto e chi ha perso alle amministrative 2022 nei 142 comuni superiori

    I numeri finali, considerando primo e secondo turno e confrontando i totali con la tornata precedente, offrono un quadro più dinamico di come sono cambiati i rapporti di forza nei 142 comuni. Il centrosinistra, in una tornata in cui partiva svantaggiato (il centrodestra partiva avanti con 45 comuni), migliora sensibilmente rispetto a 5 anni fa. Oggi controlla 51 comuni, contro i 44 della tornata precedente. Il grosso di queste città è al Sud, dove il centrosinistra domina (anche sui civici che qui rispetto a 5 anni fa hanno perso 5 comuni). Il centrosinistra torna inoltre la principale forza politica nella zona rossa: 5 anni fa si registrava una sostanziale parità tra centrosinistra e centrodestra (6 vs 6); oggi il centrosinistra amministra 10 comuni, contro i 5 conquistati dal centrodestra. Rispetto a 5 anni fa, inoltre, si riduce (seppure leggermente) la distanza con il centrodestra al Nord.

    Sul fronte opposto, il centrodestra chiude in pareggio rispetto a 5 anni fa, ma con un sensibile spostamento del baricentro da FI verso la destra: il centrodestra (con FI) perde 5 città, la destra (senza FI) ne guadagna altrettante, per un totale di 53 (un numero pari a quello di 5 anni fa). La forza del centrodestra è prevalentemente localizzata al Nord, dove pure perde però 2 comuni se si considerano centrodestra e destra insieme (30 comuni 5 anni fa contro i 28 di oggi).

    Infine, concentrandosi sui comuni capoluogo, il bilancio finale vede il centrodestra vincente in 12 casi (14 se si considera anche la destra senza FI), il centrosinistra in 10, con 2 comuni (Viterbo e Como) vinti da candidati civici. Anche in questo caso il centrosinistra ha guadagnato posizioni rispetto a 5 anni fa, passando da 5 a 10 comuni, mentre il centrodestra è sceso da 18 a 12.   

  • Tutti i numeri delle comunali: situazione di partenza, offerta e formule coalizionali nei 142 comuni superiori al voto

    Tutti i numeri delle comunali: situazione di partenza, offerta e formule coalizionali nei 142 comuni superiori al voto

    Domenica oltre 8 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per quella che può essere considerata una delle più importanti tornate amministrative dell’ultimo ciclo elettorale. Si voterà infatti per il rinnovo delle amministrazioni comunali in 971 comuni, fra i quali 142 comuni superiori ai 15000 abitanti, 22 capoluoghi di provincia e quattro capoluoghi di regione (Palermo, Genova, L’Aquila e Catanzaro). Oltre alle comunali, si voterà anche sui 5 quesiti referendari sulla giustizia promossi dal Partito Radicale e dalla Lega. Dato quest’ultimo interessante, visto che si tratterà di referendum abrogativi per la cui validità è richiesto il raggiungimento del quorum (si richiede la partecipazione della metà più uno degli aventi diritto). Il raggiungimento del quorum non è affatto scontato, ma proprio la concomitanza con le elezioni amministrative potrebbe favorire la partecipazione.

    Per quanto riguarda le amministrative, si tratta senz’altro di una tornata importante, l’ultimo vero test su larga scala prima delle politiche del 2023; e la prima vera tornata dopo la fine dello stato di emergenza dovuto alla pandemia. L’esito delle elezioni consentirà alle forze politiche del paese (per lo più unite a livello nazionale all’interno di un governo di larghe intese) una prima valutazione della propria tenuta nei territori, dove più di ogni altro gli amministratori locali hanno dovuto far fronte non solo all’emergenza sanitaria, ma anche alla crisi economica e sociale che ne è scaturita. Si tratta inoltre di un primo banco di prova per le possibili alleanze future in vista delle elezioni politiche. Nell’ambito del centrodestra, l’esito di queste elezioni potrebbe sancire (se non ufficialmente, almeno nei fatti) la leadership di Giorgia Meloni. Nell’alveo del centrosinistra, invece, si tratta di capire il reale potenziale elettorale di una coalizione tra il PD ed il M5S.  

    Se è vero che le amministrative di domenica rappresentano un banco di prova per le forze politiche del paese, va tuttavia tenuto conto che le dinamiche elettorali a livello locale seguono logiche e dinamiche non necessariamente coerenti con quelle nazionali. Inoltre, non saranno ovviamente tutti i comuni d’Italia ad andare al voto. E quelli chiamati alle urne non sono omogeneamente distribuiti sul territorio. La distribuzione degli elettori di questa tornata nelle tre aree del Paese (Nord, “Zona Rossa” e Sud) è infatti leggermente sbilanciata verso il Sud. Qui saranno 67 i comuni superiori al voto (il 47,2% del totale), contro 57 comuni al Nord (il 40,1% del totale) e appena 18 comuni nella Zona Rossa (il 12,7% del totale). Il dato non è affatto irrilevante: tenuto conto della diversità della cultura politica all’interno delle varie aree del paese, il risultato finale potrebbe non restituire una fotografia chiara dell’elettorato italiano più in generale, quanto piuttosto dei risultati trainati dai territori con una maggiore concentrazione di elettori al voto. 

    Prima di passare all’analisi dettagliata dell’offerta politica, è necessario chiarire il quadro di partenza, sintetizzando brevemente quanto accaduto nella tornata elettorale precedente. Dei 142 comuni superiori al voto domenica, 45 furono vinti 5 anni fa dal centrodestra e 44 dal centrosinistra. Il M5S, tradizionalmente meno forte nelle elezioni locali, conquistò solo 8 dei comuni al voto, al pari della destra (non sostenuta da FI). Circa il 25% dei 142 comuni al voto domenica, invece, è stato vinto da liste civiche (36 comuni su 142). Infine, in un solo comune la sinistra alternativa al PD riuscì ad imporre il suo candidato.

    In generale, dunque, la situazione di partenza si presenta piuttosto equilibrata, con un’equa ripartizione dei comuni tra centrosinistra e centrodestra. Analizzando però la distribuzione delle vittorie all’interno delle tre aree del paese, il quadro è decisamente più sfumato. Il centrodestra è più forte al Nord, dove amministra 26 comuni (30, se si considerano anche quelli amministrati dalla destra), contro i 18 amministrati dal centrosinistra e appena 1 dal M5S. Relativamente pochi sono invece i comuni amministrati da liste civiche al Nord (8 su 57). La situazione è per certi versi speculare al Sud: tralasciando momentaneamente i civici, qui a ad essere in leggero vantaggio sono le amministrazioni di centrosinistra. I comuni amministrati dal PD o dalla Sinistra alternativa al PD sono 21 su 67; i comuni amministrati dal centrodestra o dalla destra sono invece 17. Il dato, tuttavia, più interessante è l’ampia diffusione al Sud di comuni amministrati da liste civiche (24 su 67). Come già registrato per le amministrative di settembre 2021 (Emanuele et al. 2021), di fatto, i civici rappresentano in quest’area del paese il primo polo. Infine, coerentemente con la sua storia politica, il M5S ottiene i risultati migliori al Sud, dove amministra 5 comuni.

    La Zona Rossa presenta invece un sostanziale equilibrio: 6 sono le amministrazioni guidate sia dal centrosinistra che dal centrodestra. In nessuno dei 18 comuni della Zona Rossa al voto domenica ha vinto nella precedente tornata la destra o la sinistra alternativa al PD. Il M5S invece amministra soltanto in 2 comuni su 18, mentre i restanti 4 sono stati vinti in passato da candidati civici.

    Lo scenario di partenza restituisce inoltre un quadro piuttosto chiaro dei rapporti di forza e delle dinamiche di sistema all’interno delle tre aree del paese. Al nord, è evidente una chiara struttura bipolare della competizione: il 77% dei comuni al voto è infatti attualmente amministrato dal centrosinistra o dal centrodestra; allo stesso modo, 2/3 dei comuni nella Zona Rossa sono guidati da amministrazioni di un chiaro colore politico. Diverso e più frammentato lo scenario al Sud, dove è solo il 49% dei comuni al voto ad essere amministrato dal centrosinistra o dal centrodestra. La restante parte è invece distribuita tra M5S e, soprattutto, tra i candidati civici.   

    Tabella 1 – Riepilogo dei vincitori nella precedente tornata elettorale nei 142 comuni superiori al voto

    Passando all’analisi dell’offerta per le amministrative di domenica, un primo dato da rilevare riguarda la presenza o meno degli uscenti. Dei 142 sindaci uscenti, 69 sono quelli che si ripresenteranno al voto domenica (il 49%). Gli incumbents sono relativamente più frequenti al Nord (il 58% dei sindaci uscenti si ripresenterà anche nella tornata di domenica), mentre il numero scende radicalmente nella Zona Rossa (dove meno di 1/3 dei sindaci uscenti si ripresenterà). Si tratta di un dato in controtendenza rispetto a quanto osservato nelle amministrative di settembre: allora, infatti, nella Zona Rossa era il 76% dei sindaci uscenti a ripresentarsi; e, più in generale, i 2/3 dei comuni allora al voto vedevano l’incumbent di nuovo in gara (Emanuele et al. 2021). In termini di coalizioni (tralasciando l’unico caso di un comune amministrato da un sindaco della sinistra alternativa al PD che si ripresenterà davanti agli elettori anche domenica), l’incumbency è relativamente più frequente nella destra e nel centrodestra, dove il 63% ed il 62% rispettivamente degli uscenti è di nuovo pronto ai blocchi di partenza. La percentuale scende invece sensibilmente nel M5S (38%) e, soprattutto, nel centrosinistra (34%). Dato quest’ultimo in linea con quanto registrato nelle amministrative di settembre (allora solo 1/3 dei sindaci del centrosinistra si ripresentò al voto, contro i 2/3 dei sindaci del centrodestra) (Emanuele et al. 2021).

    Tabella 2 – I sindaci incumbent nei 142 comuni superiori al voto

    La Tabella 3 riassume infine l’offerta elettorale nei 142 comuni superiori al voto. Per ciascuna area politica viene riportato il numero totale di candidati e liste nelle tre aree del Paese. La parte superiore della tabella ci consente di valutare la capacità di penetrazione dei diversi poli nei territori; la parte inferiore invece ci consente di indagare la loro capacità coalizionale (vale a dire la capacità “aggregante”), nonché il livello di frammentazione sia intra-coalizionale che territoriale.

    Un primo dato rilevante riguarda il livello di frammentazione della competizione elettorale. Nel totale dei 142 comuni superiori al voto, sono 599 i candidati alla carica di sindaco. In media si tratta di 4,2 candidati per comune. Rispetto alla tornata di settembre 2021, è un dato in leggero calo (allora il numero di candidati per comune era in media 4,4) (Emanuele et al. 2021).

    In continuità con le precedenti elezioni amministrative (Emanuele et al. 2021), la frammentazione è più alta nella Zona Rossa (in media 4,8 candidati per comune); al, contrario, registriamo un livello di frammentazione più basso al Sud. In questo caso, infatti, sono, in media, 3,9 i candidati per comune (la media più bassa tra le tre zone del paese), in netto calo rispetto alle elezioni di settembre (quando la media era 4,7). Si conferma invece la tendenza ad avere un numero particolarmente alto di candidati nei comuni capoluogo. Così come nel 2021, anche in questa tornata il livello di frammentazione all’interno dei capoluoghi è particolarmente elevato (una media di 6,3 candidati per comune che, benché più bassa rispetto a quanto registrato nei comuni capoluogo al voto a settembre 2021, resta un valore decisamente superiore rispetto al dato medio sul totale dei 142 comuni al voto domenica).

    Guardando alla penetrazione territoriale dei poli, il PD si conferma il partito più “nazionalizzato” all’interno del sistema politico italiano. I candidati sostenuti dal PD sono ben 128 in 142 comuni. I candidati sostenuti da Forza Italia sono invece 102, seguiti dai 65 candidati sostenuti da partiti di destra (ma non da FI). In media, i candidati sostenuti dal PD per comune sono 0,9 (un dato perfettamente in linea con quanto registrato nelle amministrative di settembre 2021); i candidati sostenuti invece da FI, in media, sono 0,72, un valore in calo rispetto al 2021 (quando erano 0,8); cresce invece la presenza di candidati di partiti di destra (con l’esclusione di FI): a settembre 2021, in media, i candidati per comune della destra erano 0,4; nei comuni al voto domenica, invece, sono 0,5. La crescita di candidati di destra è ancor più evidente nei comuni capoluogo. Vale qui la pena notare che, rispetto alla media nazionale, la presenza di candidati di FI passa da 0,7 a 0,96 (+0,24); la presenza invece di candidati di destra (non sostenuti da FI) passa da 0,46 a 0,85 (+0,39). Infine, registriamo la quasi totale scomparsa del M5S. Sono infatti 19 i candidati sostenuti solo dal M5S in 142 comuni. A settembre 2021 erano 47 (con una media per comune di 0,4). Oggi la media per comune è scesa a 0,1.

    Per quanto riguarda le liste a sostegno dei candidati, si conferma rispetto alle amministrative di settembre 2021 il numero medio di liste per candidato. A settembre, le liste per candidato erano in media 14,9, oggi il numero è leggermente più basso (14,4). Si conferma inoltre la maggiore capacità aggregatrice del centrodestra (Emanuele et al. 2021; Emanuele, Marino e Martocchia 2016; Vittori e Paparo 2018): le liste a sostegno di un candidato di centrodestra sono in media 5,1, il valore più alto registrato nei nostri dati. Sebbene questo ci dica che il centrodestra mantenga una rilevante forza attrattiva, il dato segnala al contempo una maggiore frammentazione intra-coalizionale rispetto agli altri schieramenti. Vale la pena notare, però, che il dato non è molto dissimile da quello che registriamo anche per il centrosinistra. Le liste a sostegno di un candidato sostenuto dal PD sono infatti (in media) 4,8, con valori che, tanto per il centrosinistra, quanto per il centrodestra, crescono nei comuni capoluogo e al Sud.

    Un ultimo dato interessante da segnalare riguarda proprio il mezzogiorno d’Italia. La maggiore frammentazione di lista al sud, dove il voto è tradizionalmente ‘candidate-oriented’ e dominato dai ‘Signori delle preferenze’ (Fabrizio e Feltrin 2007; Emanuele e Marino 2016), non è una novità. In linea con il passato, il numero medio di liste per candidato è decisamente più alto rispetto alla media nazionale e alla media registrata nelle altre due aree del paese. Il dato che sorprende è la rilevanza di questo fenomeno in questa tornata elettorale: benché il numero di candidati per comune sia, in media, il più basso registrato nelle tre aree del paese (parte superiore della tabella), il numero di liste totali per comune è decisamente il più alto registrato nei nostri dati (16,2, contro una media di 14,4 nei 142 comuni al voto).

    Tabella 3 – Riepilogo dell’offerta (candidati e liste) nei 142 comuni superiori al voto.
    *Altre formule: sinistra-destra (1 comune), sinistra-centro (5 comuni), sinistra-M5S (6 comuni), destra-centro (4 comuni).

    Nota metodologica

    Sinistra alternativa al PD (SX) riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Potere al Popolo (PAP), Rifondazione (PRC), Partito comunista Rizzo (PC), Partito comunista italiano Arboresi (PCI), Partito comunista dei lavoratori (PCDL), Articolo-1-MDP (MDP), Sinistra italiana (SI), Partito socialista italiano o socialisti (PSI), Centro democratico (CeDem), Italia in Comune (ITCOM), DemA (DemA), Italia dei Valori (IDV), Europa verde (Verdi), Possibile (Possibile), DemoS (Demos), Alternativa (Alt) – ma non dal PD.

    Il Centrosinistra (CS) è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD;

    il Centro (CX) riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Più Europa (+EU), Azione (AZ), Italia Viva (IV), Noi con l’Italia (NCI), Unione di Centro (UDC), Democrazia Cristiana (DC), Partito Repubblicano (PRI) Volt (Volt), Cambiamo con Toti (Cambiamo), Insieme (Insieme), Coraggio Italia (CORIT), Area Popolare (AreaPop) – ma né PD né FI.

    Il Centrodestra (CD) è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI.

    La Destra (DX) riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega o Prima l’Italia o Prima + nome del comune (LEGA), Fratelli d’Italia (FDI), Popolo della Famiglia (PDF), Partito liberale europeo (PLE), Rinascimento Sgarbi (Sgarbi), Italexit (ITEXIT), Fiamma Tricolore (FT), Movimento Idea Sociale (MIS), Diventerà Bellissima, Ancora Italia (Ancora) – ma non FI.

    Movimento Cinque Stelle (M5S)

    Candidati civici (CIV)

    Se un candidato è sostenuto dal PD o da FI è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI che hanno la priorità): in sede di attribuzione pre-elettorale viene assegnato a entrambe le aree. Es: se per ipotesi, Potere al Popolo (PAP) e Azione (AZ) sostengono lo stesso candidato, che non è candidato di nessun partito principale, la coalizione viene indicata come SX-CX. Dopo il voto, si valuterà il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Riferimenti bibliografici

    Emanuele, V., Improta, M. & Trastulli, F. (2021). ‘Tutti i numeri delle comunali: situazione di partenza, offerta e formule coalizionali nei 118 comuni superiori al voto’, https://cise.luiss.it/cise/2021/09/30/tutti-i-numeri-delle-comunali-situazione-di-partenza-offerta-e-formule-coalizionali-nei-118-comuni-superiori-al-voto/

    Emanuele, V., & Marino, B. (2016). ‘Follow the candidates, Not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalized party system’. Regional & Federal Studies, 26(4), 531-554.

    Emanuele, V., Marino, B., & Diodati, N. M. (2016). ‘Comunali 2016, l’analisi dell’offerta politica nei comuni capoluogo’. In Cosa succede in città? Le elezioni comunali del 2016, V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Dossier CISE, pp.33-40

    Fabrizio, D., & Feltrin, P. (2007). ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle regioni italiane, A. Chiaramonte e G. Tarli Barbieri (a cura di), Bologna: Il Mulino, pp. 175-199.

    Vittori, D., & Paparo, A. (2018). ‘Il quadro della vigilia delle comunali: le alleanze e le amministrazioni uscenti’, in Goodbye Zona Rossa, A. Paparo (a cura di), Dossier CISE, pp.27-36.

  • Are All Populist Voters the Same? Institutional Distrust and the Five Star Movement in Italy

    Are All Populist Voters the Same? Institutional Distrust and the Five Star Movement in Italy

    Davide Angelucci & Davide Vittori (2022) Are All Populist Voters the Same? Institutional Distrust and the Five Star Movement in Italy, South European Society and Politics, DOI: 10.1080/13608746.2022.2028503

    Are all populist voters the same? We focus on a valence populist party case (Five Star Movement) to answer this question. We inquire whether faithful populist voters, new populist voters, populist defectors and non-populist voters all have the same level of institutional trust. Our focus is on the Italian political system, regarded as a promised land for populism. This paradigmatic case sheds light on whether the entrance of a populist party into the system works as a corrective to democracy, as populist voters find their voice represented in parliament, potentially increasing their trust in the institutions. Our main finding is that faithful populist voters are the most distrustful category – meaning that having parliamentary representatives is not enough for populist voters to gain trust in institutions.

  • La partita elettorale è aperta. E (probabilmente) si giocherà al Sud

    La partita elettorale è aperta. E (probabilmente) si giocherà al Sud

    Alla vigilia dei ballottaggi di metà ottobre, in cui si giocheranno due partite fondamentali come quella di Roma e Torino, e dove il centrosinistra parte favorito nei confronti del centrodestra, è possibile trarre un bilancio ragionato dei risultati dei principali partiti politici nel primo turno. Oltre al tasto dolente della affluenza, in calo ormai costantemente da tempo, le analisi dei trend elettorali (Emanuele e Paparo 2021) hanno mostrato come il Partito Democratico sia uscito rafforzato da questa tornata, mentre i veri sconfitti sono stati la Lega nell’alveo delle destre (a favore di Fratelli d’Italia) e il Movimento 5 Stelle nel fronte progressista. Oltre alle vittorie al primo turno nelle città metropolitane di Napoli e Milano, il PD ha potuto contare su ottimo bacino elettorale anche a Torino e Roma, città che venivano da una amministrazione grillina. 

    Pur tuttavia, oltre al dato macro, cerchiamo di indagare anche la distribuzione geografica del voto (Tabella 1), specialmente in un paese come l’Italia in cui storicamente le diverse zone geografiche sono state più o meno saldamente presidiate da specifici partiti (è il caso del Movimento 5 Stelle al Sud o la Lega al Nord solo per fare due esempi relativi alle elezioni politiche del 2018). Quelli che commentiamo sono dati che risentono della forte presenza delle liste civiche, sempre più numerose e sempre più di successo nelle elezioni locali, ma che tuttavia forniscono qualche indicazione di massima, specie quando si prendono in esame i comuni capoluogo dove la forza delle liste civiche è minore se comparata con i comuni non capoluogo. Chiariamo, inoltre, che le nostre analisi si concentreranno sui 118 comuni superiori ai 15.000 abitanti andati al voto, escludendo quindi i comuni più piccoli dove, è bene notarlo, vive circa il 40% degli elettori italiani e dove il centrodestra è tradizionalmente più forte.

    Tabella 1 – Voti di lista ai principali partiti nei 118 comuni superiori al voto Domenica 3 e Lunedì 4 Ottobre per comune capoluogo/non capoluogo e zona geopolitica. Nota: le liste civiche di sinistra comprendono solo le liste civiche che hanno sostenuto un candidato sindaco del centrosinistra (sostenuto cioè dal PD); le liste civiche di destra includono le liste che hanno sostenuto un candidato sindaco del centrodestra (sostenuto da una coalizione dove compaia Forza Italia)

    CIVICHE SX CIVICHE DX CIVICHE FDI FI LEGA M5S PD
    Comuni superiori (118) 20,0% 9,0% 21,8% 11,2% 5,0% 7,7% 6,3% 19,0%
    Capoluogo 20,7% 8,1% 17,5% 12,5% 5,1% 7,4% 7,3% 21,4%
    Non capoluogo 18,6% 11,0% 31,7% 8,1% 4,6% 8,4% 3,9% 13,6%
    Nord 17,0% 11,4% 12,1% 10,9% 6,5% 12,3% 4,2% 25,6%
    Zona Rossa 20,5% 6,4% 17,7% 11,6% 3,6% 9,4% 3,6% 27,2%
    Sud 21,8% 8,1% 28,8% 11,3% 4,3% 4,4% 8,2% 13,0%

    Partito Democratico

    Sebbene il PD possa essere considerato il partito vincente di queste elezioni amministrative, qualsiasi proiezione del risultato a livello nazionale richiede cautela. Il PD risulta certamente il partito più votato nei comuni superiori e la sua performance non è eguagliata neppure sommando i partiti del centrodestra insieme. Eppure, se visto in prospettiva, i dati ci dicono qualcosa di più ed invitano a moderare l’entusiasmo. Già in precedenza è stato evidenziato come il bilancio dei comuni vinti al primo turno sancisca (per ora) una sostanziale parità tra centrodestra e centrosinistra (Maggini e Trastulli 2021). Guardando alla performance elettorale, rispetto al 2016 la performance del partito rimane sostanzialmente stabile, nonostante l’affluenza in questa tornata sia stata significativamente più bassa rispetto al 2016, dato che tradizionalmente favorisce le liste di sinistra. Il PD si conferma inoltre il partito delle città: nei comuni capoluogo il PD ottiene il 21,4%, contro il 13,6% nei comuni non capoluogo. Ma, dato ancora più rilevante, nonostante le prove di alleanza con il M5S nei territori e nonostante lo svuotamento del partito guidato da Conte, il PD non sfonda al Sud, tradizionale roccaforte del Movimento. Se i dem ottengono il 25,6% di voti al nord e il 27,2% nella Zona Rossa, la percentuale scende al 13% al Sud. A questo va poi aggiunto il dato delle civiche di sinistra: sebbene non si possa traslare questo voto direttamente verso il PD, è immaginabile pensare che almeno una parte di quell’elettorato sia di area. Il dato è significativo, ma indica anche un altro fattore: ad oggi il PD non sembra in grado di mobilitare i vecchi elettori grillini al Sud, che potrebbero essersi riversati sulle liste civiche (o aver optato per l’astensione).

    Lega

    Conquistare il Nord (e anche ampiamente) è una condizione imprescindibile per la Lega per tenere la leadership del centrodestra in ottica nazionale. Per conquistare il Nord è sì importante tenere saldamente le aree periferiche delle regioni, cosa che la Lega ha fatto in parte, ma anche essere competitivi nei grandi centri, dove invece la Lega (e la destra in generale) appaiono molto indietro rispetto al Partito Democratico, capace di intercettare il voto urbano (e mediamente benestante). Stando alla Tabella 1 difatti si nota come la Lega sia sì il primo partito delle destre al Nord (12.3%), ma Fratelli d’Italia (10.9%) è solo pochi punti percentuali dietro. Soprattutto, la somma dei due partiti non pareggia quella del PD (25.6%). Inoltre, anche tenendo presente le civiche affiliate a candidati di centrodestra e comparandole con le civiche di centrosinistra, la distanza tra i due poli non si riduce, bensì si amplia. Si tratta di dati che vanno maneggiati con le pinze, giova ripeterlo, ma che costituiscono un segnale inequivocabile del travaso di voti che sta avvenendo a destra, soprattutto nei comuni capoluogo (del Nord), dove Lega e FDI sono appaiati (Tabella 2). A questo poi si aggiunge la questione meridionale. La Lega a trazione salviniana già dal 2018 aveva provato a sfondare nelle aree del Sud, presidiate da altri partiti di destra, in primis Forza Italia. Un tentativo che sembrava andare a buon fine con le europee del 2019, ma che nel 2021 sembra si sia bruscamente arrestato. La Lega è ampiamente dietro Fratelli d’Italia non solo nei comuni non capoluogo, dove comunque le civiche la fanno da padrone, ma anche nei comuni capoluogo dove la distanza tra i due partiti è di quasi 9 punti percentuali. La Lega, quindi, ha un problema rilevante nelle grandi città italiane e anche se dovesse “reggere” la forza d’urto di FDI nelle aree periferiche, questo trend metterebbe ancora più in discussione la leadership del centrodestra di Salvini. E in tutto questo, il buono stato di salute di cui sembra godere il PD, mette ancora più in difficoltà i leghisti.

    Tabella 2 – Voti di lista ai principali partiti nelle diverse aree geopolitiche del paese per comune capoluogo/non capoluogo

    Fratelli d’Italia

    Sulla scia dei buoni risultati nei sondaggi a livello nazionale, FdI ottiene nel complesso un buon risultato anche a livello locale. Come rilevato in precedenza da Emanuele e Paparo (2021), il partito guidato da Meloni ottiene l’11,1% dei voti nei comuni superiori, praticamente sei punti percentuali in più rispetto alle amministrative del 2016. Il partito va meglio nei capoluoghi (12,5%), mentre fatica nei centri più piccoli, dove raccoglie solo l’8,1% dei voti. Sebbene si tratti di dati relativi soltanto ai comuni superiori, l’indicazione che se ne trae è quella di un partito con una maggiore capacità di presa sui centri urbani, potenzialmente in grado di mobilitare sia una classe media conservatrice (rimasta orfana per via del crollo di FI) ma anche quote di elettorato nelle grandi periferie urbane. Il dato, tuttavia, più interessante è probabilmente legato alla distribuzione territoriale dei voti ottenuti dal partito. Al contrario di quanto osservato per la Lega, il partito ottiene un consenso omogeneo nelle tre zone geopolitiche del paese (10,9% al Nord, 11,6% nella Zona Rossa, 11,3% al Sud). Laddove Salvini sembra dunque aver fallito nel progetto di nazionalizzazione della Lega (che evidentemente non riesce a sbarazzarsi dell’etichetta di partito del Nord e sotto certi aspetti nemmeno lo vuole), Giorgia Meloni sembra essere in grado di ottenere un successo più trasversale, un dato questo fondamentale se letto nella prospettiva della competizione nazionale. È chiaro (e lo era anche per Salvini), che nessun partito (o coalizione di partiti) può pensare di vincere le elezioni senza il sostegno del Sud. Il dato potrebbe suggerire che i movimenti all’interno del centrodestra stiano in realtà riportando i rapporti di forza tra i partiti ad una dimensione per certi versi più naturale. La crescita della Lega al Sud in occasione delle Europee era probabilmente il frutto della mancanza di un’offerta politica a destra che fosse già allora credibile per un elettorato rimasto orfano della leadership di Silvio Berlusconi. Il vuoto lasciato da Berlusconi potrebbe aver spinto quell’elettorato verso la Lega per mancanza di altre alternative. Quando il partito della Meloni (anche per via di una coerente scelta di opposizione durante l’attuale legislatura) è stato in grado di profilarsi come un partito credibile agli occhi degli elettori di destra del Sud, quest’ultimi si sono riavvicinati a quella che sembrerebbe essere la casa a loro più congeniale. 

    Forza Italia

    Se Lega e FdI si contendono la leadership del centrodestra, sembra ormai fuori dai giochi Forza Italia. In crollo di consensi dall’uscita di scena di Berlusconi, la caduta elettorale del partito è ormai un fatto noto. Nelle precedenti amministrative del 2016 FI aveva ottenuto nei comuni superiori il 7,8%, un risultato di per sé già deludente. Negli stessi comuni il partito si è fermato ad appena il 5% alle elezioni di domenica e lunedì scorsi. Interessante notare che il partito va relativamente meglio al Nord, ma soprattutto che si tratta del partito che riscuote meno successo anche al Sud (un tempo bacino prezioso di voti) rispetto agli altri partners del centrodestra (il 4,3%, contro il 4,4% della Lega e l’11,3% di FdI). Il dato però più rilevante da sottolineare è legato alle conseguenze della debolezza di FI all’interno della compagine del centrodestra. Il crollo di FI ha di fatto aperto la competizione tra Lega e FdI per la leadership della coalizione, ma ha anche generato incertezza e importanti elementi di fragilità. Negli anni d’oro del berlusconismo, la leadership indiscussa del Cavaliere proiettava l’immagine di una coalizione solida e compatta, pur con le sue diverse sensibilità interne. Con una buona dose di semplificazione, erano gli anni in cui il principio del “marciare divisi per colpire uniti” funzionava. L’assenza di una leadership forte e riconosciuta, e la lotta interna tra i due principali azionisti della coalizione, potrebbe invece ora proiettare l’immagine di una coalizione litigiosa e poco rassicurante, incapace di dialogare con le classi dirigenti e i gruppi imprenditoriali del paese (a maggior ragione se si considera il profilo sovranista e populista che ha contraddistinto Lega e FdI negli ultimi anni). Un saggio di queste dinamiche è emerso chiaramente dal processo di selezione delle candidature nel centrodestra durante le ultime amministrative: veti incrociati e logiche spartitorie che (unitamente ad un problema più trasversale di formazione del personale politico) hanno prodotto candidature per lo più deboli.         

    Movimento 5 Stelle

    Oltre alla Lega, il Movimento 5 Stelle a trazione Conte è sicuramente uscito ridimensionato dalla contesa elettorale. Già altre analisi avevano messo in luce le difficoltà dei grillini a livello locale e regionale, dove il voto di opinione è meno rilevante rispetto alle politiche (Vittori 2020), ma questa tornata serviva come banco di prova delle due amministrazioni locali che avevano lanciato la rincorsa del M5S nel 2016, Roma e Torino, entrambe conquistate al ballottaggio contro il Partito Democratico. L’onestà al governo per ora a livello locale non ha funzionato, tanto che confermare un secondo mandato per i grillini nei comuni capoluogo è ancora un tabù: è successo a Parma (dove Pizzarotti ha vinto, dopo essere stato allontanato dal MoVimento) e a Livorno ed è capitato nuovamente a Roma e Torino. Non solo il MoVimento 5 Stelle è rimasto fuori dalla contesa tra centrosinistra e centrodestra – e in entrambi casi, la candidatura del M5S è avvenuta contro i desiderata di una parte della leadership grillina, che vedeva di buon occhio una candidatura progressista unica – ma è pressoché scomparso quale terzo polo. Il M5S rimane ancora un partito ancorato al Sud, come lo è la Lega al Nord, ma è sempre meno decisivo, se non come junior partner del Partito Democratico. Soprattutto, pur fermando parzialmente l’emorragia di voti al Sud, tanto al Nord, quanto nella cosiddetta zona rossa, il M5S rischia l’irrilevanza politica. Quanto poi questo trend negativo impatterà sul livello nazionale è forse prematuro dirlo, se non altro perché il M5S alle elezioni politiche è sempre riuscito a performare oltre le aspettative che i risultati alle elezioni locali, regionali ed europee avevano lasciato presagire. Tuttavia, in questo caso, il MoVimento 5 Stelle viene da ormai un triennio al governo, che ha logorato le stesse basi su cui poggiava il fulcro del successo elettorale, prima tra tutte l’alterità rispetto al “sistema”. E segnali di ripresa di una centralità nel quadro politico non se ne vedono all’orizzonte.

    Conquistare il sud per vincere le elezioni

    Complessivamente, il quadro che emerge da questo primo turno di amministrative appare decisamente più complesso del previsto. Il PD vince ai punti, ottenendo complessivamente la maggioranza relativa dei voti rispetto a tutti gli altri competitors. Tenendo presente anche del peso delle civiche di area (sinistra e destra), la forbice tra i due poli almeno a livello locale è decisamente amplia. Se questo è vero, è altrettanto vero che questo si traduce in un incremento di competitività tutto sommato limitato (o meglio, in un incremento di competitività passivo, prodotto cioè dalle performances negative degli altri, più che da uno slancio attivo del partito). Le prestazioni restano stabili rispetto al passato, denunciando l’incapacità al momento di ampliare i propri consensi elettorali.

    Nel campo del centrodestra, si conferma il buono stato di salute di FdI, che riuscendo ad ottenere voti in modo trasversale in tutte le aree del Paese sembra poter contare su un supporto elettorale più stabile rispetto a quello dei leghisti. Per quanto riguarda la Lega, il partito non solo perde in competitività, ma la sua base elettorale torna ad essere più marcatamente localizzata al Nord, dato sintomatico del fallimento del processo di nazionalizzazione del partito avviato in precedenza da Salvini. Infine, è inevitabile registrare il flop del M5S, in particolar modo nelle regioni del Sud, dove il partito ottiene appena l’8,2% dei voti. Più in generale, rispetto al 2016, il Movimento perde complessivamente più di 11 punti percentuali nell’aggregato dei comuni superiori al voto.

    Ma è proprio la sconfitta del Movimento al Sud che apre un capitolo chiave in ottica di competizione anche nazionale. Lo svuotamento del M5S, ormai apparentemente inesorabile anche nelle tradizionali roccaforti, rende contendibile un elettorato cospicuo in termini numerici. Questo elettorato è mediamente più sfiduciato e volatile, come molte analisi hanno dimostrato, e concentrato soprattutto al Sud, dove però tutte le altre forze politiche (sia a destra che a sinistra) non sfondano. È vero che gli scarsi risultati dei principali partiti al Sud sono legati anche a dinamiche di competizione locale del tutto peculiari; ed è anche vero che le elezioni locali non sono quelle politiche, che solitamente arridono a partiti con una struttura sociale e ideologica come quella del MoVimento. Tuttavia, va notato che negli stessi comuni superiori dove si è votato domenica 3 e lunedì 4 ottobre, il M5S aveva ottenuto nel 2016 quasi il 18% dei voti.

    In termini sistemici, se il terzo polo del sistema politico italiano (vale a dire quello del M5S, partito del Sud) dovesse venire meno, come sembra da questi dati, si aprirà allora una questione chiave: dove si ricollocheranno i vecchi elettori pentastellati? Quale partito riuscirà a mobilitarli? Alle precedenti Europee le analisi dei flussi elettorali avevano rilevato il passaggio sostanziale di elettori dal M5S alla Lega (De Sio 2019). Ma ora che la stessa Lega sembra non avere più mordente al Sud, il mezzogiorno d’Italia torna ad essere un campo di competizione elettorale aperto. Nel centrosinistra l’unico partito in grado di raccogliere l’eredità di quei voti è evidentemente il Partito Democratico, ed un’alleanza strutturale con il Movimento potrebbe servire allo scopo. Ma non è detto. Gli elettori del Movimento della prima ora, quelli del V-Day e dell’opposizione alla casta, potrebbero recepire male questa convergenza e decidere di disertare le urne piuttosto che spostarsi sul PD (come già successo in passato). Nel campo del centrodestra, invece, il miglior candidato a raccogliere una fetta di quell’elettorato potrebbe essere Giorgia Meloni. I dati di queste amministrative ci dicono in fin dei conti che il voto a FdI è più nazionalizzato e trasversale rispetto a quello della Lega, che sembra invece essere tornata ad una sua dimensione territorialmente delimitata. Peserà, certamente, all’interno del centrodestra la lotta per la leadership tra Salvini e Meloni. Una lotta che pare abbia già danneggiato la coalizione in occasione delle ultime elezioni: candidature deboli (frutto di macchinose spartizioni partitiche e carenza di personale politico) e smobilitazione dell’elettorato di centrodestra hanno senz’altro giocato la loro parte nel decretare il magro bottino elettorale del centrodestra. Ciononostante, è bene ribadirlo, le amministrative non sono le politiche, dove il voto di opinione prevale nettamente sulla “qualità” delle candidature espresse. E nella prospettiva delle future elezioni politiche il mezzogiorno, più ancora di altre regioni italiane, sembra destinato, così come in passato, a fare la differenza nel sancire quale tra i due poli intorno ai quali si sta ristrutturando il sistema politico italiano avrà la meglio.

    Riferimenti bibliografici

    De Sio, L. (2019). Dentro i flussi elettorali: da Salvini e Zingaretti una tenaglia per il Movimento 5 Stelle? CISE-Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/28/dentro-i-flussi-elettorali-da-salvini-e-zingaretti-una-tenaglia-per-il-movimento-5-stelle/

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2021). FDI sorpassa la Lega, M5S crolla, PD ai livelli 2016. L’analisi del voto nei 118 comuni sopra i 15.000 abitanti. CISE-Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2021/10/06/fdi-sorpassa-la-lega-m5s-crolla-pd-ai-livelli-2016-lanalisi-del-voto-nei-118-comuni-sopra-i-15-000-abitanti/

    Maggini, N. e Trastulli, F. (2021). “Ritorno al bipolarismo”: il quadro delle vittorie e delle sfide ai ballottaggi nei comuni sopra i 15mila abitanti. CISE-Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2021/10/07/ritorno-al-bipolarismo-il-quadro-delle-vittorie-e-delle-sfide-ai-ballottaggi-nei-comuni-sopra-i-15mila-abitanti/

    Vittori, D. (2020). Il Valore di Uno. Il MoVimento 5 Stelle e l’esperimento della democrazia diretta. Roma: LUISS University Press.

  • Stavolta è l’economia. I temi che hanno deciso le elezioni in Germania

    Stavolta è l’economia. I temi che hanno deciso le elezioni in Germania

    Questo articolo è la traduzione di un articolo in inglese pubblicato sul blog EUROPP della London School of Economics (immagine: Ansgar Koreng / CC BY-SA 4.0)

    Quali temi hanno determinato la crescita dei diversi partiti nelle elezioni federali tedesche del 2021? Davide Angelucci, Lorenzo De Sio, Heiko Giebler e Werner Krause presentano le conclusioni di un’analisi dei temi chiave che hanno orientato i flussi di voto durante la campagna. Secondo l’analisi condotta, la vittoria della SPD è stata principalmente guidata dalla sua credibilità sulle questioni economiche. 

    Le elezioni federali tedesche del 2021 sono state un’esempio da manuale di volatilità elettorale: non solo in termini di risultato, ma anche in relazione ai cambiamenti nei sondaggi durante la campagna. Le caratteristiche personali dei principali candidati hanno avuto chiaramente la loro importanza, ma la domanda più interessante è: quali sono stati i temi chiave che hanno effettivamente determinato il risultato? Data l’importanza delle elezioni, ci aspetteremmo che nuovi temi abbiano giocato un ruolo chiave, anche con potenziali cambiamenti nell’importanza dei diversi temi, sia per gli elettori che per i partiti. 

    Sebbene questa domanda sia di fondamentale importanza, nelle precedenti elezioni è stata spesso lasciata senza una risposta chiara e univoca. Questo studio mira a colmare questa lacuna sfruttando un disegno di ricerca innovativo basato su due innovazioni metodologiche. In primo luogo, piuttosto che spiegare – come si fa tradizionalmente – la semplice scelta di voto, ci concentriamo invece sul cambiamento del voto, cioè il passaggio da un partito nelle elezioni precedenti a un altro nelle elezioni attuali. Concentrandoci su questo cambiamento di voto, possiamo analizzare direttamente il meccanismo a livello individuale che produce i flussi elettorali, ovvero i guadagni o perdite totali per ciascun partito. In secondo luogo, utilizziamo i dati di un sondaggio progettato apposta dal CISE come parte della più ampia ricerca ICCP, in cui abbiamo sondato un campione di intervistati tedeschi su ben 31 temi d’attualità, declinati nei termini specifici che hanno nell’attuale dibattito pubblico in Germania. 

    Utilizzando questo approccio, abbiamo stimato modelli di regressione logistica degli afflussi di voti specifici per ciascun partito, in base alla credibilità che gli intervistati assegnavano a ciascun partito su un determinato tema d’attualità. Questo ci consente in modo efficace di identificare quali temi hanno attratto gli intervistati a passare a un certo partito, alimentandone il successo. Di conseguenza, possiamo tracciare una mappa completa dei temi che hanno orientato i flussi di voto in queste elezioni, e aiutare a strutturare la ricerca futura sui comportamenti di voto e sugli effetti delle strategie di partito. 

    I temi che hanno prodotto il successo dei vari partiti nelle elezioni tedesche del 2021 

    La tabella 1 che segue presenta i risultati della nostra analisi. Per ogni tema, la presenza di un cerchio significa che il ritenere il partito credibile su quel tema ha avuto un effetto statisticamente significativo sulla decisione di passare a quel partito. (Xanax) Va notato che, sebbene abbiamo testato l’effetto di 31 temi in totale, solo 15 hanno mostrato un effetto significativo per almeno uno dei principali partiti tedeschi. 

    Nel complesso, i nostri risultati mostrano che l’economia è stata la chiave per il successo elettorale della SPD, almeno per quanto riguarda la capacità del partito di attrarre nuovi elettori. I socialdemocratici sono stati premiati per la loro credibilità sui temi tradizionali della sinistra: in particolare l’aumento del salario minimo e il rafforzamento della protezione del lavoro e dell’occupazione. Insieme a queste due questioni economiche, anche la credibilità del partito sull’integrazione nell’UE ha giocato un ruolo. 

    Tabella 1: Temi chiave per i flussi di voto in ingresso ai vari partiti tedeschi – elezioni 2021 

    Nota: i cerchi indicano che ritenere il partito credibile su quel tema ha avuto un effetto statisticamente significativo sulla decisione di passare a quel partito

    Allo stesso modo, per la CDU/CSU, l’economia ha svolto un ruolo fondamentale. I voti guadagnati dalla CDU/CSU appaiono infatti legati alla sua credibilità sul raggiungimento della giustizia sociale e sulla riduzione della disoccupazione, due temi trasversali che esprimono chiaramente una domanda di protezione sociale ed economica. Abbiamo anche trovato effetti significativi per due temi culturali (e divisivi). La CDU/CSU ha fatto una campagna contro la promozione del linguaggio di parità di genere; e ha promosso la tutela del modello familiare tradizionale. Entrambe queste questioni appaiono essere state decisive nell’attrarre nuovi elettori. Naturalmente, questa analisi indica solo dove la CDU/CSU ha guadagnato elettori: in realtà l’importanza maggiore sul risultato di questo partito è dovuta agli elettori persi dal partito rispetto alle precedenti elezioni. Tuttavia i nostri dati mostrano che comunque si sono registrati anche flussi in ingresso, dovuti per l’appunto a questi temi. 

    Per Die Linke e i Verdi, una combinazione di temi culturali ed economici è stata il fattore chiave per attrarre nuovi elettori. Die Linke è stata in grado di attrarre nuovi elettori grazie alla sua credibilità per mantenere l’attuale età pensionabile e per proteggere il paese da attacchi terroristici. Tuttavia, il partito non sembra essere stato in grado di beneficiare delle sue posizioni più radicali sulle sue questioni fondamentali, come il salario minimo o la tassazione dei redditi elevati. Qui, le campagne dell’SPD e dei Verdi hanno avuto più successo. È interessante notare che anche la posizione del partito sull’equilibrio tra gli obblighi di vaccinazione contro il Covid-19 e le libertà individuali ha contribuito ad attirare elettori. 

    Per quanto riguarda i Verdi, forse la scoperta più notevole è la (quasi) completa assenza di temi ambientali tra i predittori significativi dell’attrazione di nuovi elettori. Se escludiamo il tema del limite di velocità sulle autostrade tedesche, nessun altro tema ambientale ha influenzato i guadagni elettorali del partito. Invece, abbiamo scoperto che una combinazione di temi progressisti, sia culturali ed economici, è stata quella che ha premiato il partito dal punto di vista elettorale. I guadagni del partito appaiono infatti guidati, su temi “culturali”, dalla sua credibilità per promuovere l’integrazione europea e per promuovere tutti i modelli di famiglia; mentre sui temi economici, la tassazione dei redditi elevati e la promozione della giustizia sociale sono stati importanti fattori di crescita elettorale. Abbiamo anche riscontrato un effetto della credibilità del partito sul grande tema della globalizzazione. 

    I liberali (FDP) sono stati in grado di mobilitare nuovi elettori sfruttando la loro credibilità sull’integrazione europea e sull’opposizione ai limiti di velocità sulle autostrade tedesche. Questo profilo ha permesso al partito di assumere posizioni distintive nei confronti di altri partiti minori come i Verdi (sui limiti di velocità) o l’AfD (sull’integrazione europea). Abbiamo anche scoperto che il partito è stato premiato per la sua tradizionale credibilità nel promuovere posizioni di libero mercato in campo economico: in particolare, in merito all’aumento della flessibilità del sistema pensionistico tedesco, e alla sua opposizione all’aumento delle tasse per coloro che hanno redditi e ricchezza più elevati. 

    Infine AfD, partito populista di destra radicale, ha combinato obiettivi politici conservatori, in ambito culturale, con obiettivi di libero mercato in campo economico. Il partito è stato premiato per il suo euroscetticismo, ma anche per la sua posizione nel creare flessibilità riguardo all’età pensionabile. Ha anche attirato elettori su temi relativi al cambiamento climatico (transizione energetica e protezione dell’ambiente) ma su posizioni conservatrici: era infatti l’unico partito tedesco rilevante a mettere in discussione che il cambiamento climatico sia causato dall’uomo. È interessante notare che sia AfD che Die Linke hanno beneficiato della loro credibilità nell’affrontare il terrorismo, che è probabilmente una conseguenza degli alti livelli di terrorismo sia di destra che islamista negli ultimi anni. 

    Il carattere generale dell’elezione

    La nostra analisi fornisce in definitiva una caratterizzazione complessa dei temi chiave dell’elezione. È chiaro che l’economia ha svolto un ruolo importante nel determinare l’esito finale, almeno per quanto riguarda i flussi di voto. Questo evidenzia importanti differenze rispetto alle elezioni del 2017, in cui le questioni economiche non avevano svolto un ruolo importante. Non solo l’SPD, ma anche altri partiti sia di sinistra che di destra sono stati in grado di attrarre nuovi elettori attraverso la loro credibilità sulle questioni economiche. È interessante notare che l’SPD è stata particolarmente premiata per il suo profilo di sinistra. 

    Nel complesso, la crescita elettorale di vari partiti prodotta da posizioni progressiste sull’economia parla di una domanda complessiva di protezione sociale ed economica. Le questioni culturali, in confronto, hanno giocato un ruolo più debole. Ci sono prove che il conflitto sull’Europa, dove l’euroscetticismo dell’AfD si oppone agli altri partiti tradizionali, ha avuto un impatto sulla crescita dei partiti; tuttavia, questo tema non è stato accompagnato da altrettanta rilevanza dal tema dell’immigrazione, che non ha agito come un predittore significativo del cambiamento di voto. 

    Infine, uno degli aspetti più interessanti è che, secondo i nostri risultati, i temi ambientali hanno giocato solo un ruolo moderato nel cambiamento voto, indipendentemente dall’importanza che hanno dato partiti e media a questo tema. Ciò richiede una ricerca più approfondita in quanto potrebbe essere la chiave per capire perché i Verdi, dati al 25% all’inizio della campagna, sono riusciti a ottenere solo il 14,8% dei voti il giorno delle elezioni.

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, D., & De Sio, L. (2021). Issue characterization of electoral change (and how recent elections in Western Europe were won on economic issues). Italian Journal of Electoral Studies QOE – IJES84(1), 45-67. https://doi.org/10.36253/qoe-10836

    De Sio, L. & Romain Lachat (2020) Issue competition in Western Europe: an introduction, West European Politics, 43:3, 509-517, DOI: 10.1080/01402382.2019.1655957

    Franzmann, Simon, Giebler, H., & Thomas Poguntke (2020) It’s no longer the economy, stupid! Issue yield at the 2017 German federal election, West European Politics, 43:3, 610-638, DOI: 10.1080/01402382.2019.1655963

  • New method shows unexpected importance of economic issues: article now officially published

    New method shows unexpected importance of economic issues: article now officially published

    Angelucci D., De Sio L. (2021), Issue characterization of electoral change (and how recent elections in Western Europe were won on economic issues), Quaderni dell’Osservatorio elettorale – Italian Journal of Electoral Studies (QOE-IJES), Just Accepted.

    Leveraging the issue-rich ICCP dataset (data and documentation is openly accessible and available free of charge through the ICCP and GESIS websites), the article investigates the issue determinants of vote change in six important European countries between 2017 and 2018 (Austria, France, Germany, Italy, Netherlands, UK). The article makes innovative contributions in three aspects:

    1) Rather than modelling vote choice, we model vote change, at the individual level, from one party to another. In doing so, the article indeed provides a plausible account of the determinants of the voting shifts behind electoral victories and defeats.

    2) By relying on a unique dataset that includes voter opinions on a large number (30+) of actual campaign issues of each of the six countries covered by the study, we identify actual issue determinants of voting shifts, thus providing an accurate picture of the problem and policy priorities that drive electoral results.

    3) This is particularly relevant in relation to the specific empirical application of this new design: the turning point elections that took place in these countries in 2017-18 (right after Brexit and the election of Donald Trump). While the literature has mostly focused on the emphasis by challenger parties on “cultural” issues (such as immigration and the EU), we find that the individual-level determinants of vote shifts are dominantly economic, and mostly related to positions that are protective of the welfare state. This casts a new light on the interpretation of recent elections in Western Europe.