Autore: Nicola Maggini

  • Auto-collocazione politica: i flussi nell’arco di sei mesi e i mutamenti all’interno delle professioni

    di Nicola Maggini

     

    Il Panel Elettorale CISE ci permette di ricostruire, a distanza di vari mesi, non soltanto i cambiamenti complessivi dell’opinione pubblica, ma i veri e propri cambiamenti degli atteggiamenti e delle opinioni a livello individuale. In questa sede presentiamo i risultati del confronto delle prime due ondate: primavera e autunno 2012. Quali categorie politiche sono maggiormente mobili? Quanti intervistati cambiano opinione politica a distanza di sei mesi? A queste domande cerchiamo di dare risposta con l’analisi che segue. In primo luogo, la Fig.1 mostra come si collocano i nostri 1524 intervistati sull’asse sinistra-destra nell’arco di sei mesi. Come si vede, non ci sono dei grossi cambiamenti: coloro che si collocano sulla sinistra dello spazio politico rimangono stabili e rappresentano circa un terzo dei nostri intervistati. Coloro che si collocano al centro aumentano di 1,4 punti percentuali (dal 23% al 24,4%), mentre gli intervistati di destra diminuiscono di 1,6 punti percentuali (dal 30,1% al 28,5%). Infine, i non collocati rimangono stabili, attorno al 13%.

    Fig.1

    A prima vista il quadro che emerge è quello di una forte stabilità delle opinioni politiche all’interno del nostro campione; tuttavia, se si incrocia l’auto-collocazione politica della primavera 2012 con l’auto-collocazione politica dell’autunno 2012, si può comprendere effettivamente se ci siano stati dei mutamenti di opinioni politiche a livello individuale e in che direzione. Presentiamo quindi le matrici di flusso che mostrano i movimenti intervenuti tra la prima ondata e la seconda ondata del panel considerando gli stessi 1524 intervistati. La Tab.1 riporta i flussi in percentuale rispetto all’auto-collocazione politica nella primavera 2012 e ricostruisce quindi le destinazioni avvenute nell’autunno 2012.

    Tab.1

    La matrice delle destinazioni evidenzia nella diagonale le percentuali di coloro che confermano la propria opinione politica tra le due ondate. In primo luogo, tra coloro che nella primavera del 2012 si collocavano a sinistra, il 75,2% nell’autunno 2012 conferma la propria posizione, mentre il 14,1% si colloca al centro, il 6,1% si colloca sulla destra e il 4,6% passa tra i non collocati. Gli intervistati di sinistra sono quelli che mostrano una maggiore stabilità nel proprio posizionamento politico. Subito dopo (con un distacco di circa 6 punti percentuali) vengono gli intervistati di destra: tra questi, nell’autunno 2012 il 69,1% continua a considerarsi di destra, il 16% si colloca al centro, il 5,4% si sposta a sinistra e il 9,5% passa tra i non collocati. Un minore grado di stabilità nel proprio posizionamento politico lo mostrano gli intervistati di centro e i non collocati. Tra coloro che nella primavera 2012 si collocavano al centro, il 46,2% mantiene la stessa posizione, mentre la maggioranza cambia posizione, in particolare verso la sinistra (22%) e, in misura minore, verso la destra (17,7%) e i non collocati (14%). Infine, tra coloro che nella primavera 2012 non si collocavano, il 45,4% continua a non collocarsi, mentre la maggioranza decide di collocarsi all’interno di una categoria dello spazio politico. In particolare, ben il 32% si sposta al centro, mentre l’11,9% si sposta a destra e il 10,7% si colloca sulla sinistra. In sintesi, l’apparente stabilità mostrata dalla Fig.1 è il risultato di una serie di flussi quasi a somma zero; tra i nostri intervistati, in realtà, c’è stata una mobilità delle opinioni politiche che ha riguardato in modo particolare coloro che non si collocano lungo l’asse sinistra-destra e coloro che si collocano al centro. Questa maggiore mobilità a livello individuale delle opinioni politiche dei non collocati e degli intervistati di centro non è del resto sorprendente ed è accompagnata, come si è detto, da una stabilità circa il proprio posizionamento politico degli intervistati di destra e, in misura ancora maggiore, di quelli di sinistra. Ci domandiamo ora se tali mutamenti di opinioni politiche abbiano riguardato in particolare alcune categorie socio-professionali. Per far ciò abbiamo incrociato la professione dell’intervistato con l’auto-collocazione politica, sia nella prima che nella seconda ondata del Panel. Riportiamo i risultati nelle Fig.2 e 3 che mostrano il profilo politico delle diverse categorie socio-professionali.

    Fig.2

    Fig.3

    Si nota in primis come coloro che si collocano sulla sinistra dello spazio politico nell’arco di sei mesi aumentino in termini percentuali in quasi tutte le categorie socio-professionali, con l’eccezione della borghesia, dei pensionati e dei disoccupati. In queste categorie, tuttavia, il decremento di coloro che si collocano sulla sinistra non è accompagnato da un aumento di coloro che si collocano sulla destra (a parte tra i pensionati dove c’è un leggero aumento degli intervistati di destra, rimanendo sostanzialmente stabili). Nella borghesia tra primavera e autunno 2012 è il centro che aumenta in termini percentuali (dal 17,2% al 24%), mentre la destra diminuisce di circa due punti (dal 28,9% al 26,2%), mostrando una percentuale quasi uguale a quella della sinistra. Coloro che si collocano al centro aumentano anche tra i pensionati, passando dal 19,1% della primavera al 23,8% dell’autunno (mentre la sinistra cala dal 44,6% al 39,3% e la destra passa dal 24,9% al 25,4%). L’aumento percentuale degli intervistati di centro è ancora più marcato tra i disoccupati, dove passa dal 19,3% della primavera al 39,7% dell’autunno (un incremento di ben 20,4 punti percentuali). I disoccupati sono una delle categorie che mostrano i maggiori mutamenti circa le opinioni politiche nell’arco di sei mesi. Coloro che si collocano sulla destra dello spazio politico passano, sempre tra i disoccupati, dal 34,1% della prima ondata al 25,9% della seconda ondata, e una diminuzione simile la registrano anche quelli che si collocano sulla sinistra che calano dal 29,7% al 16,2%. Un aumento lo registrano, invece, i non collocati che passano dal 16,9% al 18,2%. Oltre ai disoccupati, le altre due categorie che registrano i maggiori mutamenti dal punto di vista del profilo politico sono le casalinghe e gli operai. Mentre in primavera tra le casalinghe la destra sopravanzava nettamente la sinistra (33,4% vs. 23,9%), in autunno i rapporti di forza si sono ribaltati, con la sinistra che sopravanza la destra (29,3% vs. 25,1%). Nell’arco di sei mesi anche il centro è diminuito in termini percentuali (dal 31,7% al 24,5%), mentre i non collocati sono aumentati sensibilmente (passando dall’11% al 21,1%, ossia un incremento di 10,1 punti percentuali). Anche tra gli operai in primavera la collocazione a destra sopravanzava nettamente la collocazione a sinistra (37,2% vs. 22,4%); in autunno, invece, i rapporti di forza si sono riequilibrati (gli intervistati di destra sono il 34,9% e quelli di sinistra il 31,3%). Coloro che si collocano al centro, sempre tra gli operai, sono diminuiti passando dal 27,2% al 23,2%, e un calo lo registrano anche i non collocati (dal 13,3% al 10,7%). In definitiva, tra gli operai la sinistra è l’unica categoria politica che aumenta (di 8,9 punti percentuali). Infine, gli impiegati (pubblici e soprattutto privati) sono le uniche due categorie socio-professionali dove tra primavera e autunno sia gli intervistati di sinistra che quelli di destra aumentano in termini percentuali, mentre coloro che si collocano al centro diminuiscono (di 8,1 punti percentuali tra gli impiegati privati e di 5,4 punti tra gli impiegati pubblici). In conclusione, è interessante notare come le categorie che registrano i maggiori mutamenti dal punto di vista del profilo politico siano o categorie che stanno fuori dal mercato del lavoro e di solito politicamente periferiche (i disoccupati e le casalinghe) o categorie che più di altre sono sottoposte alla competizione indotta dalla globalizzazione e dipendenti quindi dalle sorti del mercato (gli operai).

  • Primarie, l’analisi della partecipazione: boom di votanti nelle regioni rosse, forte calo al Sud

    di Vincenzo Emanuele

    Tre milioni e centomila. Questo il bilancio complessivo (ancorché non definitivo – mancano ancora alcune sezioni, ormai tre giorni dopo la chiusura dei seggi) della partecipazione alle primarie del centrosinistra. Rispetto all’enfasi iniziale posta sulla grande affluenza, dovuta alle prime stime che parlavano di oltre 4 milioni di elettori, il risultato finale costringe a ridimensionare l’entusiasmo un po’ retorico di molti commentatori. Intendiamoci, in tempi di antipolitica portare più di tre milioni di elettori ai seggi è un risultato ragguardevole, ma se confrontiamo questo dato con quello delle primarie del 2009 il numero di partecipanti è praticamente identico (all’ora furono 3 milioni e 34.000). Ma nel 2009 si votò per eleggere il segretario del Pd, per di più in un momento in cui il partito, dopo l’abbandono di Veltroni e la sconfitta alle europee, versava in condizioni disastrose, con i sondaggi che lo stimavano non oltre il 25%. Il 25 novembre si è votato per eleggere il candidato premier dell’intero centrosinistra, in un momento di grazia per il Pd, che secondo tutti i sondaggisti veleggia oltre il 30%.

    Per analizzare correttamente la partecipazione al voto è necessario capire qual è il corpo elettorale di riferimento. Trattandosi di primarie del centrosinistra, l’elettorato di riferimento è ovviamente costituito dagli elettori dei partiti di centrosinistra. Come punto di riferimento per stimarne il numero utilizziamo le elezioni politiche del 2008 che, vista l’alta partecipazione al voto (80,5%), sono le più idonee per il calcolo dell’elettorato potenziale delle primarie. A questo punto calcoliamo il rapporto tra votanti alle primarie 2012 e voti ottenuti alle politiche 2008 dai partiti di centrosinistra (Pd, Idv, Ps e Sinistra arcobaleno) e otteniamo un numero, che definiamo Indice di Partecipazione alle Primarie[1]. Esso oscilla tra 0 (nessun elettore vota) e 1 (tutti gli elettori di centrosinistra votano[2]). Dal momento che nel 2008 la sinistra nel suo complesso ottenne poco più di 15 milioni di voti, l’Indice fa segnare, a livello nazionale, il valore di .205, mentre nel 2009 risultava di .201[3]. Insomma, le primarie hanno interessato circa un quinto dell’elettorato di centrosinistra. Disaggregando territorialmente i risultati scopriamo alcuni dati interessanti.

    Come vediamo nella Tabella 1[4], la partecipazione è stata altissima in Toscana, in cui quasi un terzo degli elettori di centrosinistra del 2008 si è recato alle urne, con un incremento di 11 punti rispetto al 2009. Seguono altre regioni di solida tradizione progressista, come l’Emilia-Romagna, la Basilicata e l’Umbria. Oltre la media nazionale si trovano anche il Friuli Venezia-Giulia e la Calabria. Tra le regioni con la più bassa affluenza spiccano il Molise (0,119) e il Trentino Alto Adige (0,136), oltre ad alcune importanti regioni del Nord (Piemonte e Veneto) e del Sud (Sicilia, Sardegna e Puglia, in cui la presenza del governatore Vendola come candidato alle primarie non è servita ad accrescere la partecipazione, in calo rispetto al 2009). In generale, il confronto con i dati relativi alle primarie del 2009 svelano una netta frattura territoriale fra il Nord e il Sud del paese: in quasi tutte le regioni centro-settentrionali la partecipazione è aumentata, con l’eccezione di Veneto e Friuli Venezia-Giulia, mentre in tutto il Mezzogiorno il numero di votanti diminuisce, e con esso anche l’Indice di Partecipazione. In alcuni casi il crollo è drammatico: in Basilicata e Calabria, che pure risultano due regioni con affluenza superiore alla media nazionale, il calo rispetto al 2009 è rispettivamente di 11 e 10 punti. Inferiore, ma comunque significativa è la diminuzione della partecipazione in altre regioni meridionali, come la Sardegna, il Molise, la Campania e la Sicilia (tutte comprese fra i 5 e i 7 punti).

    Tab. 1 Indice di Partecipazione alle Primarie per regione, 2009 e 2012.

    Aggregando i risultati per macro-area emerge una differenza netta fra la Zona rossa e il resto del paese. Nelle regioni di tradizionale insediamento della sinistra la partecipazione è stata del 28,6%, in crescita di quasi 6 punti dal 2009. Nel resto del paese invece staziona attorno al 18% sebbene con trend opposti fra Nord (in crescita di 3,5 punti), Centro-Sud e Sud (in calo di 2 e 3,5 punti), come vediamo nella Figura 1.

    Fig. 1 Indice di Partecipazione alle Primarie per Zona geopolitica, 2009 e 2012.

    Dopo aver descritto le differenze territoriali che hanno caratterizzato la partecipazione alle primarie, cerchiamo adesso di comprendere quali sono i fattori che hanno inciso sulla partecipazione stessa.

    Il primo fattore che emerge come fortemente associato alla partecipazione è il radicamento elettorale del centrosinistra. L’affluenza ai seggi delle primarie tende ad essere maggiore laddove il centrosinistra è più forte. Vi è infatti una correlazione positiva e significativa (r=.469) tra la percentuale raccolta dai partiti progressisti nel 2008 e l’Indice di Partecipazione (che è costruito in modo da “scontare” questo fattore, dal momento che è frutto di un rapporto al cui denominatore sta proprio il totale dei voti raccolti dal centrosinistra alle politiche). Come vediamo nella Figura 2, le regioni che registrano la maggiore partecipazione sono anche quelle in cui il centrosinistra è più forte (le tre regioni rosse più la Basilicata, vero e proprio feudo democratico del Sud Italia). Due regioni però deviano fortemente rispetto a questa associazione, configurandosi come veri e propri outliers:  il Friuli Venezia-Giulia, che evidenzia una partecipazione altissima rispetto a quanto ci si aspetterebbe sulla base del consenso per i partiti di sinistra, e il Molise che, al contrario, partecipa troppo poco rispetto alla forza della sinistra nell’area (48,4% nel 2008).

    Fig. 2 Voti al Centrosinistra nel 2008 e Indice di Partecipazione 2012 per regione.

    La letteratura sulle primarie individua nella diffusione sul territorio delle postazioni elettorali [Hazan e Rahat 2010, 93] un altro fondamentale fattore che influenza la partecipazione al voto. Maggiore è il numero di seggi in un territorio, meno costoso risulta il voto per l’elettore [Fiorini e Venturino 2011, 13]. Abbiamo quindi calcolato la densità territoriale dei seggi elettorali per regione, intesa come il rapporto tra il numero di seggi presenti in una regione e l’elettorato potenziale delle primarie (che altro non è che il numero di voti raccolti dai partiti di centrosinistra[1] alle politiche del 2008). Anche in questo caso osserviamo una correlazione positiva (r=.489) tra densità territoriale dei seggi e Indice di partecipazione (Figura 3), il che significa che all’aumentare del numero delle postazioni elettorali disponibili per elettore, la partecipazione cresce. In particolare la Calabria e il Friuli Venezia-Giulia, due regioni in cui l’alta partecipazione alle primarie non è spiegata dall’insediamento elettorale del centrosinistra, risultano fra le regioni con la più alta densità territoriale dei seggi elettorali. Al fondo di questa classifica troviamo la Puglia, il Trentino Alto-Adige, il Piemonte e il Lazio, tutte regioni con partecipazione inferiore alla media. I casi che non rispettano la relazione sono, oltre al Molise (densità più alta della partecipazione), le due regioni rosse per eccellenza, l’Emilia-Romagna, che presenta una densità territoriale dei seggi appena sopra la media nazionale e la Toscana, il cui boom di affluenza non è giustificato dal pur cospicuo numero di sezioni elettorali (circa 1 seggio ogni 1.300 elettori di sinistra).

    Fig. 3 Densità territoriale dei seggi elettorali  e Indice di Partecipazione 2012 per regione.

    Infine abbiamo testato un fattore decisamente più contingente, legato allo specifico contesto di queste primarie, caratterizzate dalla sfida per la premiership che Matteo Renzi, da molti considerato estraneo alla tradizione politica e programmatica dello schieramento progressista, ha lanciato al segretario del Pd Bersani. Si è molto parlato della capacità del sindaco di Firenze di mobilitare elettori che non si sono mai riconosciuti nel centrosinistra ma che risultano tuttavia attratti dalle proposte del giovane rottamatore. E’ pertanto ipotizzabile che la partecipazione sia stata più alta laddove Renzi ha ottenuto le migliori performance, sintomo del fatto che in quelle aree un più ampio numero di elettori indipendenti o di centrodestra si è recato alle urne. Come possiamo osservare nella Figura 4, i dati confermano questa ipotesi. In questo caso la correlazione con l’Indice di partecipazione è più debole ma sempre significativa (r=.399): al crescere della percentuale di Renzi tende ad aumentare la partecipazione al voto, sebbene con alcune importanti eccezioni (fra tutte la Basilicata in cui vi è stata un’alta affluenza nonostante lo scarso risultato del candidato fiorentino, che ottiene appena il 21,4%).

    Fig. 4 % Renzi e Indice di Partecipazione 2012 per regione.

    Concludendo, possiamo affermare che la partecipazione alle primarie non ha raggiunto livelli entusiasmanti, con l’eccezione della Zona rossa. Al Sud in particolare vi è stata un’affluenza davvero modesta e in forte calo rispetto al 2009: lo scarso radicamento elettorale del centrosinistra e il basso numero di postazioni elettorali in alcune regioni meridionali spiegano solo in parte il risultato. Un fattore decisivo per comprendere la bassa partecipazione del Sud è stata l’incapacità da parte di Renzi di mobilitare elettori d’opinione estranei alla tradizione progressista. In questo modo, la partecipazione ridotta ai minimi termini ha favorito il risultato quasi plebiscitario di Bersani che poteva contare sulla pressoché totale fedeltà dell’apparato di partito e dei quadri dirigenti locali. (Valium) La crescita della partecipazione al Nord rispetto al 2009 è invece probabilmente dovuta proprio al fatto che gli elettori delle regioni settentrionali si sono mostrati più sensibili alle proposte liberal di Renzi, portando così ai seggi un numero di elettori decisamente superiore rispetto alle primarie di tre anni fa. Infine il boom della Zona rossa si spiega con la contemporanea presenza di un forte e radicato apparato di partito in grado di mobilitare un enorme numero di elettori e al contempo con la contrapposta mobilitazione di coloro che, dentro e fuori dai confini del centrosinistra, si battono contro l’apparato stesso e hanno trovato nella campagna “rottamatrice” del sindaco di Firenze un irresistibile richiamo.



    [1] Fiorini e Venturino [2011] calcolano l’Indice normalizzando per il numero dei residenti. A noi sembra più appropriato considerare invece il solo elettorato potenziale di centrosinistra. L’Indice è poi moltiplicato per 100 per ottenere una migliore visualizzazione (i risultati del semplice rapporto sono poco superiori allo 0).

     


    [1] Per approfondire, v. Emanuele [2012, 23-26].

    [2] Da un punto di vista teorico l’Indice può superare 1, nella poco probabile ipotesi che il numero di selettori superi quello degli elettori di centrosinistra delle politiche (ad esempio per una massiccia mobilitazione al voto di elettori di centro-destra).

    [3] Per il 2009 il confronto con l’intero bacino di voti del centrosinistra è improprio. Trattandosi di primarie del solo Pd, sarebbe più corretto il confronto con il totale di voti raccolti dai democratici nel 2008. In questo caso l’Indice sale a 0,251.

    [4] La Valle d’Aosta è stata esclusa dall’analisi a causa dell’impossibilità di ricostruire l’elettorato di centrosinistra della regione (l’unico seggio assegnato alla Camera alla Valle d’Aosta è infatti conteso da liste autonomiste).

  • Sondaggio Cise sulle Primarie, Bersani in vantaggio ma con Renzi la coalizione è più competitiva

    di Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini

     

    Nei giorni scorsi il Cise ha effettuato un sondaggio CATI e CAMI (1524 casi rappresentativi della popolazione italiana) riguardante la politica italiana e il rapporto tra i cittadini e i partiti. Si tratta della seconda ondata di un panel (rilevazione ripetuta nel tempo sullo stesso campione) che ha lo scopo di monitorare il cambiamento dell’opinione pubblica nel corso dell’anno che porta alle elezioni politiche. Tra le domande sottoposte agli intervistati ce ne erano anche alcune concernenti le primarie del centrosinistra.

    La prima domanda riguarda l’intenzione dei nostri intervistati di recarsi a votare alle primarie del 25 novembre. Emerge un dato che può apparire sorprendente: il 31,9% del campione dichiara la propria intenzione di recarsi ai seggi, a fronte di un 60,9% che non andrà a votare e un 7,2% di indecisi (vedi Figura 1). Se riportiamo questo dato in termini assoluti potremmo parlare di una partecipazione del tutto eccezionale, stimabile attorno ai 12 milioni di elettori, il triplo di quelli che nel 2005 incoronarono Romano Prodi alle primarie dell’Unione. Ovviamente si tratta solo di una mera intenzione che non è detto si tradurrà in un comportamento effettivo il giorno del voto. Di certo possiamo però affermare che questo 31,9% è la quota di coloro che prendono in considerazione l’idea di poter partecipare.

    Fig. 1

    Le risposte degli intervistati sembrano evidenziare che la partecipazione alle primarie è molto sensibile al costo associato al voto stesso. Avevamo infatti chiesto a coloro che dichiarano di voler andare a votare se l’avrebbero effettivamente fatto anche in presenza dell’obbligo di registrarsi in un luogo diverso dal seggio elettorale (procedura superata proprio in questi ultimi giorni dalla decisione degli organizzatori di permettere la registrazione anche ai seggi il giorno del voto). Ebbene solo due terzi di questo segmento del campione ribadisce la propria intenzione di votare anche in presenza dell’obbligo della preregistrazione, contro un 21,6% che rinuncerebbe e un 12,6% che si mostra indeciso. Staremmo comunque parlando di una partecipazione che resterebbe su livelli altissimi, segno evidente che lo strumento delle primarie è senza dubbio apprezzato dagli elettori. E questo dato è ancor più rilevante in una fase come quella attuale, di forte distacco dei cittadini nei confronti della politica.

    Ma quando si tratta di scegliere il candidato premier della coalizione di centrosinistra quali sono le intenzioni di voto? Il segretario del Pd Bersani risulta il candidato favorito al primo turno, con il 48,2% delle intenzioni di voto, seguito da Matteo Renzi al 37,6%. Vendola non sembra competitivo per la vittoria, dal momento che si ferma al 9,9%. Preferenze decisamente inferiori quelle per gli altri due sfidanti, la Puppato al 3,4% e Tabacci allo 0,9% (vedi Figura 2). Da questi numeri sembra dunque profilarsi l’ipotesi di un ballottaggio tra Bersani e Renzi in cui potrebbe risultare decisivo il ruolo degli indecisi. Coloro che pensano di votare alle primarie ma non hanno ancora deciso per chi costituiscono una fetta rilevante del nostro campione, il 20,4%: un numero sufficiente a ribaltare i rapporti di forza tra i due candidati favoriti.

    Fig. 2

    Abbiamo poi chiesto ai nostri intervistati l’intenzione di voto all’eventuale ballottaggio tra il segretario del Pd e il sindaco di Firenze. Il vantaggio di Bersani emerso già alla domanda sul voto al primo turno si consolida anche al secondo turno: l’ex ministro dello Sviluppo economico trionferebbe con il 55,8% dei voti contro il 44,2% del sindaco rottamatore (vedi Figura 3). Pesano su questo risultato i voti degli elettori di Vendola che al ballottaggio preferirebbero nettamente Bersani (55,1%) rispetto a Renzi (28,6%). Anche riguardo all’opzione di voto del ballottaggio, comunque, registriamo un alto numero di indecisi, pari al 13,8% di coloro che hanno intenzione di votare alle primarie.

    Fig. 3

    Da questi dati emerge come Bersani sia il candidato preferito dall’elettorato di centrosinistra ed il favorito per la vittoria in queste elezioni primarie. Ma il candidato preferito è anche quello più competitivo per vincere le elezioni politiche generali?

    Dai nostri dati sembrerebbe di no. Abbiamo infatti rivolto a tutto il campione, compresi gli intervistati che non parteciperanno alle primarie, la seguente domanda: “Se dovesse vincere Bersani, Lei pensa che voterebbe per il centrosinistra alle prossime elezioni politiche?”. E abbiamo poi ripetuto la stessa domanda inserendo il nome di Renzi. Il risultato è molto interessante: con Bersani candidato premier la coalizione di centrosinistra potrebbe ottenere circa il 35% dei voti (Figura 4). Con Renzi invece la percentuale degli elettori che potrebbero votare per il centrosinistra sale al 44% (Figura 5). Dunque la vittoria alle primarie del sindaco di Firenze potrebbe valere al centrosinistra quasi nove punti percentuali in più alle elezioni politiche, ossia la quasi assoluta certezza, stanti gli attuali rapporti di forza tra gli schieramenti politici in campo, di ottenere la maggioranza parlamentare necessaria per governare (a prescindere dalla legge elettorale con cui si voterà).

    Paradossalmente per Matteo Renzi vincere le primarie sembra essere più difficile che vincere le politiche.

    Fig. 4

    Fig. 5

    Nota metodologica: Il sondaggio è stato condotto da Demetra con metodo CATI e CAMI (telefonia fissa e mobile) nel periodo 22 ottobre – 13 novembre 2012 su un campione di 1524 casi. Il campione nazionale intervistato è rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne per genere, età e zona geografica di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) è di +/- 2,5 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • Il bacino del Movimento 5 Stelle: l’economia divide, il libertarismo e l’ambientalismo uniscono.

    di Nicola Maggini

    Alle recenti elezioni comunali del maggio 2012 il Movimento 5 Stelle (M5S) di Beppe Grillo ha ottenuto un significativo successo in termini di voti ed è riuscito a far eleggere il primo sindaco “5 stelle” in un comune capoluogo (Federico Pizzarotti a Parma). Nei giorni immediatamente precedenti, il Cise ha fatto condurre un sondaggio su un campione di 2500 persone con interviste telefoniche integrato da 500 interviste su cellulare. Questo sondaggio è la prima ondata di un panel misto Cati + Cami ed è successivo ad altri due sondaggi Cati somministrati nell’aprile del 2011 e nel dicembre del 2011. Dopo aver esposto, in un precedente articolo, i dati che mostravano il profilo dell’elettorato (potenziale) del M5S dal punto di vista socio-demografico, vediamo ora di precisare ulteriormente tale profilo utilizzando i giudizi su determinate issues. In via preliminare si deve dire che per avere una misura precisa del profilo dell’elettorato potenziale del movimento di Beppe Grillo, una variabile di particolare interesse è la cosiddetta propensione al voto per un partito (Ptv, propensity to vote)[1].

    La Ptv viene misurata chiedendo all’intervistato quanto è probabile in futuro che possa mai votare per un partito (vengono testati tutti i principali partiti), su una scala da 0 a 10 – dove 0 significa “per niente probabile” e 10 significa “molto probabile”. Si tratta di una domanda utile per due motivi: innanzitutto ci permette di intercettare gli orientamenti dell’intero campione, dal momento che la quasi totalità degli intervistati accetta di rispondere a queste domande (mentre sulle intenzioni di voto ai partiti risponde solo una minoranza, circa il 43% , e per i partiti minori, come il M5S nelle prime due ondate, il numero dei casi è pertanto molto basso); in secondo luogo la Ptv ci permette di identificare – selezionando chi dà a un partito un punteggio particolarmente alto – il potenziale elettorale del partito. Per favorire la lettura dei dati, abbiamo ricodificato la Ptv per il M5S in tre categorie:  “poco probabile” (valori da 0 a 4),  “forse” (valore pari a 5),  “molto probabile” (valori da 6 a 10). Un valore della Ptv superiore a cinque indica dunque il potenziale elettorale di un determinato partito.

    Per capire meglio il profilo dell’elettorato potenziale del movimento di Beppe Grillo abbiamo, pertanto, incrociato la Ptv del M5S con l’opinione circa alcune issues politicamente rilevanti e con l’auto-collocazione politica. Per restringere il focus sul potenziale elettorale raggiunto dal M5S alla vigilia delle elezioni comunali (ossia nel momento in cui il M5S ha registrato il suo exploit elettorale), abbiamo utilizzato i dati del sondaggio Cise primavera 2012 (utilizzando anche le interviste sul telefono mobile per incrementare la numerosità del campione). Le issues selezionate riguardano  questioni di tipo economico (riduzione dei servizi sociali in cambio di una diminuzione delle tasse, maggiore facilità di licenziamento e di assunzione per le imprese), questioni cosiddette  “etiche” (riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, parità di diritti tra coppie gay e coppie eterosessuali, restrizione all’aborto), tematiche di tipo ambientalista (“favorire l’utilizzo delle energie rinnovabili anche a fronte di maggiori costi”) e infine l’opinione sulla possibilità di conferire la cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono in Italia (tematica, quest’ultima, di un certo interesse dato che al riguardo Grillo aveva fatto una dichiarazione contraria). Come si è detto in precedenza, le cross-tabulazioni sono state effettuate per i dati del 2012 (quando cioè gli elettori potenziali del M5S sono più numerosi), tranne che per le domande sui licenziamenti e sulle energie rinnovabili che sono relative ai dati del sondaggio del dicembre 2011 dal momento che non sono state replicate nell’aprile 2012. Per ciò che concerne l’auto-collocazione politica, abbiamo voluto vedere in particolare quali sono le opinioni su tali questioni degli elettori potenziali del M5S (comparati con gli elettori poco probabili del M5S) che si collocano sul centrosinistra e sul centrodestra dello spazio politico.

        Le figure seguenti mostrano le opinioni degli elettori potenziali di centrosinistra e di centrodestra del M5S sulle questioni “etiche”, ponendole a confronto con le opinioni degli intervistati che mostrano poche probabilità di votare in futuro per il M5S.

    Come si può vedere dai dati, gli elettori potenziali del M5S sulle questioni “etiche”  hanno sempre, indipendentemente dalla loro collocazione politica, opinioni più  liberal  rispetto a coloro che danno una bassa probabilità di voto per il movimento di Grillo. Il dato è ancora più evidente nel potenziale elettorale di centrodestra del M5S, che spesso ha opinioni nettamente divergenti rispetto agli intervistati di centrodestra che mostrano una bassa probabilità di votare in futuro per il M5S: in altre parole, i libertari in tema di diritti civili tra gli elettori potenziali di centrodestra di Grillo sono sempre la maggioranza. Se invece si considerano, sempre tra gli intervistati di centrodestra, gli elettori poco probabili del M5S, si vede come i libertari siano sempre in minoranza e anche quando sono maggioritari (come nel caso delle coppie di fatto), lo sono di misura (pari al 51%), mentre in questo caso gli elettori potenziali di centrodestra del M5S che si mostrano favorevoli al riconoscimento di maggiori diritti alle coppie di fatto sono il 63,7%. Tra le persone di centrosinistra, le opinioni più  liberal  sono sempre in netta maggioranza  e ciò è ancora più vero tra gli intervistati che costituiscono il potenziale elettorale di centrosinistra del M5S.

    Le figure precedenti (4 e 5) mostrano le opinioni degli elettori potenziali di centrosinistra e di centrodestra del M5S su alcune questioni economiche, ponendole a confronto con le opinioni degli intervistati che mostrano una bassa probabilità di votare in futuro per il M5S. In generale si nota come, tra gli intervistati di centrodestra, gli elettori potenziali del M5S siano più “liberisti” di coloro che danno una bassa probabilità di voto per il M5S (mentre il potenziale elettorale di centrosinistra del M5S è a volte ancora meno liberista degli intervistati di centrosinistra che mostrano poche probabilità di votare in futuro per il M5S). Ad esempio, tra coloro che costituiscono il potenziale elettorale di centrodestra del M5S il 33,8% (e quindi la minoranza) si dichiara d’accordo con il ridurre i servizi sociali per abbassare le tasse, ma tra gli intervistati di centrodestra che mostrano poche probabilità di votare in futuro per il M5S tale minoranza è ancora più esigua (il 22,1%). Nettamente contrari, invece, sono in generale gli intervistati di centrosinistra. In generale, comunque, la maggioranza degli intervistati, indipendentemente dal fatto che siano di destra o di sinistra e che siano degli elettori poco probabili o molto probabili del M5S, è contraria a una riduzione dei servizi sociali in cambio di un abbassamento delle tasse. Per ciò che concerne l’opinione circa il fatto che le imprese andrebbero lasciate più libere di assumere e di licenziare (dati dell’autunno 2011), la netta maggioranza (pari al 58%) dell’elettorato potenziale di centrodestra del M5S si dichiara favorevole, mentre tale percentuale cala al 54% tra gli intervistati di centrodestra che mostrano poche probabilità di votare in futuro per il M5S. Nettamente contrari sono invece gli intervistati di centrosinistra: sia quelli che danno una bassa probabilità di votare in futuro per il M5S (71%) che, in misura ancora maggiore, quelli che costituiscono il potenziale elettorale del movimento di Grillo (80,1%).

          Le figure seguenti (6 e 7)  mostrano, infine, le opinioni degli elettori potenziali di centrosinistra e di centrodestra del M5S sul tema dell’incentivo delle energie rinnovabili (dati dell’autunno 2011) e sul tema della cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono in Italia, mettendole a confronto con le opinioni degli intervistati che mostrano poche probabilità di votare in futuro per il M5S.

    Per quanto riguarda il tema delle energie rinnovabili, emerge con chiarezza che il potenziale elettorale del M5S, indipendentemente dalla collocazione politica, è formato da ambientalisti convinti. Ciò è ancora più evidente tra le persone di centrodestra, dove il 58,5% degli elettori potenziali del M5S si dichiara a favore di un maggiore utilizzo delle energie rinnovabili anche a fronte di maggiori costi, mentre tra gli intervistati di centrodestra che mostrano poche probabilità di votare in futuro per il M5S i favorevoli sono una minoranza (pari al 38,2%). Infine, la questione del conferimento della cittadinanza ai figli degli immigrati regolari qualora nascano in Italia: la netta maggioranza degli intervistati, indipendentemente dalla collocazione politica e dal fatto che siano degli elettori poco probabili o molto probabili del M5S, si dichiara favorevole. L’esternazione di Beppe Grillo sul tema non è quindi affatto coerente con le opinioni del proprio elettorato potenziale.

        In conclusione, l’analisi delle issues ha rivelato che nel M5S coesistano due tipi di elettorato potenziale: uno di sinistra nel senso tradizionale sulle questioni economiche e libertario sulle questioni “etiche” e uno “liberista” sulle questioni economiche e libertario sempre sulle  questioni “etiche”. In altre parole, le questioni economiche rappresentano una possibile linea di frattura e di divisione all’interno del bacino elettorale del M5S, mentre il libertarismo in tema di diritti civili e l’ambientalismo (ossia la issue forse più caratterizzante del movimento) ne rappresentano il minimo comun denominatore.


    [1] La Ptv per il Movimento 5 Stelle è stata chiesta nel sondaggio dell’aprile 2012 e nel sondaggio del dicembre 2011, ma non nel sondaggio dell’aprile 2011.

  • Il bacino del Movimento 5 Stelle: molti giovani adulti che lavorano, e soprattutto diplomati

    di Nicola Maggini

    Le recenti elezioni comunali del maggio 2012 hanno registrato l’affermazione del Movimento 5 Stelle (M5S). L’Osservatorio politico del Cise ha effettuato, nel corso dell’ultimo anno, tre “ondate”, ossia tre sondaggi (primavera 2011, 1500 casi; autunno 2011, 1500 casi; primavera 2012, 2500 casi) relativi alla politica italiana e al rapporto tra i cittadini e i partiti. Risulta pertanto di particolare interesse esaminare i vari aspetti della progressiva espansione elettorale del M5S attraverso l’analisi dei dati individuali. Chi sono i simpatizzanti del M5S? Per avere una misura ancora più precisa (rispetto alle tradizionali intenzioni di voto) del profilo dell’elettorato (potenziale) del movimento di Beppe Grillo, una variabile di particolare interesse è la cosiddetta propensione al voto per un partito (Ptv, propensity to vote)[1].

    La Ptv viene misurata chiedendo all’intervistato quanto è probabile in futuro che possa mai votare per un partito (vengono testati tutti i principali partiti), su una scala da 0 a 10 – dove 0 significa “per niente probabile” e 10 significa “molto probabile”. Si tratta di una domanda utile per due motivi: innanzitutto ci permette di intercettare gli orientamenti dell’intero campione, dal momento che la quasi totalità degli intervistati accetta di rispondere a queste domande (mentre sulle intenzioni di voto ai partiti risponde solo una minoranza, circa il 43% , e per i partiti minori, come il M5S nelle prime ondate, il numero dei casi è pertanto molto basso); in secondo luogo la Ptv ci permette di identificare – selezionando chi dà a un partito un punteggio particolarmente alto – il potenziale elettorale del partito. Un dato particolarmente utile in una fase di transizione come quella attuale. Per favorire la lettura dei dati, abbiamo ricodificato la Ptv per il M5S in tre categorie:  “poco probabile” (valori da 0 a 4),  “forse” (valore pari a 5),  “molto probabile” (valori da 6 a 10). Un valore della Ptv superiore a cinque indica dunque il potenziale elettorale di un determinato partito.

    Per esaminare il profilo dell’elettorato potenziale del M5S è opportuno incrociare tale variabile con alcune caratteristiche socio-demografiche di base (età, genere, titolo di studio, professione, zona geografica di residenza). Riportiamo qui di seguito le cross-tabulazioni che presentavano un test Chi quadro statisticamente significativo.

    Come si può vedere dalla Fig.1,  il potenziale elettorale del M5S nel dicembre 2011 è fortemente sovra-rappresentato rispetto alla media nella classe di età 26-35 (26,7% contro il 15,7% totale) e nettamente sotto-rappresentato tra gli over 65 (4,5% contro il 15,7% totale). Lo stesso si verifica nella primavera 2012, ma in questo caso il potenziale elettorale è nettamente sovra-rappresentato anche nella classe di età 36-45 (26,5% contro il 19,8% totale, mentre nell’autunno del 2011 la sovra-rappresentazione era di entità inferiore).

    La Fig.2 mostra invece la cross-tabulazione tra il potenziale elettorale del M5S e il titolo di studio. In entrambi gli anni, il potenziale elettorale del movimento di Grillo è sotto-rappresentato rispetto alla media tra chi non ha nessun titolo di studio o ha solo la licenza elementare, mentre è sovra-rappresentato tra i diplomati (soprattutto nell’autunno 2011). Il potenziale elettorale del M5S, infatti, tra chi non ha nessun titolo di studio o ha solo la licenza elementare, è pari al 7,3% nell’autunno 2011 (contro il 15,7% totale) ed è pari al 12,9% nella primavera 2012 (contro il 19,8% totale). Al contrario, il potenziale elettorale del M5S tra i diplomati è pari al 20,5% nell’autunno 2011 (contro il 15,7% totale) ed è pari al 23,6% nella primavera 2012 (contro il 19,8% totale). Sostanzialmente attorno alla media in entrambe le ondate è, invece, il potenziale elettorale tra i laureati e tra chi ha la licenza media.

    Infine, la Fig.3 mostra l’incrocio tra il potenziale elettorale del M5S e la professione dell’intervistato. Nell’autunno 2011 il potenziale elettorale del M5S è sovra-rappresentato rispetto alla media tra gli studenti e nettamente sovra-rappresentato tra gli impiegati (pubblici e privati) e soprattutto tra i disoccupati (pari al 29% contro il 15,7% totale), mentre è chiaramente sotto-rappresentato tra i pensionati (pari all’8% contro il 15,7% totale). Nella primavera 2012 si verifica un certo cambiamento: il potenziale elettorale del movimento di Grillo è sovra-rappresentato  (oltre che tra gli impiegati) anche tra gli operai  e soprattutto nella borghesia (pari al 30,4% contro il 19,8% totale), mentre continua ad essere sotto-rappresentato tra i pensionati (in coerenza del resto con quanto abbiamo visto in precedenza circa la sotto-rappresentazione tra gli over 65). Attorno alla media si assesta, invece, il potenziale elettorale del M5S tra i disoccupati e soprattutto tra gli studenti, cessando di essere sovra-rappresentato.

    In conclusione, l’analisi del potenziale elettorale del movimento di Grillo ha fatto emergere un profilo preciso dal punto di vista socio-demografico: i potenziali elettori del M5S nella primavera del 2012 sono sovra-rappresentati rispetto alla media nelle fasce di età giovanili e centrali (26-35, 36-45) e sotto-rappresentati tra gli over 65, sono sovra-rappresentati tra i diplomati e sotto-rappresentati tra chi non ha nessun titolo di studio o ha solo la licenza elementare e, infine, sono sovra-rappresentati tra gli operai, gli impiegati e soprattutto tra la borghesia, mentre sono sotto-rappresentati tra i pensionati. In altre parole il bacino elettorale del M5S è costituito da molti giovani adulti che lavorano, e soprattutto diplomati.



    [1] La Ptv per il Movimento 5 Stelle è stata chiesta nel sondaggio dell’aprile 2012 e nel sondaggio del dicembre 2011, ma non nel sondaggio dell’aprile 2011.

  • Movimento 5 Stelle: oltre le intenzioni di voto, un’ampia area di simpatizzanti

    di Nicola Maggini

    Uno dei temi di maggiore attualità è l’affermazione del Movimento 5 Stelle (M5S), soprattutto in seguito alle elezioni comunali del maggio 2012. L’Osservatorio politico del Cise ha effettuato, nel corso dell’ultimo anno, tre “ondate”, ossia tre sondaggi (primavera 2011, 1500 casi; autunno 2011, 1500 casi; primavera 2012, 2500 casi) relativi alla politica italiana e al rapporto tra i cittadini e i partiti. Risulta pertanto di particolare interesse esaminare i vari aspetti della progressiva espansione elettorale del M5S attraverso l’analisi dei dati individuali. Per avere una misura ancora più precisa (rispetto alle tradizionali intenzioni di voto) della crescita del movimento di Beppe Grillo, una variabile di particolare interesse è la cosiddetta propensione al voto per un partito (Ptv, propensity to vote). La Ptv viene misurata chiedendo all’intervistato quanto è probabile in futuro che possa mai votare per un partito (vengono testati tutti i principali partiti), su una scala da 0 a 10 – dove 0 significa “per niente probabile” e 10 significa “molto probabile”. Si tratta di una domanda utile per due motivi: innanzitutto ci permette di intercettare gli orientamenti dell’intero campione, dal momento che la quasi totalità degli intervistati accetta di rispondere a queste domande (mentre sulle intenzioni di voto ai partiti risponde solo una minoranza, circa il 43%, e per i partiti minori, come il M5S nelle prime due rilevazioni, il numero dei casi è pertanto molto basso); in secondo luogo la Ptv ci permette di identificare – selezionando chi dà a un partito un punteggio particolarmente alto – il potenziale elettorale del partito. Un dato particolarmente utile in una fase di transizione come quella attuale. Per favorire la lettura dei dati, abbiamo ricodificato la Ptv per il M5S in tre categorie:  “poco probabile” (valori da 0 a 4),  “forse” (valore pari a 5),  “molto probabile” (valori da 6 a 10). Un valore della Ptv superiore a cinque indica dunque il potenziale elettorale di un determinato partito. Vediamo quindi di esaminare l’evoluzione dell’elettorato potenziale del Movimento 5 Stelle tra dicembre 2011 e aprile  2012[1].

    Come si può vedere dalla Fig.1, nell’arco di un anno le probabilità di voto per il M5S superiori a cinque passano dal 15,7% del 2011 al 19,8% del 2012: in altre parole il potenziale elettorale del movimento di Grillo alla vigilia delle elezioni comunali è di circa il 20%.

    Ma il M5S aumenta il proprio potenziale elettorale tra le persone di sinistra, di centro, di destra o tra i non-collocati? Per rispondere a questa domanda abbiamo incrociato il potenziale elettorale del M5S con l’auto-collocazione politica degli intervistati nel corso del tempo, come si può vedere dalla figura seguente.

    Le categorie dello spazio politico dove il potenziale elettorale del M5S aumenta sono, in ordine crescente, il centrodestra, il centro e i non collocati. Tra le persone di centrodestra il potenziale elettorale del M5S passa dal 12,5% del 2011 al 15,8% del 2012 (incremento di 3,3 punti percentuali), tra le persone di centro il potenziale elettorale del M5S aumenta di 6,5 punti percentuali (passando dal 14,9% del 2011 al 21,4% del 2012) e, infine, tra i non collocati l’incremento è di 9,4 punti percentuali (passando dal 6,7% del 2011 al 16,1% del 2012). Risulta stabile invece il potenziale elettorale tra le persone di centrosinistra (nel 2011 è pari al 23,9% e nel 2012 è pari al 24,8%). In definitiva, quindi, il movimento di Grillo oggi ha un potenziale elettorale più equamente distribuito tra intervistati di centrosinistra e intervistati di centrodestra (nel 2012 la differenza tra sinistra e destra è di 9 punti percentuali, mentre nel 2011 il gap a favore della sinistra era di 11,4 punti percentuali) e soprattutto il potenziale elettorale tra coloro che si collocano al centro è ormai quasi uguale a quello registrato tra chi si colloca sul centrosinistra dello spazio politico (nella primavera del 2012 la differenza tra sinistra e centro è solo di 3,4 punti percentuali, mentre nell’autunno del 2011 era di 9 punti percentuali a favore della sinistra). In particolare è da sottolineare il fatto che a fine aprile 2012 (ossia nei giorni precedenti alle elezioni comunali), il M5S ottiene il suo maggiore potenziale elettorale tra le persone di centro e tra i non collocati che costituscono, se sommati assieme, di gran lunga la categoria più numerosa con il 37,5%. In altre parole è in questa area di persone che non si riconoscono nelle tradizionali categorie di destra e di sinistra che il M5S sembra avere le maggiori possibilità di penetrazione elettorale.


    [1] La Ptv per il Movimento 5 Stelle è stata chiesta nel sondaggio dell’aprile 2012 e nel sondaggio del dicembre 2011, ma non nel sondaggio dell’aprile 2011.

  • Gli elettori del Movimento 5 Stelle: fuori da destra e sinistra, ma interessati alla politica

    di Nicola Maggini

    Alle recenti elezioni comunali del maggio 2012 il Movimento 5 Stelle (M5S) di Beppe Grillo ha ottenuto un significativo successo in termini di voti ed è riuscito a far eleggere il primo sindaco “5 stelle” in un comune capoluogo (Federico Pizzarotti a Parma). Nei giorni immediatamente precedenti, il Cise ha fatto condurre un sondaggio su un campione di 2500 persone con interviste telefoniche integrato da 500 interviste su cellulare. Questo sondaggio è la prima ondata di un panel misto Cati + Cami ed è successivo ad altri due sondaggi Cati somministrati nell’aprile del 2011 e nel dicembre del 2011. In questa maniera è possibile tentare di tratteggiare un profilo dell’elettorato del movimento di Beppe Grillo in un’ottica longitudinale.

    Prima di tutto è necessario analizzare, tramite i tre sondaggi Cati del Cise,  le effettive intenzioni di voto per il M5S nel corso del tempo (primavera 2011 – autunno 2011 –  primavera 2012).

    Come si può vedere dalla Fig.1, l’incremento nelle intenzioni di voto per il Movimento di Grillo nel corso di un solo anno è notevole: nell’aprile 2011 le intenzioni di voto per il M5S sono pari solo all’1,4%, nel dicembre 2011 si passa al 4,6% e, infine, nell’aprile 2012 il M5S raggiunge il 12,7% (prefigurando il successo alle comunali che si terranno da lì a poco). Ma come si compone l’elettorato del M5S per ciò che concerne le idee politiche? Per rispondere a tale domanda abbiamo provveduto ad effettuare l’incrocio tra il voto per il M5S e l’auto-collocazione politica dell’intervistato.

    Come si può vedere dalla Fig. 2, se si guarda al profilo politico dell’elettorato del M5S, si nota come in tutte le rivelazioni la categoria più numerosa sia costituita da coloro che si considerano di centrosinistra. Non è però questo il dato più significativo, quanto il cambiamento nella composizione politica del voto per il M5S  nel corso di un anno.  Tra la primavera 2011 e l’autunno 2011 coloro che dichiarano di voler votare per il M5S aumentano in maniera considerevole tra gli intervistati di centrosinistra e di centrodestra (incremento pari, rispettivamente, a 9,1 e a 11,5 punti percentuali), mentre diminuiscono tra i non collocati e tra coloro che si collocano al centro dello spazio politico. Tuttavia tra l’autunno del 2011 e la primavera del 2012 (ossia nel periodo in cui si registra la vera espansione elettorale del M5S passando dal 4,6% al 12,7% delle intenzioni di voto),  coloro che esprimono un’intenzione di voto per il M5S aumentano in maniera considerevole tra chi si colloca al centro e tra i non-collocati  (incremento pari, rispettivamente, a 9,2 e a 8,5 punti percentuali), mentre diminuiscono tra chi si colloca sul centrosinistra e tra chi si colloca sul centrodestra dello spazio politico, ritornado ai livelli della prima ondata (ossia quando il M5S raccoglieva appena l’1,4% dei consensi e il numero dei casi era troppo basso per poter fare delle considerazioni fondate dal punto di vista statistico). Tra gli elettori degli altri partiti non ci sono invece significativi cambiamenti circa la composizione politica del proprio elettorato nell’arco delle due ondate. Questi dati indicano che il “boom” elettorale del movimento di Grillo è avvenuto tra chi non si riconosce nei due attuali “blocchi” politici e nelle tradizionali categorie politiche. Sono probabilmente elettori fortemente critici con l’attuale classe politica, anche se non necessariamente disinteressati alla politica e a tal proposito è interessante notare che se si effettua l’incrocio tra il voto per il M5S e l’interesse per la politica, si ottiene un test Chi quadro statisticamente significativo solo nell’aprile 2012 (Fig. 3), quando gli elettori del M5S sono fortemente sovra-rappresentati, rispetto agli elettori degli altri partiti e rispetto alla media, tra coloro che dichiarano di essere molto o abbastanza interessati alla politica.

           In conclusione, si è visto come nella primavera 2012 (a pochi giorni dalle elezioni comunali) il Movimento 5 Stelle registrasse delle effettive intenzioni di voto attorno al 13%, con un trend crescente nel corso del tempo. Inoltre si è visto come l’incremento fosse avvenuto tra i non collocati e tra coloro che si collocano al centro: in altre parole il movimento di Grillo è riuscito a raccogliere consensi tra chi non si riconosce nelle tradizionali categorie politiche di destra e di sinistra. Sono probabilmente elettori che non si sentono rappresentati dalla attuale classe politica, anche se non necessariamente rifiutano la politica in quanto tale: al contrario, come si è appena visto, gli elettori del M5S nell’aprile 2012 sono fortemente sovra-rappresentati tra coloro che dichiarano di essere interessati alla politica.

  • Ballottaggi 2012: i risultati nei 19 comuni capoluogo

    di Nicola Maggini 

    Sono 19 i comuni capoluogo in cui si è andati al ballottaggio domenica 20 e lunedì 21 maggio: sette al Nord, tre nella Zona Rossa e nove al Sud. In 11 casi ha vinto un candidato sindaco sostenuto da una coalizione guidata dal Pd. In tre casi ha vinto un candidato sindaco di una coalizione guidata dal Pdl (Frosinone, Trapani, Trani). In due comuni ha vinto un candidato sindaco del Terzo Polo (Cuneo, Agrigento) e in altri due comuni (Palermo, Belluno) ha vinto un candidato sindaco di una coalizione di sinistra. Infine in un caso (Parma) ha vinto un candidato del Movimento 5 Stelle. Come si può vedere da questo primo conteggio, nel Centro-Nord non ha vinto nessun candidato del centrodestra. Inoltre nei comuni dove il candidato di una coalizione guidata dal Pdl ha vinto, le percentuali di voto con cui è stata ottenuta l’elezione in due casi non sono eclatanti (a Frosinone e Trapani sono pari a circa il 53%) e a Trani la vittoria è sul filo di lana (50,8%). In quattro comuni (Belluno, Parma, Isernia, Trapani) ha vinto al ballottaggio chi al primo turno è arrivato secondo. A Belluno il candidato sindaco di una coalizione di sinistra (Jacopo Massaro), che al primo turno aveva preso il 24,4% dei voti (contro il 25,5% della candidata sostenuta da una coalizione guidata dal Pd, Claudia Bettiol), al ballottaggio ha ottenuto una larga vittoria con il 62,7% dei voti. A Parma Federico Pizzarotti (candidato del Movimento 5 Stelle) è stato eletto al ballottaggio con il 60,2% dei voti, mentre al primo turno aveva ottenuto il 19,5% (contro il 39,2% di Bernazzoli, candidato del Pd). Ad Isernia il candidato del centrosinistra guidato dal Pd (Ugo De Vivo), che aveva ottenuto il 30,4% dei voti (contro il 47,8% di Rosa Iorio, candidata del centrodestra guidata dal Pdl), al ballottaggio ha vinto in maniera netta con il 57,4% dei voti. Infine, a Trapani il candidato del Pdl (Vito Damiano), che al primo turno aveva ottenuto il 27,4% (contro il 37,9% raccolto dal candidato del Terzo Polo, Giuseppe Maurici), al secondo turno ha vinto con il 53,6% dei voti. Se si guarda ai valori assoluti e non alle percentuali, si nota come nella maggiore parte dei casi l’incremento dei voti tra primo e secondo turno non è di grande entità: ciò è coerente con il brusco calo della partecipazione elettorale tra primo e secondo turno nei 19 comuni capoluogo considerati (pari a -17,3 punti percentuali). A Genova Marco Doria, sindaco con il 59,7% dei consensi, al secondo turno ha addirittura preso meno voti che al primo turno, passando da 127477  a 114245 voti (mentre lo sfidante del Terzo Polo, Enrico Musso, ha quasi raddoppiato i propri consensi in termini assoluti). Per l’appunto Genova è il comune capoluogo che al ballottaggio registra la minore affluenza alle urne, pari al 39,1%. A Parma, invece, il neosindaco Pizzarotti ha praticamente triplicato i propri voti in termini assoluti, mentre lo sfidante Bernazzoli ha sostanzialmente mantenuto i consensi del primo turno (lasciando per strada circa seicento voti): nella città emiliana, del resto, l’affluenza alle urne al secondo turno è stata del 61,2% ed è il comune capoluogo dove si è registrata la minore diminuzione di votanti (-3,4 punti). Infine a Palermo, nonostante l’affluenza al ballottaggio  sia calata di ben 23,5 punti percentuali passando al 39,8%, i due sfidanti sono comunque riusciti ad incrementare i propri voti in termini assoluti: Orlando, sindaco con il 72,4% dei consensi, è passato da 104763 a 158010 voti (un incremento di 53247 unità) e Ferrandelli è passato da 38432 a 60139 voti (un incremento di 21707 unità).

        I comuni dove si è registrato un apparentamento ufficiale tra primo e secondo turno sono tre: Asti (dove l’Udc si è apparentata con il candidato sostenuto dal Pd, Fabrizio Brignolo), L’Aquila (dove l’Idv e la lista civica “L’Aquila oggi” si sono apparentate con il candidato sostenuto dal Pd, Massimo Cialente) e Agrigento (dove l’Mpa e Fli si sono apparentate con il candidato del Terzo Polo, Marco Zamputo). In tutti e tre i casi il candidato con cui è stato stipulato l’apparentamento è stato poi eletto sindaco con delle buone percentuali di voto: Brignolo ad Asti ha ottenuto quasi il 57% dei voti, Cialente a L’Aquila è stato eletto con il 59,2% e infine Zamputo ha ottenuto ad Agrigento il 74,7% dei consensi. In ogni caso se si guarda ai voti proporzionali ottenuti al primo turno dalle  liste apparentate, in nessun caso l’apparentamento sembra essere stato determinante, dal momento che il margine di voti con cui è stata ottenuta la vittoria in termini assoluti è sempre superiore ai voti proporzionali delle liste apparentate (anche se ovviamente questa è solo una mera “fotografia” dei dati e non una approfondita indagine dei flussi elettorali).

    Un altro dato interessante da registrare è quello delle sfide dirette tra Pd e Pdl: al ballottaggio in cinque comuni capoluogo (Como, Monza, Alessandria, Asti, Piacenza) si affrontavano candidati sostenuti dal Pd e dal Pdl. In tutti i casi ha vinto un candidato del Pd e nell’aggregato dei cinque comuni i voti dei candidati sostenuti dal Pd e dal Pdl aumentano tra primo e secondo turno in termini assoluti (+20000 voti circa per i candidati sostenuti dal Pd e +12000 voti circa per i candidati sostenuti dal Pdl). Infine, nell’aggregato dei nove comuni capoluogo del Centro-Nord (incluse Parma e Piacenza), i candidati sostenuti dal Pd tra primo e secondo turno hanno sostanzialmente mantenuto i propri voti in termini assoluti (passando da 263703 voti al primo turno a 271486 voti al ballottaggio).

    In conclusione, i ballottaggi di queste elezioni amministrative hanno registrato il trionfo a Parma di Pizzarotti, primo candidato del Movimento 5 Stelle ad essere eletto sindaco di un capoluogo di provincia, la disfatta, in particolare al Centro-Nord, dei candidati sostenuti dal Pdl a cui si contrappone la vittoria dei candidati sostenuti dal Pd nella maggioranza dei comuni capoluogo e, infine, delle buone affermazioni dei candidati della sinistra (Orlando e Massaro) e, in alcuni casi, del Terzo Polo (Zamputo e Borgna). In particolare, la performance dei candidati della sinistra è stata ottima: in due casi erano arrivati al ballottaggio ed in entrambi i casi hanno vinto il “derby” con i candidati sostenuti dal Pd (la stessa cosa è accaduta all’unico candidato del Movimento 5 Stelle arrivato al ballottaggio). I candidati del Terzo Polo arrivati al ballottaggio invece erano sei:  in due casi hanno vinto contro candidati sostenuti dal Pdl (ad Agrigento) e dal Pd (a Cuneo), mentre hanno perso in tre casi contro candidati sostenuti dal Pd (Genova, Lucca, L’Aquila) e in un caso contro il candidato sostenuto dal Pdl (Trapani).

  • Comunali 2012, il rendimento coalizionale del “blocco” del Pdl

    di Nicola Maggini

     Nell’analisi del voto delle comunali del 6 e 7 maggio è senza dubbio importante considerare il rendimento coalizionale del “blocco” del Pdl. Per blocco del Pdl intendiamo la somma dei voti proporzionali ottenuti dal Pdl e da tutte quelle liste civiche o locali (Grande Sud, etc.) che appoggiavano un candidato sindaco sostenuto anche dal Pdl. Oltre al dato in valori assoluti, abbiamo anche calcolato il dato in valori percentuali sul totale dei voti di lista validi e abbiamo fatto un confronto per ciascuno dei 26 comuni capoluogo con i risultati ottenuti dal blocco del Pdl nelle elezioni politiche del 2008 (in cui abbiamo considerato i voti del solo Pdl) e nelle elezioni regionali del 2010 (in cui consideriamo i voti ottenuti, oltre che dal Pdl, anche dalle liste civiche del candidato presidente del Pdl). In tale maniera si è cercato di capire se le performances del blocco del Pdl sono migliorate, peggiorate o rimaste invariate. Oltre al dato per ciascun comune, abbiamo anche presentato il dato nell’aggregato totale. Infine, per le comunali del 2012, abbiamo anche riportato il dato del blocco Pdl comprendente Fli (per quei comuni in cui era presente e indipendentemente dalla sua collocazione coalizionale). Ciò è stato fatto perché Fli nasce da una scissione del Pdl e dal momento che nel 2008 faceva parte del Pdl è opportuno vedere se la sua fuoriuscita dal blocco del Pdl ha avuto delle conseguenze sul piano della consistenza elettorale di quest’area politica. Per ciò che concerne questo aspetto possiamo subito dare una risposta confrontando nella Tabella seguente la colonna del 2012 con quel del 2012 con Fli: se si considera il partito di Fini, il blocco del Pdl non aumenta mai di più di cinque punti percentuali con l’eccezione di due comuni siciliani: Agrigento, dove l’aumento è di 7,5 punti percentuali, e Trapani, dove l’incremento è di 8,3 punti percentuali. Per quel che riguarda il resto dei comuni,  in quattro di essi l’incremento è tra i 4-5 punti percentuali circa (Brindisi, L’Aquila, Lecce, Palermo), mentre in otto è inferiore ai tre punti percentuali. Pertanto, considerando anche il fatto che in 12 comuni capoluogo Fli non si è presentato, si può dire che la sua esclusione dal blocco del Pdl non è molto rilevante dal punto di vista della consistenza elettorale di quest’area, oltre ad essere giustificata sul piano politico dal momento che Fli fa oggi parte del Terzo Polo. Vediamo ora di comparare i risultati elettorali ottenuti dal blocco del Pdl (senza Fli) nel 2012 con quelli ottenuti alle politiche del 2008 e alle regionali del 2010.

    Come si può vedere dalla Tabella, nell’insieme dei 26 comuni capoluogo il blocco del Pdl subisce una netta perdita sia in valori assoluti che in termini percentuali (-11,9 punti percentuali rispetto alle regionali del 2010 e addirittura -17,5 punti percentuali rispetto alle politiche del 2008). Nell’aggregato dei 26 comuni capoluogo, infatti, il blocco del Pdl aveva ottenuto il 37,6% dei voti nel 2008, il 32% nel 2010, mentre oggi raccoglie “appena” il 20,6% dei consensi. Se si guarda al rendimento del blocco del Pdl rispetto al 2008 e al 2010 per ciascun comune, si nota come la flessione elettorale sia notevole nella maggior parte dei comuni considerati, evidenziando un trend nazionale (anche se con delle significative eccezioni). In alcuni comuni il calo è al di sopra della media superando i 18 punti percentuali: si tratta dei comuni di Verona, Trapani (rispetto al 2008), Taranto, Parma, Palermo (rispetto al 2008), Lucca (in particolare rispetto al 2008), Genova, La Spezia, Brindisi, Como, Cuneo (in particolare rispetto al 2008) e Alessandria (in particolare rispetto al 2008). In questi casi si può parlare di vero e proprio tracollo: basti pensare che a Trapani e a Palermo il calo è, rispettivamente, di 32,7 e 29 punti percentuali rispetto al 2008, a Parma di 23,4 punti percentuali rispetto al 2008 e di 19,9 punti percentuali rispetto al 2010, a Brindisi di circa 22 punti percentuali rispetto al 2008 e al 2010, a L’Aquila di 25,5 punti percentuali rispetto al 2008. Gli unici comuni in cui le perdite sono molto contenute, e dove quindi la consistenza elettorale di quest’area politica rimane stabile, sono Belluno, Asti, Frosinone, Gorizia, Isernia, Piacenza e Trani. Tra questi comuni in alcuni casi si registra anche un incremento elettorale rispetto alle elezioni regionali (ma non rispetto alle politiche):  +3,1 punti percentuali ad Asti rispetto al 2010; +0,3 punti percentuali a Frosinone rispetto al 2010; addirittura +17,8 punti percentuali ad Isernia rispetto al 2011; e infine +3,9 punti percentuali a Trani rispetto al 2010. Infine in netta controtendenza rispetto al dato nazionale ci sono due comuni del Sud: Catanzaro e Lecce. Nel comune calabrese il blocco del Pdl guadagna 6,7 punti percentuali rispetto alle politiche del 2008 e addirittura 17 punti percentuali rispetto alle regionali del 2010. A Lecce l’incremento è ancora più consistente: +15,8 punti percentuali rispetto al 2008 e +20,7 punti percentuali rispetto al 2010. Il fatto che i due comuni in netta controtendenza rispetto al trend nazionale siano due comuni capoluogo del Sud può essere visto come il sintomo di una ulteriore meridionalizzazione dell’area del Pdl. In generale, comunque, queste elezioni politiche hanno senza dubbio segnato un chiaro e inequivocabile arretramento in termini elettorali del blocco del Pdl, decretandone la sconfitta in molte amministrazioni.

  • Comunali 2012, il rendimento coalizionale dell’Udc

    di Nicola Maggini

      Un altro dei temi da analizzare per capire il voto delle comunali del 6 e 7 maggio è il rendimento coalizionale dell’Udc. Per fare ciò abbiamo calcolato la somma dei voti proporzionali ottenuti da tutte le liste dell’Udc, indipendentemente dall’alleanza elettorale con cui si è presentato. Oltre al dato in valori assoluti, abbiamo anche calcolato il dato in valori percentuali sul totale dei voti di lista validi e abbiamo fatto un confronto per ciascuno dei  comuni capoluogo con i risultati ottenuti dall’Udc nelle elezioni politiche del 2008 (che sono le elezioni in cui si era presentato da solo).  Oltre al dato per ciascun comune, abbiamo anche presentato il dato nell’aggregato totale e in tre sotto-aggregati: abbiamo infatti cercato di capire qual è stato il rendimento dell’Udc sia nei cinque comuni in cui faceva parte di una coalizione con il Pd (Brindisi, Frosinone, La Spezia, Taranto e Trani), sia nei quattro comuni capoluogo in cui l’alleanza comprendeva il Pdl (Gorizia, Isernia, Palermo, Verona) che, infine, nei restanti 16 comuni capoluogo in cui non si presentava né con il Pd né con il Pdl (il comune di Genova è stato escluso dall’analisi perché era presente una lista civica del Terzo Polo, ma non la lista dell’Udc). La Tabella seguente mostra i risultati: nell’insieme dei 25 comuni l’Udc arretra in valori assoluti, ma in termini percentuali si registra una perdita di appena 0,3 punti, passando dal 6,2% del 2008 al 5,9% del 2012.

    Si può pertanto dire che l’Udc non è andato male a queste amministrative, mantenendo sostanzialmente la stessa forza elettorale del 2008. Se si osserva il dato disaggregato nei tre sottoinsiemi di cui abbiamo parlato (coalizione con il Pd, coalizione con il Pdl, nessuna alleanza né con il Pd né con il Pdl), si nota che l’Udc ottiene il 6,4%, nei comuni in cui si presentava in alleanza con il Pdl, mentre ottiene il 6% in quelli in cui si presentava col Pd e il 5,5% in quelli in cui non era alleato né del Pd né del Pdl. Non ci sono quindi delle grosse differenze, considerando anche che la numerosità dei tre sottoinsiemi è diversa. In ogni caso, se si effettua il confronto con il 2008 si vede come si registri una diminuzione di voti in termini percentuali (-1,5 punti) solo nei quattro comuni in cui l’Udc nel 2012 è in alleanza con il Pdl, anche se tale flessione non è di entità ragguardevole. In sintesi si può dire che rispetto al 2008 il rendimento dell’Udc peggiora leggermente nei comuni in cui si allea con il Pdl e comunque in generale la prestazione elettorale dell’Udc nei comuni capoluogo considerati è praticamente la stessa del 2008. Se si guarda al rendimento dell’Udc rispetto al 2008 per ciascun comune, si nota come non ci sia una grossa varianza: il dato è cioè abbastanza omogeneo tra i vari comuni. Il comune dove si registra una maggiore differenza rispetto al 2008 è Rieti, dove l’Udc incrementa i propri voti di 6,5 punti percentuali; nel resto dei comuni gli incrementi o le perdite non si discostano troppo dalla media. In conclusione l’Udc tiene, anche se l’alleanza di cui è il perno principale (il Terzo Polo), praticamente non esiste.