Autore: Vincenzo Emanuele

  • Palermo, il Pd regge solo in centro, Grillo e il Pdl si dividono le periferie

    di Vincenzo Emanuele

    Articolo pubblicato su Repubblica Palermo il giorno 1 Marzo 2013

    Si dice spesso che la Sicilia costituisce un interessante laboratorio politico, in grado di anticipare tendenze che poco dopo si verificano a livello nazionale. E’ quanto accaduto anche con il voto di domenica e lunedì, dal momento che lo tsunami del Movimento 5 Stelle, che ha sfondato in tutta Italia emergendo come prima forza politica nazionale, in Sicilia era già arrivato a fine ottobre, quando alle regionali i grillini avevano ottenuto il 15% dei voti insediando 15 deputati all’Ars.  L’ascesa dei cinque stelle nell’Isola e in particolare a Palermo è stata tanto massiccia quanto repentina. Alle comunali del maggio scorso il candidato sindaco grillino Riccardo Nuti prese appena il 4,9%, percentuale quasi quintuplicata appena cinque mesi dopo alle elezioni regionali dal suo collega Cancelleri (24,1%). Qualche giorno fa Grillo ha completato il suo capolavoro, risultando, con oltre 105 mila voti (il 32,8%) non solo primo partito cittadino, ma addirittura la prima coalizione alla Camera a danno di Berlusconi e Bersani.

    L’espansione del partito di Grillo è avvenuta in una fase storica di crescente destrutturazione del sistema partitico siciliano, in cui alla crisi della quasi ventennale egemonia del blocco di potere berlusconiano si è accompagnata l’incapacità del centrosinistra palermitano di farsi interprete del cambiamento. Questo processo si è tradotto in una grande fluidità di voto, con migliaia di elettori in libera uscita dai partiti tradizionali, che hanno visto nel movimento di Grillo un nuovo riferimento politico. A questo punto è interessante chiedersi da dove proviene il bacino di consensi del Movimento 5 Stelle e se è cambiato nel corso degli ultimi mesi. La Tabella 1 riporta i flussi elettorali effettuati dal Cise tra le Politiche 2008, le Regionali 2012 e le Politiche 2013 nel comune di Palermo. Il dato che emerge è assai significativo: mentre ancora alle regionali del 2012 il 70% dei voti di Cancelleri proveniva da elettori di centrosinistra (Pd, Italia dei Valori e Sinistra arcobaleno) e solo una minoranza era costituita da ex elettori di centrodestra, in queste elezioni la situazione si è completamente ribaltata. Oggi la quota di elettorato progressista all’interno del bacino grillino si è dimezzata (35%), mentre sono cresciuti a dismisura gli ex berlusconiani (36%) e gli ex democristiani (il 10% dei voti proviene da elettori dell’Udc). Sembra dunque che lo tsunami grillino si sia sviluppato tramite una doppia ondata: nato come una costola della sinistra si è progressivamente allargato fino a coinvolgere una quota consistente dell’elettorato conservatore palermitano.

    Questi dati sembrano trovare conferma anche dall’analisi del voto nei quartieri di Palermo. La mappa in pagina evidenzia con colori diversi la prima coalizione nelle 55 unità territoriali in cui è stata suddivisa la città. Il centrodestra, che ha perso circa 100 mila voti rispetto alle politiche del 2008, rimane ormai maggioritario solo in parte del centro storico (Palazzo Reale, Monte di Pietà), nella periferia meridionale (da Romagnolo ad Acqua dei Corsari, da Brancaccio a Ciaculli, fino a Santa Maria del Gesù e Villagrazia) e in alcuni quartieri “difficili”, come Borgo Vecchio, Borgo Nuovo e lo Zen. In quest’ultimo quartiere, da sempre dominato dal centrodestra, Berlusconi ha ottenuto la sua più alta percentuale cittadina (il 45,5%), ma in un contesto caratterizzato da un’astensione senza precedenti (ha votato appena il 38,8%). Qui la sinistra è praticamente inesistente (12,8%), così come rimane forte minoranza in tutti i quartieri popolari, confermando la sua storica incapacità di penetrare elettoralmente nelle aree del disagio sociale. La coalizione di Bersani, risulta infatti maggioritaria solo nelle sue tradizionali roccaforti del centro residenziale (i quartieri Libertà, Politeama, Malaspina, Palagonia e Resuttana) e nelle sezioni della Kalsa. Tutto il resto della città è dominato dal Movimento 5 Stelle (primo in 33 quartieri su 55) che conquista tutte le borgate marinare, dall’Acquasanta a Mondello, e i quartieri della periferia nord e ovest (da Tommaso Natale a Mezzomonreale), nonché molte delle aree di cintura del centro (Zisa, Noce, Parlatore, Cuba). La stragrande maggioranza di questi quartieri investiti dallo tsunami a cinque stelle fino a qualche anno fa votava stabilmente per il centrodestra. Solo il tempo ci dirà se il consenso grillino sarà un fenomeno transitorio o se sarà invece in grado di piantare solide radici nel territorio palermitano.

    Tab. 1 Flussi elettorali dalle politiche 2008 alle regionali 2012 e alle politiche 2013  (Provenienze).

    Fig. 1 Mappa dei quartieri di Palermo, prima coalizione per quartiere (M5S in giallo, Bersani in rosso, Berlusconi in blu).

    Legenda Mappa

  • Sondaggio IPSOS-CISE, i leader: Bersani il più apprezzato, Berlusconi “polarizza” l’elettorato

    di Vincenzo Emanuele

    Il Sondaggio IPSOS-CISE  sulla politica italiana pubblicato oggi sul Sole 24 Ore conteneva anche alcune interessanti domande sui principali leader politici in campo.  In una campagna elettorale sempre più personalizzata, il grado di apprezzamento degli elettori nei confronti dei leader è certamente un fattore molto importante quando mancano ormai appena 15 giorni alle elezioni politiche.

    Nel sondaggio si chiedeva agli intervistati di esprimere un voto da 1 a 10 come a scuola ai tre principali leader in campo: Bersani, Berlusconi e Monti.  Il più apprezzato, come vediamo nella Figura 1, è il leader del Pd che raccoglie una percentuale di giudizi positivi (da 6 a 10) del 51%, contro il 44% di Monti e il 33% di Berlusconi. E’ assai significativo osservare anche la distribuzione dei giudizi positivi all’interno dell’elettorato delle diverse coalizioni. Emergono tre elementi significativi. In primo luogo, Berlusconi è il candidato che “polarizza” maggiormente l’elettorato, dal momento che ottiene l’89% di giudizi positivi fra i propri elettori mentre fra gli elettorati delle altre coalizioni riceve giudizi molto negativi (dal 4% fra gli elettori di Bersani al 23% dei grilini). In secondo luogo, gli elettori di Bersani dimostrano di apprezzare il professor Monti: il 59% di loro esprime un giudizio positivo per il Premier uscente, una percentuale che è di 15 punti superiore a quella dell’elettorato nel suo complesso. Infine c’è da notare la preferenza degli elettori di Grillo per Bersani (35% di giudizi positivi) su Monti (29%) e Berlusconi (23%).

    Fig. 1 Giudizi positivi per Bersani, Berlusconi e Monti fra gli elettori delle diverse coalzioni

     

    Agli intervistati sono inoltre state sottoposte una serie di domande su alcuni tratti caratteristici dei leader politici: la decisione, la dinamicità, la competenza, l’onestà e la socievolezza. Guardando al complesso dell’elettorato (Figura 2), Bersani appare un leader giudicato molto positivamente: riceve per ognuno dei 5 tratti caratteristici più del 50% di risposte positive, e dunque sembra possedere tutte e 5 le caratteristiche indicate, spiccando per competenza, onestà e socievolezza (un indicatore del grado di empatia del leader). La competenza è la miglior caratteristica di Monti (l’81% dell’elettorato gliela attribuisce), mentre il professore sembra in difficoltà per quanto concerne la dinamicità e la simpatia. Berlusconi invece è percepito come poco onesto (25%), ma risulta il migliore in ben tre caratteristiche distintive: la decisione, la dinamicità (qualità che in genere individuano la forza di un leader) e la socievolezza.

    Fig. 2 Tratti caratteristici dei leader nel complesso dell’elettorato

     

    Risulta interessante la disaggregazione di questi dati fra i segmenti di elettorato delle diverse coalizioni (Figure 3, 4 e 5). Berlusconi conferma la sua caratteristica peculiare, osservata in precedenza, ossia quella di dividere l’elettorato in due a seconda della posizione politica dell’intervistato. L’elettorato montiano apprezza il segretario del Pd  e soprattutto Monti è assai apprezzato dall’elettorato di Bersani, mentre i più critici nei confronti del professore sembrano essere gli elettori di centro-destra. Da questi dati sembra dunque emergere che l’ipotesi di un’alleanza post-voto tra Bersani e Monti potrebbe non dispiacere ai due rispettivi elettorati.

    Fig. 3 Tratti caratteristici di Bersani fra i diversi elettorati

    Fig. 4 Tratti caratteristici di Berlusconi fra i diversi elettorati

    Fig. 5 Tratti caratteristici di Monti fra i diversi elettorati

  • Il voto nei circoli: cosa rischia Renzi

    Emanuele, Vincenzo, & Rombi, Stefano. (2013). Il voto nei circoli: cosa rischia Renzi. Candidate & Leader Selection (a Cura Di) [2013], Questioni Primarie, Www.rivistailmulino.it, (2), 7–8.

    L’elezione del Segretario del Partito Democratico dell’8 dicembre 2013 è spesso descritta come un passaggio scontato, con Matteo Renzi destinato a una vittoria senza ostacoli. Tuttavia, l’analisi del voto nei circoli evidenzia alcune dinamiche che potrebbero influenzare la capacità del futuro Segretario di esercitare pienamente la sua leadership. Questo articolo esamina il livello di sostegno a Gianni Cuperlo tra gli iscritti al Pd, stimandolo a partire dai risultati delle primarie del 2012 e dai sondaggi disponibili. L’analisi regionale evidenzia un consenso significativo per Cuperlo, soprattutto nel Sud, che potrebbe incidere sulla composizione delle assemblee provinciali e, di conseguenza, sulla struttura territoriale del partito. Sebbene Renzi sembri destinato a ottenere un ampio appoggio, il controllo effettivo del Pd sul territorio rimane una variabile chiave per il suo futuro politico.

  • Le intenzioni di voto, il M5S supera il Pdl, crollo dell’Idv. Lieve diminuzione dell’astensione

    di Vincenzo Emanuele

     Una delle questioni di maggior interesse su cui si concentra il Panel Elettorale del Cise riguarda il cambiamento delle intenzioni di voto degli italiani nel corso dell’anno che porta alle elezioni politiche del 2013. Il vantaggio dell’indagine di tipo Panel è quello di poter testare le medesime domande sulle stesse persone fisiche, rilevando così i cambiamenti di opinione e gli spostamenti degli elettori nel corso del tempo. Il Panel è giunto alla sua seconda ondata e dunque possiamo confrontare le intenzioni di voto ai partiti alle prossime elezioni politiche tra la rilevazione effettuata sei mesi fa, nella Primavera 2012, e quella che si è appena conclusa, entrambe basate sugli stessi 1524 intervistati.

    La novità più rilevante degli ultimi sei mesi è stata senz’altro la crescita esponenziale del Movimento 5 Stelle. La creatura di Beppe Grillo è emersa come attore rilevante del sistema partitico italiano già alle amministrative di maggio, ricevendo la definitiva consacrazione elettorale nelle urne siciliane alle regionali del 28 ottobre. E così il Movimento, che già in Primavera era il terzo partito con il 12,6%, negli ultimi sei mesi è cresciuti di oltre 5 punti e oggi, con il 17,9% dei consensi diventa il secondo partito italiano superando il Pdl. Il partito di Berlusconi e Alfano, sempre più in crisi dopo le ripetute débacle elettorali, diviso sul sostegno a Monti e incerto sulla linea politica da tenere in vista delle elezioni (dalla questione delle primarie all’opportunità di smembrare il Pdl, fino al tema delle alleanze) perde altri due punti, precipitando al 17,6%. E il suo ulteriore calo si accompagna ad una contemporanea perdita di consensi per la Lega che scende sotto il 4%, cosicché l’alleanza che ha stravinto le elezioni politiche del 2008 con il 46% dei voti si ritroverebbe oggi con appena il 21,2% (vedi Figura 1).

    Fig. 1 Intenzioni di voto ai partiti italiani tra Primavera e Autunno 2012.

    Sul fronte opposto si consolida il primato del Partito democratico. Già prima forza politica del paese in primavera, il partito di Bersani vola nelle intenzioni di voto, sfruttando la scia delle regionali siciliane e soprattutto la straordinaria ribalta mediatica ottenuta con le primarie. Il 35,5% del nostro campione di intervistati che risponde alla domanda sulle intenzioni di voto dichiara la propria preferenza per il Pd, che si apprezza così di due punti rispetto al già ragguardevole risultato di 6 mesi fa (33,5%). Se si votasse oggi il Pd si ergerebbe a partito predominante del sistema , con una percentuale di voti doppia rispetto ai due principali concorrenti, il M5S e il Pdl. A sinistra dei democratici rimane invece stabile il consenso di Sinistra e Libertà, poco sopra il livello del 4%, mentre assistiamo ad un vero e proprio tracollo dell’Italia dei Valori. Il partito di Di Pietro, ferito dagli scandali giudiziari che hanno colpito vari esponenti locali, abbandonato da alcuni dirigenti di primo piano e tagliato fuori dalla partita delle primarie e dalla futura coalizione di centrosinistra precipita dal 9,4% al 4,8%, con un calo di quasi 5 punti in sei mesi. Ormai senza alleati e con gli elettori sempre più tentati dalla protesta grillina o dalla prospettiva di governo offerta dall’alleanza Pd-Sel, l’Idv rischia di non entrare in Parlamento alle prossime politiche.

    Al centro, infine, il ruolo di principali sponsor del governo Monti non sembra favorire l’Udc e Fli. Il partito di Casini e quello di Fini registrano entrambi una flessione, dimostrandosi così incapaci di catalizzare il consenso in uscita dal Pdl: l’Udc cede mezzo punto, scendendo al 5,7%, mentre Fli che era al 2,8% scende sotto il 2%, soglia sotto la quale non riportiamo il valore dei singoli partiti (ragione per la quale tutti gli altri partiti, tra cui anche Federazione della sinistra, La Destra, Api, Radicali, Partito socialista, vengono inclusi nella categoria “Altri”).

    Eppure chi risponde alla domanda sul voto è oggi meno di un italiano su due. Per questa ragione ci sembra corretto presentare anche i dati relativi all’intero elettorato (i nostri 1524 casi), per comprendere quali sono stati i movimenti dei nostri intervistati tra la primavera (Figura 2) e l’autunno (Figura 3), tra voto, astensione e “area grigia” (incerti e non rispondenti).

    Fig. 2

    Fig. 3

    Confrontando le due figure il primo dato che emerge è che nel corso degli ultimi sei mesi è diminuito il numero di coloro che intende astenersi, passato dal 35,2% al 32,2%. Avvicinandosi le elezioni politiche, la diminuzione degli intervistati che dichiarano la volontà di non andare a votare è un dato normale. Ciò che invece colpisce è quanto sia ancora estremamente corposa l’area del non voto, probabile preludio ad un tasso di partecipazione alle prossime elezioni politiche che difficilmente supererà il 70%. Oggi coloro che dichiarano l’intenzione di recarsi alle urne sono meno di due elettori su tre (63,5%), comunque in crescita rispetto al sondaggio primaverile (61,2%). Gli elettori che andranno a votare e che alla domanda sul voto rispondono dando l’indicazione del partito che voteranno sono poi ancora meno, appena il 46,2%, in lievissima crescita (+0,7 punti). Così mentre l’astensione scende di tre punti i rispondenti sul voto sono sostanzialmente stabili rispetto alla primavera. Come mai? La risposta risiede nella crescita della cosiddetta “area grigia” composta da incerti e non rispondenti (oltre a coloro che voterebbero scheda bianca o nulla). Quest’area è una componente consistente dell’elettorato, il 21,6% ed è in crescita di 2,3 punti rispetto a sei mesi fa. Essa è composta sia da coloro che non hanno ancora deciso se andare a votare (4,3%, più 0,7 punti rispetto alla primavera), sia da quanti andranno a votare ma non sanno o non dichiarano per chi lo faranno (17,2%, in crescita di 1,5 punti).

    Con l’avvicinarsi delle elezioni, dunque, assistiamo ad un lieve recupero dell’astensione che però non si riversa sui partiti ma entra a far parte dell’area grigia: un bacino di elettori incerti e tuttavia “disponibili”, in attesa di una proposta convincente. Conquistarli sarà l’obiettivo dei partiti durante la campagna elettorale.

  • Sondaggio Cise sulle primarie, il profilo politico degli elettori di Bersani e Renzi

    di Nicola Maggini e Vincenzo Emanuele

     Dopo aver analizzato, nell’articolo precedente, le intenzioni di voto alle primarie del prossimo 25 novembre, vediamo adesso qual è il profilo politico degli elettori dei due principali competitor secondo il sondaggio effettuato dal Cise.

    Abbiamo incrociato il voto al primo turno delle primarie con il ricordo del voto espresso in occasione delle elezioni politiche del 2008, escludendo dall’incrocio gli intervistati che non voteranno alle primarie, quelli che non ricordano per chi hanno votato nel 2008 (o non rispondono a tale domanda) e quelli che non avevano l’età per votare. Osserviamo profonde differenze tra gli elettori che esprimono una preferenza per Bersani e quelli che si dichiarano in favore di Renzi. Come vediamo nelle Figure 1 e 2, l’elettorato di Bersani ha un profilo politico dai contorni ben definiti: il 69,6% del suo elettorato ricorda di aver votato per il Pd alle politiche del 2008. Se a questi aggiungiamo un 14,3% proveniente da elettori degli altri partiti di centrosinistra (Idv, Sinistra arcobaleno, Partito Socialista), vediamo che l’84% di coloro che voterebbero Bersani alle primarie è composto da rispondenti che già nel 2008 appartenevano allo schieramento di centrosinistra. Del restante 16% esterno al campo progressista, poco più di un terzo proviene da ex elettori Pdl e circa un quarto dall’Udc.

    Fig. 1

    Fig. 2

    Ben più variegata appare la composizione dell’elettorato di Renzi. Il sindaco di Firenze riceve meno della metà dei propri voti da elettori che nel 2008 avevano scelto il Partito democratico (46,9%). Ciò significa che la maggioranza assoluta dell’elettorato di Renzi è composta da elettori che nel 2008 non hanno votato per il partito di appartenenza del sindaco di Firenze. Non solo, ma l’intera area progressista dell’elettorato renziano raggiunge appena il 54,7%, ben 30 punti inferiore a quella di Bersani. A differenza di quest’ultimo, però, Renzi pesca molto di più fra gli elettori che alle ultime politiche avevano optato per i partiti di centrodestra: il 27,6% proviene dal Pdl, l’8,7% dalla Lega e il 6,9% dall’Udc.

    Questi dati confermano l’ipotesi, formulata da molti osservatori, circa la capacità di Renzi di far leva su un elettorato trasversale, che valica i confini classici dello schieramento di centrosinistra. Al contrario Bersani presenta un profilo più in linea con il centrosinistra tradizionale. Così mentre il sindaco di Firenze può vincere solo se la partecipazione al voto si allarga oltre il campo progressista e molti delusi ex Pdl e Lega si recano alle urne, al segretario del Pd basterà anche solo mobilitare i propri elettori fidelizzati per ricevere la nomination.

    Si potrebbe però obiettare che il ricordo del voto 2008 è un dato troppo lontano nel tempo per poter essere considerato un indicatore affidabile circa la caratterizzazione politica degli elettori dei due candidati principali delle primarie. Abbiamo quindi effettuato un nuovo incrocio, tra il voto alle primarie e l’auto-collocazione politica degli intervistati, divisa in quattro categorie: sinistra (punteggi fra 0 e 4 nella scala fra 0 e 10), centro (5), destra (6-10) e non collocati (coloro che rifiutano il posizionamento).

    Fig. 3

    Anche in questo caso Bersani emerge come il candidato con il più netto profilo identitario: i tre quarti del suo elettorato si autocollocano a sinistra, contro un 18,1% che si dichiara di centro e un residuale 4,7% che appartiene alla destra (vedi la Figura 3). Gli elettori di Renzi invece sono composti solo dal 43,3% da intervistati che si collocano a sinistra, mentre la maggioranza assoluta (50,7%) si colloca al centro o a destra (rispettivamente il 15,4% e il 35,3%). Eppure, un po’ a sorpresa, mentre Bersani trionfa tra gli elettori delle primarie che si dichiarano di sinistra (il 63% vota per lui contro il 24% che sceglie Renzi), ed il rottamatore fa il pieno di voti nella porzione di elettori di destra (74% contro il 15% che opta per Bersani), nella fascia di elettorato centrista è il segretario del Pd ad avere la meglio (57% a 32%). Come mai? Una delle  spiegazioni plausibili potrebbe essere la netta chiusura di Renzi nei confronti dell’Udc di Casini come possibile alleato alle politiche 2013.

    Nell’articolo precedente avevamo sottolineato il paradosso di queste elezioni primarie, cioè il fatto che il candidato preferito dagli elettori (Bersani) appare meno competitivo per la vittoria alle elezioni politiche generali rispetto al suo competitor Renzi (il 35% dell’elettorato complessivo voterebbe una coalizione di centrosinistra guidata dal segretario, contro il 44% che la voterebbe se fosse guidata dal sindaco). Incrociando le risposte a questa domanda con l’auto-collocazione politica emergono dei dati molto interessanti. Ancora una volta, appare evidente la capacità dei due candidati di raccogliere consensi in strati diversi dell’elettorato, solo parzialmente sovrapponibili: tra gli intervistati di sinistra il 70,1% voterebbe una coalizione guidata da Bersani, mentre questa percentuale si riduce al 59,9% se il candidato premier fosse Renzi. Ad una minore capacità di raccolta nel proprio elettorato da parte del sindaco di Firenze fa da contraltare una maggiore propensione a penetrare nel campo moderato: fra gli elettori di centro Renzi sopravanza Bersani (41 a 32%), mentre fra quelli di destra la differenza diviene eclatante con Renzi capace di portare al voto per una coalizione da lui guidata oltre un terzo del campione (34,2%) a fronte di un appeal di Bersani che resta marginale (7,5%). Una coalizione guidata da Renzi infine risulta più appetibile anche nella corposa categoria dei non collocati (che costituiscono il 13,6% del campione): il 30,7% la voterebbe contro il 13,7% che la sceglierebbe se il candidato premier fosse Bersani.

    Fig. 4

  • Regionali in Sicilia, la geografia del voto: Grillo sfonda nelle città

    di Vincenzo Emanuele

    Entrare nel dettaglio dell’analisi del voto alle regionali in Sicilia è utile per verificare o eventualmente smentire alcune interpretazioni sul risultato elettorale, e in particolare sulla performance del Movimento 5 Stelle, che hanno cominciato a circolare fra giornalisti e analisti politici.

    Per approfondire la disamina del voto abbiamo disaggregato i risultati della competizione maggioritaria a livello provinciale, dividendo poi tra comune capoluogo e resto dei comuni della provincia (Tabella 1). Questo tipo di suddivisione ci consente di ottenere un discreto livello di dettaglio e di visualizzare efficacemente il rendimento dei vari candidati a livello territoriale.

    Un primo dato interessante è quello relativo alla partecipazione al voto, scesa complessivamente al 47,4%. Si è votato di più nella Sicilia orientale, ed in particolare a Messina e Catania, le uniche province in grado di superare il 50% dei votanti. Il record negativo spetta ad Agrigento, Enna e Caltanissetta, e in quest’ultima città l’astensione risulta ancor più strana dal momento che ben due candidati erano originari di questa provincia (Cancelleri e Crocetta). Complessivamente nei capoluoghi l’affluenza è stata lievemente più bassa che negli altri comuni (46,8 contro 47,7), ma questo dato è frutto di una forte differenziazione interna all’Isola. Mentre le tre città maggiori (Palermo, Catania e Messina), infatti, votano sensibilmente meno delle rispettive province (4 punti di differenza a Palermo, 5 a Catania, 3 a Messina), nel resto della regione i capoluoghi registrano un’affluenza in alcuni casi molto più alta (12,5 punti ad Enna, 7,5 a Caltanissetta, 6,4 ad Agrigento). Come spiegare queste differenze? Potremmo interpretare questo dato ipotizzando che nelle province più piccole dell’entroterra siculo come Enna e Caltanissetta la “perifericità” degli elettori è assai elevata, e dunque il fatto di abitare nel comune capoluogo o in provincia conta moltissimo. Viceversa, in aree più “centrali” quali le tre grandi province di Palermo, Catania e Messina questo elemento si attenua ed anzi riemerge la tradizionale tendenza dei piccoli comuni a mostrare livelli di partecipazione maggiori.

    Passando ai risultati elettorali possiamo evidenziare che nel complesso la geografia elettorale della Sicilia presenta una discreta omogeneità, con alcune significative eccezioni. Abbiamo calcolato il livello sistemico di “nazionalizzazione” del voto, servendoci dello standardized Party System Nationalization Score di Bochsler [2010], un indice che calcola l’omogeneità della distribuzione del voto ai vari partiti/candidati e restituisce un valore compreso tra 0 (massima disomogeneità: un partito/candidato ottiene tutti i suoi voti in una sola provincia) e 1 (massima omogeneità: un partito/candidato ottiene la stessa porzione di voti in ogni provincia). Abbiamo così elaborato l’indice per la competizione maggioritaria a partire dalle performance dei singoli  candidati Presidente nelle 18 unità territoriali (i 9 capoluoghi e le 9 aggregazioni provinciali di comuni non capoluogo) in cui abbiamo disaggregato il voto. La Sicilia ha un valore piuttosto alto di sPSNS, pari a 0,890, più che giustificabile alla luce del fatto che si tratta in fin dei conti di una regione (l’indice è stato pensato per misurare l’omogeneità di stati nazionali, per quanto la Sicilia per popolazione supera o eguaglia molti stati dell’Europa occidentale) e della competizione presidenziale, che presenta senz’altro una minore variabilità territoriale rispetto a quella proporzionale fra le liste.

    Tab. 1 Partecipazione alle elezioni e voto ai candidati nelle 9 province siciliane alle regionali 2012.

     I candidati con la distribuzione più eterogenea sono Giovanna Marano (0,830) e Giancarlo Cancelleri (0,842). Entrambi mostrano un chiaro profilo urbano, e, se questo dato non è una novità per la sinistra radicale, lo è certamente per il Movimento 5 Stelle, il cui elettorato è “neonato” e perciò possiamo dire che fino ad oggi non se ne conoscevano le caratteristiche. A fronte di un 18,2% di media il candidato grillino ottiene il 23,1% nei 9 capoluoghi, ben sette punti in più rispetto ai restanti comuni dell’Isola. Raccoglie il maggior numero di consensi nel comune di Caltanissetta, città d’origine di Cancelleri, in cui risulta il candidato più votato con il 37,4%. Il suo risultato peggiore è invece quello dei comuni non capoluogo della provincia di Messina (10%). La sua propensione urban-oriented, solitamente tipica delle forze politiche di sinistra, è evidente dalla lettura dei dati nella Tabella 1: 17 punti di differenza tra città capoluogo e comuni minori a Caltanissetta, 16 ad Enna, 10 ad Agrigento, 9 a Palermo, Siracusa e Ragusa, 7 a Catania e 6 a Messina. Solo a Trapani la differenza è minima (1,1 punti), ma lì il dato è sporcato dal fatto che tra i comuni non capoluogo ve ne sono alcuni, come Marsala, Mazara del Vallo e Alcamo, densamente popolati ed assimilabili, dal punto di vista sociografico, alla città di Trapani.  La Marano invece, più che evidenziare differenze tra città e provincia, mostra una distribuzione del consenso disomogenea per via della forte sovrarappresentazione nella provincia di Palermo, in cui l’ex leader della Fiom ottiene un terzo dei suoi voti complessivi. In particolare il comune di Palermo (10,8%) si rivela la cassaforte dei voti della candidata della sinistra radicale: da lì provengono infatti oltre un quinto dei suoi voti totali. Il tallone d’Achille della Marano è la provincia di Caltanissetta (3,3%), in cui la sinistra ha trovato la concorrenza sia di Crocetta che, come abbiamo appena visto, del M5S.

    Rosario Crocetta presenta la ripartizione del voto più omogenea, con un indice di “nazionalizzazione” che raggiunge lo 0,934. L’alleanza del Pd  con l’Udc, partito tradizionalmente caratterizzato da un radicamento centrato sui piccoli comuni, e la concorrenza di Cancelleri nelle città hanno la conseguenza di connotare in termini provinciali l’elettorato dell’ex sindaco di Gela. Crocetta infatti ottiene circa 4 punti in più nei comuni non capoluogo rispetto alle 9 città principali (31,7 a 27,7%). Il nuovo Presidente della Regione ha vinto in 8 province su 9 ed in generale in 14 unità territoriali sulle 18 in cui abbiamo suddiviso  la Sicilia. Nelle restanti quattro (Catania città e provincia, Palermo e Caltanissetta città), è secondo, dietro Musumeci a Catania e all’inseguimento di Cancelleri a Palermo e Caltanissetta.

    Il grande sconfitto di queste regionali, il candidato del Pdl Musumeci, non riesce a sfondare oltre il feudo della provincia di Catania, in cui totalizza il 32,5% a fronte di una media regionale del 25,7%. Per il resto supera il 30% dei voti solo nel comune di Trapani (33,7%) che diventa la città più “azzurra” dell’Isola. Il candidato del centrodestra non riesce ad essere realmente competitivo per la vittoria per via della débacle oltre le attese subita in alcune zone, come Palermo e Messina città, le province di Caltanissetta e Ragusa, in cui giunge solo terzo e la città di Enna, in cui arriva addirittura quarto con appena il 10,5% dei consensi.

    Infine piuttosto omogenea è la distribuzione del voto di Gianfranco Miccichè, giunto quarto con il 15,4% dei voti. Il risultato è un vero fallimento per l’ex coordinatore forzista, mai realmente in corsa per la vittoria e alla fine superato anche dal grillino Cancelleri. Deludente in particolare la sua performance a Palermo, sua città d’origine, in cui è solo quarto con una percentuale lievemente inferiore alla media (15,2%). Supera il 20% solo nei comuni della provincia di Messina e in quella di Enna, mentre è praticamente inesistente sia nel comune di Caltanissetta (6,6%) che nella provincia di Ragusa (5,5%), in cui viene superato anche da Mariano Ferro del Popolo dei Forconi (5,9%). Nel capoluogo sud-orientale dell’Isola poi racimola soltanto il 3,2% e 980 voti, la metà circa di quelli della Marano. Come Crocetta e Musumeci, infine, anche Miccichè riceve più voti in provincia che in città (16% contro 14%) con la differenza più marcata nella zona di Enna, in cui il candidato del polo autonomista ottiene quasi 9 punti meno nel capoluogo rispetto ai comuni circostanti.

  • Regionali in Sicilia, Crocetta vince nell’Isola degli astenuti. Boom del Movimento 5 Stelle

    di Vincenzo Emanuele

    Che la Sicilia non fosse più l’Eden del consenso berlusconiano lo si era capito già alcuni mesi fa, quando alle comunali di Palermo il candidato del Pdl Massimo Costa era rimasto fuori dal ballottaggio, giocato tutto all’interno del campo di centrosinistra e poi stravinto da Leoluca Orlando. Ma non era preventivabile neppure che in così pochi mesi la terra del 61-0 potesse divenire protagonista di una trasformazione così profonda, in cui il declino del blocco di potere che ha retto le sorti del governo regionale negli ultimi 11 anni è sfociato in una crisi che ha investito l’intero sistema politico dell’Isola e che oggi rischia di investire il resto del paese. Questa crisi di sistema ha avuto due interpreti di successo: l’astensione e Beppe Grillo.

    In Sicilia si è recato alle urne appena il 47,43% degli aventi diritto. E’ il record negativo di ogni elezione nazionale a qualsiasi livello (con l’eccezione delle europee 2009 in Sardegna). Ormai la diminuzione della partecipazione non ha più nulla di fisiologico, come si credeva in passato e, a partire dalle regionali 2010 per poi proseguire con le ultime comunali ha assunto ritmi vorticosi. Nel 2008 l’affluenza era stata del 66,7%, ben 19 punti superiore a quella di domenica scorsa. Ma si votava in due giorni e per di più con il traino delle politiche che si svolsero in contemporanea. Un confronto più appropriato è quello con il 2006: allora la partecipazione fu del 59,2%, e si trattava di un’elezione dall’esito quasi scontato (Cuffaro vinse con 11,5 punti di distacco dalla Borsellino), del tutto diverso dalla serrata competizione di questa tornata, caratterizzata dal grande equilibrio nei rapporti di forza tra i candidati principali, certificato anche dai sondaggi della vigilia. Un elemento, quello dell’incertezza sul risultato finale, che avrebbe dovuto richiamare più gente al voto. Questo è ciò che accade di solito nel resto dei paesi democratici, in cui l’affluenza aumenta quando il risultato è incerto e il governo è contendibile. Ma non in Sicilia. Non in questa fase storica di destrutturazione del sistema partitico della Seconda Repubblica.

    Anzi, è probabile che la partecipazione sarebbe stata molto più bassa se non fosse intervenuto il secondo protagonista di queste elezioni: Beppe Grillo. Il comico genovese è stato un ciclone che si è abbattuto sulla partitocrazia dell’Isola e con soli 20 giorni di campagna elettorale ha permesso al Movimento 5 Stelle di diventare la prima forza politica dell’Isola e al candidato Cancelleri di piazzarsi terzo con il 18,2% dei voti e addirittura primo a Palermo città.

    Al di là dell’astensione e del boom dei grillini queste elezioni hanno un altro indiscusso vincitore: Rosario Crocetta. Ex comunista, dichiaratamente omosessuale e fiero paladino antimafia sin dai tempi in cui era sindaco di Gela, il nuovo Presidente della Sicilia è un personaggio la cui storia personale è già un manifesto del cambiamento rispetto alla tradizione politica dell’Isola dal dopoguerra in poi. Si tratta infatti della prima vittoria elettorale per una coalizione di centrosinistra dal 1947 ad oggi. Un risultato storico, reso possibile sia dagli elementi sistemici di crisi prima menzionati che dalla divisione del centrodestra fra Nello Musumeci, candidato di Pdl, La Destra e dei cuffariani del Pid, favorito della vigilia e poi sconfitto con il 25,7% e Miccichè, sostenuto da Grande Sud, Fli ed Mpa, che non ha potuto far altro che recitare una parte da comprimario, fermandosi al 15,4%, al quarto posto dietro Cancelleri (vedi Tabella 1).

    Tab. 1 Elezioni regionali 2012 in Sicilia, affluenza e voto ai candidati Presidente.

    La grande frammentazione della competizione proporzionale fa sì che ben 9 liste riescano a superare la soglia di sbarramento del 5%, con il partito maggiore (il M5S) che non arriva al 15%. Un esito simile a quanto accaduto proprio a Palermo pochi mesi fa, quando alle comunali l’Idv con appena il 10,2% divenne il primo partito. Esistono le condizioni per definire il sistema partitico siciliano “atomizzato” (Sartori 1976). Il Pdl perde oltre 20 punti passando dal 33,4% delle regionali 2008 al 12,9% odierno. In termini assoluti stiamo parlando di oltre 650.000 voti. Sommando al Pdl di oggi le liste nate in seguito a scissioni dal Pdl 2008 (Grande Sud e Fli) oltre ai voti della Lista Musumeci si raggiunge il 28,9%, segno che vi è stata un’emorragia di consensi che va al di là della divisione della destra. Anche il partito dell’ex Presidente Lombardo accusa il colpo: l’Mpa limita i danni, ottenendo il 9,5% e portando a casa 10 seggi, ma sono lontani i fasti del 2008, quando le tre liste autonomiste facenti capo a Lombardo totalizzavano il 22,2%. Cresce invece il consenso per le formazioni post-democristiane. (https://www.sliderrevolution.com) L’Udc può festeggiare la scelta, rivelatasi vincente, di abbandonare la nave del centrodestra e puntare su un candidato lontano dal profilo del partito di Casini ma che oggi gli permette di tornare al governo della Regione. Inoltre lo scudocrociato ottiene il 10,8%, perdendo solo 1,7 punti rispetto al 2008, quando però il partito poteva contare sui dirigenti cuffariani oggi transfughi nel Pid, i quali accedono all’Ars con il 5,9% dei voti. La scissione in fin dei conti ha accresciuto i consensi degli ex democristiani. Nel complesso, in termini percentuali, il vecchio blocco di potere conservatore che ha governato la Sicilia dal 2001 è passato dal 69,5% al 55,4%. Insomma ha perso, ma è comunque rimasto maggioranza. Solo che le divisioni e le scissioni, tipiche di un sistema al collasso, unite all’effetto della soglia di sbarramento non gli consentono, per la prima volta nella storia della Sicilia, di ottenere la maggioranza dei seggi: Musumeci si ferma a 21 e Miccichè a 15. Solo se a questi uniamo i seggi dell’Udc (11), che ha fatto parte del centrodestra in Sicilia fino a queste elezioni, il totale fa infatti 47, la metà più due.

    In altri termini il centrodestra esce distrutto in termini di blocco avente una prospettiva di governo ma solo ridimensionato dal punto di vista del consenso. Come abbiamo visto la maggioranza assoluta dei voti è rimasta ai partiti del vecchio centrodestra.

    La Sicilia non si è dunque spostata a sinistra. E’ per questo che il Pd che giustamente esulta per la vittoria di Crocetta non può rallegrarsi troppo: nel 2008 la lista dei democratici e la lista del Presidente (Finocchiaro) insieme totalizzavano il 21,9%, oggi raccolgono il 19,6%. Se a questi voti aggiungiamo quelli della sinistra radicale (6,6%) che dividendosi tra Idv e Sel-Fds-Verdi non ha superato lo sbarramento ed è rimasta fuori dall’Ars, proprio come già era accaduto alle scorse regionali, l’area progressista raggiunge il 26,2%, contro il 28,6% del 2008. La sinistra si è quindi ridotta in termini percentuali. In voti assoluti poi ha perso circa 268.000 voti, pochi meno di quelli ottenuti dal Movimento 5 Stelle. Solo l’analisi dei flussi elettorali chiarirà i movimenti di voto, ma l’impressione iniziale è che mentre l’astensione è stata fortemente asimmetrica e ha penalizzato il centrodestra, il Movimento di Grillo ha pescato soprattutto nell’area progressista.

    Tab. 2 Risultati delle elezioni regionali 2012 in Sicilia, riparto proporzionale, voti assoluti, percentuali e seggi.

    Tab 3 Ripartizione dei seggi nell’Assemblea regionale siciliana.

    I risultati delle liste e la distribuzione dei seggi sono riportati nelle Tabelle 2 e 3. Come vediamo l’esito è in larga misura quello da noi previsto in una simulazione effettuata pochi giorni prima del voto. Avevamo infatti preannunciato che chiunque avesse vinto non avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in Assemblea. Crocetta ha conquistato 30 seggi, che con il premio diventano 39. Troppo pochi, dal momento che per governare ne servono 46. Ha già annunciato che intende costituire un governo di minoranza, senza alleanze organiche con soggetti terzi, sperando di racimolare di volta in volta la maggioranza necessaria a far passare i suoi provvedimenti. Il rischio di essere costretto a compromessi al ribasso e di rimanere impantanato nello stillicidio della contrattazione quotidiana con singoli deputati è però ridotto dal prevedibile conatus sese conservandi dei deputati stessi che hanno tutto l’interesse a mantenere in vita il Presidente e con esso l’Assemblea nella quale siedono (la prossima Ars si ridurrà da 90 a 70 deputati e dunque non ci sarà posto per tutti).

    Solo i prossimi mesi di governo ci diranno se il cambiamento sarà reale o se lo spirito del Gattopardo avrà ancora una volta preso il sopravvento.

  • Regionali 2012 in Sicilia, la simulazione del Cise: che succede con il boom di Grillo?

    di Vincenzo Emanuele

     Quando mancano ormai solo sette giorni alle elezioni regionali siciliane, snodo chiave per l’intero sistema politico italiano in vista delle politiche di primavera, il Cise è tornato a simulare il risultato del voto e la conseguente distribuzione dei seggi nell’Assemblea regionale. Il motivo che ci spinge ad effettuare una nuova simulazione dopo quella già presentata nel precedente articolo è la necessità di tener conto di ciò che sta avvenendo sull’Isola negli ultimi giorni. Ci riferiamo in particolare allo straordinario successo che Beppe Grillo sta riscontrando nel suo tour in camper attraverso i comuni siciliani: dopo aver attirato l’attenzione mediatica con la spettacolare traversata a nuoto dello Stretto, l’ex comico sta riempiendo le piazze e sembra aumentare i consensi giorno dopo giorno, mentre i leader dei partiti tradizionali per il momento hanno snobbato la Sicilia e i principali candidati Presidenti fanno comizi in piazze semivuote. Questi elementi ci portano a dover riconsiderare la percentuale di voti attribuita in precedenza al Movimento 5 Stelle (5%). Abbiamo per questo ipotizzato un terzo scenario, provando a verificare che cosa succederebbe in caso di boom del partito grillino.

    Anche in questo caso ci occupiamo della distribuzione degli 80 seggi proporzionali alle liste su base provinciale e poi assegniamo i 10 seggi rimanenti (gli 8 del listino del Presidente, il seggio al Presidente e quello al candidato Presidente giunto secondo) sia nell’ipotesi di vittoria di Musumeci che di Crocetta (gli altri candidati non sembrano realmente in grado di vincere nella competizione maggioritaria). Per quanto concerne il metodo utilizzato nella simulazione, esso è il medesimo già applicato per il calcolo dei risultati dei due scenari esposti nell’articolo precedente, a cui rimandiamo.

    I risultati elettorali ipotizzati in questo nuovo scenario vedono la presenza di un’unica, significativa novità: la lista del Movimento 5 Stelle è stata portata al 15% dei voti. Si tratterebbe di un risultato avente una portata rivoluzionaria: la lista di Grillo sarebbe infatti il terzo partito dell’Isola, con una percentuale analoga a quella registrata dai sondaggi a livello nazionale. Un risultato che sconvolgerebbe la tradizionale tendenza conservatrice e filo-governativa tipica del voto nelle regioni meridionali [Raniolo 2010] e la storica inclinazione dell’elettorato siciliano verso un voto candidate-oriented [Fabrizio e Feltrin 2007] più che issue-oriented, ossia più “di scambio” che “di opinione” [Parisi e Pasquino 1977]. Il Movimento 5 Stelle al 15% dei voti in Sicilia sarebbe infine un risultato sconvolgente anche alla luce della storia recente: alle regionali 2008 ebbe appena l’1,7% dei voti a alle comunali di Palermo appena 5 mesi fa si fermò al 4,5%. Abbiamo tuttavia scelto di testare questa ipotesi estrema per vedere come cambierebbero gli equilibri in termini di seggi e governabilità in seno all’Ars. Non sapendo in anticipo da quali partiti Grillo pescherà maggiormente i suoi nuovi elettori, ipotizziamo che crescerà elettoralmente a danno di tutte le altre liste presenti: abbiamo quindi ridotto proporzionalmente, rispetto ai vecchi scenari, le percentuali di tutte le liste, sia quelle in grado di superare lo sbarramento, sia quelle destinate a rimanere sotto soglia. I risultati sono quelli riprodotti nella Tabella 1.

    Tab. 1 Simulazione della distribuzione degli 80 seggi proporzionali, terzo scenario.

    Tab. 2 Riepilogo assegnazione dei seggi proporzionali e premio di maggioranza, terzo scenario.

    Con il 15% dei voti il Movimento 5 Stelle otterrebbe 16 seggi, trovandosi ad essere il secondo partito a Palermo, Catania, Caltanissetta ed Enna. Otterrebbe rappresentanti in tutte le 9 province, pescando soprattutto ai danni di Grande Sud che, con una diminuzione percentuale di appena 0,8 punti rispetto alla precedente simulazione, perderebbe ben 5 seggi (da 8 a 3). Tutte le altre liste sarebbero danneggiate, ma in misura minore: il Pd, la Lista Musumeci e l’Mpa perderebbero due seggi, il Pdl e l’Udc uno a testa. Complessivamente le liste di Crocetta rimarrebbero saldamente al primo posto con 31 seggi, seguite da quelle di Musumeci con 21, mentre si ridimensionerebbe in modo cospicuo la pattuglia parlamentare che fa riferimento a Miccichè (da 19 a 12 seggi), adesso addirittura quarta per dimensioni, superata dai grillini. Con questo scenario, la vittoria di Musumeci nella competizione maggioritaria (vedi Tabella 2) ci consegnerebbe un’Ars completamente ingovernabile: il candidato Presidente del Pdl si ritroverebbe con appena 30 seggi (corrispondenti esattamente ad un terzo dell’Assemblea, composta da 90 deputati) e non potrebbe più contare – a differenza degli scenari precedenti – sull’appoggio, tutto da negoziare, con gli autonomisti di Miccichè (si arriverebbe a 42 seggi la maggioranza minima è di 46). Considerando i deputati grillini non coalizzabili in alcun modo (con espressione sartoriana sarebbero definibili come “antisistema”), l’unica soluzione per evitare un immediato ritorno alle urne sarebbe il ricorso alla grande coalizione: un accordo tra Pdl, Pd e Udc alla stregua di quello che a livello nazionale ha dato vita al governo Monti, in nome della necessità di salvare la Sicilia dalla bancarotta, che garantirebbe una sovrabbondante maggioranza di 62 seggi su 90,. In questo modo il boom di Grillo avrebbe come conseguenza paradossale proprio quella di facilitare “l’inciucio” tra i partiti tradizionali, esattamente l’esito contro cui l’ex comico genovese si batte e prende i voti. Con la vittoria di Crocetta al maggioritario l’epilogo sarebbe invece meno scontato: il nuovo governatore potrebbe contare su 40 seggi e potrebbe evitare la grande coalizione cercando di chiudere un accordo con Miccichè o semplicemente facendo campagna acquisti fra i suoi deputati, nella speranza di raggiungere quota 46 seggi. Ma è chiaro che una maggioranza così raffazzonata navigherebbe a vista.

    E se vincesse Cancelleri? Visto il boom di Grillo nessuna ipotesi è da escludere a priori. Con la vittoria del candidato 5 Stelle i grillini salirebbero a quota 25 deputati, troppo pochi per pensare di governare. In tal caso, non essendo possibili ribaltoni (per il principio del simul stabunt simul cadent) non ci sarebbero alternative al ritorno immediato di fronte al corpo elettorale.

    In conclusione questa simulazione, come le precedenti, mostra con chiarezza che queste elezioni regionali si concluderanno con l’elezione di un Parlamento privo di maggioranza. Al crescere dei voti di Grillo, inoltre, tale evenienza si rafforza, rendendo sempre più probabile il ricorso ad una grande coalizione o al voto anticipato.

  • Regionali 2012 in Sicilia, la simulazione del Cise: la maggioranza è irraggiungibile

    di Vincenzo Emanuele e Giuseppe Martelli

    A meno di due settimane dalle elezioni regionali in Sicilia il Cise ha provato a simulare il risultato del voto e la conseguente distribuzione dei seggi nell’Assemblea regionale. Dopo oltre un decennio di dominio del centrodestra, che ha vinto le ultime tre elezioni regionali, le prime con l’elezione diretta del Presidente (con Cuffaro nel 2001 e nel 2006, con Lombardo nel 2008), l’Isola appare per la prima volta contendibile, soprattutto a causa della spaccatura interna all’ex fronte berlusconiano che vede ora la presenza di due candidati: Nello Musumeci, appoggiato da Pdl, Pid e La Destra, e dal leader di Grande Sud Gianfranco Miccichè sostenuto anche dall’Mpa e da Fli. Anche il centrosinistra si è diviso in due tronconi, con la sinistra radicale (Sel, Fds, Verdi e Idv) che ha rifiutato l’alleanza con il Pd e ha lanciato la candidatura della leader Fiom Giovanna Marano (in sostituzione di Claudio Fava, inizialmente candidato e poi costretto al ritiro per non aver trasferito in tempo utile la residenza in Sicilia). Il Pd, invece, alleato con l’Udc, sostiene l’ex sindaco di Gela Rosario Crocetta. Vi sono poi altri 6 candidati, tra i quali spicca il nome di Giancarlo Cancelleri del Movimento 5 Stelle, in grande crescita anche in Sicilia, come nel resto del paese.

    La grande frammentazione dell’offerta e le regole elettorali vigenti in Sicilia (per una spiegazione sul funzionamento della legge elettorale vedi qui) fanno si che vi sia il concreto rischio che all’indomani delle elezioni, a prescindere da chi vinca nella competizione maggioritaria (sembra comunque ormai una sfida ridotta a Musumeci e Crocetta) non vi siano i numeri sufficienti per formare una maggioranza all’Ars. La nostra simulazione ha lo scopo di verificare proprio questa ipotesi. E’ per questo che abbiamo tralasciato la competizione maggioritaria (prevedendo una doppia possibilità di assegnazione del premio di maggioranza sia a Musumeci che a Crocetta) e ci siamo concentrati sulla distribuzione degli 80 seggi proporzionali alle liste su base provinciale.

    Il metodo utilizzato per il calcolo dei risultati è stato il seguente: abbiamo assegnato a tutte le liste una percentuale regionale di voti sulla base dei sondaggi pubblicati nelle ultime settimane, tenendo conto anche dei risultati delle ultime elezioni. Successivamente, ipotizzando un’affluenza identica a quella delle regionali del 2008, abbiamo assegnato a ciascuna lista un numero di voti validi, a livello regionale, corrisponde alla percentuale di voti precedentemente assegnata. Per tutte le liste che superano la soglia di sbarramento del 5%, abbiamo quindi sviluppato i risultati a livello provinciale, applicando per ciascuna lista in ciascuna provincia lo swing (ossia l’oscillazione rispetto alla media regionale) di quel partito alle elezioni regionali del 2008[1]. Dopo questa operazione abbiamo applicato la formula Hare (quoziente e più alti resti) in ciascuna provincia, pervenendo così all’assegnazione degli 80 seggi proporzionali, cui vanno poi aggiunti i 9 seggi del listino del Presidente eletto (8 + 1 al Presidente) e il seggio al candidato Presidente arrivato secondo. Prima di passare all’analisi dei risultati, è opportuno precisare che per quanto effettuata tramite criteri metodologici rigorosi, si tratta pur sempre di una simulazione dei risultati e che quindi va presa con estrema cautela.

    In un primo scenario, raffigurato nella Tabella 1, ipotizziamo che vi siano ben 10 liste sopra la soglia del 5% e in grado di ottenere seggi, mentre le liste escluse dalla ripartizione (tra cui Fli, Idv e Alleanza di Centro) sommano tutte insieme l’8,5% dei voti validi.

    Tab. 1 Simulazione della distribuzione degli 80 seggi proporzionali, primo scenario.

    Tab. 2 Riepilogo assegnazione dei seggi proporzionali e premio di maggioranza, primo scenario.

      Questa simulazione garantisce in Assemblea una rappresentanza di liste afferenti a tutti e cinque i candidati principali: Crocetta otterrebbe 34 seggi, Musumeci 25, Miccichè 14, Marano 4 e Cancelleri 3. A questo punto abbiamo assegnato i 10 seggi rimanenti, sia nell’ipotesi di vittoria di Musumeci sia nel caso in cui sia Crocetta a trionfare nella competizione per il Presidente (le altre ipotesi non sembrano plausibili). Come vediamo nella Tabella 2, in nessuno dei due casi vi sarebbe una maggioranza assoluta: con la vittoria di Musumeci avremmo un Parlamento siciliano ingovernabile, dal momento che Crocetta manterrebbe un seggio di vantaggio (configurando un’improbabile “coabitazione” tra un legislativo di centrosinistra e un Presidente di centrodestra, o più probabilmente aprendo la strada ad una mozione di sfiducia e ad un pronto ritorno alle urne); con la vittoria di Crocetta quest’ultimo potrebbe contare su 43 deputati, ancora una volta insufficienti per governare. Ma l’ex sindaco di Gela avrebbe una possibilità in più: provare a stringere un accordo con la sinistra radicale e ottenere l’appoggio dei 4 deputati della lista Sel-Fds-Verdi, giungendo così a quota 47 seggi, la maggioranza assoluta (l’Ars è composta da 90 deputati). In realtà da questo primo scenario emerge con tutta evidenza il ruolo pivotale della pattuglia di deputati di Miccichè che, pur non potendo vincere, potrà gestire la partita che si aprirà dopo il voto da una posizione privilegiata: Musumeci non potrà governare senza di lui mentre Crocetta potrà farlo solo se la sinistra accetterà di soccorrerlo.

    Abbiamo poi ipotizzato un secondo scenario in cui le liste in grado di superare il 5% sono “solamente” 8 (Pdl, Pd, Udc, Mpa, Grande Sud, Lista Crocetta, Lista Musumeci e Movimento 5 Stelle). Sia la lista Sel-Fds-Verdi, sia il Pid non superano la soglia e sono escluse dalla ripartizione dei seggi (del resto i sondaggi sono concordi nel considerare queste due liste “in bilico” tra il 4 e il 5%). In questo modo il totale dei voti “sprecati” sale al 18,5% dei voti validi.

    Tab. 3 Simulazione della distribuzione degli 80 seggi proporzionali, secondo scenario.

    Tab. 4 Riepilogo assegnazione dei seggi proporzionali e premio di maggioranza, secondo scenario.

     La Tabella 3 illustra questo secondo scenario. Vista l’esclusione della lista Sel-Fds-Verdi, la sinistra radicale non entra in Parlamento e non può giocare alcun ruolo nelle trattative post-voto. (Alprazolam) Musumeci ottiene rappresentanza con due liste (quella del Pdl e la sua lista personale) e non più con tre (il Pid è sotto il 5%). Gli otto seggi da ripartire nuovamente (4 della lista Sel-Fds-Verdi e 4 del Pid) non vengono riassegnati ai partiti maggiori, contrariamente a quanto era ipotizzabile. Le liste di Crocetta non fanno alcun movimento, rimanendo a quota 34 seggi complessivi. Musumeci perde un seggio rispetto alla prima simulazione, dal momento che i 4 seggi del Pid non vengono recuperati del tutto (la Lista Musumeci guadagna 2 seggi in più , il Pdl uno). Chi davvero beneficia della crescita della disproporzionalità causata dall’aumento dei voti sotto soglia è il terzo incomodo, ossia Miccichè: Grande Sud raddoppia la sua rappresentanza all’Ars, ottenendo 4 deputati in più: vede scattare un secondo seggio a Catania ed elegge un deputato a Trapani, Ragusa e Siracusa. Raggiunge così il 10% dei seggi con appena il 6,7% dei voti. A ciò si aggiunge anche il seggio guadagnato dall’Mpa a Palermo che porta l’ex coordinatore di Forza Italia ad un totale di 19 seggi, 5 in più rispetto al primo scenario.

    Applicando il premio sia nell’ipotesi di vittoria di Musumeci che in quella di Crocetta il risultato non cambia più di tanto (vedi Tabella 4). Con la vittoria di Musumeci Crocetta manterrebbe due seggi di vantaggio, mentre con la vittoria di quest’ultimo verrebbe a mancare l’ipotesi di alleanza a sinistra con Giovanna Marano.

    La vera novità sarebbe la crescita del potere contrattuale di Miccichè che, oltre ad un’accresciuta pattuglia parlamentare, si ritroverebbe ad essere l’unico alleato possibile di un futuro governo regionale. In altri termini, l’unica alternativa ad un immediato ritorno di fronte al corpo elettorale.

    L’analisi appena esposta conferma l’ipotesi iniziale: in entrambi gli scenari immaginati ed a prescindere da chi vincerà nella competizione maggioritaria, il nuovo Presidente non avrà una maggioranza in Assemblea. Così le elezioni regionali in Sicilia, considerate da molti osservatori come un test decisivo per i partiti italiani in vista delle politiche 2013, rischiano di risolversi nell’ingovernabilità a causa della convergenza di fattori istituzionali (le norme della legge elettorale e la presenza di un premio che non è “majority assuring”) e politici (la rottura del bipolarismo e la frammentazione dell’offerta). Esattamente gli stessi fattori che, se verrà approvata la riforma Malan (vedi qui) sembrano profilarsi sotto il cielo della politica nazionale.

  • Regionali 2012 in Sicilia, come funziona il sistema elettorale

    di Vincenzo Emanuele

    Il prossimo 28 ottobre gli elettori siciliani saranno chiamati alle urne per l’elezione del Presidente della Regione e il rinnovo del Parlamento siciliano. Si voterà con alcuni mesi di anticipo rispetto alla naturale scadenza della legislatura conclusa anticipatamente per le dimissioni del Presidente Lombardo. In questa fase preliminare, in attesa che vengano presentate candidature e liste (il termine è il 28 settembre) e cominci ufficialmente la campagna elettorale, è importante mettere in luce le caratteristiche del sistema elettorale siciliano, diverso da quello in vigore nelle altre regioni a statuto ordinario. Un elemento da non sottovalutare, capace, soprattutto in circostanze di estrema frammentazione sistemica, di giocare un ruolo chiave sia nelle strategie pre-elettorali dei partiti (composizione dell’offerta) sia in quelle post-voto (trattative per la formazione del governo).

    In Sicilia è in vigore la legge n. 7/2005 che delinea un sistema misto, in larga parte proporzionale ma con un correttivo maggioritario. Essa prevede che dei 90 deputati dell’Ars 80 siano eletti proporzionalmente sulla base di liste di candidati concorrenti nei collegi elettorali provinciali in cui è ripartito il territorio della Regione, con la seguente distribuzione: Palermo 20 seggi, Catania 17, Messina 11, Agrigento e Trapani 7, Siracusa 6, Ragusa 5, Caltanissetta 4 ed Enna 3. Questi 80 seggi sono assegnati tramite il metodo del quoziente Hare  e dei più alti resti (con recupero sempre a livello provinciale) alle liste che abbiano superato lo sbarramento del 5% a livello regionale. Dei dieci seggi che rimangono da attribuire due sono assegnati rispettivamente al neoeletto Presidente della Regione e al migliore dei suoi competitors (il candidato presidente giunto secondo). Gli altri 8 seggi (facenti parte del cosiddetto “listino” regionale composto da 9 candidati incluso il candidato Presidente della Regione che ne è capolista) possono essere assegnati ai candidati della lista regionale più votata, ma entro il limite del raggiungimento di 54 seggi (escluso il Presidente) a favore della coalizione vincente. Una volta raggiunta tale maggioranza, non si può andare oltre e i seggi eventualmente rimanenti sono ripartiti tra i gruppi di  liste di minoranza sulla base del totale dei voti validi conseguito a livello regionale da ciascun gruppo che abbia superato lo sbarramento del 5%. Si possono così delineare quattro diversi scenari:

    1)      La coalizione collegata al Presidente eletto ottiene nei collegi provinciali un numero di seggi pari o superiore a 54: in tal caso non saranno eletti candidati della lista regionale, ma gli otto seggi saranno redistribuiti tra le liste di minoranza che hanno superato lo sbarramento. E’ quanto accaduto nel 2008, quando la coalizione di centrodestra guidata da Lombardo ottenne 61 seggi con il solo riparto proporzionale.

    2)      La coalizione collegata al Presidente eletto ottiene al proporzionale un numero di seggi compreso tra 46 e 53: risulterà eletto un numero di componenti della lista regionale che consente alla maggioranza di ottenere 54 seggi in Assemblea (oltre al Presidente), mentre i seggi eventualmente residui saranno distribuiti alle minoranze.

    3)      Se la coalizione collegata al Presidente eletto ottiene nei collegi provinciali tra 37 e 45 seggi, risulteranno eletti tutti i componenti del “listino” e la coalizione vincente avrà comunque garantita una maggioranza di almeno 46 seggi (compreso il Presidente).

    4)      Se invece la coalizione collegata al Presidente eletto ottiene meno di 37 seggi nella parte proporzionale, gli otto seggi della lista regionale le saranno tutti attribuiti, ma ciò non consentirà alla coalizione vincente di disporre di una maggioranza assoluta in aula (46 seggi).

    Come vediamo, il sistema elettorale siciliano presenta alcune caratteristiche peculiari che rischiano di avere un effetto dirompente sull’esito della competizione. Innanzitutto la previsione di uno sbarramento del 5% a livello regionale per tutte le liste costituisce la più alta soglia esplicita in vigore nel nostro paese dopo quella dell’8% per le liste non coalizzate del Senato. Essa scoraggia la presentazione di liste personali e le scissioni dai grandi partiti e incentiva fortemente la formazione di cartelli fra partiti di piccole dimensioni. Tale soglia, unita all’introduzione del quoziente Hare e della ripartizione dei resti a livello provinciale (altro elemento che favorisce i partiti grandi o medi concentrati e sfavorisce i piccoli partiti con distribuzione uniforme dei consensi) ha garantito una robusta riduzione della frammentazione (nel 2008 solo 4 partiti hanno superato la soglia riuscendo a conquistare seggi all’Ars: Pdl, Pd, Mpa e Udc).

    L’elemento chiave della legge è però legato all’attribuzione degli 8 seggi del listino regionale. Non si tratta di un vero premio di maggioranza: esso infatti, oltre ad essere eventuale (può anche non scattare se la maggioranza ha già ottenuto 54 seggi), non è sempre decisivo: quando scatta non consente sempre il raggiungimento della maggioranza assoluta dei seggi ( il quarto scenario visto prima). Con un termine tecnico si dice che non è majority assuring. In una situazione come quella che si sta delineando (12 candidati alla Presidenza di cui 4 competitivi, con spaccature sia nel fronte di centro-destra che in quello di centro-sinistra) non è affatto impossibile che si verifichi la vittoria di un Presidente senza maggioranza, con l’inevitabile conseguenza di dar vita ad un accordo post-elettorale fra partiti rivali in campagna elettorale o ad una massiccia compravendita di parlamentari da parte della coalizione vincente per assicurarsi il raggiungimento della soglia minima di 46 seggi. Con lo spettro, sempre dietro l’angolo, di una mozione di sfiducia al nuovo, debole Presidente e il rischio sempre più concreto di dar vita ad un’altra legislatura fallimentare.